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Ora del Mondo 1883-1899

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"Maggio 1883" L'Ora del Mondo

Presiede Sua Eminenza Mons. Giuseppe Formisano - Vescovo di Nola

Con squisite espressioni che ripetono il lirismo dei solenni salmi biblici, B. Longo, nel programma delle feste del 1883, annunciava la sua novella preghiera alla Madonna.
"Alleluia! O Fratelli: Leviamo oggi un cantico di festa. Cantiamo oggi più giuliva la dolce canzone di amore alla Vergine".
È l’atto di amore alla SS. Vergine di Pompei, il cantico supplice da recitarsi il giorno 8 di maggio nell’ora di mezzodì. "Una preghiera comune, in Atto di Amore che raccogliesse quel popolo nascente (i primi pompeiani) sotto il vessillo di Maria e perciò pregasse di una stessa preghiera".
In questi propositi affonda e prende vita la radice dell’Atto di Amore, la preghiera primigenia, il palinsesto, pressappoco il canovaccio della Supplica.
L’Atto di Amore traduceva la fiamma che divampa nel cuore di Bartolo Longo e che si alimentava nell’ardore di una fede che investiva e permeava tutto il suo essere.
Nell’ora di mezzodì, oltre a dodicimila associati al Tempio di Pompei levarono unanimi la preghiera alla Vergine.

Era l’otto di maggio del 1883. Innumerevoli devoti, pur lontani, alla stessa ora, prostrati davanti all’immagine della Madonna, recitando la medesima Preghiera, si unirono al coro che Don Bartolo, con fervore acceso, aveva sollecitato intonando l’inno alla Vergine. Quell’Atto di Amore concepito e dettato come preghiera di contrizione, cantico di lode, invocazione supplice ricca di pietà profonda.
Dall’Unità Cattolica del 17 maggio 1883 n° 115, stralciamo solo un breve significativo passaggio della relazione stesa da B. Longo a commento della festa: "Ma la festa della prima campana, che ebbe luogo ieri l’altro, ha superato le nostre aspettative ed il più vivo entusiasmo che aveva già suscitato la semplice lettura del programma.

*La Festa dei Signori Forestieri - (Prima Parte)
Folla di rappresentanti della nobiltà napoletana e generosi benefattori alle celebrazioni dell'otto maggio 1883
Ambo i novelli Sacri Bronzi, Maria Rosaria e Caterina da Siena, si troveranno sollevate da terra a petto d’uomo sotto la Cupola per essere lavate dalle mani del Vescovo con l’Acqua Lustrale e consacrate con l’Olio Santo (1). Lo stesso Sacro Principe sarà assistito dai Canonici di Nola e dai Cantori del suo Seminario. Quindici elette Signore della più alta Nobiltà cattolica Napoletana (2), rappresentanti il numero dei Misteri del Rosario, saranno le Nobili Comari (3) di Maria Rosaria e di Caterina da Siena. Tra esse si noverano le prime Benefattrici del novello Santuario, la Marchesa Filiasi di Somma, la Marchesa Ruffo di Guidomandri, la Duchessa Albertini Sozzi-Carafa, la Duchessa di Laurenzana, la Sig.na Giovannina Muti Sabato, la Marchesa di Latiano, la Contessa di Balsorano Doria, la Duchessa di Paganica, la Principessa di Santo Mauro Saluzzo Caracciolo di Forino, la Baronessa Compagna, la Baronessa di Castro de Rosa, la Duchessa d’Eboli, la Sig.ra Elena Buonocore Giusso, la Signorina Giuditta Cattaneo dei Principi di S. Nicandro, la Marchesa Clementina Imperiali Volpicelli, la Marchesa Tommasi Giovanna di Somma, la Marchesa Torre Angela Tommasi, la Marchesa Imperiali Teresa Tommasi, la signora Anna Narici Scognamiglio, la Marchesa di Gallo Filomena Doria, la Principessa di Belmonte, la Principessa de Luna d’Aragona, la principessa di Cassero.
Compiuto che sarà il solenne Battesimo, immantinentia vista di tutti i figli del Rosario in Chiesa congregati, si eseguirà l’ascensione dei Sacri Bronzi, i quali sollevandosi insino al centro della Cupola, di là passeranno ad esser collocati nel piccolo provvisorio Campanile (4). E mentre che Maria Rosaria si va sollevando per giungere alla sommità del Tempio, verrà salutata la Regina del Cielo con il canto della Salve Regina in duetto dal noto e pio Tenore signor Francesco Caracciolo e dall’egregio Basso signor Francesco Capponi, i quali con tutto il trasporto di una tenera devozione a Maria si son presentati gratuitamente, ponendo la banda ogni altro loro ufficio. Siccome anche gentilmente e gratuitamente si presteranno ad eseguire la musica in Chiesa i signori dilettanti Achille Talamo (Violoncello), S. Festa (5) (Armonium) ed il Maestro Alfonso Amodio. Breve ed affettuoso Sermone sarà detto dal chiarissimo oratore napoletano Rev. Sac. D. Errico Marano (6) del Terz’Ordine di S. Domenico. Quindi il Santo Vescovo di Nola intonando l’Inno di lode all’Altissimo, armonizzando il cantico degli Angeli con il pietoso canto dei fedeli, impartirà solennemente la benedizione con il SS. Sacramento a tutti gli associati della nuova Chiesa presenti e lontani. Ed in quell’istante solenne, in cui il Padre e Redentore degli uomini benedirà i suoi figli che edificano la casa di sua Madre, Maria Rosaria per la prima volta scioglierà ai venti la sua santa voce, per annunziare al popolo Cristiano i novelli trionfi della Regina delle Vittorie: la quale su quella terra degl’infedeli e dei demoni ha formato una nuova famiglia, una santa Società, dove il Dio vero è il capo, la madre di Dio diventa Madre dei peccatori, e uomini e donne di ogni classe e di ogni paese si raccolgono colà sotto il manto della Madre di Misericordia. Sicché il primo suono di Maria Rosaria sarà una voce di adorazione a Dio, di benedizione al redentore degli uomini, di nunzio felice di grazie e di benedizioni che dal Cielo pioveranno in quel giorno su tutti i figli della Chiesa di Pompei. E quell’ora benedetta sarà appunto il mezzodì degli 8 di Maggio del 1883, quell’ora in cui tutto il Mondo cattolico al suono delle Campane di tutte le Chiese d’una sola voce saluta Maria piena di grazia e Madre di Dio; ed in quell’ora in Pompei per la prima volta la squilla di Maria Rosaria echeggerà per il muto Anfiteatro e per la deserta Città pagana; ed il sonoro suo fremito scuoterà i cuori più duri, e trarrà lacrime di compunzione e di amore per la bella Sovrana degli Angeli, invitando ciascun fedele al dolce suono di Gabriello, Ave Maria. E tutti i figli del Rosario, presenti o assenti, vicini o lontani, tutti in quell’ora saluteranno la loro tenera Madre, la loro cara Regina con un fremito di venerazione, con un palpito d’amore.
Note
(1) La riforma liturgica, attuata dal Concilio Vaticano II, ha disposto che i sacri riti siano espressi più chiaramente al fine di facilitare la comprensione al popolo cristiano, consigliando di dare preferenza alla Parola contenuta nei Sacri Testi più che ai segni, spesso di non facile interpretazione. Pertanto lo svolgimento del rito di benedizione delle campane, più complesso una volta, ma così suggestivo, è attualmente snellito. Non necessariamente il Vescovo in qualità di ministro, ma un sacerdote che, dopo aver tenuto l’omelia per l’occasione, invita la comunità ecclesiale alla preghiera ed alla meditazione; indi, aspersa la campana con l’acqua benedetta la incensa ed il rito è così compiuto. Un breve cenno sul vecchio rito. La cerimonia si apriva con il canto dei sette salmi penitenziali.
La chiesa tutta preparata a festa, ornata con fiori e tralci di foglie verdi intrecciate a festoni; il Vescovo ed il Clero vestivano dei paramenti più belli, intonavano i canti e, negli intervalli, le preghiere in coro unanime con i fedeli. Il rito aveva inizio con la benedizione dell’acqua già preparata in un capace catino sistemata nei pressi della campana. Il Vescovo, servendosi di un fascetto di rami freschi di mirto intinti nell’acqua benedetta, lustrava tutta la campana all’esterno ed all’interno quasi a volerla liberare da ogni scoria di impurità. Quindi con il Sacro Crisma (olio e balsamo benedetti), tracciava sull’esterno della campana sette croci ad evocare il ricordo dei sette doni dello Spirito Santo. Nell’interno, ancora quattro croci, a voler significare i quattro punti cardinali in direzione dei quali la campana avrebbe fatto sentire la voce di Dio. Veniva quindi collocato sotto la campana un braciere con carboni accesi, simbolo della fede ardente del popolo di Dio; il Vescovo su quel fuoco bruciava l’incenso, la scorza della timiana, lo stesso albero che dà l’incenso, la mirra. Il fumo profumato dei preziosi aromi avvolgeva la campana simbolicamente purificandola.
Un canto di ringraziamento e di gloria al Signore ed alcuni solenni rintocchi della campana benedetta concludevano il suggestivo rito.
(2) “Per esattezza storica, però, ho da confessare che non tutta l’aristocrazia napoletana ci aprisse le porte e ci facesse oneste e liete accoglienze. Anzi, talvolta, dopo essere tornati due o tre volte a scendere e salire le marmoree scale, ci convenne sopportare qualche amara conclusione. Nondimeno io sento il dovere di ringraziare il generale il patriziato napoletano, perché sovrabbondò di fiducia e di carità in un’opera che allora era affatto oscura, promossa da uomini oscuri, e di oscuri ed incerti risultamenti.
Ed ecco come, certo per consiglio divino, la nobiltà napoletana venisse eletta dalla regina del Cielo a concorrere ai primordii del Santuario di Pompei” (B. Longo).
(3) B. Longo, invitando le quindici pie nobildonne napoletane a fungere da madrine (comari), intendeva esternare un segno della sua profonda gratitudine verso quelle signore che avevano sostenuto ed ancora sostenevano, con ogni mezzo, la nascente Opera Pompeiana.
(4) “Ho ricevuto dal signor Bartolo Longo la somma di lire 196 e sono l’importo dei lavori eseguiti per costruire il provvisorio campanile della Chiesa del SS. Rosario a Valle di Pompei, giusta misura.
Valle, addì 31 marzo 1883. Firmato Vincenzo Accardi – (da Scafati).
A margine è segnato, con altra grafia: lire 8 al metro cubo.
Nel 1934, a seguito dei lavori di ampliamento e ristrutturazione dell’interno Edificio Sacro, il campaniletto, già non più utilizzato (l’inaugurazione dell’attuale Monumentale Campanile risale al 1925), dovette essere demolito. Esso sorgeva sul fianco orientale del Tempio, pressappoco all’altezza dell’attuale cappella dedicata a san Giuseppe.
(5) Negli scritti del Beato e tra le carte conservate nell’Archivio, non vi è alcuna notizia circa questi artisti che gratuitamente, “ponendo da banda ogni altro loro ufficio” intervennero alla festa e prestarono la loro opera. Solo un’ipotesi: quel dilettante che suonò l’armonium, (Salvatore Festa), potrebbe verosimilmente essere lo stampatore napoletano che, insieme al fratello Andrea, gestiva in Napoli, alla via S. Biagio dei Librai n° 102, una tipografia libraria specializzata in lavori di soggetto prevalentemente religioso. Fin dai primordi dell’Opera Pompeiana, B. Longo si rivolse ad essi, amici e devoti, per la stampa di tutto il materiale necessario alla propaganda della Nuova Chiesa del Rosario. “La prima volta che apparve un libro intorno al Santuario di Pompei fu nel gennaio 1879. Lo scrissi io stesso ed a mie spese, vide la luce in Napoli, per tipi di Andrea e Salvatore Festa, in un volumetto da 100 pagine in 8°” (B. Longo). In questa stessa tipografia (cita per sommi capi), furono stampati: volantini di propaganda, opuscoli di preghiere, gli inviti per le grandi feste, i programmi delle feste, una delle prime immagini in litografia del quadro della vergine disegnata da Gennaro Amato, i primi otto numeri (270 pagine) del Periodico “Il Rosario e la Nuova Pompeo”, dal 7 marzo fino al 7 agosto 1884, anno in cui cessa il rapporto di lavoro con i fratelli Festa. Nell’agosto del 1884, B. Longo, impianta la tipografia del SS Rosario in Pompei, stamperà tutto in proprio.
La tipografia, più tardi, sarà anche scuola per i figli dei carcerati; da essi usciranno capolavori di stampa e maestri dell’arte tipografica.
(6) Mons. Enrico Marano (1843-1928), passa alla storia come una delle grandi figure che composero il Cenacolo Napoletano di Padre Ludovico da Casoria. Passati i primi anni della sua giovinezza spesi nell’insegnamento presso il celebre collegio della Carità a Napoli, lasciò la scuola per dedicarsi alla predicazione rivelandosi in breve tempo oratore eloquente ed originalissimo. B. Longo lo aveva appena ascoltato a Napoli e ne fu colpito al punto da volerlo a Valle di Pompei, in occasione della solenne benedizione della prima campana. Da quella data, 8 maggio 1883, per 35 anni, i fedeli, in ogni ricorrenza di rilievo, ascoltarono sempre la sua voce. Mons. Marano resta, nella storia del Santuario, con il glorioso titolo di “primo oratore della Madonna di Pompei”. (Autore: Nicola Avellino)
*La Festa dei Signori Forestieri - (Seconda Parte)
Il Beato Bartolo Longo volle legare le sorti del nascente Santuario alla protezione dell’arcangelo Michele. Per questo motivo scelse l’otto di maggio come il giorno della grande festa pompeiana
Di che il giorno 8 Maggio, sotto la custodia del Principe degli Angeli S. Michele (1), Protettore del novello Tempio, sarà assai memorabile ai fratelli e alle sorelle di Pompei. Esso è scritto nel Cielo nel Libro dei predestinati alla vita, poiché ricorda quel giorno in cui ebbero cominciamento i trionfi della Regina delle Vittorie sulla terra dei Gentili ed il novello Santuario delle sue Misericordie. Il sole meridiano degli 8 maggio del 1876 salutò nella nuda e silenziosa campagna di Pompei pochi Terziari Domenicani ed un drappello di eletti Signori e Signore Napoletane, che facevano ala al Principe di Santa Chiesa, confortati solo dalla fede e dall’amore in Dio, ma giammai dalla speranza (che sarebbe apparsa follia) di vedere con gli occhi propri elevarsi e compiersi su quella piccola Pietra, su quella vile zolla di terra, un gran Tempio al Re dei re al Signore dei Dominanti (2).
