Santi del 2 Ottobre
*Alfonso del Rio *Andrea Ximenez *Antonio Chevrier *Bartolomeo Blanco Marquez *Beregiso *Bernardo da Mandello del Lairo *Bonaventura Relli da Palazzolo *Eleuterio e & di Nicomedia *Elia e Giovanni Battista Carbonell Mollà *Emilia di Villeneuve *Enrico Saiz Aparicio *Francesco Carceller Galindo *Gerino *Giorgio Edmondo Renè *Giovanni Beyzym *Isidoro Bover Oliver Bover *Josè Fuentes Ballestreros *Leodegario di Autun *Ludovico, Lucia e Figli *Maria Antonina Kratochwil *Maria Guadalupe Ricart Olmos *Modesto *Szilárd István Bogdànffy *Teofilo di Bulgaria *Ursicino di Coira *Altri Santi del giorno *


*Beato Alfonso del Rio - Mercedario (2 Ottobre)
+ 1313
Etimologia: Alfonso = valoroso e nobile, dal gotico
Redentore mercedario, il Beato Alfonso del Rio, passando per Granada in Spagna, liberò 258 cristiani prigionieri sotto il regno moro di Ismaele V° e da questi ricevuto con grande benevolenza per le sue ammirevoli virtù.
Morì santamente nell'anno 1313.
L'Ordine lo festeggia il 2 ottobre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Alfonso del Rio, pregate per noi.
*Beato Andrea Ximenez - Mercedario (2 Ottobre)
Fulgido per la santità della vita e l'autorevolezza dovunque si trovasse, il Beato Andrea Ximenez, fu un religioso mercedario esemplare facendo onore alla Chiesa ed al proprio Ordine.
Passando in redenzione nel regno moro di Granada in Spagna, liberò da una dura oppressione 128 schiavi.
Alla fine glorioso raggiunse la felicità eterna in Gesù Cristo.
L'Ordine lo festeggia il 2 ottobre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Andrea Ximenez, pregate per noi.
*Beato Antonio Chevrier - Sacerdote (2 Ottobre)
Lione, 16 aprile 1826 - 2 ottobre 1879
Fu davanti al presepe, in un momento di intensa preghiera, che ebbe l'intuizione di vivere in pieno la povertà.
Guidato da Giovanni Maria Vianney, il curato d'Ars, Antonio Chevrier accettò di diventare il direttore spirituale della «Città di Gesù Bambino», che si proponeva di incentivare la Prima Comunione nei bambini poveri. Era nato il 16 aprile 1826 a Lione, da una modesta famiglia.
A 17 anni entrò in seminario e nel 1850 fu ordinato sacerdote. Precursore dell'impegno sociale del clero, iniziò la missione pastorale in una parrocchia operaia della periferia. Poi, l'incontro con il curato d'Ars.
Pensò allora di fondare una propria opera. Nel 1860 acquistò il «Prado», un'antica sala da ballo, ormai in rovina: nacque «La Provvidenza del Prado». Aprì anche una scuola di chierici, i quali, dopo l'ordinazione, formarono la «Società dei Preti del Prado», impegnati sempre in opere di carità.
Morì il 2 ottobre 1879, dopo una lunga malattia. Il 4 ottobre 1986 è stato beatificato da Giovanni Paolo II. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Lione in Francia, Beato Antonio Chevrier, sacerdote, che fondò l’Opera della Provvidenza del Prado per preparare i sacerdoti ad insegnare ai giovani poveri la fede cristiana. Tutto aveva per restare un uomo ordinario; di tutto, invece, si servì per diventare straordinario, fino alla santità. È certamente meno famoso del suo contemporaneo e confidente Curato d’Ars, ma ingiustamente, perché in Padre Antonio Chevrier si concretizza, forse per la prima volta in modo così visibile, l’opzione fondamentale per i poveri, ed è lui ad aprire il cammino che porterà all’esperienza dei “preti-operai” (non a caso, è proprio un suo seguace e successore, Mons. Alfred Lancel, il primo vescovo-operaio e uno dei pochi presuli autorizzati dal Cardinal Ottaviani a tentare questa profetica avventura in seno alla Chiesa).
Nasce in una modesta famiglia lionese nel 1826; sacerdote a 24 anni e subito inserito come vicario in una parrocchia operaia, si “converte” a 30 anni nella notte di Natale 1856. E’ lui stesso a definire “conversione” la particolarissima esperienza di Dio che ha in quella notte, davanti al presepe: “è meditando sulla povertà di Nostro Signore e sul suo abbassamento tra gli uomini che ho deciso di lasciare tutto e di vivere il più poveramente possibile: è il mistero dell’Incarnazione che mi ha convertito”.
Poiché però tra il dire e il fare, anche per i santi, c’è di mezzo il mare, va prima a consultare Giovanni Maria Vianney, che abita ad Ars, a meno di 40 chilometri da casa sua. Sono due anime in perfetta sintonia, che sulla povertà radicale se la intendono; torna a Lione rafforzato nella sua idea e confortato dai consigli del Curato d’Ars, ma da questi continuerà a differenziarsi per l’impronta marcatamente missionaria del suo ministero, a dimostrazione che i santi di Dio non sono fatti in serie e che vicendevolmente ci si può sorreggere, condizionare mai.
La sua attenzione si concentra subito sui “poveri più poveri”, quanti, cioè, oltre che poveri di mezzi economici, sono anche poveri di cultura e anche di fede.
Chiede di lasciare la parrocchia, scegliendo il modesto incarico di assistente spirituale della “Città del Bambino Gesù”, e anche questa è una scelta di “povertà” perché nel nuovo ministero altro non deve fare che assicurare la messa quotidiana e insegnare catechismo.
Intanto s’innamora di Francesco d’Assisi, a sua volta grande innamorato di “Madonna Povertà”, e veste l’abito del terz’ordine francescano, vivendo lo spirito di povertà condensato nel suo motto: “avere il necessario e sapersene accontentare”.
Nel 1860 acquista la malfamata sala da ballo del Prado, per trasformarla in centro di accoglienza e di formazione cristiana di bambini e ragazzi poveri, che proprio per la loro condizione di indigenza finiscono per restare ai margini o non inserirsi affatto nei percorsi ordinari della pastorale parrocchiale.
Non è una scuola e non è un oratorio, o forse è parte dell’una e dell’altro perché al “Prado” si insegna gioiosamente il catechismo ai poveri, nella convinzione che anche loro hanno diritto di prepararsi bene alla Prima Comunione. Con una dozzina di questi ragazzi che pensano seriamente al sacerdozio mette così le basi della “Società dei Preti del Prado”, che nella testa e nel cuore del fondatore devono essere “preti poveri a servizio dei poveri”.
A questi ripete, fino alla noia, che “è nella povertà che il sacerdote trova la propria forza, la propria potenza, la propria libertà” e insegna loro che, a imitazione di Gesù “che si lascia mangiare nella Santa Eucaristia”, anche il prete deve essere un “uomo mangiato” da tutti. Convinto che “è meglio vivere dieci anni in meno lavorando per Dio, che dieci anni di più senza far niente”, si sottopone ad un ritmo di lavoro davvero spossante, che rende la sua salute fragile fragile.
Così fragile da non sopportare l’ultima spogliazione, l’ultimo esercizio di povertà che gli si chiede, quando si vede abbandonato da alcuni dei suoi preti della prima ora e si sente come uno “che pensava di aver fatto qualcosa e vede invece che non ha fatto niente”.
Muore il 2 ottobre 1878, ad appena 52 anni, povero davvero, materialmente e spiritualmente. Ma non muore il Prado e la “spiritualità pradosiana”, diffusa oggi come stile di vita anche tra i preti diocesani. È stato beatificato il 4 ottobre 1986.
(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Nacque il 16 aprile 1826 a Lione, da una modesta famiglia, a 17 anni entrò in Seminario e fu ordinato sacerdote a 24 anni nel 1850. Iniziò la sua missione pastorale in una parrocchia operaia della periferia come vicario. Nel 1856, mentre era in intensa preghiera, davanti al presepe, ebbe l’intuizione della divina povertà.
Sotto la giuda del Santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, accettò di diventare il direttore spirituale della “Città di Gesù Bambino”, che si proponeva di incentivare la Prima Comunione nei bambini poveri e procurare l’alloggio ai miserabili.
Conscio dell’immenso campo di lavoro, pensò di fondare una propria opera e nel 1860 acquistò il “Prado” che era un’antica sala da ballo, ormai in rovina, chiamando l’istituzione “ La Provvidenza del Prado”.
Andò avanti per una ventina d’anni con il solo aiuto di qualche sacerdote, affiancò all’opera una scuola di chierici, i quali diventati preti formarono la “Società dei Preti del Prado”, con lo scopo di gestire l’opera iniziale e le sue attività caritatevoli.
Morì il 2 ottobre 1879, dopo una lunga e sofferta malattia, il suo corpo riposa nella cappella del Prado, fu un precursore dell’impegno sociale del sacerdozio. É stato beatificato a Lione da Papa Giovanni Paolo II, il 4 ottobre 1986.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio Chevrier, pregate per noi.
*Beato Antonio Fuentes Ballesteros - Sacerdote e Martire (2 Ottobre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" - Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" - Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Mojácar, Spagna, 2 novembre 1887 – Los Gallardos, Spagna, 2 ottobre 1936
Antonio Fuentes Ballesteros nacque a Mojácar, in provincia e diocesi di Almería, il 2 novembre 1887.
Il 17 dicembre 1910 fu ordinato sacerdote.
Era parroco della parrocchia di Lubrín quando morì in odio alla fede cattolica, preceduto di poco da suo fratello don José, il 2 ottobre 1936, a Los Gallardos, in provincia di Almería.
Don Antonio e don José, inseriti in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, sono stati beatificati ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio Fuentes Ballesteros, pregate per noi.
*Beato Bartolomeo Blanco Marquez - Martire (2 Ottobre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Salesiani di Madrid e Siviglia”
“Beati 498 Martiri Spagnoli Beatificati nel 2007”
“Martiri della Guerra di Spagna”
Pozoblanco, Spagna, 25 novembre 1914 – Jaén, Spagna, 2 ottobre 1936
Exallievo e cooperatore salesiano, venne ucciso durante la guerra civile spagnola, nel gruppo dei martiri dell’Andalusia, cioè di Siviglia (22 in tutto, accorpati a quelli di Madrid).
Era un giovane buono, retto e coraggioso, impegnato nello studio della questione sociale e della dottrina sociale della Chiesa.
Attivissimo nell’Azione Cattolica. Proprio per questa sua appartenenza fu incarcerato, poi condannato a morte.
Prima di ricevere il colpo mortale esclamò: “Viva Cristo Re!”. Il 26 giugno 2006 Papa Benedetto XVI ha riconosciuto ufficialmente il suo martirio. É stato beatificato il 28 ottobre 2007 in Piazza San Pietro.
Bartolomé era di Pozoblanco, in Spagna. Sua mamma morì prima che compisse i quattro anni, e figlio e padre andarono a vivere dagli zii. A scuola il professore, osservando la sua diligenza, gli diede il titolo di “Capitano”.
Orfano anche di padre a 12 anni, dovette lasciare la scuola e mettersi a lavorare da seggiolaio nel piccolo laboratorio del cugino.
