Vai ai contenuti

1923 Maiori

Sr.Domenicane > Case in Italia

*1923 Maiori (Salerno)
(Suore Domenicane Istituto "Santa Maria" Corso Reginna, 95 - 84010 Maiori (SA) tel. 089/877205 e-mail: suoredomenicane.maiori@virgilio.it
6ªFondazione: Istituto "S. Maria", aprì il 16 luglio 1923 e nacque come scuola materna, ricamo e cucito. Oggi vi sono scuole materne ed elementari ed è anche la sede del Capitolo Generale.
Le origini del Monastero
"Il 16 luglio del 1923, il silenzio dell’antico convento, ormai solitario, viene interrotto e vi si inizia una nuova vita di preghiera e do operosità. Le nostre Suore fondatrici, accompagnate dalla Rev.ma Priora di Pompei e dalla Madre Economa, dopo aver ricevuto la benedizione con la corona del Rosario dal Beato fondatore, Bartolo Longo, si inseriscono nell’ala del monastero che il Comitato aveva sommariamente resa abitabile".
Egli è indubitato, che lo spirito religioso degli antichi abitatori di Maiori era comune a tutte le classi de’ cittadini, e tutte ne davan prove con opere apparenti; fondando ivi tante antiche chiese, edicole, monisteri, ospedali ed altre insigni opere di pietà cristiana.
Quivi i ricchi si spogliavano chi per edificare templi sacri e chi per impinguare la lor insigne Collegiata, i Canonici ed i Curati, di prebende e di beneficj competenti; ed i non ricchi, avendo a
cuore la salvezza delle anime loro, lasciavano alle chiese copiosi legati di messe “pro redemptione animarum suarum”.
Siffatto religioso zelo ed entusiasmo, ispirò nell’animo del Dottor fisico Luca Staibano, il pio divisamento di dar mano alla fondazione di un ritiro muliebre di religiose francescane, sotto il titolo della “Pietà”.
Ma venutone trattenuto nell’esecuzuione a causa d’infermità sopraggiuntagli, lasciò nel suo testamento (rogato al 27 settembre 1515) affidato al Comune di Maiori l’affettuazione di tale suo pio desiderio, e così disponendo; “Item, io predetto messer Luca Staibano lasso tutto et integro edificio di case con giardino, sito et posto in la Terra di Majuro, et proprie in contrata S. Joannis de Campulo subtus et supra cum apothecis, iuxta bona quod Antonelli de Ponte,  viam vicinalem, iuxta viam publicam, et alios confines; Universitati Terrae Maiori etc.
Ita quod Universitatis ipsa teneatur suis sumptibus et expensis ordinare, costruire, facere Monasterium de dicto edificio de Donne de l’ordine di S. Francesco de Observantia ecc.”  (Camera, M.Memorie storico-diplomatiche… op. cit. 513-514, vol.II).
L’origine della casa risale al 1515, più precisamente al 27 settembre di quell’anno, quando cioè Luca Stajbano scrisse nelle volonUna veduta del Monastero in un'antica Cartolina.tà testamentarie di voler lasciare tutto, casa e giardino in terra di Maiori a favore del progetto di fondare un Monastero di monache clarisse francescane, “dopo la morte di Carmosina sua sorella, in termini di anni due, et quando in detto termine la Università non lo facesse, che sia dell’Erede”.
Più in particolare, “Il dottor medico Luca Staibano, con mistico testamento, consegnato al notajo Giovan-Luise Cinnamo, pur majorese, nel dì  27 settembre 1515, e per la seguita morte pubblicato ai 2 ottobre dell’anno medesimo, legò alla università di essa città, una tenuta di case, botteghe e
giardini, sita ivi di fronte alla chiesa di San Giovanni in Campolo; a condizione che fra due anni, a contare dal decesso della di lui sorella Carmosina, cui degli anzidetti fondi riservò l’usufrutto, a sue spese, la legataria vi fondasse un monastero di donne nobili, dell’ordine di San Francesco “Observàntino”; in cui avrebbero diritto di professare senza dote, le discendenti da Gerbino Staibano, e di essere preferite al badessato”.
L’anno successivo, il 1° giugno, il sindaco ser Vincenzo Mardina”stipulò coll’erede del testatore, e cogli altri allora in vita nipoti di Gerbino, la esecuzione del legato: ed appena trapassata la usufruttuaria, la Università diè mano all’opera, e la completò nel 1520”.
Ma il Camera scrive: “Più tardi, al cominciar del mese di ottobre 1519, fu dato mano alla fabbrica, con disegno, e direzione del capo maestro muratore Onorato De Marino di Cava, la quale fu poi del tutto compiuta nell’anno 1530.
Ma un secolo dopo il locale ebbe a patire grave danno per un incendio casualmente ivi avvenuto nell’anno 1670 – In tale accidente, andarono consumati dalle fiamme un gran quantitativo di vasi sacri di argento, con altre ricche suppellettili appartenenti  all’insigne Collegiata, che precedentemente, a causa che quella prevostale chiesa stavansi allora restaurando.
Come si può chiaramente notare vi è una discordanza di date in merito all’inizio e fine dei lavori di costruzione del monastero nei due autori: Camera e Cerasuoli. Il primo afferma che l’opera fu costruita dai primi di ottobre del 1519 all’anno 1530; mentre F. Cerasuoli ritiene che fu completata nel 1520 ed iniziata dopo la morte di Carmosina, della quale non riporta la data del decesso.
Il Cerasuoli annota, per chiarire un frainteso che andava diffondendosi forse all’epoca passata, che a Luca Staibano non si deve la costruzione del monastero perché il buon medico dispose che i beni da lui lasciati fossero destinati alla costruzione dello stesso e di ciò veniva incaricata la Università. Infatti ciò lo dimostra il titolo di fondazione che segue tratto integralmente dal testo di Cerasuoli e riportato con la lettera “Q” nella sezione “documenti”.
(Autore: Mario Rosario Avellino)

*Responsabile della Comunità di Maiori
Madre Anselma German
Comunità di Maiori

Attività delle Suore della Comunità di Maiori
Come già all’ inizio della fondazione, anno 1923 - 16 luglio,  le Suore sono presenti nel Consiglio Pastorale della Parrocchia e nella Catechesi ai fanciulli che vengono accolti nella nostra casa.
News da Maiori
Un Santo Peruviano a Maiori
“Martino della carità” l’immagine dell’umiltà e dell’amore di Dio in un quadro raffigurante San Martino de Porres.
Nel giorno della commemorazione liturgica di San Martino De Porres, la sera del 3 novembre durante la Celebrazione Eucaristica delle ore 18,00, presso la Collegiata di Maiori, è stato donato alle Suore Domenicane di Pompei un quadro raffigurante il santo peruviano, anch’egli domenicano e considerato il primo santo di colore della chiesa cattolica. Patrono dei barbieri e dei parrucchieri e, in Perù, della giustizia sociale.
San Martino nacque a Lima il 9 dicembre del 1579. Era figlio di un nobile spagnolo e di una ex schiava di origine africana, ma il padre non si curò mai di lui: solo la madre cercò di impartirgli un minimo di educazione.
Da giovane, per guadagnare un po’ di soldi, Martino lavorò come garzone presso un barbiere, dal quale apprese anche alcune nozioni di chiLa Comunità di Maiori riceve dal Sig. Mauro Palertta il quadro di San Martino.rurgia che gli permisero, in seguito, di diventare un bravo infermiere.
Devoto dell’Eucarestia e desideroso di consacrare la sua esistenza a Dio, entrò a far parte dell’Ordine Domenicano.
Dedicò la vita ai poveri che aiutava, curava e per i quali aveva sempre una parola di speranza.
Morì a Lima nel 1639. L’esistenza umile e semplice di San Martino de Porres, costellata da molteplici miracoli, caratterizzata da doni di grazia e santità, da virtù come la bilocazione, la profezia, la carità cristiana e le scienze infuse, è stata raccontata anche agli alunni della Scuola dell’Infanzia e Primaria di Maiori dell’Istituto delle Suore Domenicane di Pompei.
La mattina del quattro novembre, dinanzi al quadro del santo collocato presso l’altare, all’interno della Chiesa delle suore, i discenti hanno ascoltato le parole del signor Mauro Paletta, promotore della devozione verso il santo. Egli ha raccontato agli alunni alcuni aneddoti relativi alla vita, ai miracoli e al pensiero di San Martino.
È stato spiegato il significato dei molteplici simboli che nel quadro circondano la fi gura del santo, come la colomba, emblema della pace, la presenza del cane, del gatto e del topo che egli chiamava frateGli alunni della Scuola Primaria delle Suore Domenicane intorno al quadro.lli o del giglio simbolo di purezza.
Tutti siamo stati invitati a riflettere sulla figura del giovane mulatto di Lima, che ha scelto di seguire l’esempio di Gesù, di amare i poveri incondizionatamente, proprio come avrebbe fatto il Figlio di Dio, di vivere umilmente scegliendo sempre il bene, la verità, il giusto, nutrendosi sempre e soltanto dell’amore di Nostro Signore. Dopo un momento di preghiera, gli alunni silenziosi e pensierosi sono ritornati nelle classi, al loro lavoro, arricchiti di una nuova conoscenza e testimoni del cammino di fede ed umiltà di un Santo chiamato “Martino della carità”.
(Autore: Olga Pero)

Attualmente le Suore appartenenti alla comunità sono:





Sr. Maria Agnese Pullamplavil IND
Sr.Maria
Elisabetta De Feo
Sr. Maria Emanuela M. Minquito PHPH
Sr. Maria Glenda Delos Reyes PH
Sr. Maria Leonida Garzia PH



Sr. M.
Michela Saima RI
Sr. Maria
Pasqualina Battaglia

Sr. Maria Sibi Palliparambil IND
Sr. Maria
Laisa RI
Sr. Maria

Sr. Maria
xxx

*Titoli di fondazione del Monastero delle Clarisse
Da cui consta, che ne fu fondatrice la Università
In Dei nomine, Amen – Die XXVII mensis Septembris,quartae Indictionis 1515. Majori – Testamentun clausum eximij et excellentis domini Luce Staybani de Majoro, quod valere voluit etc. – Et quia caput et principium cujuslibet testamenti ac dispositionis est eredi institutio, propterea etc. (Tra i molti legati)
Item lo predetto messer Luca Staybano lassa tutto integro lo hospitio di case e Jardini sito e posto in la Terra di majori, et proprio in contrada S. Joannis de Campulo suptus et supra cum Apotecis, juxta bona Nicolai Cimmini, juxta bona heredum quomdam Antonelli de Ponte, juxta viam vicinalem, juxta viam publicam, et alios confines, Universitati terre Majori, me Notario etc. ut insuper Universitas ipsa teneatur suis sumptibus, et expensis, ordinare, construere, et facere Monasterium de dicto edificio, de Donne de lo ordine di S. Francesco observantino, dopo la morte di Carmosina sua sorella, in termini di anni due, et quando in detto termine la Università non lo facesse, che sia dell’Erede.  
Verum che durante la vita de detta Carmosina sia usufruttuaria de detti Case, Jardini, et Apoteghe, et non ne possa essere ammossa.
Cum declaratione, che essendo alcuna persona de Casa Staybano, lo quale fosse de famiglia, possa entrare in detto Monasterio a farese Monaca, senza pagare cos’alcuna, et vacando lo loco de lo abbatessato, et essendoce donna Monaca in detto Monasterio de Casa Staybano, se debba creare Abbatessa detta donna, senza contrarietà de le Monache, et Università, ita che eligendosi altra Abbatessa, non censeatur Abbatessa sub Maledictione Eterna.
“Dagli originali rogiti di not. Gio Luise Cinnamo di Majori, protoc. 1515 – 1516. Fol. 10 e 150, che da noi si conserva; dei quali rogiti un estratto trovasi depositato nel protoc. Del rid. Not. Franc. Ant. Venosi, dell’anno 1746, fol. 301”.
“Eodem die primo mensis Junii millesimo quingentesimo decimo sexto quarte Indictionis qui antecedens est Majori ejusdem ibidem. In nostri presentia personal iter costituti Nobiles Vincentius de Mandina, Sindicus, Andreas Russi, Cosmus de Ponte, et Joannes Franciscus Oliva, Electi ad infrascripta omnia per Universitatem et nomine Terre predicte etc. sponte asseruerunt coram nobis, et magnifico U.J.D. Domino Alexandro Staybano sui fratis consanguinei, et domino Raimundo Staybano, A.M-D. domino Geronimo Staybano nobili Laurentio Stajbano, nobili Natali Staybano, nobili Michaeli Staybano, Damiano Staybano, et nobili Mattheo Staybano de Majoro, agenti bus pro se ipsis, et eorum heredum, et successo rum etc. ac pro omnibus consanguineis de eorum familia Staybano descendentibus a quondam Gerbino Staybano  eorum comune progenitore, presenti bus et futuris in perpetuum et infinitum, mensibus preteritis dictum dominum Lucam in ejus ultimo testamento clauso sub die vigesimo septimo mensis Septembris elapsi anni 1515 manu mei, et ob ejus sequtum obitum aperto et pubblicato sub die secundo mensis Octobris preteriti predicti anni, fecisse in beneficium dicte Universitatis Majori legatum tenoris seguenti, vide licet “Item lo predetto messer Luca Stajbano Lassa”… (come qui innanzi trascritto).
Proinde dicti nobiles Sindicus et Electi acceptando dictum legatum, promiserunt et obligaverunt construere et edificari facere dictum Monasterium, et in infinitum ac in perpetuum admittere in illo feminas de familia Staybano descendentes tam a predicto domino Alexandro, et aliis supra expressis, quam a quibuscumque aliis descendentibus a quondam Gerbino Staybano eorum progenitore, et ideo obligaverunt se ipsos, et Universitatem predictam, et bona ipsius, corumque erede et successores ad poenam dupli etc. constitutione precarij etc. renunciaverunt etc. et juraverunt etc. – Presentibus – Joanne de Ponte Judice ad contractus – Petro Antonio Apicella – Petro Andriano Pisano – marcho Infornusio – Chlemente Roppolo – Sinnobile Infornusio – Marzullo Apicella.
Dunque il dottore Staibano fu il precursore dell’idea ed anche il primo e principale, fautore dell’opera.
Fu così eretto il monastero sotto il titolo “Santa Maria della pietà”. Le Suore adottarono la regola francescana di S. Chiara eletta a “patrona, insieme all’evangelista S. Luca, in memoria del benefattore, ad una ed agli altri dicatene la primitiva chiesetta”.
Fu denominato “Monasterium S. Lucae seu Pietatis ordini S. Francisci Observantiae”. Cioè i Superiori responsabili di questo Monastero erano i Padri dell’Osservanza. Tant’è che era soggetto a visite del Padre Provinciale, il quale andava periodicamente a verificare che si osservasse la regola adottata.
Fu osservata la più stretta clausura.
Talvolta il Monastero viene semplicemente citato come di “S. Luce alias La Pietà”.
Intanto al convento furono ammesse alla vita religiosa coriste-discrete, del ceto nobile e le donzelle della nobiltà indigena alle quali, in seguito, si aggiunsero fanciulle provenienti dalla provincia di Salerno, di Napoli e dell’aversano, tanto che ben presto un  cospicuo numero di religiose viveva nel nuovo monastero.
L’aumento delle Suore indusse all’ampliamento della chiesetta che fu, altresì, abbellita ed arricchita di “marmi affreschi e tele, di splendidi arredi, paramenti e suppellettili”.
Dal punto di vista economico il monastero si reggeva, tra l’altro, con i proventi delle botteghe rimaste fuori dal chiostro, oltre che con le doti delle fanciulle che avevano scelto la vita religiosa.
Stando al racconto dello storico Cerasuoli, il convento ebbe vita florida con vocazioni di provenienza da famiglie nobili per circa tre secoli, finchè alla vita monastica dovettero ammettere anche fanciulle del ceto medio, per mancanza di vocazioni e ciò per evitare una chiusura della casa.
Si giunge così al 1865 data di pubblicazione del volume di Filippo Cerasuoli in cui l’autore annota che il convento “così modicamente rimesso, sussiste odiernamente”.
In questo periodo, con la soppressione dei patrimoni degli Enti Ecclesiastici, tutti i beni degli stessi passarono allo Stato (Legge-Decreto del 7 luglio 1866) che divenne proprietario.
Più tardi, l’immobile fu concesso in enfiteusi al Comune di Maiori che si obbligava a corrispondere un censo di £. 1000 annue.
A sua volta, il Comune, si impegnò a versare £. 900 e di far pagare alle religiose la rimanente parte di £. 100.
Avvenne così che il “convento si estinse nel secolo scorso a seguito delle leggi eversive”, non solo, ma anche per mancanza di vocazioni.
Vale la pena, a questo punto riportare una sintesi della storia del Monastero della Pietà che stralciamo da un atto conservato nell’archivio del Municipio di Maiori (Casella 13 Anno 1875 – Numero 3), avente per oggetto: “Monastero della Pietà. Titoli di transazione e cessione”, redatto davanti al Notaio Filippo Cerasuoli di Maiori.
REGNO D’ITALIA
VITTORIO EMANUELE SECONDO
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÁ DELLA NAZIONE
RE D’ITALIA
A TUTTI I PRESENTI E FUTURI SALUTE
NUMERO PRIMO DEL REPERTORIO
REGNO D’ITALIA
NEL GIORNO PRIMO DEL MESE DI GENNAIO
DELL’ANNO MILLEOTTOCENTOSETTANTACINQUE
REGNANTE
VITTORIO EMANUELE SECONDO
PER GRAZIA DI DIO, E PER VOLONTÁ DELLA NAZIONE