Al volgere di sette anni (numero biblico, profetico ed indicatore di grazie) il sole meridiano degli 8 Maggio del 1883 irradierà la fronte festiva di presso a Trentamila Fratelli e Sorelle (3) sparsi in Italia, nelle Spagne, in Inghilterra, in Austria, in Polonia, e fin nelle Indie e nelle Americhe; e meglio che Duemila Terziari Domenicani, i quali tutti d’un sol cuore e d’un anima sola concorrono ad edificare il Trono della loro Madre e Regina, dove da sette anni continui diffonde le sue grazie ai gementi figliuolo di Eva
(Bartolo Longo)
Note
(1) La devozione di Bartolo Longo per l’Arcangelo S. Michele fu, fin dai primordi dell’Opera Pompeiana, sentita e profondissima. Di come sia nata in Lui tanta venerazione ed in qual modo sia cresciuta e maturata, conviene fare un breve cenno; nel contempo sarà anche necessario fornire qualche altra singolare notizia di indole storica al fine di consentire una più esatta comprensione degli eventi.
Curatore dei beni della Contessa De Fusco, ai primi di ottobre dell’anno 1872, Bartolo Longo da solo, venne per la prima volta a Valle di Pompei; era stato incaricato di riscuotere i canoni dai coloni che avevano in fitto l’estesa masseria di circa cinquantaquattro moggi di terra posseduti dalla famiglia De Fusco.
L’anno successivo, sempre nell’ottobre, insieme con la Contessa e con tutta la sua famiglia, Bartolo Longo ritornò a Valle di Pompei per trascorrervi un breve periodo di riposo.
Presero alloggio nella Taverna di Valle, un tempo umile ricovero e posto di ristoro per i viandanti che si recavano nelle Calabrie. Era l’unica ed antichissima casa posta al centro di una notevole estensione di terra ubicata all’estremo limite della Provincia di Napoli. La Taverna di Valle era composta da un piano terrneo di cinque vani, (l’antico ricovero per i viandanti) e da tre camere di più recente costruzione situate al piano superiore.
“Erano le 10 del mattino del 15 novembre 1875, il Vescovo di Nola, Mons. Giuseppe Formisano, affacciatosi alla finestra (lato nord) della stanza di mezzo che guardava la vecchia e cadente Chiesa Parrocchiale del SS: Salvatore, accennando con la mano al campo contiguo alla Chiesetta, in tono profetico esclamò: “Quello è il luogo, dove deve essere edificato un tempio in Pompei” (B. L.).
Era la prima pietra morale del Santuario, tutto quello che seguì in ossequio ed ottemperanza alla volontà del Vescovo, è un passo di storia conosciuto in tutto il mondo.
Al lato opposto, esattamente rivolto a sud, le altre finestre della Taverna di Valle davano su di un vasto giardino anch’esso di proprietà della Contessa De Fusco e, più in là, fino a perdita d’occhio, si estendeva la Valle chiusa dalla maestosa catena dei Monti Lattari. Esaurita la breve disgressione topografica, torniamo al tema e leggiamo quanto nel 1888 scrisse Bartolo Longo in proposito.
“Ogni giorno, nell’aprire la finestra della nostra camera in Valle di Pompei, l’occhio si posa sui monti di rimpetto, che formano un’immensa barriera all’oriente di Castellammare. Il nostro sguardo si affissa tosto sulla sommità di quel vertice a tre punte che coronano il monte Gauro.
Apparve un dì l’Arcangelo S. Michele al Vescovo di Castellammare, San Catello, e gli impose di edificargli un Tempio nel luogo che gli indicò con una fiamma.
Il Santo Vescovo si accinse all’Opera: ma, a seguito di atroci calunnie, mossegli contro dai suoi stessi concittadini, venne destituito dalla sede episcopale, chiamato a Roma, e chiuso colà in carcere. Se non che il suo Patrono S. Michele, e il suo fedele amico, S. Antonino Arcivescovo di Sorrento, lo liberarono. S. Catello fece suo ritorno alla sede di Castellammare, accolto trionfalmente da tutto il popolo, il quale, guidato dal santo Arcivescovo di Sorrento, Antonino, gli andò incontro, acclamandolo, nella terra di Pompei…
Dal primo giorno che noi leggemmo nel Divino Uffizio codesta apparizione, disponemmo in cuor nostro che il Santuario della Vergine di Pompei e tutte le opere di pietà e di beneficenza che saremmo per fondare qui, le avremmo poste sotto la protezione del Principe degli Angeli, S. Michele, il quale sin dai primi secoli della Chiesa mostrò visibilmente di volere essere onorato in questi luoghi. E fin da allora disponemmo il tutto in cuor nostro di erigergli un altare in questo Santuario. Avevamo ben bisogno di una protezione del Capo di tutti gli Angeli contro il Capo di tutti i diavoli, che non cessa mai di far guerra alla Donna, onde ebbe schiacciato il capo.
Per gloria di S. Michele noi confessiamo che non vi è privilegio, non vi è conflitto, in cui, sua mercé, quest’Opera di Pompei non sia risultata vittoriosa.
E però noi sempre abbiamo posto studio a fare che la principale festa in Valle di Pompei accadesse nel giorno dedicato alla festa dell’eccelso fra gli Angeli. (La festa dell’Arcangelo Michele cadeva l’8 maggio, giorno della sua apparizione sul monte Gargano. Questa coincidenza delle apparizioni – Monte Gargano e Monte Gauro -  può aver indotto il Beato, al di là della festa liturgica, a fissare l’8 maggio come il giorno provvidenziale per ogni sua iniziativa n.d.r.).
Di fatto, oltre alla originale funzione della prima Pietra di fondazione del Santuario, che avvenne negli 8 di Maggio del 1876, ordinammo in altro anno, anche per il giorno 8 Maggio, il Battesimo della Prima Campana di questo Tempio. E nel giorno 8 Maggio fu inaugurato il primo Orologio pubblico per segnare le ore ai contadini della Valle.
E nel giorno 8 di Maggio di altro anno presentammo ai devoti completa la Cupola del Tempio.
E nel giorno 8 di Maggio di altro anno facemmo trovare allungato il Tempio dalla parte superiore, e venne benedetta la prima pietra di fondamento all’altare Maggiore.
E nel giorno 8 Maggio di altro anno venne solennemente consacrato l’Altare Maggiore, inaugurato il gran Monumento in onore della regina delle Vittorie, ed Incoronata la vergine con il diadema di brillanti e di zaffiri…
Michele, il primo Custode di Colei, che fi il Santuario del Dio vivente sulla terra, venne designato da Dio a Custode e difensore di tutti i Santuari della terra dedicati all’onore di Maria.
Ecco svelata la ragione perché noi fin dalla prima ora scegliemmo così potentissimo Principe a guardia di questo Tempio e delle opere nostre.
Ed il fortissimo e bellissimo Principe, benigno sempre, ci ha fatto provare più volte il beneficio della sua protezione, eludendo gli sforzi di Satana a danno di questa Chiesa”.
(2) Bartolo Longo ricorda la Benedizione della prima pietra del Tempio.
(3) Sono i fratelli e le sorelle associati alla Confraternita del Rosario. “Si voleva rendere stabile la devozione del Rosario e non altro espediente si trovava che erigersi una Confraternita che sopperisse a tutti i bisogni di quel popolo nascente.
Val quanto dire, raccogliergli sotto il Vessillo di Maria, perché pregassero di una stessa e comune preghiera, eccitarli a dare pietoso accompagnamento alle salme dei loro cari estinti, e suffragi a quelle anime, e pietosa assistenza e medicina ai fratelli infermi; dare infine maritaggi alle donzelle povere” (B.L.). Per attuare tale disegno, B. Longo pregò padre Radente di intercedere presso il Generale dell’Ordine di Roma affinché concedesse il necessario prescritto diploma di erezione alla Confraternita. Frattanto non indugiava; con entusiasmo prese a girare per le campagne presso i contadini illustrando loro il suo programma e chiedendo nel contempo le adesioni; similmente, la Contessa De Fusco, cominciò a visitare le dame di sua conoscenza del patriziato napoletano raccogliendo tra loro numerosi consensi.
Il caldo interessamento di padre Radente diede fruttuosi e consolanti risultati. Il 12 dicembre del 1875, il Maestro Generale dell’Ordine dei Predicatori, Fra Giuseppe Maria Sanvito, firmava a Roma il diploma di istituzione della Confraternita.
Il 13 febbraio dell’anno 1876, domenica, a tutti gli iscritti raccolti nella Vecchia Parrocchia, Padre radente, lesse il Diploma del Padre Generale dell’Ordino e quindi, a voce di popolo, solennemente dichiarò eretta la Confraternita del Rosario in Valle di Pompei. Il sacerdote R. Don Gennaro Federico fi acclamato Rettore. La solenne cerimonia fu occasione propizia per aggregare al Terz’Ordine di San Domenico il Parroco, Don Giovanni Cirillo, il sacerdote Don Gennaro Federico ed altre undici persone abitanti della Valle.
La Madonna premiò le fatiche e lo zelo di B. Longo donandogli “Il massimo dei contenti”; in pochi anni la Confraternita del Rosario si diramò non solo in Italia, ma in Europa ed in tutto il mondo. Nel 1923 infatti, scrive B. Longo, la Società del SS. Rosario di Valle di Pompei contava più di cinque milioni di aggregati fra cui Vescovi e Cardinali, Principi, Regine, il Papa Leone XIII. (Autore: Nicola Avellino)
*La Festa dei Signori Forestieri - (Terza Parte)
“L’atto di amore a Maria, composto da B. Longo per la benedizione della prima campana del Santuario, si rivelerà sin dal primo momento come una preghiera fortemente aggregante divenendo così il motivo ispiratore della Supplica.
Avventurati figliuoli del Rosario! Dilatiamo il nostro cuore alle più dolci speranze, che in quel giorno che offriremo a Maria la Prima Campana del Rosario in Pompei, la nostra tenerissima Madre non saprà negarci alcuna grazia.
E però per formare una santa lega di preghiere e strappare in quel giorno dal Cuore di Maria tutte le Grazie desiderate, si è pensato di formulare una preghiera comune, un “Atto di amore a Maria”, che ogni iscritto riceverà con il presente invito, affinché da tutti gli associati, anche più lontani, sia recitata, unendosi in spirito con coloro che si troveranno ai piedi di Maria in Pompei. Non sarà un novello Vespro di sangue, no, ma sarà un novello coro di pace, di perdono, di amor di Cielo, che tutti i figli di S. Domenico e tutti i figli del Rosario raccoglierà più stretti e più amorosi al seno della loro Madre comune.
(Bartolo Longo)
Con squisite espressioni che ripetono il lirismo dei solenni salmi biblici, B. Longo, nel programma delle feste del 1883, annunciava la sua novella preghiera alla Madonna. “Alleluia! O Fratelli: Leviamo oggi un cantico di festa. Cantiamo oggi più giuliva la dolce canzone di amore alla Vergine”.
È l’atto di amore alla SS. Vergine di Pompei, il cantico supplice da recitarsi il giorno 8 di maggio nell’ora di mezzodì. “Una preghiera comune, in Atto di Amore che raccogliesse quel popolo nascente (i primi pompeiani) sotto il vessillo di Maria e perciò pregasse di una stessa preghiera”.
In questi propositi affonda e prende vita la radice dell’Atto di Amore, la preghiera primigenia, il palinsesto, pressappoco il canovaccio della Supplica.
L’Atto di Amore traduceva la fiamma che divampa nel cuore di Bartolo Longo e che si alimentava nell’ardore di una fede che investiva e permeava tutto il suo essere. Nell’ora di mezzodì, oltre a dodicimila associati al Tempio di Pompei levarono unanimi la preghiera alla Vergine.
Era l’otto di maggio del 1883. Innumerevoli devoti, pur lontani, alla stessa ora, prostrati davanti all’immagine della Madonna, recitando la medesima Preghiera, si unirono al coro che Don Bartolo, con fervore acceso, aveva sollecitato intonando l’inno alla Vergine. Quell’Atto di Amore concepito e dettato come preghiera di contrizione, cantico di lode, invocazione supplice ricca di pietà profonda.
Dall’Unità Cattolica del 17 maggio 1883 n° 115, stralciamo solo un breve significativo passaggio della relazione stesa da B. Longo a commento della festa: “Ma la festa della prima campana, che ebbe luogo ieri l’altro, ha superato le nostre aspettative ed il più vivo entusiasmo che aveva già suscitato la semplice lettura del programma. Migliaia di eletti e generosi signori e dame della più alta nobiltà di Napoli e di altre città facevano risuonare il nascente Santuario delle loro preci, dei loro sospiri e dei gemiti del cuore ai piedi della Madre di Misericordia, che in quel giorno diffondeva dal suo vergineo sguardo chiarori di una insolita bellezza”.
Nostalgia devozionale e rigoroso rispetto per la storia ci inducono a ripubblicare il testo della felicissima preghiera che, sebbene sia stata effimera ed oggi obsolenta, resta l’unico documento indispensabile per conoscere i moventi e scoprire la radice da cui nacque la Supplica.
L’immenso fervore devozionale suscitato dall’Atto di Amore, sebbene recitato una sola volta l’otto di maggio del 1883, rese ardito B. Longo disponendolo ad accogliere con più efficacia l’ispirazione della Provvidenza.
In pochi giorni stese una novella preghiera destinata ad uscire dagli angusti confini paesani e composta perciò con l’intento di coinvolgere tutti i credenti sparsi nel mondo incitandoli alla devozione per la Vergine di Pompei. È questa la Supplica: l’inno di gloria alla Vergine, mistica invocazione, il magico cantico che commuove, sublime. (Nicola Avellino)
*La Festa dei Signori Forestieri - (Quarta Parte)