Quando arrivarono i salesiani (settembre 1930), Bartolomé frequentò l’oratorio e aiutò come catechista. Trovò in don Antonio do Muiño un direttore che lo spinse a continuare la sua formazione intellettuale, culturale e spirituale.
Più tardi entrò nell’Azione Cattolica, di cui fu segretario e dove profuse il meglio di sé.
Trasferitosi a Madrid per specializzarsi nell’apostolato fra gli operai presso l’Istituto Sociale Operaio, vi spiccò come oratore eloquente e studioso della questione sociale e della dottrina sociale della Chiesa.
Ottenuta una borsa di studio, poté conoscere le organizzazioni operaie cattoliche di Francia, Belgio e Olanda. Nella opzione politica, Bartolomé fu coerente con le sue convinzioni.
Nominato delegato dei sindacati cattolici, nella provincia di Cordoba fondò otto sezioni. Fu un cristiano impegnato, con una testimonianza seria di vita interiore e una dedizione generosa all’apostolato sociale, un cristiano che lottava per i valori del Vangelo, anche in quelle attività che potevano apparire come politiche.
Proprio questo fu preso a pretesto per assassinarlo, anche se in realtà egli fu ucciso perché cattolico.
Quando esplose la rivoluzione, il 30 giugno 1936, Bartolomé ritornò a Pozoblanco e si mise a disposizione della “Guardia Civile” per la difesa della città che dopo un mese si arrese ai rossi.
Si consegnò il 18 agosto.
Accusato di ribellione fu portato in carcere, dove continuò ad avere un comportamento esemplare: “Per meritarsi il martirio, bisogna offrirsi a Dio come martiri!”. Venne processato e condannato a morte a Jaén.
Disse: “Avete creduto di farmi un male e invece mi fate un bene perché mi cesellate una corona”. Fu fucilato il 2 ottobre 1936.
(Fonte: www.sdb.org)
Giaculatoria - Beato Bartolomeo Blanco Marquez, pregate per noi.
*San Beregiso - Abate di Andage (2 Ottobre)
Martirologio Romano: Ad Andage tra le Ardenne in Austrasia, nell’odierno Belgio, San Beregíso, abate, che fondò qui un monastero di chierici regolari e lo governò con diligenza.
Fu il fondatore e il primo abate del monastero di Andain (o Andage) nella diocesi di Liegi, che prese in seguito il nome di Sant'Uberto.
La sua Vita fu scritta dopo il 937 da un monaco dell'abbazia, che disponeva purtroppo solo di tradizioni più o meno leggendarie.
Beregiso sarebbe dunque nato verso il 670 a Spanye, villaggio oggi scomparso, nel cantone di Ciney (provincia di Namur).
Fu allevato nel monastero di Saint-Trond, divenne prete, poi fu legato alla casa di Pipino di Héristal, al quale domandò di costruirgli un monastero in mezzo alla foresta delle Ardenne, sulla riva del ruscello di Andage.
Questa fondazione ebbe luogo all'inizio del sec. VII, senza che se ne possa indicare la data precisa. Un diploma di Pipino a Beregiso, datato dal 13 novembre 687, è apocrifo; al contrario, una carta emessa da un certo conte Guilimberto, che nel 725 o 726 donò a Beregiso delle vigne nel paese di Tréves, sembra autentica.
La morte di Beregiso è da porsi dopo il 725, un 3 ottobre.
Il suo culto non fu mai molto esteso eclissato forse da quello di Sant'Uberto, l'illustre vescovo di Tongres e Liegi, le cui reliquie furono portate ad Andage nell'825.
Nella stessa epoca il monastero prese il nome di Sant'Uberto e fu affidato a monaci benedettini in luogo dei canonici regolari che l'avevano occupato fino a quel tempo.
(Autore: Philippe Rouillard - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Beregiso, pregate per noi.
*Beato Bernardo da Mandello del Lario - Laico FrancescanoSan (2 Ottobre)
† 1487 o 1491 (?)
Il Beato Bernardo da Mandello del Lario in provincia di Como, è ricordato per le sue nobili origini.
Abbracciata la regola di san Francesco la praticò nella massima perfezione.
Di lui sappiamo solo che fu un laico francescano e che morì alla Verna, nel 1487, (alcuni dicono nel 1491) dove era rimasto elemosiniere per 38 anni (per questo qualcuno lo definisce Beato Bernardo dalla Verna).
Nel volume sulle notizie storiche della Valvassina, si ricorda che il Beato Bernardo compì numerosi miracoli.
Viene festeggiato e commemorato il 2 ottobre.
(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Bernardo da Mandello del Lario, pregate per noi.
*Beato Bonaventura Relli da Palazzolo - Francescano (2 Ottobre)
† Torino, 2 ottobre 1657
Bonaventura Relli nacque a Palazzolo, presso Trino. Era devotissimo della Madonna di Crea. Dapprima pensò ad entrare tra gli Agostiniani, ma poi entrò tra i Minori Conventuali a Giaveno.
In seguito fu trasferito a Santa Maria degli Angeli a Torino.
Predicò nelle valli valdesi a Luserna ed Angrogna, dove la sua fama si diffuse grazie allapredicazione, all’austerità di vita e ai miracoli.Nel 1634 fu mandato da Papa Urbano VIII in Albania e Serbia, territori sotto il dominio dell’Impero Ottomano.
Era sua caratteristica distribuire immagini della Vergine, da lui stesso dipinte sopra la seta. Nel 1643 ritorna in Piemonte, ad Ozegna e a San Giorgio Canavese.
Morì nel Convento della Madonna degli Angeli di Torino il 2 ottobre 1657.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Bonaventura Relli da Palazzolo, pregate per noi.
*Santi Eleuterio e Compagni di Nicomedia - Martiri (2 Ottobre)
Martirologio Romano: A Nicomedia in Bitinia, nell’odierna Turchia, Sant’Eleuterio, martire.
Il Martirologio Siriaco del sec. IV commemora al 2 ottobre Eleuterio martire di Nicomedia. Il Martirologio Geronimiano, lo stesso giorno, aggiunge alla notizia precedente cujus acta habentur (ma di questi Acta non si è mai trovata traccia).
Questa memoria, però, priva di ogni particolare, non bastava agli agiografi del Medio Evo.
Adone, infatti, ha visto in Eleuterio il primo del gruppo di cristiani anonimi uccisi a Nicomedia dopo l'incendio del palazzo imperiale, di cui parla Eusebio.
E l'elogio del Martirologio Romano non fa che ripetere quell'arbitraria identificazione ricordando Eleuterio martire cum aliis innumeris.
Si è voluto pure talvolta identificare il nostro Santo coll'omonimo martire nella Tarsia, eunuco cubiculario della corte di Massimiano, celebrato nel Martirologio Romano e nei sinassari bizantini il 4 agosto.
(Autore: Joseph-Marie Sauget – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Eleuterio e Compagni di Nicomedia, pregate per noi.
*Beati Elia e Giovanni Battista Carbonell Mollà - Fratelli, Sacerdoti, Martiri (2 Ottobre)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001”
“Martiri della Guerra di Spagna”
Martirologio Romano: Nel villaggio di Sax vicino ad Alicante sempre in Spagna, Beati fratelli Elia e Giovanni Battista Carbonell Mollá, sacerdoti e martiri, fucilati durante la stessa persecuzione contro la Chiesa.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Elia e Giovanni Battista Carbonell Mollà, pregate per noi.
*Beata Emilia di Villeneuve - Fondatrice (2 Ottobre)
Toulouse, Frncia, 9 marzo 1811 - Castres, Francia, 2 ottobre 1854
Beatificata il 5 luglio 2009, sotto il pontificato di Papa Benedetto XVI.
Emilie de Villeneuve è nata a Tolosa, il 9 marzo 1811, terza figia del Marchese Louis de Villeneuve e di Rosalie d’Avessens.
Cresce al castello d’Hauterive (Tarn) dove suo padre, grande proprietario terriero, dà lavoro a numerose persone nella sua nuova industria della lavorazione del cuoio.
Dai suoi genitori, Emilie riceve valori profondi. Ma la prova segna prematuramente e profondamente la sua vita : la malattia e la morte della mamma, alla giovane età di 14 anni.
Tre anni dopo, muore sua sorella Octavie .
Suo padre, ex marinaio, manifesta un solido senso sociale. Crea un corso di apprendimento per giovani, una società di mutuo soccorso…
Émilie diventa la padrona di casa al castello d’Hauterive.
La sua amica Coraly de Gaïx, sua confidente, la descrive come una persona solitaria e generosa verso le persone bisognose.
Adolescente, Emilie assume l’abitudine di affidare alla Madonna, le sue gioie, le sue pene, le sue scelte… ecc. Maria diventa la sua Compagna e la sua confidente.ù
La passione d’Émilie è l’amore per Dio e per i più poveri. Émilie vuole essere con i poveri, gli ammalati, i carcerati, le prostitute e dimostrare loro che Dio le ama.
Per lei, le elemosine non bastano, la carità nemmeno. Lei vuole essere con loro in relazione di parità, rendere loro la dignità di esseri umani all’ esempio di Gesù Salvatore.
Lascia suo padre nel 1836 per fondare una congregazione : «É per Dio che vi lascio, voglio servire i poveri!».
La fondazione
Fonda, con altre due ragazze la Congregazione delle suore dell’Immacolata Concezione l’ 8 dicembre 1836, soprannominate «suore blu» a causa dell’abito blu, che indossano.
Perché Suore dell’Immacolata Concezione? Emilie, in seguito alla morte della mamma, ha preso l’abitudine di affidare le sue gioie, le sue pene, le sue scelte a Maria che è diventata la sua compagna di viaggio.
La prima comunità si stabilisce in una piccola casa, senza confort, a Castres. Attente alle necessità dei più poveri che le circondano, esse accolgono ragazze bisognose e rese tali dalla miseria che regnava all’inizio dell’era industriale, occupandosi pure dei carcerati.
Rapidamente, esse aprono una seconda comunità dove le suore sono incaricate dell’ educazione dei bambini, del catechismo e delle cure ai malati. Tutte le comunità, agli inizi, avranno questa tripla missione.
Nel 1853, Emilie sceglie di non essere più superiora generale. Ella muore l’ anno dopo di colera dopo aver offerto la sua vita perché l’epidemia, che aveva colpito Castres, si arresti.
Prime fondazioni in Africa
Émilie desidera andare là dove Gesù non è conosciuto, ne amato. Nel 1848, ella invia alcune suore in Sénégal.
Questa partenza si compie dopo molte peripezie e trattative con il Padre Libermann della Congregazione dello Spirito Santo (spiritani).
Pazientemente, le Suore imparano a conoscere la popolazione, la cultura, la lingua. L’anno seguente, esse partono in Gambia ed in Gabon.
Malgrado la distanza, Emilie, che rimane in Francia, mantiene uno stretto legame con le sue Suore attraverso una regolare corrispondenza epistolare.
Prime fondazioni in America Latina
L’espansione della Congregazione continua dopo la sua morte. Con le nuove leggi di separazione tra la Chiesa e lo Stato, nel 1904/1905 le suore sono obbligate a lasciare la Francia per l’America latina.
Esse salpano in battello per il Brasile, poi per l’Argentina.In 1998, le sorelle emergenti per le Filippine. Essi sono i primi passi nel continente asiatico.