RE D’ITALIA
Foto a destra: Maiori. Marzo 1915. Le due ultime Suore clarisse siedono tra: Maria, Francesco, Rosa, Ninetta e Veneranda Capone, indi Lucia Gambardella, tata di Maria e Antonio Di Bianco. A fianco a Sr. Maria Teresa, la sorella Anna Proto, sposata Capone e madre dei cinque figli (in piedi nella foto). A terra, i bambini, Maria er Antonio Di Biancop, indi Gennaro Capone, pronipote di Sr. Maria Teresa.
Dinanzi a noi Filippo Cerasuoli del fu Andrea, Notajo residente in questo Comune di Majori, assistito dagli infrascritti testimoni, si sono spontaneamente costituiti.
Il signor Francesco Ricciardi del fu Signor Nicola, Ricevitore del Demanio e Tasse dell’Ufficio di Amalfi, ove domicilia, rappresentante la Direzione Generale del Demanio, ed insieme anche L’Amministrazione del Fondo del Culto.
E il Signor Francesco Conforti del fu Signor Giuseppe, Sindaco rappresentante il Municipio di questo preindicato Comune di Majori, possidente ivi domiciliato.
A rispettiva richiesta dei quali, entrambi ben noti agli assistenti testimoni ed a noi, abbiamo rogato l'infrascritto contratto.
Il Sindaco Signor Conforti ha opportunatamente premesso la seguente narrativa.
Mercè di testamento chiuso, che ora dicesi segreto, in data ventisette di Settembre mille cinquecento quindici, aperto, pubblicato, e presso il Notajo Giovan-Luise Cinnamo di questo Comune di Majori depositato, nel dì due del susseguito mese di Ottobre, il Dottor medico Luca Staibano del Comune medesimo, legò alla di costui Università una tenuta di ben’immobili, sita quivi nella contrada San Giovanni in Campolo.
Consistente in casamento sottano e soprano, con giardini e botteghe, dal testatore stesso descritta in questi precisi termini “lassa tutto integro lo hospitio di case con giardini raptus e supra cum apotecis”.
Imponendo alla legataria Università, dovere a sue spese costruire, e formare dei fondi legati un Monastero di donne dell’ordine Osservanti di san Francesco, nel corso di due anni susseguenti la morte di Carmosina, sorella di esso testatore, usufruttuaria dei fondi medesimi: a condizione, che sempre quando vi si farebbero monache della di lui famiglia Staibano, nulla dovrebbero pagare; e che in ogni vacanza del Badessato, se vi esistesse monaca della stessa famiglia, dovrebbe crearsi Badessa, senza potervisi opporre la Università.
Con istrumento del primo di Giugno mille cinquecento sedici, pel medesimo Notar Cinnamo, la Università venne riconosciuta legataria degli eredi del testatore Luca Staibano, e da tutti gli allora esistenti interessati della di costui famiglia; ed in nome di essa Università, il Sindaco e gli Eletti accettarono il legato, e giusta il medesimo promisero, e si obbligarono edificare il divisato Monastero; ed in perpetuo ammettervi le donne discendenti della prefata famiglia Staibano.
Defunta Carmosina, fra i sussecutivi due anni la Università convertì in forma claustrale il casamento, vi edificò la chiesa ed il parlatorio, comprese nella clausura i giardini e ne compose l’ordinario Monastero; per di cui rendita rimase le botteghe coi loro accessori, come parte esterna, non efficiente la clausura stessa: ma per rendere questa d’altronde indipendente, dovette comprare ed incorporarvi i confinanti beni di Nicola Cimini e degli eredi di Antonello De Ponte.
Così ne formò un isolato quadrilatere, chiuso da alte mura, qual è tuttora; confinato nel lato di oriente dalla grande strada Reginna, d’onde ha l’accesso nel lato settentrione, del vicolo Pasè; nel lato di occidente dall’altro vicolo Monastero; e nel lato meridionale dalla strada campo.
Nei quali confini circoscritto, parte interna ed esterna formanti un sol corpo; gli edifizii trovansi notati sotto l’articolo quattrocento trentasei, nel progetto generale dei Fabbricati,
colla rendita imponibile di due dugento ottantacinque; ed i giardini, nel Catasto dei Terreni, sotto l’articolo mille dugento cinquanta, Sezione E, numero trecento ventisette, colla imponibile dei ducati venti: gli uni, e gli altri intestati all’Amministrazione del Fondo del Culto.
E di questo intero isolato, di cui fondò ed inaugurò il Monastero col titolo Santa Maria della Pietà, la Università concesse soltanto l’uso e godimento alle religiose, le quali tanto sto l’occuparono, e vi costituirono la loro comunità; ritenendone dessa la Università il dominio ed il patronato, che ha sempre conservato, giusta l’intendimento del testatore Luca, sancito dai di costui eredi, ed altri interessarti della famiglia Staibano; in  forza del quale dominio e patronato,   adempi sempre alla condizione impostale, di ammettere nel Monastero, senza dote, le donne della prefata famiglia; e di far creare Badessa, in ogni vacanza, una esistente monaca della stessa famiglia.
Qui il Signor Sindaco, è con esso insieme il Signor Ricevitore rappresentante il Demanio ed il Fondo pel Culto, cadauno per la parte che riguarda, han soggiunto i seguenti fatti.
Soppresso il Monastero dalle leggi del sette Luglio milleottocentosessantasei; la Direzione Compartimentale del Demanio e Tasse in Potenza, con manifesto del dieci Luglio milleottocentosessantotto, fece pubblicare gli incanti, pei dì sedici e diciassette Agosto, per la vendita in due lotti dei fondi contenuti nel sud descritto isolato, meno la parte che abitavano, ed abitano tuttora le religiose, per effetto del Decreto luogotenenziale del diciassette Febbraio milleottocentosessantuno.
La vendita non ebbe effetto, dopo un’annosa alternanza di richieste del Municipio di Maiori, finalmente, l’intera struttura del Monastero della Pietà passa in enfiteusi al Comune.  
(Autore: Mario Rosario Avellino)

*Alcune notizie sul Monastero

La regola fu quella francescana di Santa Chiara, che fu eletta come patrona e titolare del Monastero assieme a San Luca Evangelista in onore del benefattore.
La prima abbadessa del Monastero fu la Ven. Madre Suor Anna Mariconda.
Tra le sante visite ricordiamo:
16 agosto 1599: Arcivescovo Rossini Giulio con il Vicario Prevosto della Collegiata, Giannotto Ferrigno.  
Abbadessa: Sr. Vittoria de Ponte
24 giugno 1632: Arcivescovo Giacomo Teodolo (o Teodoro)
19 gennaio 1658: Mons. Stefano Quaranta
25 maggio 1661: Mons. Stefano Quaranta
All’epoca vi erano quindici religiose; Abbadessa Sr. Anna Confalone; vicaria Vittoria Confalone e altre due sorelle della stessa famiglia, Camilla e Vittoria.

6 agosto 1698: Mons. Simplicio Caravita (O.S.B.)
772: Visita Mons. Antonio Puoti
1786: Visita Mons. Antonio Puoti
Nel giugno del 1700 vi fu una richiesta di ampliamento all’Arcivescovo e richiesta d’accogliere anche “donzelle forestiere”.

Nel 1723 in Monastero vi erano 24 religiose ed una sola educanda, quest’ultima versava al convento 20 ducati annui, mentre “per  la monacazione di donna cittadina si pagavano ducati trecento e per la forestiera ducati quattrocento.

Nello stesso anno fanno domanda di monacarsi tre sorelle Mezzacapo.
(Imperato Giuseppe. Vita religiosa della costa di Amalfi. Monasteri, conventi e fraternite. Palladio Editrice, Salerno,1981, pag.321, vol. I).
Nel 1806 vi erano 19 monache, di cui nove coriste, una novizia, una educanda ed 8 converse.
Nell’anno 1820 vennero eseguiti lavori di restauro interno ed esterno.
In data 12 settembre 1886 fu emanata la circolare del Ministro guardasigilli che disponeva lo sgombero di tutte le persone entro 10 gg.  
(Autore: Mario Rosario Avellino)

“Del primo Monastero della Pietà nella Terra di Maiori, Diocesi di Amalfi”

Il p.mo e più antico monastero s’è questo sotto il titolo di Santa M.a della Pietà, eretto e fondato dentro le mura e fra l’habitationi della suddetta terra di Maiori e riconosce per suo p.mo e principal fundator il devotiss. mo huomo, pietosissimo medico e pietoss.mo dottor il sig.re Luca Staibano dell’istessa Terra, il quale fra gl’altri pij che fè nel suo uiltimo testamento, il maggior e più signalato fu questo che s’edificasse un monastero, come realmente fu subito fatto ed alzato a suo costo e spesa quanto alla maggior parte, s’è doppo col tempo successivam.te dilatato, ampliato ed abbellito, come si vede; con la chiesa, il cui frontespitio risguarda il Settentrione, com’anco la porta della clausura; la sua sagrestia a man sinistra dell’attore maggior con belli parati di seta per tutta la chiesa, con un parato di broccato d’oro ma la pianeta e panno d’altare di ricami belliss.mi e di gran spesa. Per mezzo la clausura passa un fiumicello d’acqua ed esce per dietro la sagrestia, ove si parano per celebrare, detta di sopra, con un ornamento per l’altare di candelieri d’argento e fiori di poter stare al paragone con gli altri nella città di vanto.
Nel dormitorio vi sono da quaranta celle con una belliss.ma e grandiss.ma loggia alla vista del mare.
Vi sono hoggi vent’otto Sorelle, le quali vivono con singular pietà sotto la regola e modo di vivere del terz’Ordine del P. S. Fran.co.
Quando fusse fundato e con l’autorità di chi ha dato e concesso all’Ordine a governare e
reggere si desidera sapere, però non se n’ha sin hora alcuna notitia, né il P. Gonzaga ne fa altra mentione, fa bensì particular memoria della venerabile Madre Suor Anna Mariconna, (leggi Mariconda N.d.T.) p.ma abbadessa di questo sacro collegio, religiosa di nobiliss.mi costumi e gentiliss.me maniere.
Fa dell’istessa, com’illustre in virtù e meriti, anche mentione il P. Vuadingo, ma per quello che spetta alla fundatione del Luogo, l’asserisce fundato l’anno del Sig.re 1449, l’anno terzo diNicolò V, sommo pontefice, dandogli per fundator un dottor di Legge chiamato Vinciguerra Lanario, il quale lasciò in testamento che s’edificasse un monastero con le sue facoltà, però, quanto al fondatore e modo della fondatione egl’istesso ne dubita per la ragione ch’apporta haver lui letto nell’istromento vaticano che Paolo Lanario, fratello di Vinciguerra sminuì assai le facoltà lasciate da fratello convertendoli (leggi convertendole N.d.T.) in altri usi, per il che non potevano dopo esser bastevoli a fundarsi ed alzarsi con esse sole tal monastero.
Nel coro delle monache che stà situato sopra la porta della chiesa v’è il suo organetto bellamente accomodato. (Il folio 246 non reca scritto alcuno, N.d.T.) (“Da una sintesi redatta da Bonaventura Tauleri d’Atina pubblicata in: Cuomo, Candido Gabriele.
Fondazione di tutti i Conventi raccolte da P. Bonaventura Tauleri d’Atina O.F.M. nell’anno 1639 trasritte dal P. Gabriele Candido Cuomo O.F.M. pag. 169, f. 244”).
(Autore: Mario Rosario Avellino)

*La soppressione degli Ordini Religiosi

Senza voler entrare nel merito circa la opportunità e la validità dei provvedimenti di Legge che portarono alla Sr. Maria Agnese Tecca, terza Madre Priora con il Cardinale Augusto Silj.tanto rinomata: “Soppressione degli Ordini Religiosi” è, forse, necessario soffermarsi brevemente sull’argomento, tanto più che interessa particolarmente la presente storia.
Ci limiteremo a tracciare le linee principali di questo percorso, lasciando ad altri più approfondita disamina critica.
L’operazione soppressione avvenne in due tempi storici diversi ed in condizioni di ideologie e regimi politici differenti.
Essa fu determinata dai bisogni di carattere economico dello Stato, nonché dalla dimensione che avevano assunto – in termini di ricchezza – le proprietà dei religiosi.

A questi due fondamentali motivi si aggiunsero, altresì, incomprensioni tra i vari Ordini: infatti le soppressioni avrebbero determinato ripercussioni sull’assetto di Diocesi e Parrocchie.