"Maggio 1884" L'Ora del Mondo

Presiede Sua Eminenza Mons. Giuseppe Formisano - Vescovo di Nola
La Festa di domani (8 Maggio 1884) a Valle di Pompei
Ed oggi, 7 di Maggio 1884, siamo già pervenuti alla vigilia del gran giorno, anniversario di quello in cui i Cieli si aprirono alla pietà dei poveri abbandonati contadini Pompeiani: giorno preordinato dall'eternità, in cui cominciò un nuovo periodo di salute per innumerabili anime, venendo posta a mediatrice tra la giustizia di Dio e il peccato dell’uomo la madre della Misericordia, la clemente Regina del SS. Rosario.
E qui, in questo luogo, ove oggi è sorto un Santuario, qui, dove non era se non deserta campagna, sulle morbide zolle coperte di verde prato, tra lo stormire delle fronde dei pochi alberi che circondavano questa lingua di terra; domani, farà otto anni, qui discese la prima volta il Signore a rendere sacro il suolo profanato dalle ossa di antichi pagani.
E qui il venerando Vescovo di Nola incideva sul freddo marmo il segno di redenzione, su quella pietra, che doveva essere il sostegno angolare della futura Casa del Signore; quella pietra raffigurava Gesù Cristo, che è base e fondamento della vita individuale, della vita sociale e della vita morale dell’umanità. “Pietra autem erat Christus”.
E Gesù Cristo di fatti è stato adorato, amato, invocato in questo luogo, che otto anni or sono era deserto, ed oggi frequentato da migliaia e migliaia di figli suoi, i quali portano scritto in fronte il “Tau” della predestinazione.
Oh! chi l’avrebbe detto a quel piccolo stuolo di eletti Signori e Dame napoletane, a quel devoto drappello di Terziari Domenicani, che negli 8 di Maggio del 1876, venivano mossi da insolita fede a lasciare le feste clamorose della vicina Castellammare, per venire a prostrarsi in un’aperta campagna ai raggi cocenti del sole esposti, per adorare il Re dei Re, che in quell’ora tramutava in questo luogo un intero ordine di fatti, d’idee e di storia? La terra dei gentili era mutata in abitazione santa del vero Dio; e questo luogo un giorno consacrato a false deità ed al culto dei demoni, oggi sarebbe servito di sgabello al trono della regina delle Vittorie.
E questa terra di Valle di Pompei, che raccoglieva dispersi e solinghi abitatori, che neppur di nome si conoscevano dalle vicine città; oggi, al compiere di otto anni, forma il luogo più caro e più conosciuto a quanti amano Maria ed il suo Rosario, e ottengono per cagione di questo Tempio grazie e favori celesti.
Tutte le opere del Signore seguono una legge conforme, perenne, generale, la legge della contraddizione da parte degli uomini. E questa legge si rivela in speciale modo nell’Opera santa di Pompei. Non vi è festa che si faccia nel nascente Santuario, che non sia accompagnata da imprevedute e insormontabili contraddizioni; le quali alla fine risultano al maggior trionfo della Regina delle Vittorie.
Or chi lo crederebbe?
Il giorno di domani ha un certo riscontro con il ricordevole giorno degli 8 di Maggio del 1876. In quel mattino, che si dava incominciamento al Tempio del signore in Pompei, la festa religiosa e sacra della benedizione della prima pietra pareva essere distornata dalla festa tutta del varo di una gran nave da guerra (il Duilio) che aveva luogo nella stessa ora nella vicina città di Castellammare. E domani che tutti i figli della Chiesa del Rosario di Pompei celebreranno la ricordanza delle misericordie della divina Madre e il felice anniversario delle prime fondazioni del Tempio di Maria, domani un’altra festa civile, cioè i giochi e gli spettacoli alla pagana, verranno eseguiti poco lungi dal Santuario di Maria, cioè dentro la morta città dei gentili. Sarà dunque un novello riscontro di fatti. Ricordo del Paganesimo, che porta sempre con sé le impronte di morte, tuttocchè rivestito a festa e adorno di fiori: trionfo del Cristianesimo, il quale tuttocchè ristretto fra le rozze mura di un Tempio nascente, ha la virtù di far sorgere i morti, richiamare a vita ed a speranza nuova gli abbattuti figlioli di Adamo. Sì, il cristianesimo solo può, senza apparati di festa o di giochi o di novità, trarre con la potenza irresistibile della sua fede e del suo amore migliaia di eletti alle porte della novella Sion, bella di fresca fede e di giovanile amore, qui presso i ruderi di un sanguinoso anfiteatro.
Oh! quando domani tutta quella gente di nazioni, di lingue, di fede e di credenze diverse, in mezzo delle feste pagane cui assisteranno con avida curiosità, sentiranno la squilla della Chiesa di Maria che invita i fedeli ad intrecciare a piè della loro Regina la corona delle sue dolcissime rose, oh! chi sa se in quel punto al suono della campana, la Vergine sovrana degli Angeli, la Madre dei peccatori non pungerà a commozione, a pentimento ed a novella fede qualche cuore che giace sepolto sotto il peso della colpa o insozzato dalla melma dell’eresia!
La nostra preghiera di domani adunque si estenderà ancora per tutti i nostri simili, vicini e lontani che non amano Maria.
Quale sarà dunque il nostro apparecchio per la festa religiosa di domani? È l’ottava festa che l’Arcangelo tutelare della Chiesa del Signore annunzia al cielo ed alla terra.
Quel Principe degli angeli, che viene al soccorso del popolo di Dio, per otto volte in questa terra è stato anch’esso invocato benedetto e venerato, e su questa terra nella nuova Chiesa, si avrà anch’egli un altare ad onor suo dedicato.
Disse Dio al Real Profeta: “Dilata la tua bocca ed io la riempirò”. Dilatiamo dunque il nostro cuore alle più dolci speranze tutti quanti siamo, fratelli e sorelle del Rosario iscritti al Tempio di Pompei: E quanto più grande sarà la nostra fede e più vasta la nostra speranza, domani più e più grazie ciascun di noi otterrà.
Ne fa per noi valida sicurtà la clemenza di Maria, la potenza del suo Rosario, che per tutto questo mese non lasceranno mai di recitare nelle nostre famiglie, come non si lascerà in veruna ora del giorno nella cappella della prodigiosa Effige qui in questa Valle avventurata.
E questo fia il serto più bello di fiori che noi tutti figliuoli del Rosario deporremo ogni giorno ai piedi della nostra Regina in questo mese della centenaria della prima istituzione del Mese sacro alla regina dei fiori.
Animo dunque, e facciamo violenza al Cuor di nostra Madre, poiché è scritto “che il Paradiso si rapisce per forza”.       
Unanime adunque, sia la nostra orazione domani: conformi siano i nostri affetti a Maria. E la benedizione della Regina del Rosario, abbiam ferma fiducia, che pioverà in quell’ora sui ricchi e suoi poveri, sui Sacerdoti e suoi secolari, sui vergini e sui coniugati, sui giusti e suoi peccatori, i quali in Maria troveranno il loro sicuro rifugio e quella mano potente, che lo camperà dal peccato e dalla morte eterna.
(Da: Il Rosario e la Nuova Pompei del 1884)
“Giunse finalmente il giorno aspettato degli 8 di Maggio. Io avevo già avuto una formula della preghiera comune che doveva recitarsi nelle ore meridiane dagli ascritti alla Chiesa di Pompei. Mi levai secondo il consueto; tutti i fenomeni del morbo erano già cessati dal 30 Aprile, ma le forze muscolari di potermi da me sola liberamente muovere più non erano tornate. Seduta nella mia camera da letto, aspettavo l’ora che in Pompei si sarebbe recitata la devota supplica alla regina del Rosario, si sarebbe recitata la devota supplica alla regina del Rosario. Rivolta a mia sorella Concettina, dissi: “Stamane la Vergine certo mi fa qualche altra grazia, perché in questo giorno, ho letto, che sempre suole far grazie.
“Il tiro del cannone mi fece avvertita, che era l’ora del mezzodì aspettato, l’ora della preghiera da recitarsi alla vergine di Pompei.
Immediatamente mia sorella Concettina s’inginocchia ai piedi dell’effigie della Vergine di Pompei, innanzi a cui sin dal mattino ardevano le candele, ed insieme con una zia cominciammo tutti la supplica.
Detta la preghiera, esse uscirono rimanendo me sola nella mia stanza, seduta accanto al balcone. L’animo mio era pieno di speranza, seduta accanto al balcone. L’animo mio era pieno di speranza, la mia fede nelle promesse della SS. Vergine, che sarei uscita nel mese di Maggio, non venne mai meno. Volli provare se già aveva ottenuto la grazia promessa e desiderata.
“Ed oh meraviglia! Mi levai in piedi, e potetti star diritta da me sola. Volli provare se poteva camminare da me senza sostegno alcuno, e mi avvidi che mi era facile il camminare. I palpiti del cuore si facevano più violenti; la grazia era completa; la guarigione istantanea. L’animo mio era compreso da un sentimento indicibile di gratitudine e di gioia. All’istante mi risovvenni delle parole che la Madonna mi aveva detto: “La prima volta che camminerai, reciterai tre Ave in ginocchio dinanzi alla mia Immagine in ringraziamento. Ed io quei primi passi rivolti appunto verso il luogo ove era l’immagine della vergine di Pompei. E commossa sino alle lacrime mi prostrai in ginocchio, recitai le “Tre Ave” con molta compunzione, e quindi mi levai da me sola per far noto alla famiglia di aver ottenuto il compimento del miracolo.
“È impossibile descrivere l’impressione che ebbe mia madre e le mie sorelle e congiunti al vedere me, quando mi avevano lasciato seduta ed impotente nella camera dei miei dolori. Nel delirio della gioia e della strema commozione altro non ripetevano, che: “È un vero miracolo”. Io poi mi trovavo come fuori di me, non sapendo se era vero oppure no tutto quello che era avvenuto: non credevo a me stessa che pur camminavo senza appoggio di altri. E più volte camminai per le stanze come per accertarmi che io nulla più soffriva, e che le promesse di Maria si erano del tutto adempiute in quel giorno della sua festa nella Valle di Pompei. Da quell’ora camminai, e mi rimase sempre libero il camminare.
“Delle su esposte cose possono renderne testimonianza congiunti ed amici, il mio confessore S. E. Monsignor Nisio, ed il mio medico curante Professore Belmonte Vincenzo, non che persone tutte di mia famiglia.
“Oggi sono in grado di mostrare col fatto la potenza del miracolo, la grazia sperimentata dalla pietà di Maria. Quanto mi fu vaticinato, ottenni nell’ordine e nelle condizioni della promessa. Guarii senza che in me fosse rimasta traccia alcuna d’infermità, perché, animata dalla fede e dalla credenza, vidi in me perpetuarsi le mistiche glorie e i prodigi sorprendenti che opera la Regina dei Cieli.
“L’esposta narrazione è stata da me scritta il giorno dopo compiuto il miracolo, il 9 Maggio 1884”.
(Firmata) Fortunatina Agrelli Di Camillo

"Maggio 1885" L'Ora del Mondo

Presiede Sua Eminenza Mons. Giuseppe Formisano - Vescovo di Nola
Orario delle funzioni del dì 8 Maggio 1885
Ogni giorno in tutto il mese di Maggio avrà luogo la “Fermata in Valle di Pompei” del treno, che parte da Napoli alle ore 8,5 a.m.
È però anche il giorno 8 di maggio, tuttochè cada di venerdì, avrà eziandio luogo la detta fermata. Quindi tutti i signori pellegrini di Napoli, di Portici, di Torre del Greco e di Torre Annunziata potranno valersene.
Dalle 6 del mattino cominceranno le Messe sino all’una p.m.
Alle 9,30, cioè all’arrivo dei devoti pellegrini in Chiesa, s’intonerà il Rosario dal Direttore del Terz’Ordine P. Lettore Fra Vincenzo Guida dei Predicatori; ed alle ore 10 comincerà la Messa bassa della funzione con l’assistenza di S. E. Rever. Monsignor Formisano Vescovo di Nola.
Alle ore 10,30 il Rev. P. M. Fra Carlo Majello dei Predicatori, Penitenziere della Liberiana Basilica di S. Maria Maggiore in Roma, dirà breve discorso in apparecchio della solenne cerimonia.
Alle ore 11,30 avrà luogo la benedizione ed il collocamento della prima pietra dell’Altare e del trono di Maria per mano dello stesso Eccell. Monsignor Formisano Vescovo di Nola.
In ultimo, esposto alla pubblica venerazione il nostro divin Redentore in Sacramento, e resigli grazie infinite col canto dell’Inno della Chiesa, verrà unanimemente recitata la devota “Suppliva alla Regina delle Vittorie”.
E così ciascuno, benedetto largamente da Gesù, ritornerà lieto in seno alla propria famiglia con l’animo rincorato ancora dalla benedizione di Maria.
Dopo la funzione saranno anche celebrate due messe: l’una mezz’ora dopo mezzodì, e l’altra ad un’ora p.m.
(Da: Il Rosario e la Nuova Pompei del 1885)
*Gli 8 di Maggio del 1885 in Valle di Pompei
Indescrivibile è stato lo slancio della pietà e della fede di migliaia di Signori intervenuti in pio pellegrinaggio il giorno 8 Maggio per assistere alla commuovente funzione della prima Pietra, che dovrà servire di fondamento al Trono ed all’Altare della prodigiosa Regina delle Vittorie.
Fin dalle prime ore del mattino la chiesa era quasi piena di gente venuta da lontano: sicché per dal luogo al pio pellegrinaggio di mille Signori Napoletani, che giungevano con lunghissimo treno alle ore 9 in Valle di Pompei, fu giocoforza chiudere preventivamente la chiesa ed affidare al buon ordine delle guardie municipali di Torre Annunziata ed ai reali carabinieri di Pompei e di Scafati.
Ma non vi era bisogno né di guardie, né di carabinieri per ordinare quelle migliaia di gente e di vetture, poiché una ineffabile devozione ed una compostezza di modi ornava ogni persona che si appressava al Santuario. Anzi, possiamo osservare, senza tema di essere smentiti, che la festa di questo anno ha superato in edificazione ed in fervore di culto tutte le feste dei passati anni. Qualunque nostra parola a descriverla è sempre da meno della verità, e potrebbe sembrare esagerazione a chi mai non è intervenuto a qualche festa in questo nascente Santuario. E però altro non facciamo, che ripetere sempre, ed a tutti: chi non ha fede, venga alla chiesa di Pompei nel dì della sua festa, e vedrà e crederà.
E tutti in quel mattino ad una voce recitarono il Rosario di Maria, giunti che furono in chiesa. E tutti ad una voce risposero al Te Deum, poi che il santo Vescovo di Nola ebbe benedetta quella lapide di marmo, in cui era inciso il segno di Redenzione e la data per sempre memorabile: “8 Maggio 1885”.
Ma quando giunse il momento aspettato della comune preghiera da recitarsi ai piedi della Regina delle Vittorie, un santo entusiasmo prese l’animo di quanti erano affollati, genuflessi in questa chiesa. Ed invece di lasciare, come nelle altre volte, che il Sacerdote dal pergamo leggesse a nome di tutti la devota Supplica, in quell’ora solenne, non potendo più contenere un sovrabbondante impeto di affetti di tenerezza, di devozione, di amore a Maria, non appena intesero dal rev. P. Guida la prima parola della “Supplica”, che proruppero tutti in un grido di preghiera ed in lacrime di compunzione. Sicché furono visti uomini grandi per ufficio e per linguaggio, stretta in mano la cartolina della prece a Maria, versare cocenti lacrime in quel momento reso sublime dalla fede cattolica.
Ma non è questo tutto lo spettacolo di grandezza e di meraviglia. Ve n’è un altro più sublime e che forse molti ignorano; e si è che a quell’ora di mezzogiorno molti ignorano; e si è che a quell’ora di mezzogiorno dell’8 Maggio 1885 centinaia di migliaia di famiglie secolari e religiose, in Italia e fuori, erano prostrate innanzi ad una immagine della vergine del Rosario di Pompei, e tutti con una stessa fede, con una stessa parola innalzavano i loro sospiri alla potente Regina del Cielo. Questo è un vero trionfo della regina delle Vittorie, è il trionfo della fede in un’età miscredente: è il trionfo della preghiera in un secolo che non ha altra aspirazione se non dell’oro e dei cannoni. È l’unione dei cuori in un sol Cuore, che è quello della propria Madre, tipo di ogni bellezza e di ogni perfezione creata. Questo spettacolo così gradito al cuore di Maria, e che gli Angeli di Dio miravano con celeste sorriso, all’animo nostro si rivelava per migliaia di lettere che innanzi di cotal dì erano pervenute.
Dopo tutto questo, chi mai, amico o nemico che sia, non confesserà essere questa Opera di Pompei tutta fatta dalla virtù onnipotente di Dio per far risplendere la gloria e la potenza della Madre sua? Sì, questi fatti ci danno ancora fiducia che questo tempio, il quale sorge rimpetto alla pagana Pompei, segnerà l’epoca della restaurazione della fede cattolica in varie parti del mondo.
A rendere più sontuosa la funzione intervenne inaspettatamente il chiarissimo e santo Arcivescovo di Bari, Monsignor Pedicino, tenero amante e scrittore del Rosario di Maria. E celebrò la messa della funzione, assistendovi l’Ecc. Vescovo di Nola, Mons. Giuseppe Formisano.
È da confessare pure, che ad accompagnare la comune pietà in quel giorno, non ebbe piccola parte la scelta e devota musica diretta gratuitamente dal valente e pio Maestro Francesco Ruggi di Napoli, alla quale presero parte anche gentilmente e gratuitamente per esecuzione vocale i Signori Achille Coscia e Giovanni Pelusio ed il dilettante Pasquale Ippolito. E per la parte strumentale i Signori Cimmaruta, Riccio, Abruzzi, Caro. Una Salve Regina ed un Tantum ergo dello stesso Maestro Sig. Ruggi eseguiti dal Coscia e dal Pelusio con la più bella precisione, come sempre sogliono segnalarsi questi due artisti di canto, compirono la solenne funzione.
(Avv. Bartolo Longo)
Sunto del discorso recitato dal R. P. Lett. Fra Vincenzo Guida dei Predicatori
Nel dì 8 Maggio 1885 in Valle di Pompei
Iddio si servì sempre nel corso dei secoli di visibili monumenti, per innalzare lo spirito umano a pensieri sovrumani, e ridestare nei popoli la fede assopita, Tale la verga di Mosè, il serpente di bronzo, l’Arca del Santuario, il tempio di Salomone, la Basilica del Vaticano ed altri molti. E questo spettacolo della divina Provvidenza si rinnova oggi più che mai. Questo nuovo spettacolo è sotto i vostri occhi, o Signori, cioè dire questo tempio magnifico che rifulge per loro e per la finezza dell’arte cristiana, o questa immagine del Rosario, che risplende per prodigi e per grazie senza numero.
Si, tutto questo magnifico tempio è opera di Provvidenza ed è opera vostra, o Signori.
Oggi sono nove anni qui non era che solitaria campagna. Un drappello di anime elette del mio Terz’Ordine qui, su questa terra nuda, in questa aperta campagna, faceva devoto corteggio ad un Porporato di S. Chiesa, che incideva nel nome di Dio il segno vittorioso della Croce su di una pietra, e quella pietra era il primo ed essenziale fondamento della Casa del Signore, che da quel giorno doveva cominciarsi ad erigere.
Due lustri ancora non sono passati da quel giorno. E voi stessi, e parte di voi forse che si trovò qui in quel giorno memorabile degli 8 di maggio del 1876, vedete con immensa soddisfazione il frutto della vostra carità, della vostra fede. E lo stesso principe di Santa Chiesa, che in questo luogo benedisse la prima pietra del Tempio agli 8 Maggio del 1875, è lo stesso che oggi in questo luogo si trova in mezzo di voi per porre la prima pietra del Trono e dell’Altare della Regina delle Vittorie.
Opera di fede è la vostra, o Signori. Non vi contentate di erigere così vasto Tempio; ma volete renderlo ricco del vostro oro per renderlo meno indegno della Regina del Cielo.
A torto si accusa il Cattolicesimo di oscurantismo e di regresso, nemico delle scienze e delle arti. Basterebbe a smentire l’accusa questo Tempio che voi innalzate. Il genio del Cristianesimo, che è per sé ispiratore di cose e di arti belle, qui sovraneggia in ogni singola parte, e fa degna gara co’ monumenti dell’arte antica, che signoreggiano la vetusta e distrutta Pompei.
Due concetti, o Signori, oggi mi si presentano chiari alla mente alla vista di questi archi magnifici, di tanto oro profuso, di tante stupende pitture: la fede cattolica ispiratrice e fecondatrice di bellezze artistiche, e la misericordia di Maria fecondatrice di beni e di grazie celesti su tutti i figli che le edificano questo Tempio.
Ovunque volgiamo lo sguardo, siamo testimoni della potenza di Dio: e l’epoca nostra ben si può dire l’epoca, che sconoscendo Dio, ne confessa la potenza. Tremuoti, inondazioni, scomparse di città, epidemie devastatrici, valanghe di neve che danno sepoltura agli uomini, guerre e suicidi, guerre tra nazioni e malattie d’ogni genere, che vanno decimando insensibilmente l’umana famiglia, tutto dimostra la potenza di Dio, che può in un solo istante distruggere la fattura delle sue mani, l’uomo, con un solo soffio della giusta ira sua.
Ma in questo luogo di Pompei non è la potenza di Dio che si manifesta, è la misericordia. E questa misericordia viene fatta alle famiglie degli uomini per mano di Colei, che è lieta di essere chiamata la Madre della Misericordia.
E quanti di voi non hanno provato gli effetti della materna misericordia di Maria?
E quanti di voi non sono venuti in questo luogo a ringraziarla della potenza, che Ella ha mostrato a pro vostro?
E quanti di voi non siete qui raccolti in questa mattina con l’animo pieno di fede di conseguire in questo giorno, di qua ad un’ora altra, le grazie che tanto ardentemente avete chiesto?
Oh, sì, sperate, che è la speranza che posa in Maria, di certo non fallirà. Di qua ad un’ora Essa da quel Trono di clemenza vedrà il Figliol suo prediletto, il Santo Vescovo di Nola, che collocherà quella prima pietra del suo Altare e del Trono, donde Essa, come a regina universale, diffonderà su tutte le vostre famiglie i salutari effetti di sua celeste benedizione.
E tutt’insieme qui pregheremo questa mattina, affinché su di tutti Essa spanda i tesori del suo amore materno. Oggi è il giorno ricordevole dei suoi trionfi su questa pagana terra di Pompei. Ed in questo giorno, ah, Ella non sa negar le grazie a veruno. Ricordiamoci quanti nel passato anno piangenti stesero le loro mani supplichevoli ad implorare misericordia, e poi lieti ritornarono a rendere pubbliche grazie alla generosa Donatrice. Ricordatevi segnatamente che, oggi è un anno, a quest’ora tre persone afflitte ed inferme riebbero generosamente da Maria la santità. Nella medesima ora che qui noi unanimi pregavamo, in una cella del monastero delle Carmelitane Scalze di Modena, in una camera della villa Scocchera in Portici, e in una stanza del palazzo Rocco, in via Settembrini, in Napoli, la nostra Augusta Regina del Rosario, faceva splendida mostra della sua potenza e della sua misericordia. La Contessa Bentivoglio di Modena, oggi Suor Teresa Margherita del SS. Sacramento la signorina Maria Rogondini e la signorina Fortunatina Agrelli qui presenti, sono tre documenti vivi della misericordia di Maria e dell’amore, che Ella porta tutti quelli che Le edificano questo Tempio.
Ma oggi una più grande fede deve sorgere in voi; voi concorderete ad innalzare quel Trono, dal quale la Regina del Rosario dovrà trionfare su tutti i cuori dei peccatori. Questa prima pietra dell’Altare di Maria formerà il primo scalino della mistica scala che deve condurvi al Cielo. Sì, questa pietra di marmo raffigurata dai sassi di Betel, che furono al dormiente figlio di Isacco di origliere nel suo viaggio di Aran quando ebbe la celeste visione di Mesopotamia, come è scritto nella Genesi; questa pietra di marmo venne simboleggiata dalle 12 smisurate lapidi, che tolte dall’aneroso seno del Giordano, vedevansi torreggiare sulle altare del Golgota, come insigne testimone a tutto Israele, che Dio aveva fatto camminare per quel fiume a piede asciutto come si legge in Giosuè. Questa pietra ricorda il masso enorme che alzò in Masfa Samuello, cui intitolò “Pietra d’aiuto” per rammentare la sconfitta di Filistri, come si riscontra nel libro dei Re.
Ed ora che il Sacro Unto del Signore pone quella pietra benedetta, sollevate i vostri occhi e i vostri cuori a Maria, e pregatela con le lacrime, che per amore di questa chiesa, a Lei tanto diletta, per memoria di questo giorno solenne in cui incominciamo ad innalzarle un Trono, Ella faccia salvi i corpi e le anime vostre, dei vostri figli, dei vostri genitori, dei vostri fratelli, delle vostre sorelle, dei vostri amici e dei nemici ancora; salvi i giovani incauti o traviati, salvi l’Italia nostra, che è la terra del Papato; salvi la navicella della Chiesa sbattuta da fiere e tempestose onde, e faccia ad ognuno di voi vedere il sorriso dei giorni più lieti, acciocchè tutti abbracciati in santa e fratellevole carità, dimessi gli odi e i rancori di parte, tutti ai piedi di Lei cantino l’inno del ringraziamento e dell’angelico saluto.
Sì, o Maria, tutte a Te prostrate dinanzi vengono le umane generazioni. E Tu rimira in questo momento quasi tuoi figli, che qui ai piedi tuoi implorano le tue grazie. Tu non puoi discacciarli: essi Ti hanno eretto questo Tempio. Essi oggi incominceranno quell’Altare dove il benedetto frutto del Tuo seno verrà ogni giorno offerto vittima di propiziazione all’Eterno per i peccati del popolo.
Essi oggi incominciano il Tuo Trono, dove Tu ogni giorno allargherai lre braccia della tua materna misericordia, e renderai felici del Tuo celeste sorriso tante anime afflitte che a te fedeli ricorreranno.
O Maria, benedici questo Tuo Vescovo – benedici questo Tuo popolo – benedici questi figli del mio Terz’Ordine, che Ti hanno consacrato le sostanze e la vita – benedici anche il mio Ordine, che è l’Ordine Tuo, a cui Tu desti il Rosario, benedici tutti i tuoi figli che generosi a te dirizzano con l’obolo della loro carità i sospiri dei loro cuori. Benedici chi protegge questa tua chiesa, tutti quei che concorrono a fare più splendido il tuo Trono.
E fa che quanti sono iscritti ai piedi tuoi in terra, siano scritti nel libro della vita in cielo. Amen.