(Fonte: www.cic-castres.org)
Giaculatoria - Beata Emilia di Villeneuve, pregate per noi.
*Beato Enrico Saiz Aparicio - Sacerdote Salesiano, Martire (2 Ottobre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Salesiani di Madrid e Siviglia”
“Beati 498 Martiri Spagnoli” Beatificati nel 2007
“Martiri della Guerra di Spagna”
Ubierna, 1 dicembre 1889 – Carabachel Alto (Madrid), 2 ottobre 1936
Nacque a Ubierna (Burgos) il 1° dicembre 1889 e fu battezzato il giorno seguente. A 16 anni sentendo l'inclinazione allo stato religioso e sacerdotale, fu ammesso al Noviziato di Sarrià (Barcellona) e vi professò il 5 settembre 1909. Venne ordinato sacerdote a Salamanca il 28 luglio 1918.
Furono suo campo di apostolato i collegi di Campello, Barcellona, Madrid e Salamanca; fu Direttore a Salamanca, a Madrid, e quindi nello Studentato Teologico di Carabanchel Alto (Madrid), dove lo sorprese la rivoluzione.
Si distinse per pietà, zelo e dedizione sacerdotale. Fu superiore prudente, paterno e comprensivo, pur esigendo il compimento del dovere, di cui dava l'esempio.
Con sforzo prolungato e continuo ottenne grande affabilità, costanza di carattere e spirito di mortificazione. Già nel 1934, sentendo sempre più vicina la rivoluzione, andava preparando al martirio l'animo dei suoi.
Il 20 luglio 1936 la Casa di Carabanchel Alto fu assalita dai miliziani.
Don Enrique si offrì a morire per tutti, ma la sua offerta per allora, non venne accettata. Furono tutti imprigionati e destinati alla morte. Rimessi poi in libertà, il Servo di Dio cercò un rifugio a ciascuno e continuò a interessarsi della sorte di tutti.
Il 2 ottobre 1936 i miliziani, sapendolo sacerdote, lo imprigionarono, e verso le 10 di sera lo fucilarono. Beatificato il 28 ottobre 2007.
Nella grande disumana strage che fu la Guerra Civile Spagnola (1936-1939), il numero delle vittime superò il milione, colpendo persone di ogni classe e di ogni fede.
Ormai gli storici hanno riconosciuto che all’interno di questo terribile massacro, nei territori allora chiamati “zona rossa”, in mano agli anarchici ed ai social comunisti, ci fu una vera e propria persecuzione contro i cristiani.
I fedeli laici solo perché cristiani, furono ammazzati a decine di migliaia e con loro massacrati 4148 sacerdoti diocesani, 12 vescovi, 283 suore, 2365 religiosi (sacerdoti e fratelli) per un totale finora riconosciuto di 6808 martiri, con distruzione di numerose chiese.
Ogni Famiglia Religiosa diede il suo tributo di sangue con un numero più o meno alto di vittime; la Famiglia dei Salesiani di Don Bosco, in questo elenco è presente con 97 suoi membri, appartenenti a tre fiorenti ‘Ispettorie’ di Salesiani e una ‘Ispettoria’ delle Figlie di Maria Ausiliatrice e così suddivisi: 39 sacerdoti, 26 coadiutori, 22 chierici, 5 salesiani cooperatori, 3 aspiranti salesiani e 2 Figlie di Maria Ausiliatrice.
I martiri Salesiani sono raggruppati in tre Famiglie locali, di Valencia, di Siviglia, di Madrid; quelli di Valencia sono stati dichiarati beati nel 2001.
Il gruppo di 42 martiri di Madrid, il più numeroso è capeggiato dal sacerdote salesiano don Enrique Saiz Aparicio, il quale nacque a Ubierna il 1° dicembre 1889 nella provincia di Burgos. Trascorse l’infanzia in mezzo a notevoli difficoltà familiari, che condizionarono la formazione del suo carattere; dopo aver frequentato studiando alcune Case salesiane, fece la prima professione nel 1909 a Barcellona - Sarriá.
Dopo gli studi in Filosofia, alternò il suo compito di educatore tra Salamanca e Madrid, eccellendo nelle qualità letterarie e non mancandogli prove e inquietudini a causa del suo duro carattere, anche se andò dominandosi man mano che si avvicinava all’ordinazione sacerdotale, che ricevette nel 1918. Seguirono sei anni d’intensa attività salesiana sempre tra Salamanca e Madrid, diventando poi direttore prima del Collegio di Salamanca e poi di quelli di Atocha e di Carabauchel a Madrid.
Il suo duro carattere mutò totalmente diventando sereno, comprensivo e caritatevole; intensificò la sua preparazione ascetica, la sua direzione spirituale, la sua vita interiore, la sua predicazione in particolare quella eucaristico-mariana.
E nell’impegno di animatore della Comunità e dell’Aspirantato salesiano di Carabachel Alto nella periferia di Madrid, fu sorpreso dallo scoppio della Guerra Civile. Padre Enrico Saiz Aparicio da un certo tempo sembrava presentire il martirio, infatti disse a suo fratello: “Se Dio mi volesse martire, non retrocederei un solo passo di fronte alla volontà divina; accoglierei il martirio con serenità”.
Nel pomeriggio del 20 luglio 1936, l’Aspirantato fu preso d’assalto dai miliziani rossi; padre Saiz radunò nel salone i ragazzi e diede loro la benedizione di Maria Ausiliatrice, poi agitando un fazzoletto bianco si diresse verso gli assalitori dicendo: “Se volete sangue, eccomi qui.
Però non fate del male ai ragazzi”. Gli aspiranti furono rimandati alle loro famiglie e padre Saiz e otto salesiani, con la solita tattica dei miliziani, furono lasciati liberi per essere di nuovo arrestati fuori dalla Casa e ad uno ad uno poi eliminati.
Don Enrico Saiz fu fucilato il 2 ottobre 1936, aveva 47 anni; gli altri salesiani martiri, in buona parte novizi e giovani studenti a Mohernando, furono arrestati in quei sei mesi di fine 1936 e uccisi in giorni e luoghi diversi, un folto gruppo morì il 6 dicembre 1936.
Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani e nei successivi 40 anni, la Famiglia salesiana, conobbe una numerosissima fioritura di vocazioni salesiane in Spagna.
I processi per la beatificazione dei 42 martiri salesiani di Madrid, sono iniziati il 7 dicembre 1957. Recentemente questa causa è stata accorpata con quella del gruppo dei martiri salesiani di Siviglia, già denominata “Servo di Dio Antonio Torrero Luque e 20 compagni”. Il nuovo processo congiunto, comprendente dunque tutti i 63 martiri salesiani di Madrid e Siviglia.
La cerimonia di beatificazione ha avuto luogo a Roma il 28 ottobre 2007, sotto il pontificato di Papa Benedetto XVI.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Enrico Saiz Aparicio, pregate per noi.
*Beato Francesco Carceller Galindo - Sacerdote Scolopio, Martire (2 Ottobre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Scolopi” Senza data (Celebrazioni singole)
“Martiri della Guerra di Spagna” Senza Data (Celebrazioni singole)
Forcall (Castellón), 3 ottobre 1901 - 2 ottobre 1936
Nacque il 3 ottobre 1901 a Forcall (Castellon), in Spagna in una famiglia molto credente dove, ad eccezione del primogenito, gli altri sei figli divennero religiosi.
A 13 anni entrò nel postulantato dei padri scolopi di Morella. Ordinato sacerdote il 19 dicembre 1925 a Lérida, svolse il suo ministero a Barcellona nel collegio di Sant'Antonio e poi in quello di Nostra Signora.
«La grazia più grande che Dio mi può concedere è quella del martirio, poiché così avrò sicuro il Paradiso». Furono le parole espresse da Carceller all'incombere della guerra civile spagnola del 1936.
E il 29 agosto di quell'anno venne arrestato insieme ad una trentina di altri religiosi.
Resto in carcere sino al 2 ottobre quando, al termine di un processo sommario, fu fucilato lungo le mura del cimitero di Forcal. È stato proclamato beato assieme a 13 religiosi scolopi, martiri della guerra civile il 1° ottobre 1995 da Giovanni Paolo II. (Avvenire)
Martirologio Romano: Vicino a Castellón de la Plana sulla costa spagnola, Beati Francesco Carceller, dell’Ordine dei Chierici regolari delle Scuole Pie, e Isidoro Bover Oliver, della Società dei saceroti operai diocesani, sacerdoti e martiri: durante la persecuzione, portarono a termine il loro martirio fucilati in odio al sacerdozio davanti al muro del cimitero.
La feroce guerra civile spagnola, che imperversò in due momenti successivi, separati fra loro dal breve spazio di due anni, nel 1934 con la Rivoluzione delle Asturie (5-14 ottobre) e dal luglio 1936 al 1939; portò in essa per una complessa combinazioni di varie ragioni, oltre che motivi politici, anche un filone di aperta lotta antireligiosa.
A causa di ciò, caddero vittime innocenti, migliaia di ecclesiastici, di tutte le condizioni, vescovi, sacerdoti, suore, seminaristi, religiosi di parecchi Ordini, laici impegnati nell’apostolato cattolico.
Nel 1934 i martiri furono pochi, grazie al duro intervento del Generale Franco, ma specie nel 1936 il numero raggiunse oltre 7000 martiri, fu una vera e propria persecuzione generalizzata, che durò più a lungo, colpendo le zone della Spagna dove si era affermata la Repubblica ad opera di gruppi e partiti estremisti, che agirono con potere autonomo ed arbitrario.
E fra i tanti martiri dei vari Ordini Religiosi, che nulla avevano a che fare con la politica, la Chiesa il 1° ottobre 1995 con Papa Giovanni Paolo II, ha beatificato tredici Religiosi Scolopi, come venivano e vengono chiamati, i membri della “Congregazione delle Scuole Pie”, fondata da s. Giuseppe Calasanzio nel 1597.
Essi tutti spagnoli, morirono in giorni e luoghi diversi, in quel fatidico anno 1936; ne riportiamo i nomi e per quanto riguarda le loro note biografiche, si rimanda alla scheda propria di ognuno:
Padre Dionisio Pamplona, padre Manuel Segura, fratel David Carlos, padre Faustino Oteiza, fratel Fiorentino Felipe, padre Enrico Canadell, padre Maties Cardona, padre Francesco Carceller, padre Ignasi Casanovas, padre Carlos Navarro, padre José Ferrer, padre Juan Agramunt, padre Alfredo Parte.
Nato il 3 ottobre del 1901 a Forcall (Castellón), padre Francesco Carceller faceva parte di una singolare famiglia benedetta da Dio, dove ad eccezione del primogenito, gli altri sei figli divennero religiosi, Giacomo, Francesco e Pietro scolopi; Domenico ed Emanuele agostiniani e Maria suora domenicana.
Nel natio paese molte famiglie avevano figli religiosi e sacerdoti per cui Francesco crebbe complessivamente in un clima fatto di pietà e di religione.
A 13 anni entrò nel postulantato dei Padri Scolopi di Morella, segnalandosi come giovane esemplare, molto amante del silenzio, della modestia, della puntualità, esatto nel compimento dei suoi doveri, molto pio e raccolto.
Venne ordinato sacerdote il 19 settembre 1925 a Lérida poi svolse il suo ministero di scolopio a Barcellona nel Collegio di S. Antonio e poi in quello di Nostra Signora.
