Le Testimonianze
*Bernardo Vitiello: "Prima di andare in Cielo, papà mi affidò alla Madonna"
Bernardo Vitiello è stato accolto nel Centro Bartolo Longo dal 1962 al 1977. Vi entrò quando aveva solo cinque anni, insieme al fratello Vincenzo, alla morte del papà.
Oggi è uno dei dipendenti del Santuario e non comincia mai la sua giornata senza pregare dinanzi al trono della Madonna e alle spoglie del Beato.
La sua è una preghiera di gratitudine e di riconoscenza per quegli anni dedicati allo studio e alla crescita umana e spirituale. Ecco il racconto della sua esperienza.
Bernardo Vitiello è una vera e propria istituzione in Santuario per il suo ruolo indispensabile di factotum. Ogni mattina corre da un ufficio all’altro per avere le commissioni della giornata e poi, veloce, si reca alle poste, in banca, al comune per sbrigare tutte le pratiche necessarie.
Altre volte fa servizio alla portineria dell’Istituto Bartolo Longo o si mette a disposizione dei pellegrini per "guidare" l’ascensore che li porta in cima al campanile a godere lo spettacolo di un panorama meraviglioso che spazia fino a Capri. Si può dire che Bernardo sia nato in Santuario.
Aveva solo cinque anni quando il compianto Arcivescovo Aurelio Signora promise al papà Antonio, in punto di morte per un male incurabile, che si sarebbe preso cura del piccolo e di suo fratello Vincenzo.
La mamma Giuseppina, bracciante agricola, non sarebbe riuscita a garantire loro un buon futuro senza il sostegno del marito, scomparso a soli quarant’anni. Rimase a casa con lei Antonietta, la figlia più grande, mentre Bernardo e Vincenzo vennero accolti all’Istituto Bartolo Longo. Anni belli, fatti di giornate dedicate allo studio, ma anche al divertimento, che nell’idea pedagogica del Beato diventava un utile strumento di formazione. "Ricordo i saggi ginnici, che si tenevano il 15 maggio di ogni anno – ci dice Bernardo – ma anche le partite a pallone e le gite fuoriporta, in particolare a Roma, dove risiedevamo all’Istituto Villa Flaminia, casa generalizia dei Fratelli delle Scuole Cristiane".
E poi l’esperienza nel Complesso bandistico "Bartolo Longo", una costante nei curriculum degli studenti. "Dal 1971 ne ho fatto parte anch’io – dice ancora – e ho continuato a suonare il trombone fino al 1980, tre anni dopo l’uscita dall’Istituto.
Il ricordo più bello è legato alla beatificazione di Bartolo Longo del 26 ottobre 1980, quando suonammo in piazza San Pietro".
C’è un altro ricordo nella memoria dell’ex alunno, un fatto che all’epoca gli costò un dispiacere. Il 23 aprile 1965, il Quadro della Madonna di Pompei fu incoronato nella Basilica e Bernardo, unico pompeiano in una classe di trentanove ragazzi, teneva a portare lui quella corona che poi Papa Paolo VI avrebbe posto sul capo della Vergine.
Quel ruolo d’onore toccò invece a Gerardo Vitagliano. Vedendolo dispiaciuto, uno dei religiosi che li avevano accompagnato, Fra Ubaldo, gli consentì di passare avanti tanto che, nel film-documento che fu girato come attestazione storica, Bernardo è ben visibile, in prima fila. A quel tempo aveva otto anni e ne passerà ancora dodici nell’Istituto, dove resterà fino al 1977.
Il fratello Vincenzo, più grande di quattro anni, si congederà prima, nel 1972, e comincerà subito a lavorare nella tipografia fondata da Bartolo Longo. A quei tempi, oltre a "Il Rosario e la Nuova Pompei", vi si stampava anche "Avvenire".
"All’Istituto – prosegue nel raccontare – ho ricevuto un’educazione severa, ma ho imparato a vivere da buon cristiano e da buon cittadino. Abbiamo avuto grandi educatori. Ricordo Fratel Tullio Crocicchia, Fratel Pasquale Sorge, Fratel Francesco Adamini, Fratel Rocco Edelmann, ma anche Suor Maria Celina Recce e Suor Maria Ersilia Tambasco che gestivano l’asilo attiguo alla chiesa di san Michele, nella frazione di Cattori, a Torre Annunziata. Ringrazio quegli educatori. Ho trasmesso i valori che mi hanno impartito ai miei figli Giuseppina, Antonio e Giovanna, la quale mi ha anche dato la gioia di diventare nonno di Raffaele, che ora ha venti mesi, e di Bernardo, che ha solo un mese".