"Ottobre 1885" L'Ora del Mondo

Il Mese di Ottobre sacro al SS. Rosario per un nuovo Decreto del Vaticano
L’Eccellenza reverendissima del nostro carissimo Monsignore Fra Vincenzo Leone Sallua, Arcivescovo di Calcedonia, Commissario Generale della Suprema ed ornamento dell’Ordine dei Predicatori, ci manda da Roma un Decreto del Vaticano “Urbis et Orbis” dei 20 di Agosto 1885, con il quale il Santo Padre vuole consacrato, anche in quest’anno e negli anni successivi, il mese di Ottobre a Maria Santissima del Santo Rosario. È la terza volta in tre anni consecutivi che il sapientissimo nostro Pontefice inculca a tutto il popolo cristiano la bella ed efficace devozione del Santo Rosario.
Tutti ricordano la celebre Enciclica “Supremi Apostolatus” del 1° Settembre del 1883, e l’altra dei 30 Agosto 1884 “Superiore Anno”.
Oggi Sua Santità, dice il Decreto, che ora riferiremo nel testo originale latino, comanda, che ogni anno, dal primo giorno di Ottobre al secondo del successivo Novembre, in tutte le parrocchie dell’Orbe cattolico e in tutti i pubblici Oratori dedicati alla Madre di Dio e in altri da scegliersi all’arbitrio dell’Ordinario, ogni giorno si recitino almeno cinque decine del Rosario di Maria Santissima con le litanie Lauretane.
Che se la funzione avrà luogo al mattino, nel tempo della preghiera si celebri la messa; se nel pomeriggio, si esponga all’adorazione il sacrosanto Sacramento dell’Eucaristia, e, secondo il rito, si dia ai fedeli la benedizione.
Desidera ancora Sua Santità che da tutte le Confraternite del Rosario si facciano pubbliche e religiose processioni quando lo permettano le leggi civili. Ed inoltre al rinnovare tutte e singole le indulgenze le indulgenze altre volte concesse, ne aggiunge nuove per coloro che interverranno alla recita del santo Rosario, pregando secondo l’intenzione del regnante Pontefice, come meglio apparirà dal testo del Decreto: cioè 7 anni d’Indulgenza ogni giorno, ed una volta l’Indulgenza plenaria.
Lo stesso prelodato Monsignor Sallua scriveva in una lettera all’Ill. Direttore dell’Unità Cattolica di Torino queste nobili parole: “Cotesto Decreto del Sapientissimo nostro Pontefice Leone XIII è un nuovo pegno di un migliore avvenire alla Chiesa ed alla società. La Regina delle Vittorie, Maria Santissima, col suo Rosario ravviva la Fede, ricompone il costume, ridona la pace che recò Gesù Cristo.
Il Santo Padre, con tale perseverante volontà all’inculcare sì potente e perfetta divozione, impegna l’Immacolata presso la Santissima Trinità”. E Monsignor Sallua, arcivescovo di Calcedonia, vuol essere tra i primi Vescovi e Pastori a rendere grazie al glorioso Pontefice Leone XIII, sommo propagatore del Santissimo Rosario; ed invita tutti i Vescovi e Pastori dell’Orbe cattolico ad esprimere al Santo Padre in modi riconoscenti il loro grato animo per avere voluto per tre anni consecutivi scegliere il Rosario a preghiera universale della Chiesa.