A quanti gli prospettavano la gravità del pericolo che incombeva su di lui, perché ricercato nei giorni che seguirono alla rivoluzione del luglio 1936, rispose sicuro: “La grazia più grande che Dio mi può concedere è quella del martirio, poiché così avrò di sicuro il Paradiso”.
Venne arrestato in casa della madre all’alba del 29 agosto; rimase in carcere con altri sacerdoti, una trentina, fino al 2 ottobre, quando fu prelevato per essere giudicato davanti ad un ‘tribunale’ e condannato a morte, dopo aver dichiarato di essere un sacerdote.
Venne fucilato lo stesso 2 ottobre, insieme a un sacerdote diocesano, padre Isidoro Bover Oliver e davanti ad un ammasso di corpi già trucidati, lungo le mura del cimitero di Forcall; aveva 35 anni.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francesco Carceller Galindo, pregate per noi.
*San Gerino - Martire Venerato a St-Vivant (2 Ottobre)
Emblema: Palma
Fratello di San Leodegario, vescovo di Autun, Gerino era di lignaggio reale burgundo. Sposò la sorella del vescovo di Treviri, Basino, e ne ebbe due figli, Grimberto, che divenne conte di Parigi, e San Lievino, futuro vescovo di Treviri.
Egli stesso, secondo un Atto di Childeberto III per l'abbazia di San Dionigi, del 710, era conte di Parigi dopo essere stato, sembra, conte di Poitiers. Visse alla corte di Clodoveo II, di cui sottoscrisse una carta di conferma dei diritti di S. Dionigi nel 654, di Clotario III, che gli scrisse nel 658. e di Childerico II.
Si schierò con suo fratello Leodegario, capo del partito burgondo, nel conflitto contro il maestro di palazzo Ebroino.
I partigiani di quest'ultimo catturarono i due fratelli, accecarono Leodegario e lapidarono Gerino senza dubbio nel 677, ai piedi della fortezza di Vergy, nella Borgogna.
Fu inumato nel luogo stesso del suo supplizio. Nel sec. XVIII si vedeva la sua tomba nella chiesa del Grand-Prieuré di St-Vivant-sous-Vergy di cui era il patrono secondario.
Il suo culto associato a quello di SanLeodegario era in onore nelle abbazie di St-Maixent, di Nonaillé, di Ebreuil e di Notre Dame di Soissons, dove morí la loro madre S. Sigrada e dove era sepolto San Leodegario.
É venerato anche in Alsazia sotto il nome di San Ger. La sua festa si celebra il 2 ottobre o talvolta il 25 agosto, data della excaecatio di San Leodegario.
(Autore: Pierre Villette – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gerino, pregate per noi.
*Giorgio Edmondo Renè - Martire (2 Ottobre)
Martirologio Romano: Nel mare davanti a Rochefort in Francia in una squallida galera ferma all’ancora, Beato Giorgio Edmondo René, sacerdote e martire, che, canonico di Vézelay, condannato durante la rivoluzione francese agli arresti navali per avere esercitato il ministero sacerdotale, morì consunto dalla cancrena.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giorgio Edmondo Renè, pregate per noi.
*Beato Giovanni Beyzym - Sacerdote Gesuita (2 Ottobre)
Beyzymy Wielkie, Ucraina, 15 maggio 1850 - Marana, Madagascar, 2 ottobre 1912
P. Giovanni Beyzym nacque a Beyzymy Wielkie in Volinia il 15 maggio 1850. Dopo aver terminato il ginnasio a Kiev, entrò nel noviziato dei padri gesuiti a Stara Wies´ presso Brzozów. Ricevette gli ordini sacri a Cracovia dalle mani del Vescovo Albin Dunajewski, nel 1881.
Per molti anni fu educatore e protettore dei giovani nei collegi della Società di Cristo a Tarnopol e a Chyrów. A 48 anni, con il consenso dei superiori, partì per il Madagascar per il " servizio ai lebbrosi ".
Tutte le sue forze, tutti i suoi talenti e tutto il suo cuore egli li donò ai malati abbandonati, affamati ed emarginati dalla società. Si stabilì tra loro, per essere con loro di giorno e di notte. Sull'Isola Rossa creò un'opera pioniera, che fece di lui il precursore della cura odierna dei lebbrosi.
Dalle offerte raccolte principalmente dai suoi connazionali in patria e dagli emigrati fuori di essa, costruì a Marana un ospedale per 150 infermi, per curarli e per ridare loro la speranza.
Questo ospedale esiste ancora oggi, ed è intitolato alla Madonna di Czecstochowa. Esausto per un lavoro che superava le sue forze, P. Beyzym morì il 2 ottobre 1912, circondato da un alone di eroismo e di santità.
La morte non gli permise di realizzare il suo desiderio nascosto di andare a Sachalin, per svolgere il lavoro missionario tra i forzati.
La vita del " Servo dei lebbrosi " fu caratterizzata da una fede viva e dal senso di giustizia, da un filiale amore verso la Madre di Dio, dallo zelo apostolico per la salvezza degli uomini e dalla premura samaritana per i più poveri tra i poveri.
L'evangelizzazione andava di pari passo con la garanzia dei fondamentali diritti della persona umana, tra essi, anche quello delle condizioni di vita degne dell'uomo e di un figlio di Dio.
Martirologio Romano: A Fianarantsoa in Madagascar, Beato Giovanni Beyzym, sacerdote della Compagnia di Gesù, che svolse in tutta l’isola una fervida attività per i lebbrosi, che servì nel corpo e nello spirito con grande zelo di carità.
P. Giovanni Beyzym nacque a Beyzymy Wielkie in Volinia il 15 maggio 1850. Dopo aver terminato il ginnasio a Kiev, entrò nel noviziato dei padri gesuiti a Stara Wies´ presso Brzozów. Ricevette gli ordini sacri a Cracovia dalle mani del Vescovo Albin Dunajewski, nel 1881.
Per molti anni fu educatore e protettore dei giovani nei collegi della Società di Cristo a Tarnopol e a Chyrów. A 48 anni, con il consenso dei superiori, partì per il Madagascar per il "servizio ai lebbrosi". Tutte le sue forze, tutti i suoi talenti e tutto il suo cuore egli li donò ai malati abbandonati, affamati ed emarginati dalla società. Si stabilì tra loro, per essere con loro di giorno e di notte. Sull'Isola Rossa creò un'opera pioniera, che fece di lui il precursore della cura odierna dei lebbrosi.
Dalle offerte raccolte principalmente dai suoi connazionali in patria e dagli emigrati fuori di essa, costruì a Marana un ospedale per 150 infermi, per curarli e per ridare loro la speranza. Questo ospedale esiste ancora oggi, ed è intitolato alla Madonna di Czecstochowa.
Esausto per un lavoro che superava le sue forze, P. Beyzym morì il 2 ottobre 1912, circondato da un alone di eroismo e di santità. La morte non gli permise di realizzare il suo desiderio nascosto di andare a Sachalin, per svolgere il lavoro missionario tra i forzati.
La vita del " Servo dei lebbrosi " fu caratterizzata da una fede viva e dal senso di giustizia, da un filiale amore verso la Madre di Dio, dallo zelo apostolico per la salvezza degli uomini e dalla premura samaritana per i più poveri tra i poveri. L'evangelizzazione andava di pari passo con la garanzia dei fondamentali diritti della persona umana, tra essi, anche quello delle condizioni di vita degne dell'uomo e di un figlio di Dio.
Un giorno del 1890, in un convento di Gesuiti in Ucraina, viene letto nel refettorio un articolo sui lebbrosi. Un novizio respinge il piatto, dicendo: «Mi stupisco che si possano leggere cose tanto ripugnanti durante il pasto». Il suo vicino, che ascolta diversamente, è sconvolto dalla descrizione delle sofferenze... Qualche anno dopo, ne parlerà al suo confessore, Padre Beyzym. Questi, turbato a sua volta, coglie l'occasione per chiedere di partire al servizio dei lebbrosi. «So benissimo, scrive al Superiore generale dei Gesuiti, in che consiste la lebbra e a cosa devo esser preparato; tuttavia, tutto ciò non mi spaventa, al contrario, mi attira».
Jan Beyzym è nato il 15 maggio 1850 a Beyzymy Wielkie, oggi nella Repubblica ucraina. Schietto e zelante nel lavoro, gli nuoce una gran timidezza giovanile. Fin dalla più tenera infanzia, condivide la devozione affatto particolare della sua famiglia per Maria. Jan pensa di diventare sacerdote in una modesta parrocchia di campagna, ma suo padre lo orienta invece verso i Gesuiti. Dopo una lunga lotta interiore, entra al noviziato della Compagnia di Gesù, il 10 dicembre 1872.
Nel corso dei due anni di noviziato, Jan apprende la vita religiosa, alternando esercizi spirituali, occupazioni materiali ed opere di carità. Abituato ad una vita difficile, non soffre troppo della disciplina cui si deve piegare, ma rimane un po' rude nei suoi rapporti con il prossimo. Finito il noviziato, continua gli studi di filosofia e di teologia, fino all'ordinazione sacerdotale a Cracovia, in Polonia, il 26 luglio 1881. La sua anima ardente si rivela nelle seguenti parole: «Lavoriamo per Dio, per il cielo, e non dovremmo lasciarci superare nella nostra opera e nei sacrifici da coloro che lavorano per beni materiali o che vivono solo per la terra».
«Leviamo l'ancora e partiamo!»
Padre Beyzym è designato come prefetto degli alunni nel collegio dei Gesuiti a Ternopol, poi a Chyrów. Dopo aver insegnato il francese ed il russo, viene nominato prefetto di infermeria, funzione che comporta una pesante responsabilità ed una vigilanza quasi materna sulle dieci camerate che ospitano gli alunni ammalati. Circola fra i letti, si sforza di distrarre ammalati e convalescenti con storie e giochi, sollevando il morale dei fanciulli e degli infermieri. La sua vita austera è temperata da un umorismo ingegnoso.
Un giorno, un bambino che ha una forte febbre, comincia a delirare: vuol vestirsi, dicendo che deve raggiungere la nave che è in partenza per l'America. L'infermiere di turno cerca invano di calmarlo. Arriva Padre Beyzym: «Dove te ne vai così? – Sulla nave. – Benissimo, sono io il capitano della nave, partiremo insieme». E, prendendo in braccio l'ammalato, va a metterlo a letto in un'altra stanza: «Eccoci felicemente arrivati a bordo, ora leviamo l'ancora e partiamo!» Tutto frastornato, il ragazzo si calma immediatamente.
L'energia e la dolcezza coesistono nell'anima di Padre Beyzym. Ama la natura, i fiori che coltiva per adornare l'altare e le stanze degli ammalati. Ha un acquario, una gabbia con canarini, un'altra, che ha fabbricato lui medesimo, per i trastulli di uno scoiattolo. La vista di queste creature lo aiuta ad elevare la mente, e quella degli alunni, verso Dio. Si sforza di comunicare ai ragazzi la sua devozione per Maria: una delle conferenze che fa loro, comincia così: «L'aiuto più sicuro e più necessario per la nostra conversione, per la nostra santificazione e per la nostra salvezza è la devozione alla Santissima Vergine». Padre Beyzym conosce perfettamente bene la gioventù, con le sue debolezze e le sue qualità. Il suo sguardo triste davanti ad una stupidaggine basta a riempire di pentimento il colpevole.