Ma si legge che tra le cause che concorsero ad applicare il dispositivo di Legge vanno annoverate anche – a ragione o a torto – situazioni di contrasto dovute a carenza di stima verso i religiosi.
Dalla secolarizzazione, tra l’altro, derivò una certa mancanza di fiducia verso tutto ciò che era religioso.
Il limitato problema del rapporto tra Stato e Chiesa si ampliò in quello più vasto e generale che metteva in relazione religione e società. Infine, non va trascurata la crescente presenza di componenti sociali ideologicamente ostili verso la Chiesa.
Naturalmente le soppressioni ingenerarono una serie di difficoltà sia per la popolazione, sia per lo stesso Stato.
Dalla diminuzione del numero delle strutture disponibili ne derivò un diffuso disagio che si ripercuoteva sull’aspetto educativo-religioso e su quello economico–occupazionale, essendo venute a mancare le richieste di lavori che prima si svolgevano nelle terre dei monasteri e delle case di religiosi. Anche la Chiesa, ovviamente, si ritrovò un sovraccarico di impegni che avrebbe dovuto disbrigare per mancanza di quei punti di riferimento esistenti in determinate zone.
Ma, per non dilungarci, così come promesso, ritorniamo a Maiori, paese interessato alla soppressione anche di altri conventi e, in particolare, del “Monasterium S. Lucae seu Pietatis Ordini S. Francisci Observatiae”.
Diremo che i provvedimenti di soppressione emanati nello stesso secolo diciannovesimo furono due: rispettivamente nell’anno 1806 il primo e, il secondo, sessant’anni dopo.
A seguito del Real Decreto del 14 agosto del 1806 il governo napoleonico disponeva che dovevano essere chiusi “tutti i monasteri che non hanno il numero legale di dodici Religiose professe, il 4 maggio 1810, a nome di Sua Maestà e per ordine del Ministro del Culto, l’Intendente della Provincia di Pricipato Citra, il Cav. Salvatore Mandrini, ordina la compilazione dello Stato Dimostrativo dei monasteri delle Monache dal quale risultino i nomi delle Religiose che li compongono e i Beni dei medesimi monasteri”. (Cuomo, C. G. Fondazioni di tutti i Conventi… op. cit. pag. 182, vol. 1-2).
E lo Stato Dimostrativo relativo al Monastero della Pietà fu firmato da Frà Silvestro Miccù o.f.m., che fu Arcivescovo di Amalfi dal 29 ottobre del 1804 al 28 gennaio 1830.
La chiusura di quei monasteri, il cui numero di religiosi era inferiore al predetto limite di dodici, comportava un accorpamento di quei religiosi in altri ordini e case.
E il Monastero della Pietà non subì questo provvedimento perché all’epoca aveva i requisiti per non essere soppresso.
Tuttavia la Legge prevedeva che, ove mai vi fosse stata la necessità di avere i locali per pubblica utilità, venivano requisite anche quelle case nelle quali vi era un numero, cosiddetto legale, di religiose.
Naturalmente la decisione governativa diede luogo a molteplici complicazioni connesse all’adattamento ambientale delle religiose aggregate ad altre case e, forse per questo, un Decreto Legge emanato successivamente prevedeva anche una eventuale pensione alle Monache che avrebbero dovuto lasciare il proprio monastero perché soppresso.
Non mancarono vertenze e suppliche, petizioni e richieste per evitare la chiusura delle case; tuttavia vi fu un ulteriore Decreto che risparmiava dal provvedimento i monasteri (anche con un numero di religiosi inferiori a dodici), dai quali dipendevano Conservatori, Case di Educazione e di Correzione.
E così “i beni dei monasteri risparmiati dalla soppressione furono amministrati da una Commissione Amministrativa nominata dal Governo”.
A seguito di questo dispositivo di Legge: “Il primo settembre 1812, Raffaele Paolillo, Sindaco del Comune di Maiori, presenta all’Intendente i nomi di Francesco Aurisicchio e Angelantonio Amato, eletti dal Decurionato il 20 agosto del detto anno come componenti la Commissione Amministrativa del Monastero della Pietà delle Monache Francescane dello stesso Comune.
I due succitati cognomi vengono alla luce di frequente in questa storia; essi furono scelti perché la Legge prevedeva che avrebbero dovuto far parte della Commissione due cittadini scelti tra i benestanti del Comune. Il Presidente della Commissione sarebbe stato un ecclesiastico presentato dal Vescovo e per Maiori fu indicato il Parroco del Comune Preposto della Collegiata, il Canonico Gaetano Greco.
In definitiva, il Monastero di S. Maria della Pietà, delle Monache del Terz’Ordine Francescano, rimase aperto durante il decennio di occupazione Militare Francese. Ricordiamo, in particolare,
che dall’otto febbraio del 1806 al 23 maggio del 1808, il governo fu retto da Giuseppe Bonaparte e dal predetto anno, e fino al 19 maggio del 1815, fu retto da Gioacchino Murat, quindi ritornarono i Borbone. Dal punto di vista numerico, dallo Stato Dimostrativo dei Monasteri delle Monache,  compilato in data 27 settembre 1817, si evince che nel Monastero della Pietà di Maiori vi erano 7 Coriste, 7  Converse, 2 Novizie e 2 Educande. L’anno successivo, in data 18 ottobre vi erano 16 Coriste e 5 Converse. Ma a questo primo provvedimento di soppressione, seguì una seconda Legge “emanata dal governo liberale – massonico del giovane Regno d’Italia”. Infatti con la Legge – Decreto del 7 luglio 1866 venivano abolite “tutte le Corporazioni Religiose esistenti nel Regno d’Italia. Questa seconda soppressione ebbe press’a poco le stesse cause, gli stessi moventi che determinarono la prima, quella napoleonica. Il bisogno cioè da parte del Governo di locali da adibire a Case Comunali, a Scuole, Caserme, ad Ospedali, a Carceri etc.; la necessità di denaro per salvare, come si disse, con i beni ecclesiastici l’erario dello Stato esausto, la decisa volontà infine di spazzar via una forza ostile a qualunque pericolosa innovazione.
La legge in questione scatenò non poche polemiche e discussioni parlamentari con interventi a difesa dei religiosi, ma molte con accuse contro questi ultimi.
Il testo della Legge era composto di 38 articoli e portava la firma di Eugenio di Savoia – Borgatti – Scialoja, ad essa seguivano le   disposizioni per l’esecuzione della Legge.
Aggiungiamo che, a seguito della Legge del 13 febbraio 1807, al Monastero della Pietà di Maiori, vennero aggregate altre suore provenienti dal Monastero S. Cataldo delle benedettine di Scala.
“Le benedettine del monastero di S. Cataldo furono dunque aggregate al Monastero del SS. Redentore, eccetto tre che, - come si legge nella lettera di Mons. Miccù al Min. del culto, in data 12 febbraio 1812 – furono incorporate al Monastero della Pietà delle Monache Francescane di Maiori.
Ed ancora stralciamo dai testi di Cuomo: “D. Chiuso: le Monache furono aggregate al monastero del SS. Redentore della medesima città, due religiose optarono, ma senza risultato, per il Monastero delle Domenicane di Nocera, il locale fu venduto a P. Gambardella di Atrani.
In particolare si tratta di “due sorelle germane ed una cugina, Religiose professe di S. Cataldo, delle nobili famiglie Sparano di Majori e di Tramonti, luoghi della diocesi di Amalfi, mi manifestarono con attestati di Medici il desiderio e la necessità che avevano di respirare l’aria nativa e di essere soccorse dalle vicine loro famiglie, e di volere perciò essere collocate nel Monastero della Pietà del Comune di Maiori.  Con queste parole si esprime Mons. Miccù in una sua lettera inviata all’Intendente per intercedere a favore delle predette Monache per una irregolarità nella tenuta dei registri amministrativi relativi a quel Monastero.
(Autore: Mario Rosario Avellino)

*La fondazione dell’Istituto
Poco più che ventenne, la Congregazione delle Suore di Bartolo Longo ebbe l’occasione di varcare i confini pompeiani per raggiungere la vicina cittadina di Maiori.
Il fondatore Bartolo Longo aspirava al progetto che da Pompei sarebbero partite le Suore per svolgere la loro azione missionario-educativa anche in altre comunità, altre realtà, altri paesi.  
Infatti egli scriveva: “Perché (...) da questa valle benedetta che è destinata ad avere benefiche irradiazioni in tutto l’Orbe, le Figlie del Rosario di Pompei non potrebbero passare ad altre città e paesi d’Italia e Fuori? …”
(Il Rosario e la Nuova Pompei. Periodico fondato da Bartolo Longo. Pontificio Santuario di Pompei. Valle di Pompei, 7 marzo 1884 – Anno 1917, pag. 203 [R.N.P.].

Una rarissima foto di Sr M. Colomba Conforti una delle ultime due Suore clarisse che si dovettero ritirare in famiglia a seguito delle Leggi di Soppressione degli Ordini Religiosi. La foto, che è un particolare di una foto di gruppo, fu scattata sul terrazzo sul porticato davanti alla porta dell'attuale infermeria della Casa; l'epoca è il 1915. Ma, certamente, l’aspetto più significativo di questa nuova missione risiede nel fatto che le Suore Domenicane di Pompei vantavano già i titoli per avere incarichi socio-educativi anche fuori dalla loro Casa Madre.
Intanto all’epoca in cui si riferisce la nascita della Casa di Maiori, le Suore avevano avuto tre esperienze oltre Pompei con le fondazioni di: Belvedere Marittimo (24.11.1918); «Rifugio» in S. Rocco di CapodimonteL'ultima Suora clarissa, Suor Maria Teresa, al secolo Vienna Prato, in un particolare di una foto del 1915. – Napoli. (1919); Istituto per l’educazione morale e intellettuale
– Bari, (11.6.1921); «Pro infanzia derelitta» - Napoli, (22.1.1922) e il grande Istituto «SS. Vergine di Pompei e S. Francesco di Paola» a Paola (23.2.1923).

A sinistra l'utima Suora clarissa, Suor Maria Teresa,al secolo Vienna Prato, in un particolare di una foto del 1915.

Dunque, il 18.6.1023. subito dopo l’apertura dell’Istituto nella provincia calabrese, fu istituito l’Asilo infantile e la Scuola di lavoro a Maiori. Il merito dell’Iniziativa va a Mons. Ercolano Marini, Arcivescovo di Amalfi.
Egli prese a cuore la situazione dell’educazione dei fanciulli e delle fanciulle.
E per questa finalità emise il seguente decreto:  
Fondazione dell’Asilo Infantile e della Scuola di lavoro a Maiori.
Sua Ecc.za Mons. Ercolano Marini, Arcivescovo di Amalfi dal 2 giugno del 1915 al 5 ottobre del 1945.
Decreto di erezione di Mons. Ercolano Marini
Venuto ad Amalfi, appena conobbi i bisogni della Costiera, mi si affacciò alla mente il pensiero di fondare due  istituti: per fanciulli in Amalfi e per fanciulle a Maiori.
L’impresa sulle prime mi parve impossibile; però per disposizione divina, cominciò ad attuarsi quando il 31 luglio 1919 potei aprire in Amalfi un Orfanotrofio Maschile, ed ora si va completando perché, per la bontà del Cardinale Silj, che presiede alle opere Valpompeiane, ho potuto ottenere dalla Rev. ma Superiora delle Suore Terziarie Domenicane, Figlie del SS. Rosario di Valle di Pompei, che alcune delle sue Suore vengano a Maiori per aprirvi un Asilo Infantile e una scuola di lavoro per le fanciulle. Perciò, dopo aver provveduto ai locali, con assegnare all’uopo la parte ancora abitabile dell’ex Monastero della Pietà in cui sono venute meno le Suore dell’Ordine di S. Francesco, e al suo mantenimento per mezzo di un Comitato dei più distinti di Maiori, nel nome Augusto della SS. Trinità e a Sua gloria istituisco a fondo l’Asilo Infantile e il  Laboratorio Femminile a Maiori affidandone la cura alle Suore Domenicane di Valle di Pompei, con la speranza che la SS. Vergine, Patrona della Città, invocata con la pia pratica del S. Rosario, faccia fiorire e sviluppare dette Opere in modo che si realizzino i primitivi miei desideri.
Amalfi, 18 giugno 1923 - Ercolano Marini Arcivescovo
Dal «Notiziario dell’Istituto S. Maria» si legge che: “Il contratto per l’apertura di questa casa fu stipulato
tra la Il Cardinale Augusto Silj.Marchesina Giuliana Benzoni, delegata Ass. ne Nazionale interessi del Mezzogiorno, in unione al Patronato Scolastico di Maiori e la Rev.ma Madre Suor M. Colomba Mazza, superiora delle Suore Domenicane «Figlie del SS. Rosario di Valle di Pompei», con l’approvazione verbale di S. Eccellenza Rev.ma Mons. Ercolano Marini, ordinario della Diocesi e Sua Eminenza il Cardinale Augusto Silj il giorno 19 giugno 1923”
(Archivio «Suore Domenicane Figlie del S. Rosario di Pompei». Pompei.
Infatti a quest’ultimo, “Capo della Delegazione Pontificia che doveva regolare e governare il Santuario e le Opere di Valle di Pompei in nome del Papa”
(Scotto Di Pagliara, Domenico. Bartolo Longo e il Santuario di Pompei. Scuola Tip. Pei Figli dei  La Priora Suor Maria Colomba Mazza.Carcerati fondata da Bartolo Longo. III Edizione. Pompei, 1943 – XXI, pag. 260), veniva sottoposto all’approvazione, il verbale della riunione di Consiglio convocato per scegliere le Suore che avrebbero raggiunto la nuova casa.
Questo il testo per l’esito della decisione:
“Pontificio Orfanotrofio Femminile Della SS. Vergine di Pompei
Valle di Pompei”
Oggi, giorno 27 giugno 1923, alle ore 4 pomeridiane la M. R. M. Priora Sr Mª Colomba Mazza di S.ta Cecilia ha congregato le Madri del Consiglio in N. di quattro ed alla presenza del Rev.mo Mons.re Canonico D. Vincenzo Celli Protonotario Apostolico e Vicario di S. E. il Cardinale Augusto Silj ha loro detto che essendosi convenuto di accettare la casa di Maiori, e di mandare colà una Maestra Diplomata, una Superiora ed una Conversa ed anche una Probanda, che aiuti, bisognava decidersi e combinare. È stato discorso e si è convenuto dietro la proposta della R. M. re Priora di mandare come Superiora Sr. Maria Pia Montella, Sr Maria Serafina Natella come Maestra Diplomata e per Conversa Sr Amata Mazzone.
In fede di che ecc. ecc.  La Segretaria del Capitolo
                                                                             
 Sr Maria Agnese  Gambigliani Z.                      
Il presente verbale reca la firma del Card. Augusto Silj e la data di approvazione del 30 giugno 1923. Intanto, veniva stipulata una convenzione tra la Contessina Giuliana Benzoni, in rappresentanza al Patronato Scolastico di Maiori e la Priora Generale delle Suore Pompeiane, Sr Maria Colomba Mazza.
Nell’atto venivano definite, sia pure in maniera sommaria, le rispettive competenze ed i doveri da osservare da ambo le parti per l’apertura di un Asilo e di un Laboratorio a favore delle fanciulle di Maiori.
In particolare questi i sette punti della convenzione:
La Superiora Sr M. Colomba di S. Cecilia fornisce tre Suore di cui una munita di diploma normale per l’insegnamento all’Asilo Infantile, ed altre due per la Direzione del Laboratorio ed il fabbisogno della Casa.
La stessa Superiora si riserva ampie facoltà di cambiare le dette Suore quando lo credMons. Ercolano Marinierà opportuno – ciò con piena libertà senza bisogno di approvazione o di intelligenza con altri.
Le Suore porteranno seco la biancheria personale da letto, da tavola e da cucina.
Il Patronato Scolastico corrisponderà alle Suore l’assegno mensile posticipato di £. Centocinquanta per ognuna, onde provvedere al vitto ed altre spese personali. E ciò per l’intero anno solare.
Il Corredo della Casa e della Scuola rimane a carico del Patronato dell’Asilo il quale dovrà fornire gratuitamente alle Suore l’abitazione, l’illuminazione, l’acqua ed il fuoco per la cucina.
Così pure lo stesso Patronato provvederà d’accordo con l’Autorità ecclesiastica a mantenere il Cappellano che dovrà celebrare quotidianamente la S. Messa nella Chiesa annessa all’Asilo.
Tale convenzione dura dal giorno dell’arrivo delle Suore a Maiori fino al 31 luglio 1925. A questa epoca le parti saranno libere di rinnovarla e di modificarla però con un preavviso di due mesi.