Entrare al "Bartolo Longo" non significava perdere i rapporti con la famiglia d’origina. "Mia madre veniva a prendermi ogni domenica così che potessimo trascorrere la giornata con lei. Anche d’estate passavamo un mese all’Istituto, ma tornavano a casa da luglio fino al 25 dicembre.
A quel tempo la scuola cominciava il 1° ottobre. La mamma era felice che potessimo formarci in quell’Istituto tecnico industriale, la scuola di Bartolo Longo". "Questi amici – ricorda con nostalgia - ho conosciuto all’Istituto.
Avevo buoni rapporti con tutti e oggi, grazie a facebook, sono riuscito a recuperare molti contatti. Ma, oltre agli amici, avevo un padre speciale. L’Arcivescovo Signora, nonostante tutti i suoi impegni, veniva spesso a chiedere di me. S’informava, si preoccupava di ogni ragazzo". Bernardo, accolto all’Istituto nel 1962, ne uscì nel 1977 quando trovò lavoro come operaio in una fabbrica di polistirolo, che chiuse nel 1986, proprio l’anno del suo matrimonio con l’amata Maria Luisa. Ma la Madonna non si dimenticò di lui e della sua giovane famiglia.
Nel 1990 fu assunto in Santuario. "Ogni mattina – conclude – prima che cominci la mia giornata di lavoro, ho due "appuntamenti" fissi: nella cappella Bartolo Longo, dove rivolgo la mia preghiera al Beato, e sotto l’altare della Vergine del Rosario per pregare Maria santissima.
E sono proprio felice di essere riuscito a trasmettere questa profonda devozione anche ai miei figli".
Prima Foto: Il piccolo Bernardo.
Seconda Foto: Bernardo con alcuni compagni del Complesso bandistico "Bartolo Longo" in cui suonò il trombone dal 1971 al 1980.
Terza Foto: La Benda di quegli anni.
(Autore: Michele Cantisani)
Nel settembre 1918, Mario Di Bartolo, combattente sul fronte veneto, riceve una lettera della mamma. Su un lato gli auguri per l’imminente onomastico, sull’altro un’immagine della madonna di Pompei.
Ora un nipote del soldato invia quel documento che racconta la devozione a Maria, cui ci si affidava negli anni tragici della Prima Guerra Mondiale.
É il 3 settembre 1918, nel corso della prima Guerra mondiale, quando Mario Di Bartolo, un giovane militare, classe 1899, combatte sul versante veneto in servizio nel Comando 6 Armata Ufficio Lavori. Ed è proprio al fronte che riceve gli auguri della mamma Giuseppina a pochi giorni dalla ricorrenza della Natività di Maria.
La donna la inviò al ragazzo su una cartolina che ritraeva un’immagine della Madonna di Pompei: "Caro Figlio – gli scrisse – ricorrendo il tuo onomastico ti auguriamo passarlo in pazienza fra i tuoi compagni.
Ti ho spedito un vaglia di lire 25, però lire 5 te li devi spendere il giorno del tuo onomastico.
Benedizioni e baci affettuosi, tua madre Giuseppina Santonocito, Catania 3/9/1918". Era il promo onomastico che il figlio passava fuori casa, peraltro in guerra.
Al congedo, Mario riporterà quella cartolina a casa e la custodirà gelosamente, lasciandola ai suoi discendenti che la conservarono ancora come un’eredità della devozione mariana, passata da padre in figlio.
Ora riceviamo l’immagine di questa cartolina, insieme ad una lettera inviataci da salvatore Di Mauro, nipote del soldato.
"Mia nonna Giuseppina – racconta – ha indossato l’abito carmelitano, quotidianamente, per la promessa fatta alla Vergine se il figlio fosse tornato sano e salvo dalla guerra.
Io la guardavo con curiosità. E la Madonna le è sempre stata vicino come quando mio nonno Salvatore, in un cantiere edile, cadde da un ponteggio senza subire danni fisici.
Al ritorno a casa dal lavoro, conversando con mia nonna, le riferì l’accaduto e le propose di dare il nome della madonna del Carmelo alla figlia o al figlio che stava per nascere.
Nacque mia madre e la chiamò Carmela.
La devozione fu resa ancora più profonda dal conflitto quando mio zio, a soli diciassette anni e mezzo, fu arruolato insieme ad altri 400 mila giovanissimi.
Un’intera generazione mandata in guerra dopo la battaglia di Caporetto del 24 Ottobre 1917.
Era il ragazzo di una famiglia meridionale dove non si batté ciglio, per amor patrio e senso del dovere, sul fatto che il figlio, giovanissimo, andasse a difendere fraternamente il suolo d’Italia in regioni lontane.