Completamente dedito al servizio dei fanciulli, Padre Beyzym sente crescere in sè il bisogno di amare e di sacrificarsi ancora di più per gli infelici. Chiede allora di consacrarsi al servizio dei lebbrosi. Il suo desiderio viene esaudito, lo si destina alla missione di Madagascar; lascia il suo paese il 17 ottobre 1898 e raggiunge Antananarivo il 30 dicembre seguente. Gli viene affidato il lazzaretto di Ambahivoraka, a 10 km. a nord della città.
I 150 lebbrosi che ci vivono conducono un'esistenza più che miserabile. Esclusi dalla società degli uomini, tormentati dalle sofferenze, affamati, assetati, abitano baracche che cadono in rovina, senza finestre, senza pavimento, senza gli oggetti di prima necessità. All'epoca delle piogge, vivono nell'acqua e l'umidità.
Davanti a tali sofferenze, Padre Beyzym prega Dio di concedere un sollievo a quegli infelici, e quando nessuno lo vede, piange a calde lacrime, perchè non può guardare senza compassione tante sofferenze umane. In un primo tempo, risiede ad Antananarivo e si reca al lazzaretto per i funerali (tre o quattro per settimana) e per la Messa della domenica. Ma, ben presto, gli viene accordato il permesso di risiedere in permanenza fra i lebbrosi.
«Non teme di toccare le piaghe!»
Per ottenere un aiuto d'urgenza, Padre Beyzym scrive numerose lettere ai confratelli d'Europa ed agli amici. Vi si può leggere: «Non c'è nessuno accanto ai lebbrosi, nè medico, nè sacerdote, nè infermiera, assolutamente nessuno. Qui, svolgo tutte le funzioni: cappellano, portalettere, sagrestano, giardiniere, medico. Quanto ai vestiti, ciascuno si copre come può, indossando un vecchio sacco trovato in un angolo, o qualcosa di simile.
L'alimentazione si compone soprattutto di riso, in ragione di un chilo alla settimana, vale a dire proprio il limite per non morire di fame. Ecco tutto quello che hanno, nessuna medicina, nè fasce per coprire le ferite e le piaghe. Nulla... È difficile qui curare gli ammalati, perchè, oltre alla lebbra, hanno anche la sifilide e la scabbia, e sono pieni di pidocchi.
Ma non mi stupisce, tuttavia. Come potrebbero lavarsi e pettinarsi quegli infelici, se non hanno più le dita, che sono cadute a causa della lebbra?... Se uno si lamenta di aver mal di stomaco, non bisogna chiedergli: «Cosa hai mangiato?» ma: «Hai mangiato? e quando?...» Mi sento a disagio quando penso al gran numero di persone che spendono tanto denaro per capriccio o per piaceri incomprensibili, mentre qui manca tutto».
Un'altra preoccupazione fa sanguinare il cuore di Padre Beyzym: «Eppure, quel che mi tormenta ancora di più, è la loro miseria morale, conseguenza del loro stato materiale. Sono esposti a mille occasioni di peccato... Guardo quei bambini che non soltanto non imparano ad amare Dio, ma non sanno neppure se ci sia un Dio, mentre gli adulti insegnano già loro ad offenderlo!... Domando senza tregua alla Vergine Maria di aver pietà e di concorrere al più presto alla salvezza di quegli infelici... Non appena l'amore e la fiducia nella Santissima Vergine saranno radicati in quei poveri cuori, tutto sarà a posto e potrò essere tranquillo per loro».
La prima cura di Padre Beyzym è quella di impedire che i lebbrosi muoiano di fame. La sua lunga esperienza d'infermiere lo aiuta molto.
Si avvicina agli ammalati, ne fascia le piaghe, suscitando l'ammirazione dei testimoni: «Quando ricevetti per la prima volta un pezzo di tela e mi accinsi a fasciare la piaga di uno di loro, scrive, tutti mi circondarono come se si trattasse di uno spettacolo straordinario, dicendosi l'un l'altro: «Guarda! Ma guarda! Non teme di toccare le piaghe»». Tuttavia, questo servizio richiede un'abnegazione eroica: «Bisogna rimanere uniti a Dio senza posa ed esser capaci di pregare sempre... Bisogna abituarsi un po' al cattivo odore, perchè qui non si sente il profumo dei fiori, ma il puzzo della lebbra... Neanche la visione delle piaghe è molto attraente.
Quando, in capo a tre o quattro ore di cure, che effettuo all'aria aperta, davanti alle baracche, torno in casa, e dopo essermi lavato e disinfettato con fenolo, sento che tutto quel che indosso emana ancora cattivo odore... All'inizio, non potevo vedere le ferite, e, dopo aver visto una piaga particolarmente ripugnante, mi è talvolta capitato di svenire.
Adesso, guardo le piaghe dei miei infelici ammalati, le tocco curandole o amministrando l'Estrema Unzione con l'olio santo, senza essere impressionato. A dire il vero, sento qualcosa nel cuore quando mi occupo delle piaghe, ma soltanto perchè preferirei averle tutte su di me, piuttosto che vederle su quei poveri infelici».
Una manifestazione di libertà
Imitando Cristo che lava i piedi dei discepoli, Padre Beyzym si fa servo. «Se nella cultura attuale, scrive Papa Giovanni Paolo II, colui che serve è considerato come inferiore, nella Storia Sacra, il servo è colui che è chiamato da Dio per realizzare un'opera singolare di salvezza e di redenzione, colui che sa di aver ricevuto tutto quello che ha e tutto quello che è, e che si sente dunque chiamato a mettere al servizio degli altri quello che ha ricevuto... Servire è una vocazione assolutamente naturale, perchè l'essere umano è servo naturalmente: non è padrone della propria vita ed ha bisogno, a sua volta, di numerosi servizi da parte degli altri; servire è una manifestazione di libertà relativamente all'invasione del proprio io, e di responsabilità nei riguardi degli altri; e servire è possibile a tutti attraverso gesti, piccoli in apparenza, ma, in realtà, grandi, se sono animati da un amore sincero.
Il vero servo è umile, sa di essere inutile (ved. Luca 17, 10), non cerca interessi egoistici, ma si dà da fare per gli altri, sperimentando la gioia della gratuità nel dono di sè» (Messaggio per la giornata delle vocazioni dell'11 maggio 2003).
Una simile carità da parte di Padre Beyzym suscita una fiducia totale nelle sue parole quando parla di Dio, della vita eterna, dell'insegnamento di Gesù Cristo. Così, in capo a qualche mese, molti sono i lebbrosi che chiedono e ricevono il Battesimo. La gratitudine del sacerdote per la
Santissima Vergine è profonda: «Non so se sarò mai in grado di ringraziare a sufficienza la Vergine Maria per la sua protezione. Non parlo più di mille altre grazie che mi ha concesso, ma di quella di utilizzarmi al servizio dei lebbrosi».
Il sacerdote si rende conto tuttavia che la sua conoscenza della lingua malgascia è rudimentale; gli mancano troppe parole. Per perfezionarsi, nel 1901, decide di passare due mesi in una sede vicina, tornando al lazzaretto soltanto la domenica per la Messa. I progressi compiuti gli permettono di organizzare un primo ritiro spirituale: «Abbiamo concluso, scriverà poi, un ritiro spirituale di tre giorni... secondo il metodo di sant'Ignazio: tre conferenze al giorno, con esami di coscienza, confessioni, Comunioni... Regnava fra i lebbrosi un silenzio, un raccoglimento, degni dei più civilizzati dei nostri partecipanti ad un ritiro spirituale. Ringrazio senza posa la nostra buona Madre, perchè molti dei miei ammalati vivranno e moriranno da veri cattolici».
Infatti, durante i quattordici anni di apostolato di Padre Beyzym, non uno dei lebbrosi morì senza aver ricevuto il Sacramento degli ammalati.
Le sofferenze del missionario hanno una grande importanza nella sua fecondità apostolica. Oltre alle difficoltà quotidiane della sua vita, ha «nostalgia del paese natale»: «Soffro, scrive agli ex confratelli polacchi, per la lontananza dalla patria; specialmente dalla nostra casa e dall'infermeria con i nostri marmocchi». Molti missionari conoscono tali sofferenze intime, spesso note solo a Dio. «Nella Sacra Scrittura, scrive Papa Giovanni Paolo II, vi è un legame forte ed evidente fra il servizio e la redenzione, come fra il servizio e la sofferenza, fra il Servo e l'Agnello di Dio. Il Messia è il Servo sofferente che assume sulle sue spalle il peso del peccato umano, è l'Agnello condotto al macello (Is. 53, 7) per pagare il prezzo delle colpe commesse dall'umanità e renderle così il servizio di cui essa ha più bisogno.
Il Servo è l'Agnello che, maltrattato, si lascia umiliare e non apre bocca (Is. 53, 7), mostrando in tal modo una forza straordinaria: quella di non reagire contro il male con il male, ma di rispondere al male con il bene. È la dolce energia del servo che trova la forza in Dio, e, per tale ragione, è fatto, da Lui, luce delle nazioni ed artefice della salvezza (ved. Is. 49, 5-6). Misteriosamente, la vocazione al servizio è sempre vocazione a partecipare al ministero della salvezza in modo molto personale, ma anche oneroso e difficile» (Ibid.)
Mi si aprivano finalmente gli occhi
Malgrado gli sforzi di Padre Beyzym, le cure somministrate ai lebbrosi rimangono insufficienti. Egli progetta allora la costruzione di un ospedale. I Superiori lo approvano, a condizione che trovi i fondi necessari. Il missionario invia lettere in tutte le direzioni; certe vengono pubblicate dal bollettino polacco «Missioni cattoliche». Per parecchi anni, le offerte giungono. Dopo immense difficoltà, sormontate grazie ad una fiducia senza limiti nella divina Provvidenza, Padre Beyzym trova un terreno adeguato, a Marana, vicino a Fianarantsoa, in un luogo isolato e salubre, ma a circa 400 km. dal lazzaretto in cui risiede.
Una grande prova lo colpisce allora, poichè dovrà abbandonare i suoi lebbrosi di Ambahivoraka. Riesce ad ottener loro un posto presso l'ospizio governativo, ma non è senza timore per essi: «Lì, scrive, mi apparve in tutta la sua crudezza il pericolo morale cui tutti, ed in particolare i bambini, sarebbero stati esposti nell'ospizio ufficiale (700 lebbrosi, presi fra la feccia della società, sono rinchiusi a viva forza e sorvegliati giorno e notte dalla polizia)... Raccomandai tutti e ciascuno di loro alla nostra Madre Celeste, piangendo come un bambino. E dire che non potevo farci nulla!»
La partenza ha luogo nella sofferenza. Arrivato a destinazione, nell'ottobre del 1902, il missionario si mette all'opera, occupandosi in pari tempo di un nuovo gruppo di lebbrosi. Un giorno, si produce un evento inatteso: una donna e due uomini, lebbrosi, spossati da una lunga marcia, chiedono di incontrarlo. «Da dove venite?