*Le Suore giungono a Maiori
Era il 16 luglio del 1923 le Suore, in numero di quattro, presero possesso della Casa, ed il primo settembre di quell’anno, già fu aperto il Laboratorio femminile, mentre l’Asilo infantile portava la data di apertura del 19 giugno, il giorno successivo al Decreto del Vescovo Marini.Vediamo chi erano le quattro Suore fondatrici che, “accompagnate dalla Rev. ma Priora di Pompei e dalla Madre Economa, dopo aver ricevuto la benedizione con la corona del Rosario del nostro Beato fondatore Bartolo Longo, si inseriscono nell’ala del Monastero che il Comitato aveva sommariamente resa abitabile”  
(In cammino… con Maria. Periodico della Congregazione delle Suore Domenicane «Figlie del S. Rosario di Pompei». Pompei, 1985 – N. IX – Dic. ’95, pag. 16) [I.C.C.M.].
Come Superiora della casa fu nominata Sr M. Pia Montella, al secolo Raimonda. Nata a Torre del Greco (NA) il 1° dicembre del 1896, aveva preso l’abito il 30 aprile del 1919, professato il 4 agosto del  1920, ed emesso i Voti Perpetui il 15 agosto del 1926.
È superfluo aggiungere commenti per il lavoro che fece per il bene della casa e dell’Istituzione a vantaggio delle alunne che frequentavano l’Istituto, riscuotendo l’approvazione e la riconoscenza della città. Di ciò è prova degna di benemerenza del conferimento della cittadinanza onoraria
che le fu conferita il 13 gennaio del 1945 dalla Giunta Municipale del Comune di Maiori.
Questa la motivazione dell’onorificenza:
“Dato atto che questa Superiora delle Suore Domenicane, Sr Maria Pia Montella, è stata dal Capitolo testé tenutosi in Valle di Pompei, designata per suoi meriti eccezionali e nominata Economa Generale di Valle di Pompei e Direttrice della Scuola esterna dell’Opera;
Visto che per effetto di tale alta distinzione la pia Madre lascerà tra breve la cittadina di Maiori, ove Ella, per oltre un ventennio, ha profuso le sue rare qualità cristiane in opere benefiche, che, come l’Asilo Infantile ed il fiorente Educandato, da Lei istituiti, rappresentano vanto e decoro per la Città ed invitano, con la saggia e perfetta organizzazione di provvidenza e beneficio di bambini, di poveri (Refezione dell’Asilo e Mensa popolare), a seguire l’esempio ed a potenziare maggiormente la beneficenza pubblica;
Che è nei voti dei cittadini tutti e di questa Civica Amministrazione in ispecie di attestare alla Reverendissima Madre la imperitura riconoscenza della Città di Maiori; La Giunta Municipale ad unanimità.
A destra una rarissima foto delle suore con i bambini: A tergo vi è annotata una data: 1926. A sinistra Sr. M. Serafina Natella, al centro Sr. M. Pia Nontella, Priora e Sr. Amata.
D E L I B E R A
Di conferire alla rev. Ma Madre Superiora delle Suore Domenicane, Suor Maria Pia Montella, la cittadinanza Sr. M. Pia Montella e la delibera di conferimento della cittadinanza onoraria.onoraria di Maiori”
L’Atto porta la firma del Sindaco di allora, Avv. Salvatore Confalone, un nome che ricorrerà spesso nel corso di questa storia, per l’interessamento che dimostrò verso le Suore di Pompei presenti nella città di Maiori.
Aggiungiamo, ad onor del vero, che l’Amministrazione Civica Maiorese, nelle varie epoche, ha sempre dato segni di particolare interessamento ed attenzione all’azione educativa ed
assistenziale dell’Istituto religioso, approvandone l’operato.
Accompagnava la Superiora Sr. Maria Serafina Natella, al secolo Maria. Era nata a Salerno il 9 febbraio 1898 ed aveva fatto il suo ingresso al Noviziato il 31 ottobre del 1920; prese l’abito il 6 agosto del ’21 e professò il 15 agosto dell’anno successivo, nello stesso giorno di sei anni dopo emise i voti perpetui.
Sr. Maria Serafina è stata una personalità particolarmente ricordata da quanti l’hanno conosciuta per le sue doti di umanità e per come seppe portare pace, gioia e sorriso nei luoghi di pena. Ella è ricordata come la «Suora delle carceri» per averle conosciute tutte quando accompagnava le bambine dell’Istituto «S. Cuore» in visita ai loro genitori. Un lavoro durato venticinque anni, svolto con spirito missionario fattivo in perfetta sintonia con il carisma del fondatore Bartolo Longo. Il futuro Beato, infatti, con la fondazione dell’Istituto «S. Cuore», andava ad esaudire “l’ultimo voto del suo cuore”, anche perché aveva sperimentato che l’incontro delle bambine con i genitori reclusi, molto spesso, si era tradotto in prodigiosa conversione del padre o della madre ad opera della figlia. Sr. Maria Serafina restò a Maiori per diversi anni. Morì il 28 aprile del 1964. Un’altra Suora, che faceva parte della Comunità nascente, sicuramente degna di grande attenzione era Anna Pecoraro, in religione   Sr. Maria Amata Pecoraro.
Fra le prime sei Suore fu la terza a prendere l’abito il 14 maggio del 1898, in occasione della prima cerimonia di vestizione dopo la nascita della Congregazione delle «Figlie del S. Rosario di Pompei» voluta dall’avv. Bartolo Longo.
Sr. Amata, che conobbe bene il Beato fu, insieme a Sr. Cecilia, la prima sorella conversa della famiglia delle Suore pompeiane; prese l’abito lasciando il suo posto di cuciniera che aveva nell’Orfanotrofio.
La sua vita fu legata al Fondatore per quanto collaborò nell’Opera pompeiana.
Annina, ovvero Sr. Amata, morì nel giorno di Pasqua, il 5 aprile del 1900.
Come si legge nel verbale del Consiglio che deliberò l’invio delle Suore nella nuova casa di Maiori,
si stabilì di mandare a Maiori anche una Probanda, era Rosalia Rossi, che prese l’abito l’anno successivo, il 4 ottobre del 1924.
Era nata ad Ascoli Satriano (FG) il 23 maggio del 1902 e prese il nome da religiosa di Maria Reginalda. Professò il 22 novembre del 1925 ed emise i voti perpetui l’8 dicembre del 1931.
Era molto benvoluta dal Fondatore di Pompei per l’opera che svolgeva “tra le sue beniamine”, le orfane accolte nelle Opere pompeiane.
Tra le tante attività da lei svolte, ricordiamo quella che maggiormente ha impegnato la sua vita: per ben 35 anni la vediamo al lavoro nell’ufficio di spedizione del periodico fondato da Bartolo Longo: «Il Rosario e la Nuova Pompei».
Il 29 ottobre del 1996  Sr. Maria Reginalda, all’età di 95 anni, morì a Pompei

*L’acquisizione del Monastero

Erano trascorsi appena due anni dall’arrivo delle Suore a Maiori che, come si ricorderà, giunsero il 16 luglio del 1923, e già si parlava di acquisizione della casa. Infatti in un verbale dell’11 agosto del 1925, leggiamo:
“Oggi alle ore 5 e ¾ pom.ne la Rev. Da Madre Priora Suor M. Colomba Mazza di S. Cecilia, ha radunato il Consiglio delle Madri in N° di quattro e alla presenza del nostro amatissimo Superiore, l’Ecc.mo Cardinale Augusti Silj, per determinare la questione della Casa di Maiori (prov. Salerno) cioè dell’ex Monastero delle Clarisse detto della Pietà.
Si è ripetuto quel che già si sapeva e cioè che, detto Monastero per lungo tempo disabitato, è ridotto in uno stato deplorevole, ed alcuni muri esterni sono profondamente lesionati.
Ora, una parte di esso è stata riedificata dal Comune e adibita ad Asilo d’Infanzia, laboratorio, destinando alcune stanze per abitazione delle nostre Suore che gestiscono queste scuole.
L’attività che esse svolgono a beneficio del paese, le ha cattivato l’affetto e la stima di tutto, e specie del Comune stesso, che si è offerto di donare alla nostra Comunità tutto il Monastero, compresa la Chiesa, e un piccolo giardino, non meno la parte intera riedificata; con l’obbligo però, che la Comunità gli rimborsi la somma di £. 17.000, spese già per una grave riparazione. Inoltre fa notare che si dovrebbe soddisfare ad un canone di £. 1.000 che pesa sul fabbricato stesso, ma che si potrebbe scontare tutto insieme così versare una sola volta £. La foto mostra lo stato di abbandono e di degrado strutturale in cui versava il convento all'inizio del secolo.20.000 (ventimila). Dice ancora (dietro la relazione di Suor Maria Pia Montella Superiora di Maiori) che detta somma, sborsata da noi di £. 20.000, il Municipio si obbliga dare alle Suore, per venti anni un sussidio di £. 1.000 – La proposta è stata accettata dalle Madri come pure dal Cardinale, con la condizione però, che diano pure una parte del giardino grande esterno, anche gratuitamente, e magari comprarlo qualora veramente non potessero cederlo.
A Suor M. Pia Montella, presente a questo Consiglio, dall’Em.mo nostro Superiore e dalle Madri Capitolari, è stato affidato di portare avanti le pratiche presso il Comune di Maiori, per la gloria di Dio e per il bene della nostra Comunità.
Si spera bene per la protezione della nostra celeste Mamma Maria SS.ma, non facendoci mancare l’aiuto dell’Ecc.mo Arcivescovo di Amalfi Mons. Ercolano Marini, e del confessore delle Suore di Maiori Rev.mo P. Alfonso Romano O.F., i quali hanno grande ascendenza sugli animi dei componenti il Comitato e il Comune.
Si disse inoltre, che, comprata la casa (Monastero) l’Asilo e il Laboratorio, sarebbero restati sotto la dipeSr.Maria Agnese Tecca, terza Madre Priora delle Suore Domenicane Figlie del SS. Rosario di Pompei.ndenza del Comitato per maggiore vantaggio delle Suore stesse.
In fede di che ecc. ecc.
La Segretaria del Consiglio Suor M. Margherita Idà del S. Cuore di G. Domenicana Figlia del SS. Rosario Valle di Pompei.
«Si approva il presente verbale
Valle di Pompei 13 agosto 1925 - Augusto Mons. Silj»
(Archivio delle Suore Domenicane “Figlie del S. Rosario di Pompei”).
In effetti, i termini della cessione del Convento vengono riassunti in un primo momento, Una veduta lato monte della Casa di Maiori.in una missiva inviata alla Priora Sr. Maria Colomba Mazza dal Sindaco D’Amato in data 17 gennaio 1926 e del seguente tenore:
“Facendo seguito a mia ultima del 9 corr. Mese n° 55, Le significo che quest’Amministrazione sarebbe disposta a vendere a Codeste Suore Terziarie Domenicane – salvo approvazione dell’Autorità tutoria -  l’ex convento di S. M. della Pietà, ove è attualmente l’Asilo infantile, comprendendovi il lato nord-ovest, il nord-est ed il lato sud-est ed il piccolo giardino centrale, e non comprendendovi la Chiesa ed accessori ed il locale attualmente occupato dalla Società di Mutuo Soccorso “Fratellanza e Previdenza Maiorese”.
La vendita dovrebbe essere subordinata alle suguenti condizioni:
I – Pagamento del prezzo di £. 17.000 ed affranco al Comune del canone annuo dovuto in £. 1.000 al Fondo Culto.
II - Destinazione dell’immobile ad uso d’educandato femminile.
III – Facoltà al Comune di riscatto, in caso che tale destinazione non si avverasse o  venisse a mancare durante il termine di tre anni.
IV - Diritto al Comune di avere, per le giovanette povere, tre posti gratuiti.
V - Tutte le spese contrattuali a carico dell’acquirente – come per legge.Quanto all’acquisto che codeste Suore intenderebbero fare anche di una zona di terra lungo il lato nord-ovest, per eventuali e possibili ampliamenti, esso potrebbe formare oggetto di altra trattativa, dopo che si fosse perfezionato il contratto circa quanto forma oggetto delle attuali trattative.
Prego ora la S.V. di volermi far conoscere al più presto le determinazioni di Codesto Capitolo, dato che il Comune, che ben più vantaggiosa utilizzazione economica potrebbe ricavare dall’immobile in parola, ha da tempo soprasseduto dal curare di attuarla, unicamente per aderire
allo scopo altamente sociale cui tende la proposta istituzione dell’educandato.
Con osservanza  - Il Sindaco C. D’Amato
Prese così l’avvio della pratica di acquisizione del Monastero della Pietà da parte della Congregazione. L’iter burocratico non si presentò semplice, nonostante la disponibilità da parte dell’Amministrazione Comunale di Maiori di portare avanti l’iniziativa.
Intanto, la struttura, già quasi fatiscente in più punti, dava segni di evidente e prossimo cedimento e non si disponeva di fondi sufficienti per far fronte alle ingenti spese di manutenzione o, addirittura, di ricostruzione.
Nello stesso periodo, inoltre, vi era stato un avvenimento di grande rilievo: la morte di Bartolo Longo, il fondatore della Nuova Pompei, che avvenne proprio il 5 ottobre del 1926. Anno in cui erano particolarmente più intensi i rapporti tra la cittadina vesuviana e Maiori.
Fu solo a seguito di una delibera del 25 luglio dell’anno 1932 che il 1° agosto del 1932 fu stipulato l’atto notarile   Un'immagine delle condizioni di deterioramento del lato ovest della casa all'inizio del secolo.tra il Commissario Prefettizio del Comune di Maiori, il Sig. D’Amato Carlo, e la “Signorina Chiara Tecca fu Nicola  possidente, nata a Capistrano e domiciliata in Pompei, qui residente, nella qualità di Presidente dell’Intellettuale femminile con sede in Pompei”.   (Archivio «Suore Domenicane Figlie del S. Rosario di Pompei». Pompei).
La summenzionata Signorina era l’allora Sr. Maria Agnese Tecca, che fu eletta Priora Generale delle “Figlie del Rosario di Pompei” nel V Capitolo del 1° agosto 1932.
Come riportato nelle altre storie, quello stesso anno, il 27 dicembre, fu tramutata la definizione di “Priora” in “Madre Generale”, istituendosi così i Capitoli elettivi con scadenza ogni sei anni. In quella elezione a Madre Tecca si alternò Madre Colomba Mazza.
L’intento dell’allora Amministrazione Comunale fu, senza dubbio, quello di mantenere in vita l’Istituzione. Peraltro, come già detto, per il degrado strutturale, erano necessari interventi di manutenzione con conseguente aggravio di spese di bilancio comunale.
Il Consiglio dell’Amministrazione della “Società Anonima  Istituto per la Educazione Morale ed Intellettuale Femminile” si riunì in data 31 luglio del 1932 nella sede di Pompei, per ratificare il passaggio della proprietà, con un atto che tenne conto di adeguamenti relativi ad integrazioni e condizioni che mutarono nel corso del tempo. Alla riunione erano presenti le consigliere: Tecca Chiara, in religione Sr. Maria Agnese; Rosa Mazza, Sr. Maria Colomba Mazza; Vincenzina Visconti, Sr. Maria Assunta; Antonietta De Sanctis, Sr. Maria Concetta, le quali approvarono l’operato della Presidente Idà Agnese, ovvero Sr. Maria Margherita, “attribuendo, altresì, un voto di riconoscenza all’autorità Amministrativa di Maiori”.  (Archivio «Suore Domenicane Figlie del S. Rosario di Pompei». Pompei).  (Autore: Mario Rosario Avellino).

*La Casa di Maiori ai primi albori
Il 18 giugno del 1923 l’Arcivescovo di Amalfi, Mons. Ercolano Marini, stabiliva che la casa religiosa delle Monache Clarisse di San Francesco venisse affidata alle Suore Domenicane di Pompei.
Era sua intenzione fondare un Istituto per accogliere fanciulle del posto: istituire una Scuola
materna e una Scuola di ricamo e cucito.

Ciò si desume dal decreto di erezione della casa. Egli si rivolse al cardinale Augusto Silj che allora era responsabile a Pompei.
Pochi giorni dopo, il 27 giugno, la Rev.ma Madre Priora, Madre Colomba Mazza, riunisce il Consiglio e presente Mons. Celli, definisce l’accettazione della nuova fondazione.