Le preghiere di mia nonna intessevano ogni momento della sua vita quotidiana.
L’abbandono di fede era totale nell’affidare a Maria il figlio che andava alla guerra a 1800 chilometri da casa".
Dall’invio di quella cartolina con l’immagine della Vergine è passato giusto un secolo.
*In moto a Pompei sessant'anni fa
Le invio una vecchia foto che mi ritrae, piccolissima, avrò avuto due anni, tra mamma e papà all’ingresso del Santuario di Pompei.
Questa foto testimonia il grande amore verso la Vergine del Rosario di Pompei dei miei genitori da tantissimi anni.
Io oggi di anni ne ho 62 e ricevo sempre la bellissima rivista del Santuario intestata a mio figlio Galasso Antonio Rosario.
Sarei immensamente felice di vedere questa foto sul Vostro giornale. Mio padre non c’è più da quasi 30 anni, ma sarebbe un bellissimo regalo per mia madre, grande devota alla Mamma di Pompei.
Michelina Buono Galasso
*La riconoscenza di un'ex orfanella
Sono un’assidua lettrice della vostra rubrica "Grati alla Madonna e al Beato Bartolo Longo". Sono un’ex orfanella accolta nel Santuario di Pompei e, per questo, mi sento ancora figlia delle Suore Domenicane Figlie del Santo Rosario, che mi hanno educato con tanto amore. Tra l’altro ricordo con gioia la recita del Rosario dinanzi al
Quadro della Vergine Santissima. Ancora oggi continuo a recitare quella preghiera ogni giorno. Nella mia vita, la Madonna mi ha sempre aiutato, mi ha protetto, mi ha assistito nella quotidianità della famiglia e del lavoro.
Proprio in ambito lavorativo, ho avuto di recente grosse difficoltà. Con l’intenzione di superare questi problemi, ho chiesto aiuto a Maria Santissima e al Beato Bartolo
Longo. Ogni giorno, appena riprendevo il mio servizio, mi rivolgevo a loro con un pensiero intenso e fiducioso affinché tutto procedesse al meglio.
Ebbene ho ottenuto la grazia di superare ogni ostacolo tornando alla normalità e alla serenità. Nel corso della mia vita ho più volte sperimentato la vicinanza di Maria e del Beato ottenendo un aiuto più grande dell’altro.
Oggi continuo a pregare e chiedo tante benedizioni per i miei figli, in particolare per la loro serenità, per la salute, perché ottengano un lavoro definitivo che tanto aspettano.
(Un’ex orfanella)
*Quella moneta di cinque dollari donata alla Madonna
La storia che sto per raccontare è vera e i fatti accaduti sono esattamente come io li ricordo. Gina è mia madre. La sua storia ha inizio con il suo sogno di partire per gli Stati Uniti d’America per riunirsi con sua madre, Teresa Caliguri Ros, che era partita nel 1925 per ricongiungersi con il marito John (mio nonno) e per contribuire all’acquisto del biglietto di sola andata negli Stati Uniti dei loro 4 bambini rimasti in Italia: Germanico, Gina, Joseph e David, i quali poterono riabbracciare i genitori nel 1935, quando approdarono sul suolo americano. Per 10 lunghi anni i miei nonni avevano lavorato per poter portare i loro figli negli Stati Uniti e, sebbene inviassero regolarmente denaro in Italia per il loro sostentamento, questi erano costretti a mendicare per le strade da chi ne aveva la custodia.
Nel 1935, mia madre Gina e suoi fratelli arrivarono in America: era il 19 marzo, festa di San Giuseppe, e così, dopo anni di sofferenze il sogno americano di madre ebbe inizio. Si iscrisse ad una "scuola serale" per imparare l’inglese e lavorò sodo per realizzare tutto ciò che le era stato negato in Italia. S’innamorò della gigantesca America, di Chicago con la sua Downtown Loop area e il Lincoln Park. Ma solo sei mesi dopo il suo sogno fu spazzato via in un attimo.
A settembre di quello stesso anno, nel giorno del Labor Day, fu coinvolta in un tragico incidente automobilistico: si trovava in macchina con la madre e un’amica e un urto la sbalzò fuori, proprio mentre sopraggiungeva un’altra auto che la trascinò per quasi un chilometro. Riportò ferite gravissime, e fu trasportata in pericolo di vita al Cook County Hospital di Chicago. La gamba sinistra e il viso erano distrutti.