"Maggio 1886" L'Ora del Mondo

Presiede Sua Eminenza Mons. Giuseppe Formisano - Vescovo di Nola
Il primo decennio dalle fondazioni di questo Santuario
Un’altra luna ancora veleggerà per le azzurre volte del firmamento, e pioverà i suoi pallidi raggi sulle scoperchiate tombe della pagana Pompei; e due lustri saranno compiuti dalle origini di questa novella. Arca di Alleanza, che sorge solitaria e benefica in questa Valle della Nuova Pompei e ricongiungere di santo amore la terra e il cielo.
Oh! chi non ricorda con immenso palpito l’umile cominciamento di così gigantesca impresa, che sarebbe stata follia solo immaginare?
Era il mattino degli otto di Maggio del 1876, sacro all’apparizione del Principe degli Angeli S. Michele, ed il venerando Pastore della Chiesa di Nola, il pio, quanto dotto, Mons. D. Giuseppe Formisano, accompagnato dal suo Vicario, da Canonici e dal rinomato oratore Can. Primicerio D. Paolino Autiello, Curato di Marigliano, veniva all’erma Valle di Pompei a consacrare la prima pietra di una nuova chiesa.
Era il cominciamento della prima chiesa, che dal tempo del cristianesimo un qua sarebbe per sorgere dedicata alla Gran Madre di Dio sulla terra de’ gentili.
Sotto d’una tenda rizzata nell’aperta campagna sulle morbide zolle rivestite di fieno e di lupino, veniva sospesa una vecchia effigie della Regina del Rosario del valore di poco più di tre lire, rafforzata alla meglio. E sopra di due botti vuote, disteso due assi, vi veniva collocata la santa pietra, su cui si offriva a Dio il sacrificio della Pasqua Novella. Qui si compivano i più belli e teneri misteri della Chiesa Cattolica, E in quel giorno qui discese per la prima volta il Signore a rendere sacro il suolo profanato dalle ossa di antichi pagani.
O ineffabile prodigio della onnipotenza di Maria! Oggi, nel volgere del promo decennio, chi visita questo luogo più non riconosce le umili origini di quest’opera di fede e di amore.
Quella effigie così dispregevole agli occhi degli artisti, oggi è il centro di tutti gli affetti di centinaia di migliaia di credenti. Quell’arido campo è diventato un oasi fioritissimo di fiori di virtù e insieme di pietà.
Tornerò negli otto di Maggio 1886, sì, tornerà per comune letizia, quello stesso venerando Vescovo di Nola che benedisse l’iniziamento della Chiesa di Maria; e tornerà ancora nel dì 8 del prossimo Maggio quello stesso antico oratore Autiello, che negli otto di Maggio, or fa dieci anni, con il suono della sua voce eloquente ruppe il monotono silenzio che regnava da secoli in questa valle; ma torneranno per rendere a Dio il tributo dell’onore e dell’adorazione, per cantare a Lui l’inno di lode e di ringraziamento.
Torneranno ancora, e ne abbiamo certezza, tutte quelle famiglie privilegiate che ebbero la sorte di accedere la prima volta qui negli 8 di Maggio del 1876.
Quali saranno i sentimenti di tutti costoro? Quali saranno i sentimenti di quell’insigne creatore a questo spettacolo, nuovo per lui, che dieci anni or sono in questo luogo predicò all’aperta campagna dinanzi a poveri contadini, confortando tutti alla impressa novella di un tempio che i nostri posteri a malapena avrebbero veduto compiuto; ed oggi, dopo sì breve spazio, predicherà sotto le arcate volte di un tempio maestoso, che in parte già brilla del massimo sfoggio dell’arte cristiana e dell’oro profuso in omaggio del Creatore del tutto?!
Ma quali saranno i sentimenti vostri, o fratelli e sorelle del Rosario, quando verrete qui a prostarvi ai piedi del soglio della nostra Regina, per chi interceder grazie e chi testimoniare gratitudine per quelle conseguite?
Forse i nostri nipoti celebreranno il Primo Centenario. Forsa parecchi di loro otterranno anch’essi celesti favori dalla nostra benigna Regina, e nulla di noi, che festeggeremo il primo decennio, resterà privo delle misericordie di Maria? Ah no! Noi tutti attesteremo al mondo che una colluvie di grazie e di misericordie ai tempi nostri ha riversato dal Cielo Colei che è una bellezza di Dio, il Fonte Sigillato e la Speranza unica dei peccatori. Noi stessi, che abbiamo posto ciascuno una pietra per il suo Santuario e per il suo Trono, siamo stati arricchiti delle sue ricchezze, allietati delle sue grazie, invaghiti della sua bellezza.
Oh che sarà il mezzodì dell’otto di Maggio 1886 nell’istante della comune preghiera, della devota Supplica, quando da tutte le parti del mondo si eleveranno alla Regina di Pompei migliaia e migliaia di voci disperse e nei Santuari e negli abituri e nelle città e nelle ville?
Dilatiamo il nostro cuore alle più dolci speranze. Abbiamo certa fidanza: se sapremo pregarla. Tutti saremo esauditi.
E per tanto sospiri il nostro cuore le grazie più copiose pel giorno anniversario delle prime fondazioni del tempio di Maria; che è Maria stessa ci dà ragione di così bene sperare.
Gli 8 di Maggio del 1884 è ricordevole nella storia dei suoi prodigi per Fortunatina Agrelli, per Maria Rogondini e per la Contessa Bentivoglio di Modena. Gli otto di Maggio 1885 è memorabile per il gran prodigio operato dalla Regina di Pompei a Suor Maria Corradi là nel Collegio delle Dorotee di Genova. E gli otto di Maggio del 1886 sarà giorno immensamente glorioso per tutti noi che con viva fede aspettiamo i prodigi della Mistica Rosa del Signore, che è meridiana face di caritade e fontana vivace di speranza, la quale … molte fiate Liberamente al dimandar precorre.
(Avv. Bartolo Longo)
*Le vette del Gauro e la Valle di Pompei nel mattino degli 8 di Maggio del 1886
E tornò a noi per la decima volta quel giorno avventuroso designato da Dio al trionfo della misericordia di Maria verso i poveri pellegrinanti della valle di esilio! Per la decima volta spuntava l’alba santa degli 8 di Maggio indorando dei primi raggi del sole il cratere del Vesuvio e le vette più alte del monte Gauro, che a questo Santuario si eleva di rincontro.
Sulla più alta delle tre vette, che sormontano questo monte Gauro, apparve un giorno S. Michele Arcangelo al Vescovo di Castellammare, S. Catello, che orava tra quei dirupi con S. Antonino Abbate di Sorrento, e gli imponeva che là innalzasse un tempio in onore del Principe degli Angeli.
E noi, che questa venerata istoria apprendemmo al primo porre il piede in questa terra di Pompei, disponemmo al tutto in cuor nostro, illuminati dalla grazia, che anche in questa Valle noi avremmo un dì innalzato un altare al Duce Maggiore di tutte le Gerarchie angeliche. La ragione occulta di tanto nostro ardore verso il glorioso S. Michele un giorno forse riveleremo ai nostri buoni fratelli, se il Signore vorrà che noi scriviamo per loro bene alcune pagine di terrore.
E quando nel 1874 il Vescovo di Nola pose a nostra scelta il giorno in cui consacrare la prima pietra di fondamento a questo Santuario di Maria, noi senza esitanza chiedemmo che codesto giorno faustissimo delle misericordie del Signore e del primo possesso della Regina delle Vittorie sulla terra degli idoli e dei demoni dovesse essere il giorno consacrato al culto del Duce delle milizie celesti.
L’alba dunque degli 8 di Maggio sorgeva a salutare il primo decennio dei portenti della Regina del Rosario in Pompei, ed al nostro spirito, che era stato alquanto oppresso per la pioggia che il giorno innanzi fino alla notte aveva minacciato d’impedire la festa della cotanta Regina, arrecava una soave allegrezza, perché faceva rivivere queste verdeggianti campagne, rischiarando dolcemente il cielo divenuto di repente lucido e sereno, come volesse con i suoi incantevoli raggi trarre ai piedi della bella Regina di Pompei gli amanti suoi adoratori.
Ed in quell’ora soave noi ripensammo che giorno di più sublimi trionfi non sarebbe mai spuntato alle umane generazioni.
Quel giorno infatti ricordava due solenni epifanie.
Il maggior Principe del Cielo si manifestava alla terra, scegliendo a teatro dei suoi prodigi la vetta di un monte; la più grande Regina che mai abbia avuto e cielo e terra si manifestava ai piangenti figliuoli di Eva scegliendo a teatro dei suoi portenti l’umile valle di una sepolta città pagana: Segnava dunque quel giorno due solenni trionfi: trionfi di più maestoso Spirito del Cielo, di quel bellissimo e fortissimo Principe che con l’invitta spada della sua fede e della sua umiltà e della sua mansuetudine soggiogò Lucifero e tutti gli angeli ribelli, e già come folgori precipitava nell’abisso; trionfi della Regina del cielo e della terra, di Colei che ha ricolmato i vuoti seggi celesti con l’essere madre della umanità decaduta, redenta da proprio figliuolo Dio.
Alla spa sfolgorante di quel terribile Principe erano sospesi tutti gli allori còlti in Paradiso. Alla soave Corona che porge con la sua mano la regina delle Vittorie erano inseriti i trofei delle sue graziose conquiste, incatenati ai suoi piedi i leoni le tigri i leopardi, i peccatori più ostinati tirati all’amo di questa calamita dei cuori.
Ci ricordammo che l’uno, Michele, ha un nome ammirabile; è chiamato da Isaia il fiato ed il respiro di Dio, la forza delle labbra e della bocca di Dio; e da San Paolo viene ancora appellato l’alito della bocca di Gesù. L’altra ha nome più meraviglioso di Mare, Signora di luce, dominatrice, Dio con lei; e da S. Agostino, dai Padri, dalla Scrittura, dalla Chiesa tutta è invocata: la bellezza di Dio, la faccia di Dio, il Paradiso di Dio, la Madre del proprio Fattore, il Sole di luce abbagliante in cui l’Eterno pose il suo tabernacolo; l’Arca della santificazione che in sé contiene il Santo dei Santi. Essa è la Regina degli Angeli, di quei raggianti spiriti che, più numerosi dei granelli di sabbia del mare, eruppero dal nulla in cateratte di luce per adornare come altrettanti mondi di fulgori intellettuali l’immensa luce del Trono dell’Altissimo.
Però Michele stesso, che è pure chiamato da Daniele il Principe grande, il Principe tra i primi Principi, non è altro che Ministro della nostra Regina, della nostra tenera Madre, della cara signora di Pompei, che noi tanto amiamo, e tanto siamo amati da lei.
E questo pensiero, o fratelli, ci inteneriva per modo, che anche ora che scriviamo queste pagine ci richiama involontarie lacrime sul ciglio.
Sì: Michele, il Principe de’ Principi celesti è il ministro deputato da Dio a spargere le grazie a tutti i devoti della Vergine di Pompei.
E adesso che veglia ai destini di questo Santuario, che ne rimuove gli ostacoli, che conquista i nemici visibili e invisibili: il suo piede, veloce come folgore, trapassa i monti, valica gli oceani e sparge la soave fragranza delle rose di Maria fin dentro i più meschini casolari o nelle estreme plaghe dell’America, dovunque si ritrovino i figli del Rosario di Pompi.
È desso che con il suo invincibile zelo accende i cuori alla devozione verso la nostra cara Madre e li sospinge con il vivo desiderio di volare ai piedi di questa venerata Immagine.
È adesso che nell’ora solenne del mezzodì delle feste raccoglie concordi da diverse parti del mondo tutti i figli di questa Chiesa nascente, a porgere alla loro Madre pietosa le suppliche dei loro cuori.
O bellissimo Spirito, o potentissimo guerriero di Dio, Michele, noi con la più viva emozione del cuore ti rendiamo grazie, che di tanto tuo amore e di tanta tua protezione tu ci fai degni. Per te noi vediamo lo spettacolo di tante moltitudini di lontani lidi prostrarsi ogni giorno ai piedi di questa bella Sovrana. Per te sentiamo levarsi ovunque grida di preghiere ed inni di ringraziamento che si sciolgono ogni giorno in onore di questa Madre. Tu, sapientissimo Consigliere, da quella vetta del monte Gauro, dove a noi appare signoreggiare l’universo, guida i nostri passi alla maggior gloria della tua e della nostra Regina. Veglia geloso Custode il cammino di tutti i figli del Rosario di Pompei. E nell’ora di morte ottiene a noi tutti la finale vittoria contro i più formidabili assalti dell’infernale dragone; e tu stesso, amatissimo Padre, ne conduci innanzi al Trono stellato della nostra bella Regina, in quel soggiorno beato ove il gioire s’insempra, ove il giorno mai non annotta, e dove sempre regna purissima
“Luce intellettual piena d’amore” (Parad.)
Avventurati Voi, o fratelli e sorelle, che docili ai lumi e al movimento che Michele dava al vostro spirito, veniste di persona ad onorar la nostra Regina nel giorno e nel luogo dei suoi trionfi in Pompei. Parlate voi ai fratelli ed alle sorelle lontani che non ebbero la vostra sorte. Dite loro quali furono i sentimenti, le strette del cuore, lo scorrere tacito di una lacrima che brillò sui vostri occhi quando, giunto appena il treno che vi recava alla Valle di Maria, udiste dal vicino Santuario la voce sonora e solenne della campana del Rosario, che echeggiando in queste silenziose campagne, e ripercuotendo le sue sonore onde per i solitari abituri dell’abbattuta città degli idoli, vi disponeva alle ineffabili consolazioni che Maria tiene riserbate a chiunque la visita nel giorno delle sue feste.
Dite pure quanti pianti di tenerezza, quante idee, quanti affetti non rifluirono nell’animo vostro in quei beati momenti, quando, con il cuore computo di commozione e di meraviglia, varcaste la soglia di questa Chiesa che l’amore universale degli uomini vuole rendere un seggio di oro alla regina del Rosario; quando assisteste con lacrime alla tenera funzione del nuovo tempio, reso venerando ed augusto dalla presenza della Effigie affascinante, cui dinanzi ardevano votive candele,
Non è vero, o fratelli e sorelle dilettissimi, che qui in Pompei il sentimento della fratellanza umana ci si appalesa gigante, perché tutti ci riconosciamo figli della comune Madre Regina del Rosario? E tutti bisognevoli di grazie, e tutti supplicanti a quel Trono? Non è vero che qui ci sentiamo ancora tutti di una famiglia, perché tutti accesi di zelo, di amore, di riconoscenza per questa comune Madre amatissima? Non è egli vero che nessuna gioia umana può dare quello ineffabile contento che qui ricerca i nostri cuori nel trovarci alla presenza di questa Madre divina? Pare che da quegli occhi angelici portano scintille di luce e di amore che a sé traggono gli occhi dei risguardanti.
Oh come quell’occhio materno soavemente si posa sui figli preganti! Pare ne raccolga i sospiri, e i teneri sguardi e le segrete parole rivelanti segreti dolori. Oh sì: i segreti dolori, e gli affanni, e le cagioni degli affanni oggi moltiplicati a dismisura?
Ecco, il Sacerdote di Dio si avanza, viene innanzi il ministro del Signore a rinnovare sull’Altare il Sacrificio di Sangue dell’Uomo-Dio: tutti sono pronti: ed al lato dell’Altare, tutto chino e riverente è il venerando Pastore di questo gregge. Il sommesso mormorare delle preci, i compressi gemiti nei cuori riboccanti di amore, il fumo dell’incenso che dai turiboli si spande per l’aria e la luce scintillante dei ceri, forma una arcana armonia, un arcano concento che arieggia di lontano i sovrumani gaudi del Paradiso! Oh! sì, tutto, tutto qui è bello, tutto è addolcito dal pietoso sguardo di Maria; ed ogni festa che qui accade ha sempre l’impronta della novità e della bellezza.
Oh giorno memorabile! Oh momenti solenni di quell’ora del mezzodì, in cui migliaia e migliaia di voci vicine e lontane si elevavano di unanime accordo a supplicare tra i singulti la regina di Pompei! Impressioni idelebili dalla memoria e dal cuore!
“Prima divelte in mar precipitando
Spente nell’imo strideran le stelle,
che tal memoria in me scompaia o scemi.
Avv. Bartolo Longo
Nella facciuola del Supplemento del quaderno di questo medesimo mese ci veniva detto quanto segue, ed oggi lo ripetiamo per comune notizia.
“Il prefetto di Salerno riuniva il consiglio sanitario Provinciale, che urgentemente deliberò sospendere le processioni, le feste, il pellegrinaggio etc.
 à, che siamo adusati a forti e perpetue contraddizioni, massime quando ci apparecchiamo a qualche solennità o nuova opera in Pompei, non pareva vero di essere già pervenuti alla festa delle feste, cioè a porre in trono la nostra Regina delle Vittorie, senza che si fossero sconvolti tutti gli spiriti dell’ira, della terra e dell’inferno: uragani, fulmini, terremoti, colera, calamità nuove che stordiscono gli animi anche più robusti.
“Per il che tutte le grandi feste da noi vagheggiate per il corso di 10 anni. E già prenunziate ed ordinate in nostra mente per il prossimo Ottobre, tanto per la inaugurazione dell’Asilo infantile, quanto per la consacrazione dell’Altare della Vergine ed elevazione al trono della prodigiosa Immagine, vengano differite infino a nuove disposizioni del Cielo.
Ma se sono proibiti, e con molta ragione, i pellegrinaggi, le feste e le processioni; nessuno impedirà certamente al cuore ed alla bocca di ciascuno di noi di sospirare e di pregare. Anzi sorge maggiore la necessità in ciascuno di noi, che nel segreto delle pareti domestiche e nell’interiore dello spirito disposto a compunzione, preghiamo e scongiuriamo con lacrime la divina clemenza a farci misericordia.
E però fin da ora fermiamo, che qualunque sarà per essere lo stato sanitario delle città e delle provincie d’Italia nel mese di Ottobre, il giorno tre, prima Domenica di quel mese, in cui cade la grande solennità del SS. Rosario, non lasceremo di adempiere gli obblighi nostri, cioè di far celebrare le Sette Messe all’Altare della prodigiosa Vergine per tutti i nostri associati, di compiere le solite devozioni, secondo il consueto degli altri anni, e nell’ora di mezzodì recitare la devota Supplica alla regina delle Vittorie.
Alle quali funzioni ogni scritto potrà prendere parte, da lontano, unendosi con noi nello spirito e nella intenzione, massime nella uniforme preghiera al suono dell’Angelus nei mezzodì.
In quel mattino adunque ricordevole e solenne della prima Domenica di Ottobre, ci prostreremo ai piedi dell’Altare della nostra Regina, e con grida del cuore, con gemiti dell’anima afflitta e cruciata per tanta calamità che ci costringono intorno, grideremo al Signore: Misericordia! Pregheremo per noi, pregheremo per voi, o fratelli lontani: e voi pure pregherete con noi e per noi.
E così sarà in quel giorno grande festa in cielo, e grandi grazie proveranno sulla terra ai predestinati figlioli della Vergine di Pompei.
Raffermiamo oggi quel che annunziammo allora: cioè, che nel giorno della grande festa della nostra Regina, la quale quest’anno ricorre il 3 del mese, all’ora di mezzogiorno, nella pienezza della luce della luce che inonda l’universo, noi esortiamo nuovamente, come in tutti gli altri anni, di rivolgere a questa amorosissima Regina delle vittorie la supplica da noi più volte proposta per quell’ora.
Forziamola a concederci grazie, e non si dubiti che non resteremo con le mani vuote. Sarà un coro di preghiera che, risuonando da tutte le parti della terra, echeggerà nei cieli armoniosamente, e sarà ripetuto dalle schiere degli angeli, dei santi, dei profeti che già l’avevano celebrata terribilis ut castrorum acies ordinata. Ella, vinta dal nostro ossequio e dal nostro amore, aprirà tutti i tesori delle sue grazie, e nessuno dei figli suoi l’avrà invocata invano.
(Autore: Bartolo Longo)
*Le indulgenze Plenarie Toties-quoties nel 3 di Ottobre 1886
La Chiesa apre anch’essa a pro dei fedeli tutti i tesori delle indulgenze per ottenere il perdono delle nostre colpe, e ci dà le seguenti norme per guadagnarle.
Ogni fedele, anche non ascritto alla Confraternita del Rosario, deve:
Fare la confessione sacramentale, ancorchè sappia di non aver commesso colpa mortale: non vi è però necessità di ricevere l’assoluzione. La confessione può farsi anche la vigilia della festa.
Possono tralasciare la confessione tutti coloro che hanno il costume di confessarsi ogni settimana.
La santa comunione, che può farsi anche la vigilia ed in qualunque chiesa.
Per ogni indulgenza plenaria che si vuole lucrare si deve fare una visita alla Cappella o Statua del Rosario (che comunemente si suole esporre fuori di detta Cappella); ma solo in quelle chiese dove è canonicamente erettala confraternita. Si fa eccezione per le Religiose di clausura ascritta al Rosario, che possono visitare la loro Chiesa o Cappella; e per i fedeli d’ambo i sessi (purché parimenti ascritti al Rosario) che convivono nei collegi, seminari e conservatori, od appartengono qualche società cattolica; i quali possono lucrare le indulgenze visitando la loro propria Cappella od Oratorio.
Queste visite possono incominciarsi dai primi vespri sino al crepuscolo del giorno della festa. Si deve pregare vocalmente secondo l’intenzione del Papa che ha concesso l’Indulgenza. Sei o sette Pater, Ave e Gloria sono sufficienti; ovvero altre orazioni equivalenti, ma che non siano obbligatorie.
Chi, terminata una visita, volesse incominciare un’altra, esca di chiesa e rientri.
Le indulgenze possono applicarsi per modo di suffragio alle anime del Purgatorio, e l’applicazione può farsi ad una o più anime determinate, ovvero in genere a favore di tutte.
In quelle chiese, ove per giusti motivi la solennità e festa esterna del Rosario è trasferita ad altro giorno, anche le indulgenze sono trasferite.
Oltre della Indulgenza plenaria “toties quoties” concessa da S. Pio V con la Bolla: “Salvatoris, a tutti e singoli fedeli di ambo i sessi veramente pentiti, confessati e comunicati, i quali nel giorno della festa della B. V. del Rosario, da celebrarsi perpetuamente per l’avvenire in memoria della detta vittoria (Lepanto) e ad onore della B. V., visiteranno devotamente la Cappella della Confraternita dai primi vespri della vigilia fino al tramonto del sole del giorno della festa inelusivo, ed ivi in memoria dell’anzidetta vittoria, offriranno a Dio pie preghiere per l’esaltazione della fede cattolica e l’estirpazione dell’eresie; quest’anno abbiamo dappiù il raro e sommo benefizio del Giubileo, concesso dal regnante Pontefice Leone XIII.
“In quel tempo sì propizio (Egli dice) si volgano i fedeli alla Regina del cielo, e con ossequi di speciale devozione s’ingegnino di conciliarsene la benevolenza, di meritarne il favore. Imperocchè (soggiunge il S. P.) al patrocinio della Vergine SS. del Rosario Noi vogliamo affidato questo sacro Giubileo; e tanta è la fiducia nostra nel suo potentissimo aiuto, da farci augurare non solo frutti copiosi di penitenza, ma, con un rinnovamento di fede e di pietà cristiana, tempi migliori”.
Oh quando spunterà quel giorno, che messi giù i rancori di parte, e deposti gli odii di religione, tutti riconciliati con Dio, potremo abbracciarci fratelli dal Vesuvio all’Etna, dalle Alpi al Lilibeo?
Presiede Sua Eminenza Cardinale Monaco La Valletta
La Supplica nel mezzodì degli 8 di Maggio 1887
L’aurora del giorno 8 Maggio non è lontana, e spunterà lieta di luce celestiale. Il sospiro di tre lustri, il voto di tanti cuori, in quel fausto giorno avrà il suo adempimento. La regina delle Vittorie in Valle di Pompei si assiderà sul trono erettole da migliaia di figli fra le glorie ed i trionfi di continue battaglie.
Noi sperimentammo in modo particolare ed evidente che quest’Opera, la quale la quale si costituiva in una deserta campagna tra Stabia ed il Vesuvio, doveva avere qualche cosa di straordinario e di soprannaturale, le cui vie tracciate dalla Provvidenza di Dio abbiam seguito con cuore fidente.
Chi è devoto della Madonna deve seguire le sue orme, e le sue orme sono quelle del Calvario. E, per grazia di Dio, amarezze e contraddizioni non sono mancate; ma oggi tutte le amarezze sono finite, tutto il passato è sparito innanzi a noi; e non ci resta altro, che la consolazione di aspettare il giorno di quel gran trionfo che deve avere la Madonna su questo luogo abbandonato e solitario.
In questo mezzo, per la solennissima ricorrenza, un pensiero molto salutare ci sorge in mente: - Nel dì 8 Maggio, quando la squilla del mezzogiorno ci annunzierà di rivolgerci a Maria salutandola come la salutò Gabriello nell’umile dimora di Nazareth, noi pensiamo di renderle allora un omaggio di preghiera, come se partisse da un solo cuore, come se si sciogliesse da un sol labbro, conforme abbiam fatto nei passati anni. Per questo abbiamo riprodotto la nostra Supplica, la quale è stata sottoposta all’approvazione della S. Congregazione dei Riti, ed è stata dal Romano Pontefice arricchita di Indulgenza. Questa Supplica deve riunire nel mezzogiorno degli 8 di Maggio tutti i cuori sacri a Maria, e ciascuno, dal luogo là dove si troverà, potrà recitarla unendosi in spirito alle preghiere che si faranno dal numeroso popolo che sarà accorso in Valle di Pompei a venerare di persona l’augusta Regina del Rosario. Così nella stessa ora da tutte le parti del mondo, e, come contro, dalla Valle di Maria, una concorde ed unanime voce, uno stesso accento di tenerezza e di amore, come il profumo dell’incenso, salirà grato al suo trono celeste.
Lo ripetiamo: noi qui in Valle di Pompei, nel recinto del Santuario di Maria, che in quel giorno ed in quell’ora sarà posta sul trono, formiamo il capo di una colonna che si distende per tutta la terra, ea prime fila di un esercito di predestinati figli della gran Madre del Calvario, cui fan seguito tutti i predestinati della terra.
Maria, la quale dalla provvisoria sua stanza nella piccola Cappella attigua al gran Tempio, ha versato sopra di noi tanti benefici, ha elargito tante grazie, ha prodigato tanti favori, come non vorrà poi da quel Trono di Maestà e di amore volgere il suo sguardo pietoso sopra dei suoi teneri figliuoli? Oh! dobbiamo esserne certi; poiché se S. Andrea Cretense raccontava che Maria solel maxima pro minimis reddere; noi abbiam tutta ragione di confidare nella sua materna bontà, e sperarci segnalate grazie, singolari prodigi, perché le abbiamo donato un Trono sulla terra degli idoli e dei demoni.
Quando a noi la fiducia non vien meno, poi che l’esperienza di ben dodici anni ce ne porge sicurezza.
Perché mai il Signore avrebbe dato a noi la sorte, che dopo diciannove secoli di sua Religione, noi fossimo gli avventurati eletti ad erigere un Trono a Maria sulla terra dei Gentili, se non per essere da Maria Protetti? E perché avrebbe prescelto questo secolo che corre a perdizione, e non un altro secolo o passato o futuro, se non perché questo nostro secolo deve trovare scampo e salute nel Rosario di Maria e nel suo Tempio di Pompei? E perché Maria per dodici anni continui ha operare tanti prodigi, se non per apparecchiarsi questo giorno di trionfo, in cui posta sul Trono, in Pompei, avrebbe largheggiata di maggiori grazie e favori celesti? Ed avrebbe aperto le braccia ai peccatori che da tutte le parti del mondo sarebbero corsi ai suoi piedi?
O Fratelli e Sorelle del Rosario, che con me avete diviso il palpito d’amore per sì celeste Regina, e con me vi siete uniti ad elevarle un trono sontuoso, degno della nostra fede ed il meno indegno della regina del Cielo, aprite il vostro cuore alle più dolci speranze.
Fratelli! Il suono dell’Angelus a mezzogiorno dell’8 Maggio è il suono della raccolta di tutti i cuori fedeli ad inneggiare alla regina di Pompei. L’Arcangelo duce di tutte le milizie celesti e degli angelici cori, Michele, cui Cielo e terra in quel giorno si uniranno per fargli onoranza, discenderà in quel medesimo giorno e in quell’ora segnata da Dio, insieme con gli Angeli santi, a circondare l’ara novella e il Trono della sua Regina.
E la sua spada fiammeggiante, che inabissò Satana e i seguaci di lui, sfolgorerà ancora i nemici di questo Santuario.
Fratelli! Noi tutti insieme, da tutte le parti della terra loderemo Maria, pregheremo Maria gli uni per gli altri, per i vicini e per i lontani, per chi gode e per quelli che soffrono, per le famiglie, per le nazioni e per la Chiesa di Gesù Cristo: e così, fatti forti della preghiera unita, noi strapperemo dalle mani di Maria le desiderate grazie, i sospirati favori.
(Autore: B.L.)
Le cento città ai piedi del Trono di Maria
Il tempo incalza; un altro mese è passato di questo anno memorabile; il termine delle nostre brame, delle brame di cento migliaia di credenti si fa, ad ogni dì, più vicino. In Valle di Pompei si Sente come un’arcana potenza che dirige, veglia, affretta il multiforme lavorio delle macchine, degli scalpelli e dei pennelli; i quotidiani visitatori guardano, stupiscono e si commuovono; mentre dai lontani arrivano torrenti do lettere desiderose di una novella, fra tutte carissima: la novella del Trono da consacrarsi alla regina del Rosario.
O cari, è eretto il Trono prezioso; e così per appunto fu compiuto nelle sue singole parti che non un apice manca di quanto aveva preconcetto l’ardita mente degli artisti, e di quanto a voi era stato prenunziato.
Mentre tutto il mondo cattolico concorreva a questa grandiosa opera di amore e di fede, si pensò di erigere a Maria contemporaneamente un chiaro monumento di lodi per mezzo di un ricco Album che raccogliesse gli affetti delle più illustri persone italiane e straniere; e questa nuova corona di fiori, intrecciata, come già è noto, in brevissimo volgere di tempo, farà anch’essa la sua comparsa ventiquattro ore prima della fausta inaugurazione del trono; ossia il dì sette del prossimo maggio.
Ma che sarà mai in quel giorno ottavo di Maggio, sacro all’invitto Arcangelo di Dio e custode dell’umile Valle di Pompei, S. Michele?
In questo medesimo Quaderno vi sarà presentato il programma di tutte le sontuose solennità che si eseguiranno, durante l’intero mese, ad agio e sfogo della pietà universale.
Se non che quel giorno otto è veramente il giorno assegnato alle feste dei signori forestieri. Le cento città d’Italia avranno in quel giorno un loro rappresentante in Valle di Pompei.
Sarà appunto in quel giorno che la prodigiosa Immagine, recata sulle spalle da quattro illustri personaggi, entrerà processionalmente nel Tempio a prendere possesso del suo Trono; ed appena rimosso il velo che la ricopre, apparendo la prima volta dall’altezza maestosa, tutte le bambine dall’Asilo si prostreranno ai suoi piedi e Le porgeranno chiuse e suggellate le suppliche che da questo mese sino a quell’ora saranno inviate in Valle di Pompei, o saranno portate dai Zelatori delle varie città  d’Italia e dell’Estero.
Quale giorno! Quale momento! In tutta la nostra vita non tornerà più; e beato chi potrà dire: Io vi fui!
Già dall’illustre Dottor Rubini viene data al Direttore partecipazione delle numerose rappresentanze che verranno dalla provincia di Bari e di Lecce; e da Siena giungerà il primo Zelatore della Toscana, il noto Francesco Desideri; da Malta uno dei più fervidi apostoli del Rosario di Pompei, Emmanuele Inglott; da Ferrara uno dei più eletti gentiluomini di quella città, Cav. Grosoli; da Roma la primiera Zelatrice di quella città, Signora Licinia De Paolis e la Principessa di Braganza ed altri duecento signori e signore, Zelatori e Zelatrici, e moltissimi di altre città più lontane; da Roma ancora l’Em. Cardinale Monaco Lavallette. E chi sa quanti altri Vescovi non seguiranno il suo esempio. Venendo di persona ai piedi del soglio di Maria per affidare nelle mani di Lei la loro Diocesi e tutte le anime da Dio alla loro cura commesse?
E tu, o Vergine del Rosario, non ci farai degni in quel giorno d’alcuno di quei tuoi singolari prodigi, che spetrano i cuori più duri e centuplicano le schiere dei tuoi fedeli?
“Sursum corda!”  Siamo tuoi figli; ti amiamo così che il labro umano non sa ridirlo; e abbiamo speranza inconcussa che quanti ti onorano in terra, e verranno in quel giorno ad assistere ai tuoi trionfi in Valle di Pompei, formeranno una nuova corte di beati intorno al tuo trono, in cielo.
(Autore: G. De Bonis)
La festa del 2 Ottobre 1887 nel Santuario di Pompei
Nel giorno 2 del prossimo Ottobre, prima domenica del mese, in tutto il mondo sarà festeggiata la regina del cielo sotto il titolo glorioso del SS. Rosario. Anche nel Santuario della Valle di Pompei, che è il primo Santuario che si erige in Italia a gloria del Rosario di Maria, la festa solenne e principale in onore della prodigiosa Vergine sarà fatta nella prima Domenica di Ottobre.
Giorno ricordevole è questo per l’Italia e per tutta la cristianità, poiché ricorda il trionfo delle nostre armi contro la prepotenza musulmana: ma per noi e per tutti i nostri fratelli, che d’ogni parte del mondo abbiamo concorso ad innalzare un trono alla regina delle Vittorie, questo giorno è doppiamente solenne.
Dobbiamo quindi festeggiarlo con tutta la maggior pompa, con tutto lo slancio dell’animo.
È la prima volta che nel Santuario di Pompei viene festeggiata la Regina del Rosario sul suo Trono e sul suo Altare nel giorno ricordevole dei trionfi del popolo cristiano. Dobbiamo dunque in questo anno raccoglierci tutti in spirito, fratelli e sorelle di questo Santuario, vicini e lontani, e ripetere con il fervore della preghiera gli attestati di ossequio, di venerazione e di amore alla Regina delle Rose celesti, che ha convertito l’arida terra della Valle di Pompei in un giardino di celesti delizie. E la nostra preghiera d’una medesima fede e d’una medesima speranza. E la nostra preghiera unita ascenderà al trono dell’Altissimo; e gli Angeli ne riporteranno ineffabili benedizioni.
Sarà in quel mattino fatta la Comunione generale all’arrivo del treno delle 9,15 con colloquio dell’eloquente oratore di Napoli sacerdote D. Errico Marano; e sarà fatta ancora la prima comunione ad ognuna delle nostre orfanelle e ad altre bambine e fanciulle di altre città che in quel giorno qui si raccoglieranno sotto la guida dello stesso piissimo sacerdote Marano.
Quindi avrà luogo una solenne processione: la processione del Rosario. Si ripeterà in quel giorno la medesima funzione del mattino degli 8 di Maggio ora passato. La prodigiosa Immagine del Rosario sarà discesa dal suo trono, ed uscirà dal suo tempio portata sulle braccia dei suoi figli fino alla grande Piazza della Nuova Pompei, dove ribenedirà la sua Valle e i figli suoi accorsi a farle attorno ossequio ed onoranza. Vedremo chi saranno questi avventurati! E rientrata nel tempio, nell’ora di mezzodì sarà a voce alta e da tutti unanimemente recitata la Supplica alla potente Regina del SS. Rosario.
Ed a quell’ora medesima da tutte le parti del mondo si eleverà una medesima voce, un accordo di gemiti, un fervore di preci; e tutti concordemente la medesima Supplica alla potente Regina del SS. Rosario.
E novelle benedizioni pioveranno dal cielo ai gementi figliuoli di Adamo che gridano e sospirano alla Regina, Madre di misericordia, Vita, Speranza e Dolcezza degli esuli traviati. Già a tutti voi, o fratelli, sono note le benevolenze e le concessioni a noi largite dal santo Pontefice Leone XIII; e tra le altre di avere Egli approvata ed arricchita d’indulgenza la nostra umile Supplica alla potente regina del SS. Rosario. Ora con il recente Rescritto del 18 Giugno 1887, che noi possediamo, ha allargata la concessione di 7 anni d’Indulgenza e di 7 quarantene non solo per il giorno 8 Maggio, ma ancora per la prima domenica di Ottobre per 7 anni.
(Autore: Bartolo Longo)
Nel mezzodì del 2 Ottobre 1887 - La Supplica alla Regina del Rosario
Nelle Domenicane dei SS. Domenico e Sisto in Roma
“Non torna nuovo ch’io Le scriva come anche noi il giorno 2 Ottobre, festa del SS. Rosario di Maria, recitammo in comune la devota e commuovente Supplica innanzi un bel Quadro della B. V. di Pompei ornato di fiori artificiali e candele accese. Dico non torna nuovo, perché sempre nelle due feste dell’8 Maggio e 1^ Domenica di Ottobre facciamo il medesimo. Ma nel Maggio p. p. quando fu messa in trono la cara nostra Madre in Pompei, recitammo con più solennità la bella Supplica.
Già tutto il Mese di Maggio si tenne esposta la S. Immagine sull’altare del coro superiore con lampada accesa, e furono fatte le tre novene. Quindi il giorno della gran festa la Immagine era in mezzo a svariati fiori artificiali e 15 Misteri del SS. Rosario, offerte dalla pietà delle Religiose figlie del Rosario. La cara Nostra Madre sembrava che stesse proprio in trono, e tutto il giorno fu corteggiata da noi; e si diceva: - Andiamo alla nostra piccola Pompei.
(Autore: Suor M.ª Chiara Sforza – Domenicana)
La prima ora del gran giorno di Maria
Conforme avevamo annunziato, nell’ora della mezzanotte del 7 Maggio 1888, ci raccogliamo in questo Santuario ai piedi della Vergine benedetta a solennizzare con l’inno del suo Rosario la prima ora del giorno memorabile degli 8 di Maggio.
Quando fummo in Chiesa ci avvedemmo che non eravamo soli. L’Amore alla Madre santa, il desiderio di inneggiarla, di pregarla, in quelle prime ore del giorno da Lei contrassegnato con immensi prodigi, aveva sospinto da luoghi lontani tante anime predilette a convenire insieme ai suoi piedi per renderle onoranza con la guardia d’onore.
Erano famiglie di Siena col capo zelatore della Toscana, vivo per miracolo della Vergine di Pompei, Francesco Desideri: erano di Firenze coll’assiduo cultore del Santuario di Pompei, il Dottor François con la sua famiglia: erano di Napoli col Padre della gioventù, il degno seguace del Calasanzio, il P. Sisto Bonaura delle Scuole Pie, Direttore del Collegio Calasanzio: erano di Palermo, di Roma e degli Abruzzi, con una carovana di uomini e di donne, che mossero da Piedimonte d’Alife; ed erano pure persone qui addette, in questa santa famiglia raccolta da Maria in questo luogo, che rinunziando al riposo, tanto necessario dopo le straordinarie fatiche sostenute per l’apparecchio della festa, vollero partecipare della ineffabile delizia di lodare ed amare Maria nella prima ora del giorno a Lei consacrato.
E noi ci ricordammo in quell'ora solenne di voi tutti, o fratelli e sorelle, iscritti alla grande famiglia dei figliuolo della Vergine di Pompei. E pregammo che sovra di tutti la Madre benedetta imponesse le sue mani a pegno di grande e di sue benedizioni. Raccomandammo singolarmente tutti quei devoti che a quell’ora medesima, lasciando il riposo, da lontano salutavano la nostra Regina con il suo Rosario, e si univano in spirito con noi, che eravamo prostrati ai piedi del suo Trono in Pompei.
Oh quanta speranza, quanta delizia infonde Maria a chi le fa compagnia in questo Santuario nelle ore silenziose della notte!
Per noi e per quanti si trovarono qui nell'avventurata ora, parvero ripetersi le ineffabili consolazioni provate nella notte del Natale.
E chi sa che un giorno non arriveremo ad ordinare un servizio di guardia di onore alla Regina di Pompei, nelle ore del giorno e della notte, senza interruzione, a cui prendessero parte anche le famiglie più lontane da Pompei, con il levarsi di notte nella propria camera all’ora prescelta, e lodare e benedire Maria con la sua Corona? (B.L.)
*Nel gran giorno di Maria, 8 Maggio 1888
Sono sempre queste le vittorie di Maria: tirare a sé i cuori per inghirlandare il suo Trono di Pompei, di novelle misericordie. Siamo, ognuno lo dice, in tempi di fede morta; ma la Chiesa di Gesù Cristo è obbligata sempre a Maria di rivedere ogni giorno i più splendidi tempi della fede rediviva.
 