Si legge la Convenzione proposta dalla Contessina Giuliana Benzoni, mandata dal comitato locale, vengono fUn'antica foto (1939) di un gruppo di ragazze accolte dalle Suore. A sinistra Sr. M. Pia Montella, al centro vediamo Sr. M. Serafina Natellaissati gli obblighi reciproci da osservarsi e si delibera, secondo quanto viene richiesto da un articolo della Convenzione stessa, di inviarvi tre Suore. Sono: Sr. Maria Pia Montella, Superiora e maestra di lavoro; Sr. Maria Serafina Natella, insegnante; Sr. Amata Mazzone; Rosalia Rossi, postulante, divenuta Sr. Maria Reginalda.
Il 16 luglio del 1923 il silenzio dell’antico convento, ormai solitario, viene interrotto e vi si inizia una nuova vita di preghiera e di operosità. Le nostre Suore fondatrici, accompagnate dalla Rev. ma Priora di Pompei e dalla Madre economa, dopo aver ricevuto la benedizione con la corona del Rosario dal nostro Beato Fondatore Bartolo Longo, si inseriscono nell’ala del monastero che il Comitato aveva sommariamente resa abitabile. Prima attività esplicata l’apertura dell’asilo e di un laboratorio.
Dopo qualche anno, nel 1926, si realizzò l’apertura del corso elementare che in cinque anni fu completo. Vennero ripristinate opere assistenziali e di beneficenza come la Confraternita di S, Vincenzo de’ Paoli e ne fu affidata la direzione alle Suore.
La casa divenne, in seguito, anche sede dell’Azione Cattolica.
La piccola chiesa semipubblica, prima deserta, divenne centro di pietà e di fede; così che ben presto si vide migliorare lo stato spirituale e religioso della popolazione con grande gioia
dell’Arcivescovo, il quale, ebbe sempre parole di incoraggiamento e di plauso per l’opera esplicata dalle Suore.
In seguito il Comune di Maiori pensò di donare tutto il fabbricato alle Suore con l’impegno di ristrutturarlo a proprie spese.
Il 1° agosto del 1932 fu steLa prima comunità al completo. Partendo da sinistra:Rosalia Rossi, divenuta Sr. M. Reginalda con in braccio il mio futuro professore d'italiano, il Prof. Sarno, Sr. M. Serafina Natella, Sr. M. Pia Montella e Sr. Amata Mazzonesa la donazione legale (una copia dell’atto si conserva nell’archivio della casa). La casa consta di tre ali e un piccolo giardino agrumeto. Furono eseguiti in vari momenti lavori di restauro per tutta la casa.
Fu istituito un educandato femminile, dove venivano accolte ragazze, il cui numero variava dalle prime quattro a un massimo di trenta  unità.
Per meglio incrementare l’ Istituto si stabilì di iniziare un corso di Scuola media che durò pochi anni. Il numero degli alunni andò sempre crescendo e l’Istituto si affermò per prestigio su tutta la zona.
(Autore: Mario Rosario Avellino)

*La Casa di Maiori oggi

I vari locali, con l’andar del tempo e per meglio soddisfare alle esigenze igieniche e pedagogiche dei tempi moderni, hanno subito diverse trasformazioni.
Ultimamente sono state create camere singole con servizi igienici per le Suore che vi abitano, nonché  per gli ospiti di passaggio.
Da alcuni anni, la casa è diventata la sede del Capitolo Generale e si tengono ogni anno corsi di Esercizio Spirituali a livello Congregazionale.
Inoltre, sono stati creati, sfruttando ogni angolo nascosto della casa, sale e mini appartamenti abbastanza confortevoli per agevolare la permanenza delle ospiti in questi luoghi.
Durante i mesi estivi la nostra casa ospita le Suore che necessitano di cure elioterapiche avendo a disposizione un agrumeto sul mare.
È in corso però un progetto per la costruzione di una piscina..
Nell’Istituto il giardino – agrumeto di un tempo – è stato trasformato in un mini parco giochi per gli alunni della Scuola Materna ed Elementare.
La scuola ospita oggi, due sezioni di Scuola Dell’ Infanzia e il corso completo di Scuola Primaria con una popolazione di circa 150 alunni.Oltre alle discipline regolari di studio sono aggiunte attività integrative.
Da oltre una quindicina d’anni, la casa accoglie l’Istituto di Scienze Religiose dell’Arcidiocesi di Amalfi – Cava dei Tirreni, voluta dall’Arcivescovo Beniamino De Palma.

*Convento di Santa Maria della Pietà e la Chiesa delle clarisse
La casa del Convento di S. Maria della Pietà ebbe inizio in data  27 settembre 1515.
In questa data il dottor Luca Staibano inserisce nel suo testamento il trasferimento di un
casamento con giardino al Comune di Maiori che determinava che venisse fondato un monastero di monache clarisse.
Circa quattro anni più tardi furono iniziati i lavori che terminarono attorno al  1530.
Venne quindi fondato il   Monasterium S. Luca seu Pitatis Ordini S. Francisci Obsrvantiae della Pietà. Donzelle nobili potettero entrare nel convento e nel  1661 il numero di esse era già salito a quindici.
Tra di esse si possono trovare i nomi delle famiglie più note:  de Ponte, Aurisicchio, Confalone.
Nella piccola chiesa, ricca di opere artistiche, appartenente al convento sono, tra l'altro, presenti opere di  Girolamo Cenatiempo e Nicola Vaccaro.
A causa della soppressione dei patrimoni ecclesiastici nel 1866 il complesso passò allo Stato e poi al Comune di Maiori.
In data  1 settembre 1932 il complesso passò alle  Suore di Pompei.
Piccolo accenno sulla Chiesa
La chiesetta già sin dall’inizio fu ampliata ed abbellita di marmi, affreschi e tele raffiguranti scene evangeliche, vite e miracoli di Santi Francescani. In seguito, con l’arrivo delle nostre
Suore furono aggiunti affreschi con i grandi santi Domenicani.
Sull’altare maggiore troneggia la Madonna di Costantinopoli comunemente chiamata, ma in origine era detta “S. Maria della Pietà”, il cui autore è San Luca, infatti porta decorata la inconfondibile stella. Dal 1980 la chiesa è rimasta chiusa perché danneggiata nella sua struttura dal violento terremoto.  Da quel giorno spaventoso, sono passati 28 anni.
Ora, sono stati eseguiti lavori di consolidamento, è stato rifatto il tetto, il pavimento, restaurati e ripuliti il trono, decorato in oro zecchino, e le tele. La chiesa appare un vero gioiello, restituito a noi in tutto il suo splendore. Da molti è considerata la chiesa più bella della Costiera Amalfitana.

*Le Superiore della Casa di Maiori

Ben tredici Suore si sono alternate alla guida dell’Istituto "Santa Maria" di Maiori (Sa), è doveroso qui citarle, riportando una breve scheda con le notizie generali relative alla loro vita.   Nei vari carteggi relativi a queste Suore evince sempre un loro particolare attaccamento alla Casa e al Paese. Tutte hanno lavorato con entusiasmo e piacere per il bene delle fanciulle nell'espletamento dell'opera di educazione e la formazione. In particolare va ricordata la prima Superiora, Suor Maria Pia Montella, per la quale si fece richiesta di rinnovare l’incarico di Superiora anche oltre i termini previsti dalla normativa vigente, con dispensa a norma del Can. 505.

Madre Pia Montella                (1923-1944)
Madre Cecilia Pignatelli         (1944-1950)
Madre Agostina Allaria         (1950-1965)
Madre Roberta Marchesano   (1965-1974)
Madre Chiara Marinelli         (1974-1976)
Madre Florinda Capasso        (1976-1985)
Madre Rosanna Piccolo          (1985-1995)
Madre Nazarena Libonati      (1995-1998)
Madre Pasqualina Battaglia    (1998-1999)
10ª Madre Rosa Battigaglia        (1999-2000)
11ª Madre Giustina Stavola        (2000-2001)
12ª Madre Colomba Russo          (2001-2020)
13ª Madre Anselma German       (2020- e continua)
Breve scheda con le notizie generali relative alla vita delle 13 Superiore
1ª - Madre Pia Montella
(1923-1944)

Suor Maria Pia Montella, al secolo Raimonda. Nata l’1-12-1896 in Torre del Greco (NA) deceduta il 24-2-1982 in Pompei. Entrò nella Congregazione nel 1918; Aveva preso l’abito il 30 aprile del 1919, professato il 4 agosto del 1920, ed emesso i Voti Perpetui il 15 agosto del 1926. Subito dopo aver emesso i voti temporanei, nel 1922, fu inviata a Maiori (Sa) ove rimase fino al 1944. È viva nel ricordo di quanti la conobbero per la sua vita di attività e di zelo nella Congregazione e nel servizio del prossimo.  Ogni suo gesto, ogni sua parola o sorriso rivelava la ricchezza spirituale della sua formazione e la dedizione incondizionata ad ogni attività svolta. Fu la fondatrice della nascente Comunità Maiorese e poi Superiora. Spese le sue giovani energie a beneficio delle alunne che frequentavano l'Istituto, tanto che il Comune le conferì la Cittadinanza Onoraria. È superfluo aggiungere commenti per il lavoro che fece per il bene della casa di Maiori e dell’Istituzione a vantaggio delle alunne che frequentavano l’Istituto, riscuotendo l’approvazione e la riconoscenza della città. Di ciò è prova degna di benemerenza del conferimento della cittadinanza onoraria che le fu conferita il 13 gennaio del 1945 dalla Giunta Municipale del Comune di Maiori.
Trasferita a Pompei, fu per lunghi anni Direttrice della Scuola Pontificia. Insegnante preparata e stimata, Superiora capace e amata, soprattutto religiosa fedele e generosa. Incarnò un ideale di vita semplice, serena e tranquilla, tutta consacrata al bene dei fratelli.
Morì a Pompei il 24 febbraio 1982.

2ª - Madre Cecilia Pignatelli (1944-1950)

Nacque a Lecce il 23 maggio 1896.
Dopo aver seguito un corso di studi regolare, conseguendo la laurea in Lettere, lasciò la famiglia ed a 25 anni entrò in Noviziato. Trascorse la sua vita a Pompei ponendo a servizio delle bambine del "Sacro Cuore" la sua preparazione culturale e vocazione spirituale.
Lavorò per lunghi anni accanto a Madre Immacolata Savino, Superiora Generale del tempo. Nel 1944 fu inviata a Maiori dove restò fino al 1950.
Morì a Livorno il 10 agosto 1968.

3ª - Madre Agostina Allaria (1950-1965)

Nacque a Pompei il 2 settembre 1900. Seguì un corso di studi regolare, dopo vari anni di insegnamento nelle zone periferiche di Pompei, entrò in Noviziato seguendo l’esempio della sorella. La giovane portò con sé tanta esperienza e tanta luce provenienti dagli insegnamenti dell’Avvocato Bartolo Longo di cui il padre era segretario fidato. Da Suora riprese l’insegnamento e fu instancabile nel seminare e generosa nell’offrire i frutti del suo lavoro a Maiori, dove rimase dal 1950 al 1965. Morì a Pompei il 20 gennaio 1974.

4ª - Madre Roberta Marchesano (1965-1974)

All’età di 86 anni, è tornata alla casa del Padre Sr. M. Roberta Marchesano. Nel suo candido letto dell’infermeria, ove era degente da alcuni anni a causa di un male progressivo che l’aveva portata alla totale invalidità, il Signore l’ha chiamata a sé dolcemente, senza "far rumore", così come era vissuta. Nata a Salerno, il 19.9.1924, da genitori profondamente cristiani, emise i voti religiosi il 21.12.1950 e quelli perpetui il 4.6.1956. Grazie al Diploma di Maestra Elementare, con gioia ed entusiasmo, ha dato di sé, ovunque l’obbedienza la mandava. I luoghi principali della sua operosità sono stati Pompei, Maiori e Padula. A Maiori ha trascorso nove anni, lì è stata responsabile della Comunità e valida insegnante, amata e stimata dagli alunni e dalle loro famiglie, entusiasta nel suo dare senza misura. Fu amata dalla gente del paese per le sue doti di gentilezza, nobiltà d'animo e profonda pietà. È stata, poi, Superiora a Padula e più volte a Pompei, dove, presso l’Istituto "S. Cuore", ha avuto per tutte le nostre bambine orfane, sia come Superiora, che come insegnante, una tenerezza veramente materna, che traspariva in ogni sua azione. Resta scolpito nel nostro ricordo il suo costante servizio, il suo passo svelto che sembrava voler raggiungere in fretta il suo "essere per tutti", sempre attenta e disponibile, non misurava il sacrificio; era solito ripetere: "Tutto è poco per Gesù". Si notava in lei lo spirito del bambino evangelico: umile e semplice; pronta a perdonare, ad essere "operatrice di pace". Negli anni ’90, fu sottoposta a un difficile intervento al cuore, e fu sul punto di morire. Tutto si risolse in bene, ma rimase minata e indebolita, dovette lasciare l’insegnamento e altri compiti impegnativi. Fu allora che rientrò a Casa Madre a Pompei, rendendosi utile in vari lavori, tra cui quello svolto presso la Segreteria Generale del Santuario. Negli ultimi anni, colpita da una grave malattia, fu trasferita al Reparto Infermeria essendo costretta su una sedia a rotelle.

5ª - Madre Chiara Marinelli (1974-1976)

5 marzo 1988. Madre Chiara, Superiora di Casa Madre, spiccava il volo verso il Cielo, lasciando nel cuore di tutte un grande vuoto. Nacque a Napoli il 14.2.1905. Manifestò fin da bambina, il desiderio di abbracciare la vita religiosa, ma solo a 25 anni potè realizzarlo, entrando tra le Suore Domenicane di Pompei. Nella Congregazione ricoprì delicati e importanti compiti, tutti svolti con grande serenità, amabilità e competenza, sempre coerente con la sua scelta di vita. Un’eccezionale tempra materna, unita alla vivacità dell’intelletto e ad una grande schiettezza, tipicamente partenopea, sono stati i tratti salienti che la rendevano subito simpatica a chi l’avvicinasse. È stata la V Superiora a Maiori dal 1974 fino al 1976, dove era stata come insegnante precedentemente e ancora la V Superiora all'Istituto "Antonio Aveta" in Santa Maria Capua Vetere, da settembre 1978 fino settembre 1983, infine ha abbracciato il Superiorato a Casa Madre, facendosi amare dalle sue Suore in un modo unico, perché sapeva dare sicurezza, ottimismo, comprensione, gioia di vivere. Direttrice delle giovani di "Casa Famiglia" e delle bambine dell’Istituto "Sacro Cuore", si dimostrava affettuosa verso le orfane che teneramente amava, senza differenza alcuna. L’amore di Madre Chiara ha avuto questa nota singolare: dare tutto senza aspettarsi nulla, testimoniando quanto è dolce "donarsi" nel silenzio e nel sacrificio. L’ultimo "voto" del suo cuore: partire missionaria; ne aveva tutta la "stoffa", ma … l’età non glielo consentiva. È stata una rinuncia molto sofferta; sapeva bene, però, che era proprio questo sacrificio a fare da "humus" alla fecondità missionaria della nostra Famiglia religiosa. Il merito più grande di una religiosa è quello di giungere al traguardo con la lampada accesa: la fede in un Dio che ci ama, ci perdona e ci accoglie nella Sua Dimora eterna, anche se con le mani "vuote"; ma … Madre Chiara le aveva "piene", e come!!!

6ª - Madre Florinda Capasso (1976-1985)

Nata a Sant’Antonio il 26 dicembre 1935, entrò giovane nella Congregazione delle "Figlie del S. Rosario di Pompei".
Dopo un periodo di formazione religiosa e culturale, fu inviata a Paola dove si distinse come valida insegnante tra gli alunni che frequentavano l’Istituto. Ad essi, oltre alla cultura, donò tenerezze materne e squisita premura. Per le stesse doti fu particolarmente apprezzata ed amata nel tempo che trascorse a Maiori come responsabile di comunità, dal 1976 al 1985.