Se volete esser ricevuti qui, bisogna che vi facciate visitare dal medico di Fianarantsoa e che torniate con un certificato. «Parli come se non ci conoscessi, dice la donna. – Ma certo, non vi conosco. – Ricordati di Ambahivoraka, e ci riconoscerai». Sentendo questo, mi sembrò che mi si aprissero finalmente gli occhi. Non avevo riconosciuto i miei protetti, prima di tutto perchè non li avevo visti da due anni, poi a causa del loro aspetto talmente miserabile, ed infine perchè non li supponevo in grado di compiere un viaggio tanto lungo.
Potete immaginarvi quanto mi battesse il cuore e quanto fossi felice del loro arrivo!... Quando, in capo ad alcuni giorni, i miei viaggiatori si furono un po' riposati, la coraggiosa donna si confessò e fece la Comunione; dopo di che, le diedi tutto quello che potei per il viaggio, la benedissi e la mandai a prendere il rimanente dei miei cari relitti». Alcune settimane dopo, gli ex ammalati di Ambahivoraka arrivano, l'uno dopo l'altro: «Li accolgo come se fossero i miei parenti più prossimi».
Ma come riceve queste gioie, Padre Beyzym riceve pure prove, che chiama schegge della Croce di Gesù. Certi trovano i suoi progetti troppo audaci e le loro obiezioni impressionano il vescovo locale che esita a concedere le necessarie autorizzazioni.
Inoltre, nelle sfere governative, si parla di laicizzare tutti gli ospizi. Ma la fiducia di Padre Beyzym nella protezione di Maria, Consolatrice degli afflitti, gli permette di resistere. Anche la preghiera di sant'Ignazio, che recita parecchie volte al giorno, lo aiuta molto: «Prendi, Signore, e accetta tutta la mia libertà, la mia memoria, la mia intelligenza, la mia volontà, tutto quello che ho, tutto quello che possiedo. Me l'hai dato tu, te lo restituisco. Tutto è tuo, disponi di tutto come ti pare. Dammi il tuo amore e la tua grazia, questo solo mi basta.»
Un rubinetto che fa paura
Infine, nel 1911, l'ospedale apre le porte. «Non è un'opera umana, scrive Padre Beyzym: l'Immacolata stessa ha fondato quest'ospedale e se ne occupa». L'immissione nel possesso avviene non senza un certo sgomento: «All'inizio, scrive, tutti i lebbrosi circolavano smarriti e disorientati... ecco che hanno, ad un tratto, un alloggio con un soffitto e un pavimento, letti con lenzuola, tavoli con cassetti, un'immagine della Vergine, ed un numero che segna il posto di ciascuno; e scodelle, bicchieri, lampade.
Si guardano l'un l'altro, stentando a crederci... Il primo giorno, facevano ridere, per via di mille ingenuità che mostravano quanto fossero ancora poco civilizzati. Quando suonò la campana della cena, si recarono sì nel refettorio, ma senza sapere cosa farci... Uno di essi apre un rubinetto, e siccome l'acqua arriva con una pressione forte, il mio nuovo civilizzato si spaventa: invece di chiudere il rubinetto, lo lascia aperto e scappa gridando aiuto!...»
Fortunatamente, «in capo a qualche giorno, il regolamento viene applicato, e la nostra casa assomiglia più ad un convento che ad un ospedale. Viene osservata la separazione degli uomini dalle donne, ed altresì il silenzio, a certe ore; non vi sono litigi, o, se viene pronunciata qualche parola mordace, si fa la pace immediatamente... Ciascuno lavora, per quanto glielo permette la salute; i canti e le risate sono all'ordine del giorno... Adesso, quasi tutti fanno quotidianamente la Comunione. Insomma, Dio voglia che questo duri, perchè l'ospedale è un isolotto di fede in mezzo al flusso di peccato che è il mondo. E non dovete credere che abbellisco la realtà: è la pura verità».
Verso i più abbandonati
Il nuovo ospedale, munito di tutti gli impianti sanitari necessari, conta 150 letti. Dedicato a Nostra Signora di Czstochowa, esiste ancora oggi e diffonde l'amore e la speranza che l'hanno fatto nascere. Esteriormente, sembra che Padre Beyzym sia legato per sempre al campo d'apostolato fra i lebbrosi di Madagascar. Ma, in fondo al cuore, gli rimane un'angoscia di salvezza delle anime che lo porta a rivolgersi a poveri ancor più abbandonati. Pensa ai condannati ai lavori forzati riuniti sull'isola di Sakhalin (nell'Estremo Oriente russo) e trascurati spiritualmente. Scrive al suo Superiore: «Da qualche tempo, il pensiero di Sakhalin mi ossessiona, e non posso togliermelo dalla mente. Da quel che ha visto e sentito, Reverendo, lei sa che numerosi infelici vi soffrono in modo atroce... Si potrebbe molto probabilmente soccorrere quegli sventurati».
In attesa della decisione che sarà presa in vista del nuovo apostolato, Padre Beyzym moltiplica catechismi e ritiri spirituali. Molto sensibile all'onore reso a Gesù nell'Eucaristia, indora l'altare ed il tabernacolo della cappella. Ma la sua salute si indebolisce.
Soffre d'arteriosclerosi ed ha il corpo coperto di piaghe. Un giorno, vinto da violente sofferenze, deve mettersi a letto. Un sacerdote, che è stato contagiato dalla lebbra al servizio dei lebbrosi, e che morirà lui medesimo nove giorni dopo, gli amministra gli ultimi Sacramenti.
Infine, il 2 ottobre 1912, Padre Beyzym esala l'ultimo respiro. Probabilmente, è morto per la spossatezza e non a causa della lebbra.
«Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo (Ef. 2, 4-5)... La Chiesa desidera annunciare instancabilmente questo messaggio... Il desiderio di portare la misericordia ai più indigenti ha condotto il Beato Jan Beyzym, Gesuita e grande missionario, sulla lontana isola di Madagascar, dove, per amore di Cristo, ha consacrato la vita ai lebbrosi... L'opera pia del beato era iscritta nella sua missione fondamentale: portare il Vangelo a coloro che non lo conoscono. Ecco il massimo dono della misericordia: condurre gli uomini a Cristo» (Giovanni Paolo II, omelia della beatificazione di Jan Beyzym, 18 agosto 2002). Se poche persone sono chiamate a servire i lebbrosi, dobbiamo tutti testimoniare concretamente della misericordia di Dio.
Per questo, «una «immaginazione della carità» è necessaria, continua il Papa; che l'immaginazione non venga meno lì dove una persona nella necessità supplica: Dacci oggi il nostro pane quotidiano! Grazie all'amore fraterno, che il pane non manchi mai! Beati i misericordiosi, perchè troveranno misericordia (Matt. 5, 7)».
Chiediamo alla Santissima Vergine Maria di fare di noi, seguendo le orme del Beato Jan Beyzym, dei missionari della misericordia di Dio nel mondo contemporaneo.
(Autore: Dom Antoine Marie osb - Fonte: Santa Sede)
Giaculatoria - Beato Giovanni Beyzym, pregate per noi.
*Beato Isidoro Bover Oliver - Sacerdote e Martire (2 Ottobre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli della Fraternità dei Sacerdoti Operai Diocesani del Cuore” - Senza Data (Celebrazioni singole)
“Martiri della Guerra di Spagna” - Senza Data (Celebrazioni singole)
Nacque a Vinaroz, provincia di Castellón, il 2 maggio 1890. Durante la sua formazione sacerdotale nel collegio di
San Giuseppe di Tortosa entrò nella Fraternità, il 12 agosto 1910.
Terminati gli studi e ordinato sacerdote 1'8 dicembre 1912, s'imbarco per il Messico, dove esercitò l'apostolato nei seminari di Cuernavaca, provvisoriamente collocato a Tacabaya.
Nell'ottobre 1914 dovette ritornare a Tortosa in Spagna, dove da allora visse stabilmente ad eccezione di due mesi di supplenza nel seminario di Almería, dedicandosi fino alla fine a dirigere la rivista vocazionale El Correo Josefino attraverso la quale continuò il suo lavoro a favore delle vocazioni in molti seminari.
Prigioniero nel carcere di Castellón fu fucilato a 46 anni fra le mura del cimitero del luogo, il 2 ottobre 1936.
Martirologio Romano: Vicino a Castellón de la Plana sulla costa spagnola, Beati Francesco Carceller, dell’Ordine dei Chierici regolari delle Scuole Pie, e Isidoro Bover Oliver, della Società dei sacerdoti operai diocesani, sacerdoti e martiri: durante la persecuzione, portarono a termine il loro martirio fucilati in odio al sacerdozio davanti al muro del cimitero.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Isidoro Bover Oliver, pregate per noi.
*Beato José Fuentes Ballesteros - Sacerdote e Martire (2 Ottobre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" - Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" - Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Mojácar, Spagna, 2 novembre 1887 – Los Gallardos, Spagna, 2 ottobre 1936
José Fuentes Ballesteros nacque a Mojácar, in provincia e diocesi di Almería, il 13 maggio 1885.
Il 4 giugno 1909 fu ordinato sacerdote.
Era coadiutore della parrocchia di Lubrín quando morì in odio alla fede cattolica, alcuni minuti prima di suo fratello don Antonio, il 2 ottobre 1936, a Los Gallardos, in provincia di Almería.
Don José e don Antonio, inseriti in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, sono stati beatificati ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Josè Fuentes Ballesteros, pregate per noi.
*San Leodegario di Autun - Vescovo (2 Ottobre)
Alsazia (Francia)? - Artois (Francia), 2-3 ottobre 677-680
Diacono a Poitiers, lavorò all'amministrazione diocesana. Successivamente fu ordinato sacerdote. Decise di entrare come monaco nell'abbazia di Maxentius nel 650. Nel 651 divenne abate, carica che mantenne per sei anni e durante la quale pose l'abbazia sotto la Regola di San Benedetto.
Nel 656 divenne consigliere della regina Santa Bathild e tutore dei suoi figli. Nel 663 diventa vescovo riformatore di Autun nel 663.
Durante il suo episcopato ha combattuto contro il manicheismo, ha riformato il clero secolare, ha rafforzato la disciplina delle case religiose, ha adottato il Credo di san Atanasio e ha promosso l'amministrazione dei sacramenti, specialmente del battesimo.
Il suo operato e il suo appoggio a Childerico opposto a Ebroin nella successione al trono di Francia, gli hanno inimicato molti potenti.
Esiliato a Luxeuil nel 675, ritornato a Autun su richiesta di Teodorico III dopo la morte di Childerico.
Quando la città venne attaccata, Leodegario concordò una resa per evitare la distruzione della città. Caduto nelle mani di Ebroin, venne accecato e le sue labbra e la sua lingua tagliate.
Poco tempo dopo lo Ebroin lo accusò di aver istigato l'assassinio di Childerico, lo arrestò e lo imprigionò per due anni nel monastero di Fecamp in Normandia, dove venne regolarmente torturato, quindi storpiato, e alla fine assassinato nei boschi di Sarcing nella Somma nel 678.
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Nell’odierna Saint-Léger nel territorio di Arras, nella Francia settentrionale, passione di San Leodegario, vescovo di Autun, che, dopo molte torture e l’accecamento, fu ingiustamente ucciso da Ebroíno maggiordomo di corte del re Teodorico.
Con lui si venera la memoria di suo fratello san Gerino, martire, che, due anni prima, sempre per ordine di Ebroíno, morì lapidato.