Posta sul Trono delle sue misericordie nel bel mezzo di questa Valle silenziosa, perché da tanti lontani paesi non potevano qui trovarsi presenti tanti suoi devotissimi figli, ha Essa voluto per compenso che, nei giorni delle sue grandi feste, essi almeno qui volassero con il cuore. E, nulla Essa tanto gradisce, quanto di vedersi dai suoi acclamata e festeggiata, ha voluto ispirare loro il santo pensiero di far riprodurre in tanti vari paesi i fervorosi echi delle nostre anniversarie feste. Sono innumerevoli le lettere informative di tali feste degli 8 Maggio pervenuteci fin ora; e, se lo spazio ce lo consentisse, ben volentieri noi tutte qui le porremmo sott’occhio ai nostri lettori.
 
Ma, oltre quello che essi già sanno, o che potrebbero da sé immaginare, che altro di nuovo noi potremmo dir loro, se non che noi viviamo in una continua commozione, alla vista di tanti prodigi e di fatti straordinari che c’impediscono talvolta di adempiere i più stretti doveri sociali verso coloro che ci scrivono, o che vorrebbero tosto veder pubblicate le loro lettere?
 
La città di Bologna che è stata una delle ultime in Italia a risentire del fuoco celeste che erompe dal senso di questa Valle del Vesuvio, oggi si desta come da un’estasi meravigliosa, alla invocazione della Vergine del Rosario di Pompei. E abbiamo noi bisogno di raccontare, come la devozione al S. Rosario è rinata nelle famiglie, come ci scrivono quasi dappertutto; e che in alcuni paesi, come è in Alatri, non vi è famiglia che in casa non tenga esposta la cara Immagine della Madonna di Pompei? L’entusiasmo per la nostra bella Regina è una elettrica corrente, che ha messa in fiamme d’amore, da un capo all’altro, l’Italia; e da Saluzzo a Sebenico in Dalmazia, da Chieri e da Gorizia a Malta, sono già ormai le più belle città e borgate, che festeggiano ogni anno l’ottavo giorno di Maggio con sempre nuovo fervore e con sempre più crescente pietà. Sono chiese pubbliche, sono privati oratori, sono Seminari vescovili, sono case di pena, sono pubblici ospedali, sono Comunità religiose, dove i cuori di tanti afflitti o aspettanti grazie, ad un’ora stessa con noi hanno dato il grido della fede, esclamando a coro: - Grazia, grazia, o Maria.
 
E questa crescente marea di fede vivissima quale forza umana potrà mai arrestare? “I nostri pellegrini (così ci scrivono da Gorizia) sono tornati da Roma dopo aver visitato la novella dimora di Colei che si mostra Regina di misericordia nella sua Valle prediletta; e seco hanno portato un grande entusiasmo per la Madonna di Pompei, ciò che si vede specialmente nel nostro Monsignor Vescovo. Non molto andrà, ed i 15 Sabati anche in Gorizia saranno fatti pubblicamente”.
 
Qual meraviglia quindi che la gloriosa Regina nostra infiorare veglia ogni volta quei cari giorni di festa a Lei dedicati con sempre nuove grazie, le quali finiscono con il riuscire sempre l’affermazione più eloquente dei bei miracoli, che la fede sappia operare?
 
Da Dragoni (Terra di Lavoro) ci hanno scritto, che una pia signora, già disperata dai medici, proprio il giorno 8 Maggio si trovava in fin di vita: bastò che una nostra zelatrice le sussurrasse all’orecchio d’invocare la Madonna di Pompei: all’istante l’inferma fu liberata dalla febbre, e in pochi giorni fu guarita.
 
Ci scrivono da Zangber (Baviera superiore) le Reverende Suore della Visitazione: Tutta Zangber si trovò con il cuore in questa Valle, anzi in questo sontuoso tempio nei giorni delle feste, specie l’8 Maggio.
 
Tutta la nostra Comunità era riuscita dinanzi alla prodigiosa Immagine di Pompei, e commossa recitò in tedesco la devota Supplica. Lo stesso fecero tutte le nostre allieve; e fu pure recitata la bella Supplica a S. Michele. Le assicuro, Signor Avvocato, che fu un momento solenne!
 
Le Benedettine di Fiume in Ungheria ci scrivono: Anche noi, così lontane, in Ungheria, facciamo parte con il cuore e con i desideri delle preci e delle funzioni che costà si fanno nel Santuario di Pompei. E ripetiamo qui le vostre preghiera.
 
A leggere tante relazioni è tutto lo stesso: i fedeli correre in folla alle chiese, calca ai confessionali, comunioni generali, commozione suprema all’ora del mezzodì, vedere tutto un popolo recitare fra pianti e singhiozzi la devota Supplica a Maria. Come raccontare le novene di apparecchio al gran giorno, i tridui devoti, le feste clamorose, le processioni solenni? Chi si è trovato a Melfi, a Salerno, a Ferrara, a Lecce, a Rocca Grimalda, a Palermo, a Messina, a Civitavecchia, a Lugo, in Gorizia, a fermo, a Vitulazio, a Melendugno, a Borgo Gaeta, può dire di aver visto a che punto arrivare possa il santo entusiasmo di un popolo credente, che le mani supplichevoli stende alla gran Regina delle misericordie, che ha poste le due tende nel luogo di morte e di rovine. (B.L.)
Presiede il Vicario Generale di Nola, Mons. Giosuè Maria Caprile
La notte del 6 Ottobre 1888
Noi l'avevamo annunziata questa notte della grande vigilia del Rosario sotto il titolo di “notte beata”. E beate veramente e mille volte benedette furono quelle ore, le quali chiudendo il giorno della gran vigilia, il Sabato, ultimo dei Quindici Sabati da tutti santificati, precedevano l’aurora del gran giorno di Maria.
Chi può ridire da quali arcani sentimenti è preso l’animo di chi ha la ventura di passare una notte ai piedi di questa dolcissima, prodigiosa immagine? Noi, francamente, non ci sentiamo idonei ad esprimere tanta celestiale dolcezza, poiché gli affetti copiosi, che si avvicendavano in cuore in quella notte, non sanno trovare la forma sensibile o il segnale della parola che valga a tradurli nella loro pienezza.
Siamo ancora in preda di quello indistinto, confuso sentimento, il quale suole occupare la mente di chi fa testimone di un evento straordinario.
Noi ci troviamo oggi in quella condizione di cui sono gli uomini che si destano dopo un lungo e profondo sonno, nel quale hanno vagheggiato incantevoli visioni di arcani rapimenti.
La memoria non presenta di un tratto tutti i particolari della visione; ma porge all’intelletto un gruppo di letificanti immagini, le quali sommano in questo dir solo: “beata visione! Malagevole assai a descrivere”.
Ora so spiegare a me stesso come taluni Santi, che, ancor viatori, hanno goduto per brevi istanti qualche raggio dell’amore divino invadente il cuore a guisa di fiumana celeste, hanno sembianza di istupiditi innanzi al mondo. L’amore di Dio, quando è strapotente, estolle (alza) l’uomo dai sensi, e gli rende insipido ogni diletto che sa di terra; ed allora ogni studio di parola o di forma che ad altri piaccia, è molestia. L’animo ripieno di una delizia che lo appaga, mentre che lo consuma in novelli desideri, non si trova più adatto a piegarsi a rintracciare le forme del dire umano o delle regole della retorica, o della grammatica; e dà quindi apparenza l’ignorante o di stordito.
Oggi spiego meglio a me stesso ciò che leggo nella vita del P. Ludovico da Casoria, scritta dal Cardinale Capecelatro, e ciò che ricordo anche io di persona, come cioè quel caro ed amato Padre, il S. Francesco d’Assisi del XIX Secolo, tuttocchè fosse stato maestro in filosofia ed in matematica e cultore anche della lingua francese, allorchè diede tutto sé alla vita pubblica di carità, dimenticasse anche il parlare secondo grammatica.
E a chi dubita che P. Ludovico affettasse studiatamente ignoranza, rispondo, che l’ultimo scalino di perfezione, secondo gli ammaestramenti di San Giovanni Climaco, cioè l’ultimo grado che immette all’unione intima con Dio, è appunto lo stato della insensatezza dell’anima: la quale viene prodotta o da dolori senza misura o da amore senza confine. Quando lo spirito è oppresso da gravi dolori, oppure è invaso da immenso amore divino, diviene come insensato dinanzi alle creature.
Questo lungo preambolo mi scusa presso il lettore del dovere tacere molte particolarità d’impressioni e di fatti di quella notte santissima, la quale non può descriversi che nelle sole sue circostanze singolarissime: e queste furono, gli scoppi del cuore in ardentissime preghiere, la copia delle lacrime per santissimi affetti.
Ormai parecchie città d’Italia hanno udito raccontare di questi meravigliosi effetti che produce in qualsiasi persona lo stare un’ora sola a pregare in questo Santuario, ai piedi di questa Taumaturga Regina.
Qui si sente da ognuno una forza superiore che s’impone sullo spirito, e costringe a piegarsi in adorazione.
Forse è la presenza reale degli Angeli che hanno singolare custodia di quella Reggia divina: forse, il che è più consolante, è la presenza medesima della Regina del Cielo, che rende maestosa e bella d’incantevole bellezza quest’aula delle sue misericordie.
Il fatto si è, che quanti intervennero qui in quell’avventurata notte, muovendosi di lontani paesi per godere di un’ora di felicità, che si trova soltanto in quelle ore silenziose, in cui la nostra Regina dimostra che più gradisca gli ossequi che noi le rendiamo; tutti si sono fatti già banditori delle celesti meraviglie onde l’animo loro fu fatto lieto.
Dappoichè senza alcun precedente convegno, alle undici della sera del sabato, questa chiesa era piena di gente devota che aspettava con ansia l’inizio delle sacre funzioni, il canto solenne dell’Ufficio del Rosario bandito al mondo dal capo di tutta la Cristianità. Erano Signori e Signore o Sacerdoti e gente di varie classi sociali, e di varie province, di Milano, di Napoli, di Rimini, di Ancona, di Caserta, di Roma, di Firenze, che qui trassero inaspettati; e non mancò, a compimento della sacra scena, un pellegrinaggio di popolo che nel suo pittoresco costume faceva pensare ai pastori di Betlemme accorrenti al Presepe: veniva da Roseto Valfortore.
Capo a tutta quella corte di predestinati, che intessero l’invito di Maria, in quella notte, era il degnissimo Vicario Generale di Nola, Mons. Giosuè Maria Caprile, il quale intonò il solenne ufficio, ed aggiunse con l’assistenza di sua autorevole persona lustro e maestà a tutte le sacre funzioni della notte e del giorno seguente.
Noi non diremo dell’ordine e della esattezza di queste funzioni, perché quel che forma la singolarità di questo Santuario non è la perfezione del rito, né la suntuosità del culto, neppure il numero stragrande degli accorrenti: in questo la nostra Chiesa non è punto superiore ad altri Santuari. Ma tutta la singolarità, che costituisce la nota caratteristica del Tempio di Pompei, si è l’impeto dell’amore onde ogni cuore qui è trasportato sino all’entusiasmo.
La vivezza della fede, innanzi all’evidenza del miracolo, genera l’amore traboccante che produce affetti vivissimi per Dio e per l’Immacolata sua Madre. E questi affetti si traducono in espressioni di ardimentose preci, che nascono dalla confidenza verso Colei che ognuno ama e sa che ne è rimasto assai.
Questa particolarità, tutta propria del Santuario di Pompei, rifulse luminosamente un quell’ora, in cui il Quadro prodigioso della Regina del Rosario venne disceso dal suo Trono, e posto in mezzo ad una corona di figli che l’aspettavano ansiosi non altrimenti come veramente la divina Madre discendesse dal cielo in terra.
E quando la pietosa Immagine fu in mezzo a noi, chi sa dire le parole ardenti che ognuno di noi rivolse a Maria? Chi sa contare le lacrime che bagnarono i piedi della venerata effigie? Era una tenerezza, una consolazione, un contendere comune fra tutti di posare per un istante la fronte sul piede della dolcissima Madre.
Ciascuno le diceva i propri affanni, le sue sollecitudini, le sue sofferenze, i bisogni della propria famiglia; e chi le raccomandava il figlio e chi il padre, e chi gli amici, e chi i concittadini, e chi la Chiesa tutta. E tante voci, che pareva discordassero tra loro per diversi accenti, facevano una sola preghiera, armonizzavano una medesima nota, la nota di un solo amore, di una fede.
Ricordo ancora il piangere e il singhiozzare di persone che io conoscevo e di persone che mi erano ignote. E uomini dell’aspetto severo io vidi, come travolti dal fascino della commozione, prostrarsi in ginocchio. E taluno, che io sapevo di corta fede, vidi pregare calorosamente, come sa pregare la donna.
Scorsi un militare, graduato, che nascondeva la faccia verso la parete per celare le lacrime che mal trattenute gli scorrevano dal ciglio.
Giovani floridi, nel vigore della vita, come la corona in mano, recitare ad alta voce con giovanile espressione di amore, l’Ave Maria.
E tutti a gareggiare per avere corone e immagini e medaglie e foglie di rose benedette ed altre cose sante, toccate al Quadro prodigioso. E in quella che io toccavo la sacra tela con gli oggetti presentati, si ripeteva da tutti il versetto: “Fecit potentiam in brachio suo; dispersit superbos cordis sui”.
Prima che si desse inizio alla solenne notturna funzione, l’Immagine adorata veniva portata su per riporsi in trono.
La cara Effigie saliva a vista di tutti, e tutti la seguivano con i palpiti del cuore, con lo scoppio del pianto e con l’acclamazione del grido della fede, Trenta volte la Sacra regina s’intese risuonare per le spaziose volte del Santuario; e cento cuori con unanime grido salutavano l’Immagine della cara Madre Divina, come si saluta una apparizione celeste.
E la Vergine dal Cielo concorse a rendere più bella e più solenne la funzione di quella notte.
Avevamo ottenuto, per privilegio speciale del Sommo Pontefice, che quanti si trovassero in chiesa in quella notte potessero ricevere l’Eucaristica Comunione e soddisfare al precetto festivo della Messa fin da due ore dopo la mezzanotte. Ed era pure designato da Maria quel Sacro Ministro al quale dovesse offrire a Dio il Sacrificio notturno, che solamente nel Santuario di Pompei in quell’ora si sarebbe offerto, quando ogni altro sacro recesso taceva nel silenzio dell’umano riposo.
Quel Sacro Ministro, che qui capitò quella notte per una speciale ispirazione del cielo, non era un semplice sacerdote, ma un Vescovo: né era italiano, né di qualche regione d’Europa, ebbene era dell’America, un Vescovo dell’Equatore! L’apparizione di un Vescovo straniero in quell’ora in cui tutto qui aveva l’aria di una celeste poesia, valse ad eccitare gli animi di nuovo entusiasmo.
E quando ad un’ora e mezzo dopo la mezzanotte ebbe termine il canto solenne dell’Ufficio del Rosario, e cento voci unanimi inneggiarono a Maria con la recitazione delle 15 decadi della sua corona, dedicandole un’ora di guardia; quando giunse l’ora desiderata in cui il Figlio della Vergine si doveva rendere nostro cibo per la nostra immortalità, noi tutti ci sentimmo trasumanati: noi non eravamo più noi. Lo spirito di Dio discendeva su di noi e produceva quegli infuocati singulti che un giorno produsse sugli Apostoli radunati nel cenacolo di Sion.
Sembrerà forse ad alcuni una esagerazione?
Quanti qui vennero, e quanti qui videro, rendono testimonianza della verità.
Nella chiesa di Pompei accade un fenomeno del tutto strano e superiore alle umane leggi: qui succede, direi, una trasformazione dell’uomo. Lo spirito si sente come sollevarsi dalla materia e venire compreso dalla Divinità che è presente; e prova dei sentimenti che sa di non poter provare altrove, dove che sia. In quell’ora, in quella notte, quanti di noi avrebbero voluto morire ai piedi di quell’altare! Ognuno di noi assaporava la dolcezza che si ha nello spirare ai piedi di Maria, sotto il fascino dei dolci suoi sguardi. Ognuno di noi si rendeva in quell’ora Sacerdote, conforme il detto di S. Pietro, “regole sacerdotium”. Offriva se stesso a Dio per la santificazione propria, per il bene dei propri fratelli, per la salvezza di tante anime, per la riconciliazione degli altri. E questa offerta era al sommo accettevole a Dio, perché fatta insieme con Gesù, divenuto una cosa con il cuore nostro e con il sangue nostro.
Ora come può il linguaggio umano descrivere adeguatamente il sentirsi fuori di sé medesimo, acceso di Dio, sino a fare iattura di sé medesimo per amore di Dio? Come mai stando sulla terra si possono significare i sentimenti che sono patrimonio dei celesti?
“… trasumanar, significar per verba
Non si potria”
Scrisse il divino poeta; e così termino io.
La solenne benedizione, impartita dal Vescovo di Guayaquil, chiuse le sacre funzioni di quella notte, la quale fu nel mondo l’unica e la prima a venire consacrata tutta intera ad onorare la Regina del Santissimo Rosario. (B.L.)
Presiede l’Ill. e Reverendissimo Monsignor Giosuè M. Caprile, Vicario Generale della Diocesi di Nola
Mercoledì, 8 maggio, giorno dedicato all’Arcangelo S. Michele, proclamato nel passato anno Custode e difensore di questo Santuario e dell’Orfanotrofio della Vergine; giorno di solenne ricordanza dei primi trionfi della Vergine del Rosario su questo suolo Pompeiano, avranno luogo le feste in onore dell’uno e dell’altra: dell’uno come Principe di tutti i Principi del Cielo, e vassallo fedelissimo della Regina del Paradiso; e dell’altra, come a Sovrana del cielo e della terra, e Signora preclarissima della Nuova Pompei.
Alle ore 10 a. m. si reciteranno in chiesa in comune e ad alta voce dieci poste del Rosario di Maria. Quindi verrà celebrata la messa piana con accompagnamento di canto delle orfanelle. Alla messa sarà fatta la comunione generale.
Compiuto il divino sacrificio, dopo le preghiere ingiunte dal Pontefice Leone XIII a S. Michele Arcangelo: - Sancte Michael Arcangele defende nos etc., verrà dal Sacerdote letta pubblicamente la Preghiera all’Arcangelo San Michele, protettore e custode del Santuario e della Nuova Pompei, per ottenere il suo potente patrocinio la quale venne recitata la prima volta nel passato anno ed incomincia: - Io ti saluto, o altissimo Principe del Cielo, ecc. ecc.
Seguirà “l’inno all’Arcangelo S. Michele”, poesia dell’Arciprete Giuseppe De Bonis, musica del Maestro Giacinto Liucci, coro a cinquanta voci eseguito dalle nostre orfanelle.
La preclara arpista napoletana signorina Annina Longobardo Saldutto per sua singolarissima devozione alla Vergine di Pompei si recherà novellamente a questa. Valle per accompagnare con il suono dell’arpa il canto delle orfanelle.
Esposto solennemente il Santissimo Sacramento, l’Ill. e Reverendissimo Monsignor Giosuè M. Caprile, Vicario Generale della Diocesi di Nola, dirà un breve sermone di apparecchio alla comune preghiera, alla Supplica del mezzodì.
Ed al tocco del mezzodì sarà da tutti ad una voce recitata la Supplica alla potente Regina del Santissimo Rosario: quella Supplica che ripetuta nella medesima ora in cento e cento città e borgate e ville e chiese ed oratori, in tutte le parti della terra, suole ogni anno attirare dal Cuore di Maria ineffabili misericordie su quel che la invocano Madre e Regina del Rosario di Pompei.
Immediatamente, come sarà detta la Supplica, verrà impartita la solenne benedizione, per modo che ciascun che voglia, possa sicuramente fare ritorno con il treno delle 12,30 da Valle di Pompei.
*La grande giornata del Calendario della Nuova Pompei
 