7ª - Madre Rosanna Piccolo (1985-1995)

Il 27 Aprile ci lascia, improvvisamente e inaspettatamente, anche Sr. M. Rosanna Piccolo, di anni 77. La nostra Consorella lascia un vivo rimpianto in tutti coloro che l’hanno conosciuta, amata e stimata.
Affascinata dall’ideale della consacrazione totale a Cristo, già diplomata per l’insegnamento nella Scuola Elementare, nel 1951 entrò nella Congregazione delle Suore Domenicane del S. Rosario di Pompei. Emise la prima Professione religiosa il 15.9.1954 ed i Voti Perpetui il
24.9.1959. Ha iniziato la sua missione di insegnante e di educatrice subito dopo la professione. Fu prima a Pompei, nelle Opere del nostro Fondatore, il B.B.L. tra i ragazzi dell’Istituto "A. Ponzo", e poi nella Casa di Santa Maria Capua Vetere, dove ha svolto brillantemente il suo apostolato nella Scuola Elementare. Più tardi l’obbedienza la volle a Maiori (SA), dove ricoprì il ruolo di Superiora della comunità e, nel contempo, continuò il suo valido insegnamento donando ai piccoli con amore e bontà una buona formazione cristiana e culturale. Al termine del suo mandato, Madre Rosanna ritornò a Pompei con gioia, nella culla della nostra famiglia religiosa, continuando la sua missione di insegnante e di educatrice tra gli orfani dell’Istituto "A. Ponzo". Negli ultimi anni, raggiunto il limite d’età per l’insegnamento, viene trasferita a Casa Madre, dove è stata sulla "breccia" fino all’ultimo giorno di vita, prestando servizio nella sala delle offerte, un lavoro che ha compiuto con tanto amore e spirito di sacrificio. Grazie per il dono della tua vita spesa bene! Umanamente "tutto è compiuto" ma la sua anima è immersa ora in spazi di luce, di gioia e di pace, dove regna solo quell’ Amore grande di cui lei è stata un "riflesso".

8ª - Madre Nazarena Libonati (1995-1998)

Nata a Paola (CS) l’01.01.1943, la sua vocazione è nata frequentando l’Istituto del suo paese natale.
Dopo aver conseguito il diploma di Maturità Magistrale, ha insegnato a Paola e poi per lunghi anni si è dedicata alla formazione delle bambine dell’Istituto "S. Cuore" a Pompei.
Nel 1995 le fu affidato l’incarico di Responsabile della comunità di Maiori, dove divideva le giornate tra l’insegnamento e la vita di comunione con le sorelle.
Le sue doti di preparazione avevano attirato la stima delle famiglie e l’affetto dei bambini che frequentavano l’Istituto. Nel 1998 lasciò Maiori perché destinata alla casa di Padula

9ª - Madre Pasqualina Battaglia (1998-1999)

Suor Maria Pasqualina Battaglia, al secolo Grazia, è nata a Boscotrecase (NA) il 03 ottobre 1946, primogenita di due figli.
Ha sentito la chiamata del Signore mentre frequentava il corso per conseguire l’Abilitazione all’insegnamento di grado preparatorio.
Al termine degli studi ha lasciato tutto per seguire generosamente il Signore.
Dopo la prima professione per sette anni è stata educatrice delle bambine dell’Istituto "Sacro Cuore" di Pompei, poi ha conseguito il diploma di Maturità Magistrale.
Dal 1980 insegna nelle scuole elementari alternando il lavoro tra Maiori e Pompei.
Nel 2001 ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento.
Ora si trova nella casa di Maiori ed esplica il servizio di Vicaria della superiora, oltre all’insegnamento.

10ª - Madre Rosa Battigaglia (1999-2000)

Il 10 Settembre, un’altra "luce" si spegneva nella nostra Congregazione per riaccendersi nel cielo: è la luce della limpida anima di Suor Maria Rosa Battigaglia, purificata nel "crogiuolo" di indicibili sofferenze. Addio, carissima Sr. M. Rosa, sorella ed amica che ha vissuto il sublime ideale della sequela di Cristo e le tappe più belle del suo cammino religioso amando le sue consorelle! Era entrata nella Congregazione nel 1956, laureanda in Lettere Classiche e vincitrice di Concorso Magistrale. Emessi i voti religiosi nel 1958 e conseguita brillantemente la Laurea, ella iniziò subito una lunga carriera nella Scuola, che l’ha vista come ottima insegnante, Preside e Direttrice sia negli Istituti di Pompei sia a Fidenza. S’impegnò fortemente per l’istituzione, nella Prelatura di Pompei, della Scuola Magistrale "S. Caterina Dottore" che ebbe il suo riconoscimento giuridico nel 1969 e di cui assunse la Presidenza. Svolse il suo ruolo a beneficio delle Orfane, con intraprendenza, bontà, luminosa testimonianza di bene. Nel 1984, Sr. M. Rosa lasciava il "suo nido" Pompeiano raggiungendo Fidenza, ove la Congregazione delle Suore Domenicane era già presente da anni con una Comunità e una Scuola Materna all’avanguardia. Qui, ella dava vita alla Scuola Media Cattolica "Mons. Vianello", assumendo il ruolo di Preside e di Insegnante, insieme al delicato compito di responsabile di Comunità per dodici anni; tutto in lei esprimeva dedizione, passione e competenza, lasciando nel cuore dei "beneficati" sia alunni che consorelle – tracce di profondo affetto e di riconoscenza. Nel 1998, ritornò a Pompei presso la Segreteria del Santuario, ove rimase solo un anno, perché già cominciavano a manifestarsi i primi sintomi della malattia che l’ha tolta al nostro affetto. Nel suo "letto di dolore", era solita ripetere: "Sono nelle mani del Signore; sia fatta la sua volontà"! Parole che trovano riscontro in quelle divine di Cristo: "Io faccio sempre ciò che piace al Padre mio". Carissima Suor Maria Rosa, è incominciata ora per te la vera vita; ricordi di te indelebili ci accompagneranno, dandoci la dolce certezza che ci sarai sempre vicina. Continua a sorriderci con l’ampiezza della tua bontà e carità, insieme alla Regina del Rosario, che, certamente, ti ha accolto subito sotto il "manto" aperto, in modo, speciale ai Figli e alle Figlie del Patriarca San Domenico.

11ª Madre Giustina Stavola (2000-2001)

Suor Maria Giustina Stavola, Giovanna nome di Battesimo, è nata a Padula (SA) il 12.08. 1936.
Ha risposto giovanissima alla chiamata vocazionale, accolta a Maiori (SA) come postulante per
prepararsi ad entrare in Noviziato.
Nel 1957 ha emesso la prima Professione e nel 1962 i voti perpetui. Nel frattempo ha conseguito il diploma di abilitazione all’insegnamento di grado preparatorio servendo così la Congregazione come insegnante di scuola dell’Infanzia.
Dal 1983 al 1992 è stata responsabile della comunità di Minori.
Negli anni successivi è stata superiora a Treponti e poi a Maiori.

12ª Madre Colomba Russo (2001-2020)

Ottava Madre Generale, dal 1989 al 2001, Madre Colomba Russo
Madre Colomba Russo, al secolo Candida, è nata a Minori (Sa) il 31 maggio 1937 da Gerardo e da Antonietta D’Urso.
Nona di dieci figli.
A 22 anni lasciò il mondo e gli agi della famiglia per aver scelto la vita religiosa.  
Dopo il Noviziato studiò a Roma dove conseguì al Magistero "Maria SS. Assunta" la Laurea in Materie letterarie il 20 novembre 1971.  
Fu inviata a Paola (Cs) e qui trascorse nell’ insegnamento gli anni della sua vivace giovinezza.
Disponibile alle esigenze della Congregazione si recò a Manila nel 1987 quando l’Istituto si aprì
alle Missioni.
Nello stesso anno fu nominata Maestra delle Novizie, carica che ricoprì soltanto per due anni; infatti, al Capitolo generale del 1989 fu eletta Superiora Generale carica che fu rinnovata per ben due sessenni.

13ª Madre Anselma German (2020-e continua)

Suor Maria Anselma German, Nenita German Javier nome di Battesimo, è nata a Calabanga Camarines Sud, nelle Filippine (PH) il 26.02.1962

*Evoluzione dell'Istituzione e alcune date da ricordare

La prima data è senz’altro quella del 19 giugno 1923: nacque l’Asilo Infantile e, nello stesso anno, il 1° di dicembre, anche il Laboratorio Femminile.
Evidentemente l’opera rispondeva ai fini sociali che si prefiggeva e non deludeva affatto le aspettative della cittadinanza; pertanto non tardò ad ampliarsi e tre anni dopo, il 1° settembre
del 1926, venne istituito un corso di scuola elementare (privato autorizzato), che si completò nei cinque anni.
Nello stesso anno vennero ripristinate opere assistenziali e di beneficenza, tra queste la Conferenza di S. Vincenzo de’ Paoli, la cui direzione fu affidata sempre alle Suore di Pompei.
Inoltre, nel 1928 la casa divenne sede dell’Azione Cattolica Gioventù.
Successe, così, che la "piccola chiesa semipubblica, prima deserta, divenne centro di pietà e di fede, tanto che ben presto si vide migliorare lo stato spirituale e religioso della popolazione con grande gioia dell’Ecc.mo Arcivescovo, il quale ebbe sempre parole di incoraggiamento e di plauso per l’opera esplicata dalle Suore. La parte amministrativa veniva curata dal Patronato Scolastico locale, il quale si era impegnato a provvedere a tutto il fabbisogno delle opere educative: suppellettili, materiale scolastico, ampliamento e riattazione dei locali.
Tutto ciò, naturalmente, fino a qualche anno precedente al 1932, quando nacquero esigenze ben più grandi di tipo economico e si dovette giungere alla risoluzione della donazione di cui si è ampiamente parlato nel capitolo specifico.
Scorrendo ancora il calendario della casa, vi troviamo l’annotazione della nascita anche del gruppo Azione Cattolica Donne nel 1935 e, finalmente, un Educandato Femminile.
Quest’ultima opera porta la data di nascita dell’anno 1938. In proposito la storia così ricorda l’istituzione:
"Il piccolo educandato fu iniziato nel 1940 con quattro educande che poi giunsero a nove per raggiungere il numero massimo di una trentina. Per meglio incrementarlo si stabilì di iniziare un corso di Scuola Media e si spera di riuscire anche qui".
Nel "Notiziario" esistente nella Curia Metropolitana di Amalfi, è annotata anche l’istituzione di un "Corso d’insegnamento Magistrale (privato per ora) 1941.
Ma per meglio seguire l’iter evolutivo, strutturale e istituzionale, dell’Istituto "S. Maria", è preferibile far parlare direttamente le varie Superiore che si sono succedute e, in particolare, quanto esse scrivono nelle relazioni che presentavano alle Suore Capitolari in occasione delle adunanze dei Capitoli Generali.
"Dalla relazione presentata all’adunanza del IV Cap. Generale 27 dicembre 1927, a firma della Superiora Sr. M. Pia Montella, presieduto da Sr. Maria Colomba Mazza.
La Casa di Maiori esplica le seguenti attività:
1) L’asilo infantile;
2) Le cinque classi elementari;
3) Il laboratorio di ricamo;
4) L’Educandato;
5) L’Azione Cattolica;
6) Il Catechismo parrocchiale e Prime Comunioni;
7) L’Opera "Conferenza S. Vincenzo de’ Paoli";
8) L’assistenza alla Colonia estiva del Cif di Avellino.
A Maiori non è stato possibile conservare la scuola Media per diversi motivi, tra i quali risulta che vi è una maggiore esigenza di avere una scuola femminile non mista in un centro non troppo popolato; perciò il numero delle allieve sarebbe molto esiguo anche data la vicinanza di Amalfi con le scuole Statali più economiche e, di conseguenza, più conveniente ad essere frequentate.
Tuttavia dopo la tempesta subìta per la nostra sistemazione, la Casa di Maiori si riprenderà in pieno, avendo esercitato per molti anni la sua Opera Benefica, per cui la popolazione ha molta stima nonché affetto per l’Istituzione, e continuerà ad incoraggiarla e ad aiutarla.
Dalla relazione del V Capitolo Generale del 1 agosto 1930, a firma della Superiora della Casa Sr. Maria Pia Montella, presieduto da Madre Agnese Tecca.
Questa Casa svolge le seguenti attività:
1) L’Asilo Infantile;
2) le cinque classi elementari, le quali sono parificate e per tal motivo occorrendo un personale con titoli adeguati, le Suore sono coadiuvate da due Signorine con Diploma Magistrale;
3) Il laboratorio per l’apprendimento del ricamo;
4) L’Educandato con una cinquantina di alunne, dieci educande propriamente dette; le altre invece sono assistite dal Ministero o dalla Provincia di Salerno;
5) Oltre la Scuola Elementare Parificata, la Rev. da M. Priora da circa tre anni, con il mio permesso e dietro insistenza delle Autorità scolastiche, ha ripreso l’insegnamento governativo che svolge nello stesso Istituto.
Dalla relazione del VII Cap. Generale 25.8.1971, a firma della Superiora della Casa Sr. Maria Roberta Marchesano, presieduto da Madre Lucia Pedone.
La casa di Maiori è stata rimodernata, sono in atto lavori per la costruzione di una scuola Materna secondo le leggi vigenti. Nell’Educandato è stato preparato un ambulatorio rispondente alle esigenze sanitarie.
Dalla relazione del IX Capitolo Generale 26.6.1983, a firma della Superiora della Casa Sr. Maria Florinda Capasso, presieduto da Madre Valeria Torelli.
Nella casa di Maiori si è dato un nuovo assetto alla cucina, al refettorio delle suore e ad altri ambienti del piano terra.
Ora è in via di elaborazione un progetto per il restauro dell’educandato, chiuso da alcuni anni per mancanza di alunne interne e gravemente colpite dal terremoto.
Dalla relazione dell’IX Capitolo Generale 22.7.1989, a firma della Superiora della Casa Sr. Maria Rosanna Piccolo, presieduto da Madre Colomba Russo.
La Casa di Maiori, ha acquistato un aspetto nuovo in seguito ai lavori effettuati in questi ultimi.
Restano da restaurare le aule scolastiche delle Elementari con relativo corridoio e, se sarà possibile, si spera poter realizzare l’ascensore.
Dalla relazione del XV Capitolo Generale 25.7.1992, a firma della Superiora della Casa Madre Rosanna Piccolo, presieduto da Madre Colomba Russo.
Un nuovo aspetto presenta la casa che ci ospita in questi giorni. Per la medesima legge 219/81 sono occorsi interventi radicali per un risanamento statico dei danni causati dal terremoto del 1980 alla Chiesa che è incompleta, ma più di tutte si è curata una zona che non era stata ancora risanata dall’umidità. La lavanderia è stata sistemata accanto al monastero per maggiore pr5aticità; inoltre è stato rifatto il pavimento nel cortile; in due stanze è stato sostituito l’arredamento.
La casa ha acquistato un volto nuovo.
Le due sezioni di Scuola Materna e la Scuola Elementare funzionano bene.
Dalla relazione del XVI Cap. Generale 25.7.1995, a firma della Superiora della Casa Madre Rosanna Piccolo, presieduto la Madre Colomba Russo.
I lavori qui hanno avuto un tempo indeterminato. Perdonate la battuta.
Ma vi sarete rese conto di ciò che, con l’aiuto di Dio, si è riusciti a realizzare.
La Chiesa è stata completata e sono stati creati nel soppalco ricavato dietro l’altare due piccoli appartamenti per l’uso delle Suore che la casa ospita nei periodi di vacanza o durante gli
esercizi spirituali. In Chiesa sono stati restaurati tutti i dipinti delle pareti, non quelli della volta, il trono della Madonna e l’altare.
È stata rifatta la vetrata sull’altare e tutte le vetrate delle finestre.
Rifatto completamente il sistema di illuminazione e di amplificazione.
Sono stati costruiti 14 banchi.
Chiusi con porte nuove i vani di accesso al corridoio e alla sala dietro l’altare.
Creato un sistema di riscaldamento.
Restaurato il portone di ingresso alla Chiesa.
Costruito un nuovo portone di ingresso all’Istituto ed una porta di accesso al portico, dotata di maniglione antipanico.
Sono stati aperti due vani sul Corso Reginna per dare luce alla direzione e al parlatorio delle suore.
È stato ripulito il coro.
Il 14 giugno 1994 è deceduto Don Clemente: sacerdote santo e nostro benefattore; è andato a ricevere il premio nel Cielo.
Era stato con noi 15 anni assistito dalle cure delle suore; e soprattutto di Suor Maria Adalgisa, alla quale va il nostro grato ricordo anche per la generosità e la disponibilità avita per la missione. Il Signore dia a Don Clemente la ricompensa per il bene operato a favore della Congregazione".
"I vari locali, con l’andar del tempo e per meglio soddisfare alle esigenze igieniche e pedagogiche dei temi moderni, hanno subito diverse trasformazioni.
Ultimamente sono state create camere singole con servizi igienici per le suore che vi abitano, nonché per gli ospiti di passaggio.
Già da alcuni anni, la Casa è diventata la sede del Capitolo Generale e si tengono ogni anno corsi di Esercizi Spirituali a livello di Congregazione.
Inoltre, è stato sfruttato ogni angolo nascosto della casa, per agevolare la permanenza degli ospiti in questi luoghi.
Durante i mesi estivi la nostra casa ospita le suore che necessitano di cure elioterapiche, avendo a disposizione un agrumeto sul mare. È in corso però un progetto per la costruzione di una piscina.
Nell’Istituto il giardino-agrumeto di un tempo, è stato trasformato in un mini parco giochi per gli alunni della scuola materna ed elementare con una popolazione di circa 150 alunni.
Oltre alle discipline regolari di studio sono aggiunte attività integrative: lingua inglese, ginnastica e musica.
Da oltre quattro anni, la Casa accoglie l’Istituto di Scienze Religiose dell’Arcidiocesi di Amalfi – Cava de’ Tirreni, voluta dal nostro benemerito Arcivescovo Beniamino Depalma.
Come già avviene fin dall’inizio della fondazione, le suore sono presenti nel Consiglio Pastorale della parrocchia e nella Catechesi ai fanciulli che vengono accolti nella nostra casa. La nostra comunità, sensibile al problema delle missioni, recentemente ha incoraggiato e sostenuto la partenza di una consorella per il Camerun: Sr. M. Adalgisa Bartolo, la quale ha lasciato un vuoto incolmabile nella casa e in quelli che l’hanno conosciuta.
Ella ha operato a Maiori come insegnante per ben 17 anni. Tutti, consorelle, alunni e genitori, la ricordano con affetto e stima e le augurano fecondo apostolato a favore del popolo camerunese.
Altre notizie sull’evoluzione della situazione della Casa le attingiamo dalla relazione della Superiora Generale, Madre Colomba Russo, relativa al triennio 1995-1998.
A Maiori vi erano 10 Suore.
"Ciascuna Suora si sforza di eseguire il cammino programmato dal progetto comunitario, anche se con molta fatica.
La Casa durante l’anno ospita i partecipanti al Corso di Scienze Religiose un servizio che la Congregazione offre alla Diocesi. Per la poca disponibilità di ambienti a Pompei anche un turno di Esercizi Spirituali si tiene a Maiori.
Inoltre, ogni tre anni si celebra nella Casa il Capitolo Generale.
Girando nella casa vi sarete rese conto delle trasformazioni apportate allo stabile perché diventi sempre più accogliente.
E già pronto un altro monumento, copia di quello della Casa Madre, per collocarlo nel giardino appena ritornano i bambini".