Il nome Leodegario indica l’appartenenza al popolo germanico dei Franchi, che col re Clodoveo hanno conquistato la Gallia nel VI secolo, dandole il loro nome: Francia. Poi i nomi germanici si modellano via via sulle parlate locali, e per i francesi Leodegario diventa Léger.
Di potente famiglia alsaziana, studia a Poitiers, dove il vescovo è suo zio; e poi senza gran fatica diventa arcidiacono, abate di un monastero, e dopo il 660 vescovo di Autun, una città di Borgogna nota in epoca romana come Augustodunum.
Ora appartiene al regno franco di Neustria (Nord-Ovest e Borgogna) che è spesso in lotta con quello di Austrasia (Alsazia, Lorena, parte del Belgio).
Ad Autun, Leodegario riporta l’ordine nel clero, indice un concilio, dà ai monaci la regola di san Benedetto. E con le ricchezze di famiglia può aiutare i poveri.
Buon vescovo, insomma. Se potesse fare solo quello, ma sono tempi di lotta brutale tra i due regni e all’interno di ciascuno, con i re ormai esautorati dai loro primi ministri, i “maestri di palazzo”. Leodegario è ascoltato consigliere di Bathilde, regina vedova di Neustria, reggente per il figlio minorenne. E si scontra col “maestro di palazzo” Ebroino, che tratta duramente i Borgognoni.
Lui invece li difende (sono la sua gente) e sembra avere la meglio, perché nel 673 Ebroino perde il posto, viene confinato in un monastero a Luxeuil, e lui diventa il numero uno col nuovo re Childerico II. Ma dura poco.
Il sovrano dapprima si fida di lui, poi per motivi non chiari lo priva di ogni potere, mandando anche lui in monastero a Luxeuil, dove c’è il suo nemico Ebroino.
Non è finita. Morto re Childerico nel 675 (assassinato), Leodegario ed Ebroino tornano liberi. Ma il primo va ad Autun, sua diocesi. E qui più tardi verranno a prenderlo i soldati di Ebroino, che è tornato potente col nuovo re Teodorico III (Thierry). Lui si consegna, per proteggere la sua città assediata.
E morirà decapitato in un bosco, nell’ottobre di un anno imprecisato.
Ma già prima affronta molte “morti”. Ebroino lo fa trascinare nudo per le strade. Poi lo fa accecare. Costringe un gruppo di ecclesiastici a dichiararlo pastore indegno, e così c’è il pretesto per ucciderlo. Intanto gli fa tagliare la lingua, poi le labbra. E pare che lui, così mutilato, sia riuscito ancora a far giungere un messaggio a sua madre.
Questa “passione e morte” gli danno subito una popolarità immensa, documentata dal gran numero di luoghi, paesi, chiese, parrocchie, che porteranno il suo nome: Saint-Léger; e questo culto immediato sarà poi ratificato canonicamente.
Verso il 682 i suoi resti verranno deposti nel monastero di St. Maixent, presso Niort, e vi ritorneranno intorno al 930, dopo essere stati nascosti altrove al tempo delle incursioni normanne. San Leodegario è venerato anche come patrono dei mugnai.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Leodegario di Autun, pregate per noi.
*Beati Ludovico e Lucia, sposi, con i figli Andrea e Francesco Yakisci - Martiri (2 Ottobre)
Scheda del gruppo a cui appartengono:
“Beati Martiri Giapponesi” Beatificati nel 1867-1989-2008
+ Nagasaki, Giappone, 2 ottobre 1622
I Beati coniugi Ludovico e Lucia Yakichi ed i loro figli Andrea e Francesco, famiglia della diocesi di Funai, patirono la morte per Cristo in Giappone, loro patria.
I due fanciulli furono decapitati assieme alla madre dinanzi al padre, e questi venne infine bruciato vivo.
Ciò avvenne il 2 ottobre 1622 a Nagasaki, città giapponese della quale erano nativi. I due figli erano nati rispettivamente nel 1615 e nel 1619, mentre dei genitori non si conoscono le date.
Il sommo pontefice Beato Pio IX beatificò questa intera famiglia il 7 maggio 1867, insieme con un gruppo complessivo di ben 205 martiri in terra giapponese, tra cui altre 15 coppie di sposi, tutte della medesima nazionalità.
Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, Beati Ludovico Yakichi e Lucia, coniugi, e i loro figli Andrea e Francesco, martiri, che affrontarono la morte per Cristo: i ragazzi e la madre decapitati davanti al padre e questi, infine, arso vivo.
I Beati coniugi Luigi e Lucia Yakisci ed i loro figli Andrea e Francesco, famiglia della diocesi di Funai, patirono la morte per Cristo in Giappone, loro patria.
I due fanciulli furono decapitati assieme alla madre dinanzi al padre, e questi venne infine bruciato vivo. Ciò avvenne il 2 ottobre 1622 a Nagasaki, città giapponese della quale erano nativi.
I due figli erano nati rispettivamente nel 1615 e nel 1619, mentre dei genitori non si conoscono le date. É facilmente comprensibile che purtroppo non siano state tramandate dettagliate informazioni sul loro conto, come d’altronde sin dai tempi antichi l’effusione del sangue in odio alla fede cristiana è sempre stata considerata l’espressione massima della santità di una persona. Cerchiamo comunque di ricostruire la trama della loro vicenda di martirio.
I cristiani di Nagasaki nel 1622 avevano escogitato un piano per liberare il missionario Luigi Florès, detenuto nelle carceri di Firando.
Per compiere l’ardua impresa fu incaricato proprio Luigi Yakisci, uomo assai furbo ed astuto, che con la sua piccola imbarcazione riuscì ad eludere la sorveglianza delle guardie e liberare Padre Florès.
La fuga venne però subito scoperta e le guardie, dotate di mezzi più veloci, raggiunsero velocemente la precaria imbarcazione dello Yakisci e ricondussero in carcere i due fuggitivi.
Luigi fu sottoposto a svariati interrogatori da parte dei magistrati, interessati a scoprire i nomi degli organizzatori del complotto. Fu sottoposto a cotanti supplizi tali da rendere il suo corpo irriconoscibile, ma tutte queste torture non giunsero a fiaccare il suo animo.
Mai rivelò nulla di ciò che gli venne richiesto anche quando si prospettò la minaccia di morte anche per i suoi più stretti familiari. Tutti e quattro rifiutarono la libertà in cambio della rinuncia alla fede in Cristo ed al magistrato non restò che prenderne atto e condannare al martirio l’eroica famiglia.
La moglie ed i due bambini furono decapitati dinnanzi al padre, che invece subì il supplizio del fuoco lento. Il sommo pontefice Beato Pio IX beatificò questa intera famiglia il 7 maggio 1867, insieme con un gruppo complessivo di ben 205 martiri in terra giapponese, tra cui altre 15 coppie di sposi, tutte della medesima nazionalità.
Ne consegue che sino ad oggi il Giappone è la nazione che ha donato alla Chiesa universale il maggior numero di modelli di santità vissuta nello stato coniugale.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Ludovico e Lucia, sposi, con i figli Andrea e Francesco Yakisci, pregate per noi.
*Beata Maria Antonina (Maria Anna) Kratochwil - Vergine e Martire (2 Ottobre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”
Ostrava-Vitcovice, Repubblica Ceca, 21 agosto 1881 – Stanislawów, Polonia, 2 ottobre 1942
La Beata Maria Antonina (al secolo Maria Anna Kratochwil), professa della Congregazione delle Suore Scolastiche di Nostra Signora, nacque a Ostrava-Vitcovice (Moravia), oggi Repubblica Ceca, il 21 agosto 1881 e morì a Stanislawów, Polonia, il 2 ottobre 1942.
Fu beatificata da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.
Martirologio Romano: Nella città di Stanislawów in Polonia, Beata Maria Antonina Kratochwil, vergine della Congregazione delle Suore Scolastiche di Nostra Signora e martire, che, durante la guerra, fu per la sua fede messa in carcere, dove morì sotto tortura per Cristo Sposo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Antonina Kratochwil, pregate per noi.
*Beata Maria Guadalupe (Maria Francesca) Ricart Olmos - Vergine e Martire (2 Ottobre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia" - Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”
Albal, Spagna, 23 febbraio 1881 – Silla, Spagna, 2 ottobre 1936
Martirologio Romano: Nel villaggio di Silla vicino a Valencia ancora in Spagna, Beata Maria Guadalupe (Maria Francesca) Ricart Olmos, religiosa dell’Ordine dei Servi di Maria e martire, che sempre nella medesima persecuzione fu coronata dal martirio per aver testimoniato Cristo.
Maria Francesca Ricart Olmos nacque in Spagna presso Albal il 23 febbraio 1881 da Francesco Ricart e Maria Olmos Dalman, seconda di quattro fratelli di cui due maschi e due femmine. Malgrado la natura espansiva, esuberante, la giovane notava in se stessa una particolare inclinazione alla vita contemplativa: “Le piaceva tanto pregare Gesù da sola, il rimanere del tempo assieme a lui per dirGli le tante cose che rifluivano nel suo spirito a contatto con le vicissitudini di ogni giorno. Gesù era perciò il suo amico segreto, quello al quale si poteva dire tutto e dal quale ci si sentiva ascoltati e capiti”.
L’11 luglio 1896, all’età di soli quindici anni, entrò nel monastero delle Serve di Maria del “Pie de la Cruz” presso Valenza. Nell’entrare in convento Maria Francesca si rese conto della scelta compiuta, come ella stessa ebbe ad affermare: “So molto bene ciò che sto facendo, perché mi chiama Gesù”. Nella sua decisa risposta alla vocazione sono racchiuse quella chiarezza d’idee e quella determinazione che costituiranno poi alcune delle caratteristiche della sua fisionomia spirituale. Con la vestizione dell’abito religioso assunse il nome di Suor Maria Guadalupe e fece la professione solenne il 19 giugno 1900.
Maria Guadalupe ricoprì vari incarichi in ambito comunitario ed in particolare fra gli anni 1931 e 1934 fu priora del monastero. Nei due trienni 1928-1931 e 1934-1937 le fu affidato il compito di maestra delle novizie, ma non poté portare a termine il secondo mandato interrotto dal martirio. C’era qualcosa che in certo modo poteva contraddistinguere la vita di Suor Maria Guadalupe?
Le testimonianze sono unanimi nel presentare tre caratteristiche di fondo che contraddistinsero la vita di questa religiosa: l’umiltà, l’amore alla Passione di Gesù e la devozione alla Vergine Addolorata”.
Negli anni ’30 del XX secolo in Spagna scoppiò una sanguinosa guerra civile, accompagnata dalla persecuzione nei confronti della Chiesa: sacerdoti, religiosi e religiose dovettero abbandonare le loro abitazioni, e seppur con molto dispiacere anche Suor Maria Guadalupe lasciò il monastero, pronta comunque ad offrirsi vittima per Cristo. In un primo, nel 1936, si trasferì nell’abitazione della nipote, ma il soggiorno presso di lei durò soli otto giorni, poiché essendo la nipote incinta e giungendo ogni giorno notizie delle tante atrocità perpetrate dai rivoluzionari, la religiosa ritenne opportuno lasciare la casa per evitare dannosi spaventi alla madre incinta. Così dalla fine di luglio si rifugiò definitivamente dalla sorella Filomena, che testimoniò:
Il 2 ottobre 1936, in casa mia, a Via delle Torre n. 12 all’alba tra l’una e le due. Mio marito dormiva ed io vegliavo seduta in una poltrona, perché aspettavo sempre qualche cosa di sgradevole; intesi per due o tre volte bussare alla finestra e infine una voce che diceva: “apri Giuseppe, siamo noi, abbiamo bisogno di entrare”. Erano quattro, tutti armati. Uno rimase alla porta, uno dentro casa e gli altri due, portando in mezzo a loro mio marito, perquisirono tutti gli angoli, in cerca di armi che non esistevano. Nel rendersi conto di questo movimento, mia sorella, che stava in camera sua, uscì fuori, portando in mano libri di preghiere e vestita da secolare.