I chirurghi ritenevano necessaria l’amputazione della gamba, ma uno di essi volle tentare di salvarla con l’applicazione di bulloni e dadi di ferro per immobilizzare le ossa. Anche così, la diagnosi fu terribile: mia madre non sarebbe stata mai più in grado di camminare senza tutori ortopedici e stampelle. Anche il suo viso era ormai sfigurato. Le fu detto chiaramente che sarebbe rimasta invalida per il resto della sua vita.
Allora non esisteva la terapia fisioterapica, per cui mia madre rimase a letto per un anno, amorevolmente curata da sua madre Teresa. Durante quel lungo periodo il legame tra mia madre e mia nonna si fortificò sempre di più e sono rimaste unite per tutta la vita. Nel frattempo altre delusioni si delineavano all’orizzonte. In Italia aveva lasciato il suo primo amore, Antonio Zuccato, e le fu riferito che il suo innamorato non voleva saperne più di lei perché ormai invalida. Quando riuscì a fare a meno delle stampelle e dei tutori, con i tratti del viso ancora segnati dalle cicatrici e pochi denti rimasti, tra il 1936 e il 1937, mia madre tornò in Italia per incontrare Antonio e mostrargli quello che ormai era.
Con nostra eterna gratitudine, lui le confermò che il suo amore era rimasto immutato e quanto le era stato riportato circa i suoi sentimenti e le sue decisioni era falso. Si sposarono in Italia nel 1937, e successivamente si stabilirono negli Stati Uniti. Nel 1952, con i tre figli, Dea, Norma ed io, Giovanni, tornarono in Italia per ringraziare Sant’Antonio di Padova e la Madonna di Pompei per le grazie ricevute: per tutta la durata della sua convalescenza mia madre non aveva mai smesso di pregare per la realizzazione del suo sogno.
E fu esaudita. Depose i "tutori di ferro e le stampelle di legno" ai piedi della Madonna di Pompei. L’incidente di cui fu vittima era stata causato da un ubriaco al volante, il quale, mentre mia madre lottava tra la vita e la morte, aveva fatto trasferire i suoi beni ad altro intestatario, per non dover risarcire la somma che il giudice sicuramente avrebbe assegnato a mia madre. E infatti ella non ricevette mai i diecimila dollari stabiliti per lei dalla Corte perché, "il guidatore ubriaco non possedeva nulla". Non voglio commentare ulteriormente questo triste evento, basti dire che furono messe in atto procedure fraudolente e contrarie all’etica. L’unico compenso ricevuto da mia madre fu una moneta d’oro da cinque dollari che ella custodì sempre come una reliquia, non per il suo valore in denaro ma per quanto essa significava. Stupidamente, poco più che adolescente, presi di nascosto quella moneta e la spesi peccaminosamente.
Dopo molti anni, nel 1980, con un senso di colpa profondo ho comprato una moneta dello stesso valore per sostituire l’altra. Sono cuore di mia madre, e anche se rimisi la moneta al suo posto, feci una cosa imperdonabile. Nonostante tutto, nel 1990 mia madre ha voluto regalare proprio a me quella moneta: nessun amore è più grande di quello di una madre per suo figlio. Nel corso degli anni, mi sono considerato per questo il figlio preferito. Mia madre è morta nel 2010, a quasi 95 anni, ed io non sono mai riuscito a capire davvero quanto mia madre fosse una donna speciale.
Ora voglio donare quella moneta alla Madonna di Pompei, di cui mamma era devotissima, e per anni è stata vostra benefattrice. Il "sogno di Gina" si è avverato per l’amore e la fede che lei aveva nella Madonna di Pompei.
(John Zuccato - Mokena (Illinois) – USA)
*L'ultima lettera a Maria di una ex alunna
Scrivo per mia nonna le parole che mi ha dettato. La sua fede incrollabile nella Madonna di Pompei le ha permesso di vivere in serenità. Mia nonna è morta il 29 luglio 2015, era malata di cancro da 4 mesi, ma non lo sapeva, abbiamo scelto di non dirglielo per non inquietarla. Questa brutta malattia mi ha portato via l’amore più grande della mia vita.
Ha scritto spesso a Maria e la pregava ogni giorno: non ho mai conosciuto una persona con una fede tanto grande. Ora sono io che vi scrivo, con i miei 25 anni, e non è la prima volta! Verso la fine non aveva più la forza di pregare e soffriva per non poterlo fare. Allora le ho detto che se voleva mandare una lettera alla Madonna l’avrei scritta per lei. Ed ho aspettato fino ad ora per spedirla perché non riuscivo a leggere quelle parole senza pensare che non era più con me. Lascio ora il posto alle parole di mia nonna, alla sua fede.