*La Chiesa annessa all'Istituto e gli Stucchi

"Venne il monastero eretto sotto il titolo di S. Maria della Pietà, adottando la regola francescana di S. Chiara, che elesse a sua patrona, insieme all’evangelista S. Luca, in memoria del benefattore, ad una ed agli altri dicatane la primitiva chiesetta; e fu istituito di stretta clausura, ammettendo al rango di coriste – discrete il solo ceto nobile.
Tantosto vi si rinchiusero le donzelle della nobiltà indigena, vestirono l’abito clarisso, e dopo il noviziato vi solennizzarono la professione".
L’opera, realizzata dall’Università a seguito del lascito dei beni per lo scopo dal buon medico Luca Staibano, fu completata nel 1520 (il Camera, come già detto, riporta la data del 1630 come anno di ultimazione della costruzione) non appena "trapassata la usufruttuaria". Ci stiamo riferendo alla sorella di Luca Carmosina.
Ritornando alla chiesetta, essa viene definita la più bella della costiera, specie ora che si
presenta in tutto il suo splendore, grazie ai lavori di restauro per gli ingenti danni riportati a seguito del sisma del 23 novembre del 1980.

Il quadro della Madonna dell'Avvocata con S. Nicola in abito da Vescovo e S. Gennaro. Tra i simboli, nelle due ampolline rette da un angelo, il sangue sciolto di S. Gennaro ed i tre pomi d’oro legati alla storia di S. Nicola. La tela, sistemata nell’androne di ingresso del portone ha una dimensione di 1,20x1,55 m.
Come si ha avuto modo di constatare, l’immagine e il culto per S. Nicola sono molto diffusi a Maiori.
In particolare, la chiesa è rimasta chiusa per circa quindici anni poi è stato rifatto il tetto, il pavimento ed anche il trono è stato sottoposto ad un’attenta opera di ripulitura con restauro e applicazioni di oro zecchino.

Le tele sono state restaurate ed ora, nel suo insieme, la piccola chiesetta ha riacquistato il valore di un tesoro…
Vale la pena tentare di leggere-interpretare le varie opere d’arte che in essa sono custodite anche se è difficile riportare per tutte precise indicazioni in ordine all’epoca a cui si ascrivono, agli autori, e, per qualcuna, ai personaggi e simboli rappresentati.
Le scene sono di ispirazione segnatamente francescana, considerate la collocazione e la committenza.
La chiesetta è ricca di marmi e opere pittoriche che ritraggono scene ispirate al racconto evangelico, alla vita ed ai miracoli attribuiti a Santi francescani; ha un’estensione di circa 80 mq ed è costituita da un’unica navata.
All’inizio del secolo, anche le suore pompeiane si prodigarono per arricchire la chiesa e furono aggiunti affreschi che ritraggono santi domenicani.

Gli stucchi

Dopo il restauro la chiesa non ha mutato sostanzialmente il suo stile architettonico. Sono state eliminate quelle parti maggiormente danneggiate sia dalla vetustà, sia dall’evento sismico del 23 novembre del 1980.
A seguito di quest’ultimo i lavori hanno dato uno splendore ed una freschezza alle pareti molto particolari.
Sono stati eliminati i due altari laterali a vantaggio dello spazio e non più funzionali secondo le
attuali indicazioni della liturgia.
La chiesetta appare d’un lindore dovuto ai colori chiari delle tinte utilizzate interrotte qua e là da cornici, modanature e bassorilievi in gesso che conferiscono all’ambiente una equilibrata e sobria eleganza.
Gli stucchi che qui si riportano, sicuramente avranno subito rimaneggiamenti e modifiche nel corso degli anni, di cui non è dato avanzare ipotesi di datazione; sarebbe facile incorrere in errori.
I soggetti sono semplici e comuni, le fasce dipinte rispecchiano uno stile classico, quasi certamente risalenti all’Ottocento. Le finte colonne ed i capitelli non risalgono all’epoca di costruzione della chiesetta.

L'Altare
L’altare è di marmo policromo. È stato costruito impiegando tre principali tipi di marmo che distinguiamo in base al colore in:
marmo bianco
marmo violaceo con venature bianche
marmo giallo.
Con il marmo bianco sono state eseguite tutte le fasce di contorno, le mensole ed i fregi, che racchiudono i pannelli di marmo violaceo del primo ordine; una fascia di marmo giallo divide quest’ultimo dalla parte basale.
In particolare, a centro sotto la mensa, vi è una bellissima croce, opera pregevole sia per la perfezione della cesellatura, sia per le sfumature di colore.
Una considera<ione a parte merita il ciborio, che si eleva sull’altare, dal disegno semplice ma sobrio.
Sulla porticina, che è in argento, vi è rappresentato, al centro, un calice con l’ostia in un tondo raggiato. Fanno corona al calice nuvole con angeli simmetricamente disposti.
Una conchiglia in marmo bianco, sovrasta, nella posizione centrale, la porticina.
A destra ed a sinistra dell’altare due mensole sporgenti di marmo bianco.
Il trono, addossato alla parete, s’erge dal primo ordine dell’altare ricco di fregi e cornici intagliate e dorate.
Il quadro della Madonna è inserito, con cornice propria, nell’intero complesso ligneo, che è stato dipinto con colori verde chiaro con venature più scure per riprodurre un finto marmo.
Il trono termina con un architrave triangolare sul quale due puttini – angeli sorreggono una pergamena accartocciata che porta inciso il monogramma mariano.

*L'immagine della Vergine

La Vergine, dal viso dolce e delicato, il capo inclinato (segno della Misericordia), ha uno sguardo tenero e profondo, è ritratta per circa due terzi del corpo e avvolta in un mantello azzurro a bordi dorati. Le tre stelle sul manto (di cui se ne vede una sola) simboleggiano la perfetta verginità di Maria: prima, durante e dopo il parto.
Sul capo due piccoli angeli alati reggono la mistica corona.
La figura sorge da un complesso di piccole nuvole, stringe tra le mani il Bambino che ha la mano destra in atteggiamento benedicente e regge nell’altra il mondo sormontato dalla Croce.
In epoca successiva la devozione ha voluto incoronare il divino Bambino e la Madre, sovrapponendo al dipinto due preziose corone.
Un elemento di inusitato ornamento: una piccola collanina di grani rossi cinge il collo del Bambinello.
Il quadro ha una dimensione di cm 100x130.
Sovente ricorre la domanda del perché la chiesa fu dedicata a S. Maria di Costantinopoli. Forse per trovare la risposta a questo interrogativo dobbiamo andare alla ricerca delle sofferenze del popolo nel tempo e scopriamo che era l’epoca delle Pestilenze.

A Napoli era iniziata già nel 1526 e nel 1528 si era nel pieno dello sviluppo epidemico.
(Foto a destra: Il quqadro di S. Maria di Costantinopoli. La pala d'altare raffigurante la Madonna con Bambino, difficilmente può essere interpretata come Madonna di Costantinopoli, in quanto manca la parte bassa del dipinto con l'incendio della città, classico elemento presente nell'iconografia specifica. Dal punto di vista cronologico il dipinto esprime un'iconografia tipica della Madonna con Bambino degli inizi del Seicento, ma alcune rigidità compositive possono lasciare intendere una realizzazione della seconda metà del XIX secolo; una parola definitiva può scaturire da un'indagine di restauro).
Anche Maiori, stando al cronista Maiorese M. Oliva riferendoci di essa, relativamente all’anno 1528, cita una famosa pestilenza e scrive: "propter magnam pestem anni presentis fuerunt plus mortui quam vivi in dicta terra Maioris" (Primicerio, G. La città di Maiori… op. cit. pag. 231).
Partendo da questa notizia e ricordandoci che – secondo il Camera – la costruzione del Monastero fu ultimata proprio nel 1630, avremo motivo di ritenere valida la ipotesi che la chiesa venisse dedicata alla Vergine invocata in occasione di epidemie e pestilenze.
In breve, la storia della presenza di Santa Maria di Costantinopoli a Napoli, e per analogia, a Maiori, nasce appunto in occasione del flagello della peste, che infieriva mietendo vittime nel napoletano. Ma non solo questa era la causa di tante vittime.
Un diarista del tempo, Gregorio Rosso, scrive: "L’anno 1528 fu infelicissimo a tutta Italia, particolarmente allo nostro Regno di Napoli perché ci furono tre flagelli de Iddio, guerra, peste e fame" (Ambrasi, Domenico. S. Maria di Costantinopoli in Napoli. La chiesa – La parrocchia. Napoli, 1976, pag. 12, notizia riportata da: Rosso, Gregorio. Istoria delle cose di Napoli sotto l’imperio di Carlo V. Napoli, 1770).
Quell’anno non avvenne, tra l’altro, la liquefazione del sangue di S. Gennaro e ciò fu interpretato come un segnale di cattivo auspicio per la città.
Infatti per il popolo che era stretto in un dal quale fu liberato solo l’8 settembre, giorno della Madonna Santissima, le sofferenze non ebbero fine perché un altro flagello sopraggiungeva: quello della peste che "perdurava ancora ai primi del 1529 e riprendeva con maggior violenza la sua opera distruggitrice nel mese di marzo"
E solo all’inizio dell’estate andò scemando l’epidemia.
Così ci viene tramandato il racconto della fine delle sofferenze: "Il pio notaio Rosso attribuì all’intervento della Vergine Santissima, come la fine dell’assedio, così pure quello della peste: "Nello mese di giugno di questo anno (!529), il terzo giorno di Pasca Rosata (… martedì di Pentecoste), fu ritrovata vicino le mura della Città di Napoli una immagine della Madonna Santissima Madre di Dio, per revelazione de una vecchiarella, che abitava là vicino, alla quale fu promosso dalla Madre di Dio il fine della peste, come si vedde con affetto; et perciò la città di Napoli diede principio subito ad edificare una Chiesa a detta Immagine, con lo titolo della Madonna de Costantinopoli, et si spera, che la protegga da detto morbo per l’avenire in ogni futuro tempo.
E non solamente la Madonna di Costantinopoli liberò Napoli dalla peste, ma anco dalla guerra, perché nello stesso tempo fu conclusa la pace fra l’Imperatore et il Papa, negoziata per molti mesi dal Cardinale Santa Croce, et ultimamente ridotta al fineda Gio. Antonio Muscettola Imbasciatore Imperiale a Roma".
Quindi il 31 maggio del 1631 giunge la bolla del Papa Clemente VII con la quale si dava alla cappellina il titolo di "S. Maria di Costantinopoli".
In effetti dalla bolla non si evince la storia-leggenda della vecchietta, bensì l’esistenza di un oratorio quasi distrutto ed abbandonato.
Purtroppo il culto per la Madonna di Costantinopoli si affievolì ma fu rinfocolato in occasione di una nuova epidemia di peste che si abbattè su Napoli nel 1575; fu proprio allora che "una pia donna, ispirata in visione, ricordò ai Napoletani la prodigiosa immagine della Vergine, onde la cavassero dalle rovine, e le edificassero un novello Tempio, come fu fatto, e la città e il regno
fu immune dal flagello". (Galante, Gennaro Aspreno. Guida Sacra della città di Napoli. A cura di Nicola Spinosa. Società Editrice Napoletana. Napoli, 1885, pag. 56).
Fu costruita una nuova chiesa che, forse, inglobava la vecchia chiesetta.