Questa è la giornata che ha fatto il Signore: Haec dies quam fecit Dominus.
 
Questo giorno memorabile degli 8 di maggio segna per Valle di Pompei il principio delle strepitose meraviglie della Madre di Dio, dei grandi dolori e delle ineffabili gioie per coloro che furono principali strumenti a compiere in questa terra storica, antico palladio del popolo idolatra, i sublimi disegni della Provvidenza.
 
Nella storia del genere umano si riscontrano alcune date famose, le quali o attestano terribili e sanguinosi rivolgimenti politici che partorirono poi profonde mutazioni sociali; o ricordano le origini oscure e quasi inosservate di un pensiero religioso, destinato a dominare il mondo e stabilirvi una civiltà, che trae la morale e da dommi sovrumani l’intima vita e l’indole caratteristica; o additano superbi ritrovati di grandi intelletti, che tracciarono nuove vie ai loro fratelli per guidarli meno faticosamente all’acquisto di quei fini altissimi per i quali si agitano senza posa, tra l’urto tempestoso e gagliardo delle passioni.
 
Da queste epoche pigliano il loro nome i più importanti periodi storici, trovano la ragione di essere le varie civiltà e i civili ordinamenti. Alla loro luce si fondano le cronologie, si stabiliscono le solennità civili e religiose, si riordinano le sparse file dei fatti più rivelanti. Si può dire che siano tante fiaccole, le quali poste a varia distanza tra loro, rischiarano il cammino percorso dai popoli: o altrettante colonne miliari, che testimoniano ai posteri le luttuose catastrofi e le splendide vittorie dei nostri padri nella via della verità e del progresso civile.
 
La ricorrenza anniversaria di queste grandi epoche è celebrata da tutti i popoli con solennità civili e religiose, per le quali essi ritemprano lo spirito e quei principi che governano le loro istituzioni; traggono nuovo vigore ai loro propositi; e con fede più gagliarda nel loro avvenire, ricominciano imperturbabili la lotta quotidiana per conservare e migliorare ciò che reputano patrimonio inalienabile della loro esistenza religiosa e civile.
 
Il cadere del giorno otto maggio costituisce per Valle di Pompei un grande avvenimento in ordine della religione e della civiltà.
 
A questa data sono legati i principi e le ragioni di questo meraviglioso fenomeno mondiale, il quale nel volgere di pochi anni, sollevatosi da umili principi a gigantesca grandezza, fa intravvedere la mano della Provvidenza che lo guida a grandioso avvenire.
 
In questo giorno si raccolgono, come in poderosa sintesi, l’inaugurazione della Nuova Pompei cristiana sulle rovine dell’antica città idolatra, l’innalzamento di un tempio cattolico, miracolo e meraviglia dell’arte, le grazie innumerabili che, la Madre di Dio sotto il nuovo titolo di Pompei ha disseminate in tutte le contrade del mondo, l’istituzione di grandi opere della più inoltrata civiltà, e la manifestazione del nuovo apostolato che la Vergine compie nella società moderna.
 
Nelle dolorose ed inevitabili difficoltà che incontriamo nel nostro cammino, nel cammino, nella lotta terribile che dobbiamo sostenere per l’adempimento di altissimi doveri, noi con animo confidente guardiamo il giorno 8 Maggio come ad un faro luminoso che rischiara la via che ci resta da percorrere. In questa data gloriosa noi riposiamo lo spirito affaticato, e riprendiamo lena maggiore a proseguire innanzi. Essa manifestandoci il dito di Dio in questo grande miracolo di fede e di civiltà, rende illimitata la nostra fiducia, indomabile la tenacia dei nostri propositi; e diffonde nel nostro cuore una pace soavissima, che ci ricompensa largamente le amarezze sofferte e i futuri   dolori.
*L’Ora Solenne – 1889
L’alba del giorno 8 è spuntata. Incomincia il sordo rumoreggiare delle carrozze che recano i devoti dei vicini paesi. Arrivano altri pellegrinaggi; la calca ingrossa sempre più e fa pensare quanto sia angusto il tempio a capire tanta gente.
La Campana del Santuario suona a distesa. È giunta la vaporiera da Napoli. Ondate di fedeli si riversano nella Via Sacra: da ogni parte è un accorrere frettoloso alla Chiesa per avere il comodo di occupare un cantuccio invidiato. Ma innanzi che giungano essi il tempio è già gremito. La folla si riversa nella sagrestia, occupa il presbitero; e alcuni si aggrappano al davanzale e alle colonne della balaustra.
Su tutti i volti si leggono i segni della viva pietà, tutti gli occhi umidi di lacrime fissano estatici l’immagine della Vergine benedetta, che torreggia maestosa sul superbo trono che le ha innalzato la pietà dei suoi figli.
Incomincia il rosario. Tutti con la corona in mano pregano e sospirano a Maria. Stanno mescolati insieme con vera uguaglianza persone dell’infimo popolino e uomini aristocratici di storico casato.
Pregano tutti la stessa madre con la medesima preghiera.
Esce a celebrare la messa bassa il Padre Sisto Buonaura delle Scuole Pie, Direttore del Collegio Calasanzio in Napoli, uno dei più ferventi apostoli della devozione alla Vergine di Pompei. Il maestro Liucci tocca le prime note dell’armonio, l’arpista Signorina Annina Longobardi domanda alle corde suoni delicatissimi; e il canto delle orfanelle si leva a poco a poco con angelica melodia, si diffonde nelle sacre volte e domina l’immensa calca. Tra l’universale commozione e lacrime dolcissime si canta l’Ave e il Tota Pulcra, note composizioni del medesimo Liucci, Dopo breve ed affettuoso colloquio di apparecchio alla comunione, avviene un rimescolamento. Sono persone che tentano aprirsi la via per avvicinarsi all’altare. Quale soave conforto per quegli spiriti generosi, cui sta tanto a cuore la salvezza delle anime, il vedere così ammirabile fervore e ardente desiderio di ricevere il corpo santissimo di Gesù Cristo! Due sacerdoti non bastano a soddisfare la brama di tante anime, che anelano di inebriarsi alle dolcezze della mensa eucaristica.
L’altare fu bagnato di lacrime. Il trionfo della grazia era splendido. Quante anime, per le soavi attrattive della devozione di Maria, sono tornate in questi giorni pentite e fervorose al cuore di Gesù!
L’opera di Pompei produce veramente frutti di onore e di onestà. La santificazione delle anime è il più infallibile suggello di approvazione che la Provvidenza ha posto in questo luogo benedetto.
Terminata la messa, si leva una nuova melodia. È l’inno al glorioso Arcangelo S. Michele, parole del rev. De Bonis, musica del Liucci. Le orfanelle divise in due cori, che si alternano a debita distanza, producono un effetto stupendo. Nelle note dell’Inno si sente il fremito della battaglia angelica, il canto della vittoria, la prece confidente dei deboli e la formidabile potenza dell’Arcangelo.
Quindi il Liucci fa sentire i preludi di una sua nuova gemma musicale. È un Tantum ergo a stile classico tedesco, ma le cui note fremono celeste melodia tutta di sapore italiano. Le orfanelle lo eseguono a meraviglia.
Innanzi d’impartire la benedizione si recita la unanime preghiera, la Supplica. Il sacerdote dall’Altare ricorda agli astanti che in quella medesima ora da tutte le parti del mondo milioni di voci si levano a recitare la medesima Supplica, ed esorta tutti ad unirsi con lo spirito alla grande famiglia dei figliuoli di Maria, disseminati su tutta la terra.
Il sacerdote Giuseppe Morrone di Torre Annunziata legge dal presbiterio la Supplica con voce robusta e piena di sentimento. Secondo che si va innanzi in questo affettuoso grido dell’anima alla Vergine di Pompei, la commozione e le lacrime traboccano senza freno. Il momento è solenne e tenero ad un tempo. Migliaia di voci si levano con quella del sacerdote, e con una preghiera così potente assalgono il materno cuore di Maria. Là è una voce che si leva con enfasi procellosa, e viene meno dall’emozione; più innanzi il grido di persona che domanda grazia; qui è un’altra che, per grazia segnalata ottenuta, attesta con profuse lacrime la sua riconoscenza alla Vergine di Pompei.
Le ultime parole della Supplica si confondono con le grida, con i gemiti e con il pianto generale: e questa nuovissima e vivacissima espressione della fede cattolica nel Santuario di Pompei provoca ad un fremito di commozione anche il cuore del più beffardo osservatore.
Questa viva ed unanime manifestazione di fede non poteva finire senza richiamare l’intervento di una grazia straordinaria.
La cerimonia era appena finita, che alcuni, conquisi da quell’immenso ed irrefrenabile scoppio di sentimento religioso, furono travolti nella medesima commozione, e con segni di straordinario pentimento caddero ai piedi del sacerdote per riconciliarsi con Dio!
E forse fu questa la più grande grazia che in quel giorno e in quell'ora solenne abbia largita dal cielo la Regina delle Misericordie; e forse fu questo il più grande trionfo che abbia colto in quell’ora la Regina delle Vittorie, operando il grande miracolo della risurrezione spirituale di un’anima, il ritorno del peccatore alla famiglia dei Santi.
O giorno 8 Maggio, o pietosa e solenne manifestazione della misericordia di Maria, tu suonerai benedetto nel cuore di tanti fedeli che venuti a questa Valle provarono per te tenerezze ineffabili, e tornarono ai loro paesi con l’anima più pura, con la fede più gagliarda, con la devozione più fervente. La tua memoria scenderà dolcissima nell’anima di quegli avventurosi, che partirono da questa Valle beata riconciliati con Dio, e con il cuore affidato alla materna pietà di quella Madre benedetta, che ci ha dato in questi giorni tanta letizia. In tutti i tempi e in tutti i luoghi tu starai segnacolo esterno di salute, perché fosti scelto da Lei come rivelatore delle sue grandezze e della sua pietà a uomini peccatori; come testimonio a tutti i popoli della terra del nuovo e sublime apostolato, che Essa dovrà compiere all’età nostra, apostolato di perdono, di riconciliazione e di pace.
(Valle di Pompei, 15 Maggio 1889 - Avv. Bartolo Longo)
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