Questo è il contenuto della lettera che mi ha dettato: "Madonnina Santa di Pompei, ti scrivo per chiederti ancora una grazia, tu che me ne hai già fatte tante. Quando il dottore mi disse che avevo problemi all’utero e che non avrei potuto avere figli, scrissi con fede al Santuario di Pompei per chiedere preghiere. Non potete immaginare la mia gioia quando seppi di essere incinta, e il dottore restò senza parole. Non ho mai smesso di pregare. Mai la Madonna Santa di Pompei mi ha chiamato senza che io le rispondessi.
E lei pure mi ha risposto ogni volta che Le ho chiesto una grazia. Ti ringrazio per tutto, sei nel mio cuore da sempre. A 15 anni già pregavo il Rosario con profonda devozione. Ora ti prego di aiutare questa mia nipotina, perché ne ha bisogno. Te lo chiedo con tutto il cuore. Madonnina mia, non ci abbandonare e prega per noi". L’ultima preghiera che abbiamo fatto insieme è stata la Novena alla Madonna di Pompei, che io non conoscevo.
Gliel’ho fatta ascoltare da un video su internet e lei per un momento ha aperto gli occhi, ha sorriso, e a quel punto l’ho rassicurata che poteva andarsene tranquilla, che sarebbe stata sempre la mia stellina, il mio angelo e il mio grande amore. Forse aspettava proprio queste mie parole, che io fossi pronta a lasciarla andare, non saprei, fatto sta che è morta durante la notte. Questa donna, questa madre, questa nonna era una persona eccezionale.
C’è un grande vuoto nella nostra vita e nei nostri cuori, ma sappiamo che ci protegge da lassù! Grazie, Madonnina, per averle dato tante gioie e ora accoglila con tutto l’amore che merita.
(Yolande e Aurora Balsano - La Ciotat – Francia)
*Il pellegrinaggio del Venerabile Bruno Marchesini
Una breve lettera di un sacerdote, che ricorda l’amore per la Madonna di un suo compagno, il seminarista Bruno Marchesini, nato a Bagno di Piano l’8 agosto
1915 e scomparso a Bologna, per una grave e improvvisa malattia, il 29 luglio 1938. Non aveva ancora compiuto ventitré anni. Accolse la sofferenza con amore, nella totale accettazione della volontà di Dio. Scriveva, nel suo diario, l’11 maggio 1938:
«Vergine Santa, in questo mese di maggio, vi prometto di volervi onorare ogni giorno della mia vita, mattina e sera, con la pia e attenta recita delle preghiere della
Concezione. A voi umilmente domando di accettare questo piccolo segno di filiale amore, e di darmi voi la grazia che tale recita sia per me fonte felice di benedizioni vostre su tutta la mia vita. Mater mea, Fiducia mea». Pronuncerà quest’ultima orazione latina anche nel momento della morte. Del chierico Bruno Marchesini è in corso la causa di beatificazione. Il venerabile Bruno Marchesini fu pellegrino, insieme ai suoi compagni di seminario, al Santuario della Beata Vergine di Pompei.
Era l’ottobre del 1934, nei giorni del suo passaggio dal seminario minore al seminario maggiore di Roma. Il sottoscritto, compagno del venerabile, ricorda bene questo fatto. Nei suoi scritti, non si ritrova nessun cenno a questa visita, ma ne ho ben presente la tenera e vitale devozione a Maria Santissima. Il venerabile ci ottenga una pietà sempre più intensa e generosa nella recita del Santo Rosario.
(Don Giovanni Battista Proja – Roma)
*I miei nonni, abbonati al Periodico sin dal 1884
Sono una devota della Madonna di Pompei da quando avevo dieci anni. Ora ne ho ottanta e, negli anni della mia fanciullezza, il periodico "Il Rosario e la Nuova Pompei" era un "astro del cielo" che arrivava nel mio piccolo paese, Buonabitacolo, in provincia di Salerno.
I miei nonni erano abbonati addirittura dal primo numero, quello del 1884, mandato in stampa dal Beato Bartolo Longo, e oltre ai compiti di scuola, mi facevano sempre leggere e meditare la rivista.
Tuttora la ricevo e io faccio altrettanto con i miei nipoti. Purtroppo la mia salute non mi dà la possibilità di venire a Pompei, ma i miei nipoti pregano sempre per me nel Santuario della Madonna del Monte Carmelo, a Buonabitacolo.
Qui è custodita una sacra immagine della Vergine Santa di Pompei, che protegge tutto il Vallo di Diano.
Che Dio vi benedica!
(Anna Speranza - Roma)