Quando si presentavano i due che andavano cercando armi, perquisirono la camera di mia sorella e trovarono uno scapolare della Madonna del Carmine; rivolgendosi a mio marito, gli dissero: “non sa che questo è un pericolo?”, e poi a mia sorella: “lei è monaca?” ed essa rispose: “sono monaca e se nascessi mille volte, lo sarei e del Pie de la Cruz”. “Abbiamo bisogno che venga con noi”, dissero; e senza alcuna resistenza mia sorella disse: “andiamo pure”. Fu inutile che mio marito volesse sostituirla per le dichiarazioni che dovevano chiederle. Si diresse alla vettura, dove c’erano già due religiose Francescane del monastero della Trinità, sorelle di sangue, native di Albal. Quando salì sulla vettura, mia sorella ringraziò mio marito per tutto quello che aveva fatto; io l’abbracciai per salutarla, mentre lei si mostrava tranquilla e serena.
Felici per aver finalmente messe la mani sulla preda, i miliziani rossi non mancarono di rivolgere al cognato della Guadalupe, padrone di casa, avvertimenti pesanti sul pericolo costituito dal tenere presso di sé una monaca e delle effigi religiose quali gli scapolari. Durante l’ultimo viaggio, Maria Guadalupe disse: “Io, per me, avrei paura, ma siccome non confido in me ma in Dio, se Lui mi vuole martire, mi darò tutto il necessario per esserlo”.
Prelevata da casa verso le due di notte del 2 ottobre 1936, la sua fine cruenta avvenne due ore dopo circa. Gli spari che posero fine alla sua vita furono uditi verso le quattro del mattino. Prima di quel momento furono commesse delle atrocità sulle vittime che una testimone, tale Matilde Romeu, si vergognò ed ebbe orrore di riferire. Le spoglie mortali di Suor Maria Guadalupe, inizialmente sepolti in una fossa comune, dopo la guerra civile il 2 marzo 1940 vennero traslati al monastero di Valenza.
Parecchi anni ci separano ormai da quella tremenda notte, ma “il ricordo di Maria Guadalupe riempie l’animo di ammirazione e ci invita a raccoglierci in preghiera… per ottenere la grazie di vivere anche noi, come lei, l’intima unione con Dio nella fedeltà alla propria vocazione e nella disponibilità a essere totalmente abbandonati alla volontà divina, come seppe fare lei quella notte, su quella strada, immolandosi con gioia per onorare il suo Amore”.
Il 24 gennaio 1958 inizio il processo di beatificazione e l’11 marzo 2001 Maria Guadalupe Ricart Olmos fu finalmente proclamata “Beata” da Papa Giovanni Paolo II, insieme con altri 232 martiri caduti nelle medesime circostanze.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Guadalupe Ricart Olmos, pregate per noi.
*San Modesto - Diacono e Martire (2 Ottobre)
Secondo la Passio di San Modesto, non documentata però, era un diacono originario della Sardegna morto per la fede sotto Diocleziano.
Una leggenda sostiene che le reliquie furono trasferite a Benevento, nella chiesa che porta il suo nome, se nonché il 27 luglio del 1480 il suo corpo fu rinvenuto sotto l’altare maggiore della basilica di Montevergine insieme ai corpi di altri santi tra cui San Gennaro, che fu poi portato a Napoli.
Il corpo di san Modesto al presente, è venerato in uno scrigno prezioso nella cripta di Montevergine dove gli è dedicato anche un altare.
Alcune sue reliquie si trovano sotto l’altar maggiore di Santa Maria Maggiore di Mirabella Eclano.
La festa del santo ricorre il 2 ottobre, ma ci sono molte altre date di culto a livello locale.
(Autore: Francesco Roccia – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Modesto, pregate per noi.
*Beato Szilárd István Bogdánffy - Vescovo e Martire (2 Ottobre)
Crna Bara, Serbia, 11 febbraio 1911 – Nagyenyed, Romania, 2 ottobre 1953
Vescovo di Oradea Mare dei Latini. Martire sotto il regime comunista. Beatificato il 30 ottobre 2010.
Salvò molti ebrei dallo sterminio nazista e poi, in nome della libertà religiosa, sfidò il regime comunista, il vescovo martire romeno Szilard Bogdanffy, beatificato nella cattedrale latina di Oradea, in Romania, per decisione di Benedetto XVI.
A presiedere la cerimonia è stato il Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, Monsignor Angelo Amato. "Se prima la grande tentazione era dovuta alla durezza della persecuzione - ha affermato il porporato - oggi, piuttosto, la quasi impercettibile complicatezza della vita, la distrazione e una certa misteriosa stanchezza interiore sono gli ostacoli che impediscono di terminare con lo slancio dell'amore quella corsa verso l'eterna felicità della quale parla San Paolo.
É come se una certa melanconia opprimesse i nostri cuori.
Eppure, come oggi la testimonianza dei martiri risuona e risplende di nuovo dal silenzio e dal buio della paura, così è con noi anche quella forza della fede che può darci speranza e avvenire".
La beatificazione di Bogdanffy, ha sottolineato Amato, "rompe il silenzio di molti decenni e inaugura con la maestà e la forza misteriosa della liturgia il culto pubblico di quei numerosi testimoni, che hanno sofferto come martiri o confessori per la verità di Cristo e della Chiesa".
Bogdanffy venne consacrato vescovo di Nagyvrad dei Latini il 14 febbraio 1949, nella Nunziatura di Bucarest. Le autorità reagirono tempestivamente e un mese e mezzo dopo la sua consacrazione, il 5 aprile, venne arrestato. Ecco il motivo: l'adesione fedele a Cristo, alla Chiesa e al Papa. Per questo ha accettato, con amore generoso, anche la morte. L'Arcivescovo Patrick O'Hara lo disse già nella Nunziatura, durante la consacrazione: "Szilard, fratello mio, io ti consacro vescovo per il martirio".
L'Arcivescovo Amato ha poi indicato il Beato come sacerdote, educatore e martire esemplare. "Emblematico - ha notato tra l'altro - è il suo gesto di nascondere alcuni ebrei nel seminario di Nagyvrad, dissimulando la loro identità, per sottrarli a morte certa".
Terminata la guerra, la Romania fu fortemente condizionata dalla campagna negativa scatenata dal regime comunista contro la Chiesa.
Bogdanffy nel 1949 venne arrestato e fu prima destinato ai lavori forzati in una miniera di piombo, quindi in un campo di sterminio presso il Mar Nero. Si ammalò di polmonite e, privato intenzionalmente delle necessarie cure e medicine, morì il 2 ottobre 1953.
(Fonte: www.papanews.it)
Giaculatoria - Beato Szilàrd Istvàn Bogdànffy, pregate per noi.
*San Teofilo di Bulgaria - Monaco (2 Ottobre)
Sec. VIII
Martirologio Romano: A Costantinopoli, commemorazione di San Teofilo, monaco, che per aver difeso le sacre immagini fu crudelmente fustigato e mandato in esilio da Leone l’Isaurico.
Il nome di Teofilo è tra i più belli: significa " Amico di Dio ". Perciò nel Calendario cristiano molti sono i Santi e i Beati col nome di Teofilo.
Quello di oggi è un monaco, non soltanto amico di Dio, ma anche amico dell'arte. S'intende dell'arte sacra, che fu messa in pericolo, a Costantinopoli, nell'VIII secolo, a causa del decreto di Leone III l'Isaurico.
Già abbiamo più volte accennato ai cosiddetti " Iconoclasti " che, in italiano, potrebbero esser chiamati " spezza immagini ".
La preoccupazione che l'arte cristiana potesse dar luogo ad una nuova idolatria, aveva più volte spinto alcuni Vescovi a frenare una certa tendenza devozionale verso le immagini sacre.
Senonché il Papa Gregorio Magno, con la sua bellissima e opportuna lettera, aveva già messo in guardia dall'eccesso di zelo da parte di coloro che per evitare la ricaduta nell'idolatria avevano addirittura bandito le immagini dalle chiese.
Egli, con paterna sollecitudine, vedeva nell'Arte sacra un mezzo per istruire e per edificare il popolo cristiano non in condizione di possedere o di leggere libri.
Ma alla Corte di Costantinopoli, sotto l'influsso della cultura araba, alcuni intellettuali dell’Università imperiale indussero Leone III l’ Isaurico a prendere una posizione, che non spettava a lui, contraria all'arte religiosa.
Egli ordinò, come primo atto contro le immagini, d'abbattere la statua del Cristo che s'alzava nell'atrio del Palazzo imperiale.
Contro il suo editto si levò il patriarca di Costantinopoli, il quale fece ricorso a Roma. Il Papa Gregorio Il condannò immediatamente l'iconoclastia. Qualche Vescovo orientale, invece di obbedire al Papa, si mostrò ossequiente agli editti Imperiali, ma i Monaci furono tutti col Papa contro l'Imperatore.
Questo, non solo per il loro spirito di obbedienza, ma per il fatto che, vivendo a contatto con il popolo, ne conoscevano i bisogni e i sentimenti.
Ed ora proprio per il popolo che gli artisti, sotto la dettatura dei monaci, si sforzavano di rappresentare sensibilmente ciò che si sapeva ineffabile.
Le figurazioni dell'arte, per simboli e per allegorie, dovevano suggerire idee e sentimenti; non costituire realtà mitiche.
L'arte era poi un potente sussidio dell'apostolato: formava una specie di predicazione per immagini, che tutti potevano comprendere e ritenere. Perciò i monaci sfidarono le ire dell'Imperatore, rifiutando di spezzare le immagini. Furono incarcerati, vennero esiliati, subirono persecuzioni e supplizi.
A molti furono mozzati gli orecchi, ad altri venne tagliato il naso, ad altri la lingua. Chi fu accecato, chi fu mutilato. Nel migliore dei casi, moltissimi monaci ebbero bruciate le lunghe barbe!
San Teofilo, di cui oggi si ricordano le benemerenze verso la fede e l'arte, subì la fustigazione e fu chiuso in un carcere.
Alla fine venne esiliato, e in esilio morì. In un esilio che fu la sua vera patria, perché gli valse la gloria di quegli altari che gli Imperatori bizantini non riuscirono a rendere squallidi e sui quali, dopo l'inutile persecuzione, tornò a trionfare l'arte, maestra degl'indotti e consolatrice dei poveri.
(Fonte: Archivio della Parrocchia)
Giaculatoria - San Teofilo di Bulgaria, pregate per noi.
*Sant'Ursicino di Coira - Vescovo (2 Ottobre)
Martirologio Romano: Nel territorio dell’odierna Svizzera, Sant’Ursicino, vescovo di Coira e primo abate del monastero di Disentis da lui fondato.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ursicino di Coira, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (2 Ottobre)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.