(Foto a sinistra: L'Immagine di S. Maria di Costantinopoli, addobbata per l'occasione della festa di commemorazione del 7 febbraio).(Foto a destra: Il

Successivamente a questa già esistente, fin dal 1586 fu progettata dal celebre domenicano fra Giuseppe Nuvolo, converso del monastero dei PP. Domenicani della Sanità l’attuale chiesa, e "nel 1603 la Sacra Immagine fu distaccata dal muro di quella chiesetta e posta in trofeo di finissimo marmo, dove attualmente viene venerata sull’altare maggiore" (Celano, Carlo. Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli. Edizioni Scientifiche Italiane. Napoli, 1974, Vol. 6 pag. 660. Vol. II. Pag. 818).
Sulla facciata della chiesa si legge:
"MATRI DEI OB URBEM AC REGNUM A PESTE SERVATUM"
In questa chiesa vi è dunque l’Immagine della Madonna, che è un affresco su lastra tufacea (1,60 x 2,00 m) della fine del sec. XV – inizio del sec. XVI, è rappresentata a mezzo busto con il Bambino stretto a sé, che ha ai lati rispettivamente, a sinistra, S. Giovanni Battista e, a destra S. Giovanni Evangelista.
Due Angeli in alto sorreggono un drappo che è posto sul fondo. In basso la Madonna è immersa nelle nubi rette da due angeli; nubi che separano l’immagine da una scena posta in basso nel quadro e che rappresenta la città di Costantinopoli invasa dalle fiamme, domate da due angeli volanti in atto di versare dalle anfore che hanno tra le mani, l’acqua per spegnere l’incendio.
Sul fonte battesimale della stessa chiesa la Madonna appare senza i due personaggi ai lati ed i due angeli in alto sembrano sorreggere la corona che ha in testa. Il Bambino è più raccolto in seno alla Madre.
Ricordiamo, infine, che in riferimento a Costantinopoli, vi si è sviluppata una profonda devozione alla Madonna; anzi, si ritiene che ivi siano custodite tre icone che ritraggono Maria e attribuite a S. Luca.
Di qui la diffusione agli altri popoli il culto delle icone mariane.
A Maiori, nella Chiesetta di cui ci stiamo occupando, il 7 febbraio viene recitata la coroncina, in onore di Maria SS. di Costantinopoli. Il testo ha inizio con l’invocazione:
"Vergine bella, Madre di Dio e Madre nostra Maria santissima di Costantinopoli, prostrati a Voi innanzi, Vi veneriamo profondamente.
Questo bel titolo di Costantinopoli è l’espressione più chiara e luminosa della Vostra grandezza e della Vostra gloria, giacché appunto in quella Città fu innalzato il primo Tempio alla Divina Maternità Vostra, dopo proscritta e condannata in Efeso l’empia eresia di Nestorio.
Ed è pure questa Vostra Divina Maternità che tutte le eresie distrugge ed annienta e la vera fede di Gesù Cristo ferma su salda base e di splendida luce la circonda. (…).
Il testo reca la firma dell’arcivescovo Ercolano Marini, la data del 7 febbraio dell’anno 1928 ed una postilla: "Si prega di recitare una Ave Maria per la divota che l’ha fatta stampare" (Coroncina in onore di S. Maria di Costantinopoli).
Mentre ci avviamo alla fine di questa ricerca emerge la riflessione che l’immagine abbia subìto qualche modifica.
L’ipotesi potrebbe essere suffragata dal fatto che la zona posta in basso del dipinto non sembra sia stata eseguita con la stessa maestria della rimanente parte del quadro.
Il pittore che ha dipinto così bene anche le nuvole. Naturalmente non si spiega il perché della modifica, ma noi restiamo fiduciosi che le ricerche su questo argomento continuino al fine di arricchire sempre più il patrimonio della memoria storica città.

*I dipinti della chiesa

Questo capitolo è stato, sicuramente, tra i più sofferti dal punto di vista della ricerca per le difficoltà incontrate in mancanza di testimonianze documentali.
Tuttavia è stato affrontato l’argomento tentando di interpretare innanzitutto cosa rappresentassero i vari dipinti, individuando i personaggi, i santi ed i beati: ciò non è stato sempre facile perché per taluni di essi erano stati dati – nel passato – interpretazioni che abbiamo timidamente rimesso in discussione dopo una lettura dei simboli e dei riferimenti storici.
Al fine di agevolare la individuazione delle immagini, si riporta un grafico dal quale si evince la collocazione nella chiesa delle varie opere.
I dipinti sono rispettivamente divisi in:
– affreschi, quelli del soffitto,
- quadri ad olio su tela, quelli collocati sulle pareti della chiesa.
È bene seguire il percorso della lettura secondo il citato grafico, iniziando prima la presentazione delle pitture eseguite sul soffitto, indi i quadri ad olio.

I dipinti del soffitto

Non sono pochi gli interrogativi sui dipinti eseguiti sulla volta a botte della chiesa.
Quale motivo indusse ad una sovrastruttura a tegole? Non vi erano affreschi coevi alla costruzione della volta?
Intanto l’iconografia degli affreschi della parete centrale del soffitto sembra tratta da Nicola Malinconico, della schiera di Luca Giordano, pertanto, viene ripresa da modelli giordaneschi
coevi al Cenatiempo.
Si tratta di opere realizzate in tempi più recenti – forse inizio del Settecento – che lasciano aperto il campo ad ogni ipotesi circa le scelte dei soggetti e, soprattutto riguardo all’esistenza di pitture precedenti.
Come prima idea, considerata la scelta prevalente di applicare quadri alle pareti, si potrebbe avanzare l’ipotesi che gli unici dipinti fossero fin dall’origine solo le tele.
Intanto, c’è da osservare che nella chiesa si sono verificati, anche in tempi recenti, fenomeni di infiltrazioni d’acqua, che avrà danneggiato gli affreschi perciò sostituiti da quelli attuali.
A questa prima ipotesi segue una seconda considerazione, forse anche più attendibile, che potrebbe indurre a ritenere che la volta non sia stata mai affrescata, prima dei dipinti che oggi ammiriamo.
Difatti, qualunque fosse stato l’evento, comunque non sarebbero andati tutti distrutti quelli eventualmente precedenti di cui avremmo dovuto rinvenire almeno qualche traccia.
Ciò che lascia ancor più sospeso ogni discorso in merito ai dipinti – oltre l’epoca -  è l’autore, o gli autori.
È certo, intanto, che le pitture della parte centrale della volta non sono né coeve, né dello stesso artista che ha seguito i dipinti nelle lunette e ciò perché abbiamo raccolto – come vedremo in seguito – testimonianze dirette, ed anche perché è evidente la differenza degli stili esecutivi. Dunque i ritocchi si sono resi necessari per l’umidità, fenomeno diffuso e ricorrente tuttora nella chiesa.
Una testimonianza diretta l’abbiamo raccolta dal racconto di un noto artista, ceramista-pittore di Maiori: Vittorio Acabbo, del quale si riporta una scheda nel capitolo relativo agli artisti coinvolti nella presente storia.
L’abbiamo raggiunto più volte per sentire dalla sua voce qualche testimonianza sulle pitture del soffitto della chiesa di cui ci stiamo occupando.
Egli ricorda che nel 1946 aiutò nei vari interventi di restauro il prof. Gaetano Conforti, al quale
furono affidati i lavori di ripristino degli affreschi, massimamente quelli rovinati dall’umidità.
Dunque il Conforti dovette ritoccare gli affreschi centrali e rifare quelli laterali che sono di raccordo tra la parte centrale della volta con le pareti verticali perché divenuti quasi illeggibili. In particolare, ci si riferisce ai dipinti che sono posti a destra entrando con le immagini di S. Caterina e S. Vincenzo Ferreri. Proprio a quest’ultimo Acabbo dipinse la fiammella che porta sul capo.
Va tenuto presente in tutto questo che il passaggio da convento di clarisse specificatamente francescane, a Congregazione di Suore Domenicane, ha evidenziato delle differenze nei simboli e nelle pitture che sono particolarmente peculiari. E ciò non è avvenuto a seguito del passaggio da un ordine ad un altro, piuttosto per esigenze di trasformazioni dovute al lavoro di ripristino e di restauro di quelle parti della chiesa che hanno subìto nel tempo danni per varie cause di
degrado naturale.
E così i dipinti riprodotti nella zona di raccordo tra il soffitto e le pareti, sono tutti a tema domenicano, sia per i santi riprodotti: San Tommaso, San Domenico, San Vincenzo Ferreri e Santa Caterina da Siena, sia per i simboli indicati dagli angioletti.
Questa zona, come dicevamo, ha sofferto i danni dell’umidità.
Come già visto, altri simboli domenicani li abbiamo ritrovati nelle maioliche del pavimento della cantoria.
I quadri
Simulando una visita, percorrendo in senso antiorario il perimetro interno della chiesetta, è opportuno partire dal dipinto posto all’ingresso.
Trattasi di un olio di grandi dimensioni collocato a cavallo della porta d’ingresso e della larghezza pari a quella della chiesetta stessa. Una ricchissima scenografia con, al centro, il Cristo contornato da moltissimi personaggi che assistono e fruiscono del miracolo della moltiplicazione dei pani.
La tonalità cromatica e l’organizzazione dei personaggi indurrebbero a ritenere – così come ipotizza la Soprintendenza delle Antichità e Belle Arti – che si tratti di un dipinto eseguito da Francesco Solimena o da un suo allievo. Una scena movimentatissima e ricca per la moltitudine
dei personaggi, oltre il Cristo circondato dagli apostoli, bambini nell’atto di ricevere i pani. In una recente pubblicazione, invece si legge: "È una rappresentazione dai toni domestici e popolari che ci sembra poter essere restituita a Mastroleo.
A rafforzare la nostra tesi è la somiglianza   del Cristo e della figura alla sua sinistra con quella dei personaggi di un altro celebre dipinto dell’artista, sito nella chiesa di S. Domenico di Taranto, raffigurante la Trinità e santa, datata 1740, i cui personaggi sono realizzati secondo le formule consuete del pittore di Maiori e dove gli "attori" ripetono nei gesti i protagonisti della Moltiplicazione.
Nulla di preciso si è appreso circa l’autore e la datazione del dipinto, ma tutto lascia presagire che si tratti di un’opera coeva, o quanto mai, antecente alle altre presenti nella chiesa e di cui seguono le descrizioni. In particolare per assonanza di simboli, il pane, richiama il quadro di San Francesco posto alla sinistra di S. Maria di Costantinopoli.
Il dipinto si conserva in ottime condizioni ed ha una larghezza di metri 5,50 x 2,50.

San Girolamo e San Bonaventura

La prima tela posta sulla parete a destra entrando, porta la scritta-firma: "Gir.mo Cenatiempo F. 1707", è di grandi dimensioni (2,05 x 2,60 metri).
Vi sono raffigurati due personaggi principali ed alcuni elementi che caratterizzano la loro vita. La figura principale, della quale non vi sono dubbi interpretativi, è S. Girolamo. Viene ritratto in parte privo di vesti, ciò evidenzia una corporatura forte e muscolosa. Intorno a lui il teschio, la penna e le carte scritte, questi i simboli ricorrenti nelle raffigurazioni del santo, che si ritirò nel deserto per lo studio e la tradizione dei testi biblici.
Nel quadro la figura in alto è l’angelo, del quale San Girolamo ascolta il suono della tromba del giudizio finale.
Nell’iconografia più diffusa il santo viene ritratto penitente nel deserto (di Siria), di età avanzata, emaciato e con accanto il leone ammansito per avergli tolto la spina del piede. Secondo altre interpretazioni, la presenza del leone vuole intendersi come un accostamento dei dottori della Chiesa ai quattro evangelisti.
Da più parti si legge: S. Gerolimo.

San Girolamo

Dottore della Chiesa viene ritenuto un grande biblista; nacque a Stridone in Dalmazia intorno al 345, ricevette tardi il battesimo. A lui si devono molte opere che riguardano la vita monastica. "Si ritirò nel deserto pèer4 soddisfare il suo desiderio di ascetismo (375-376).
Il monaco morì a Betlemme il 30 settembre del 420.
Sull’identità dell’altro personaggio collocato alla destra di S. Girolamo sono sorte numerose incertezze. Secondo quanto riportato in una scheda redatta dalla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, si tratta di S. Francesco.
Interpretazione data anche in altre occasioni, ma tra le varie altre ipotesi, quella più attendibile è che si tratti di san Bonaventura.
Sicuramente è un santo francescano, considerata la vocazione del monastero in cui fu collocato, ma l’attendibilità dell’ipotesi che non sia Francesco, è dovuta ad un dettaglio di estremo interesse rilevato sull’abito del monaco: dal cordone pende una corona alla cui estremità vi è una medaglietta apparentemente aurea sulla quale vi è impressa un’immagine dell’Immacolata, ciò indurrebbe a ritenere che si tratti del beato  Giovanni Duns Scoto per quanto è notorio l’interesse del santo per la Vergine.
Tuttavia è il caso di ritenere che il personaggio sia San Bonaventura e ciò scaturirebbe dalla presenza del cappello cardinalizio posto al suo fianco.

S. Bonaventura da bagnoregio

Bonaventura, al secolo Giovanni, nacque dal medico Giovanni di Fidanza e da Maria di Ritello, tra il 1218 ed il 1221; la storia religiosa della sua vita prese il via dalla guarigione per miracolo da una grave malattia per intercessione di S. Francesco. E, forse, a seguito di questo episodio, frequentò scuole e ambienti francescani, essendo stato educato nel convento dei Minori in città.
Dopo un primo ciclo di studi si recò a Parigi, dove studiò filosofia.
Entrò nell’Ordine di San Francesco, prese il nome di Bonaventura (1243-44) e vi rimase fino al 1248, anno in cui portò a compimento gli studi teologici.
Divenne Generale dell’Ordine nel 1257, mettendo in luce tutte le sue doti e qualità missionarie per l’affermazione dei principi e la disciplina connessi allo spirito serafico del fondatore S. Francesco, difendendo ed esaltando la vita mendicante. Diede all’ordine un grande contributo di
Natura ascetico-disciplinare, in particolare viene menzionata la compilazione ed il completamento delle Costituzioni generali e scritti sulla vita minoritica.
Espresse al meglio la sua saggezza legislativa e disciplinare quando divenne Ministro Generale interprete di perfetta vita francescana.
Viaggiò molto, diffondendo prediche ed azioni a vantaggio dell’Ordine e dello spirito del fondatore Francesco.
Partecipò, per volere di Gregorio X, in qualità di Superiore Generale, alla preparazione del 2° Concilio di Lione, al quale prese parte presiedendo i lavori preparatori, indi alla celebrazione dell’evento, che si svolse dal 7 maggio al 17 luglio del 1274.
Non assistette fino alla fine ai lavori del Concilio, essendosi gravemente ammalato per la fatica affrontata in quell’impegno conciliare, tant’è che alla fine del più importante ed estenuante lavoro svolto, il "6 luglio nella IV sessione (forse la più laboriosa per numero di canoni approvati e per altri atti), il giorno dopo Bonaventura cadde gravemente infermo e, in capo a una settimana, morì, all’alba della domenica 15 luglio 1274 a circa quarantasei anni di età".
Molto vasto è il patrimonio di scritti da lui lasciati di ordine esegetico, francescano, legislativo e storico. Fu un uomo di ampia e provata cultura, di dottrina filosofica, teologica e mistica.
Bonaventura, che ebbe il titolo di Doctor Seraphicus da Sisto V nel 1588, fu venerato quasi fin da quando era ancora in vita, data la solennità dei funerali; e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco a Lione, rimanendovi fino al 1450, subendo vari traslochi nel corso dei quali si ebbe modo di accertare, in tempi diversi, che la lingua era rimasta intatta; anzi, come si legge da più parti, erano rimaste intatte anche parti della testa.
A seguito di ciò, vi furono altre ricognizioni effettuate alla presenza di notabili, reali, vescovi e cardinali, che ne verificarono la veridicità.
Il processo di beatificazione ebbe luogo negli anni 1475-78, e si concluse nel 1482. Il 14 aprile
dello stesso anno 1482 si svolse in S. Pietro la solenne cerimonia di canonizzazione; a Bonaventura si riconobbero qualità e fervore religioso soprattutto, come già accennato, per l’instancabile attività di reggenza dell’Ordine Serafico, nonché per alcuni miracoli, in perfetta sintonia con la vita di S. Francesco. Tuttavia, se vi fu un ritardo nella canonizzazione, essa fu dovuta a fatti contingenti legati ad un difficile periodo e alle difficoltà logistiche legate alla ricognizione del corpo che si trovava nella fatiscente chiesa di Lione.
Bonaventura nell’iconografia più diffusa, veste il semplice saio francescano color cinerino; inoltre, oltre alle insegne del suo Ordine di S. Francesco, viene raffigurato con ricchi paludamenti vescovili o cardinalizi.
Nel dipinto di cui ci stiamo occupando, veste l’abito francescano, tiene tra le mani la penna e il libro, accanto il calamaio ed il cappello cardinalizio.

S. Nicola e S. Giovanni Battista

Sulla stessa parete laterale, in posizione centrale, vi è una tela che rappresenta S. Nicola, Vescovo di Myra e, al suo fianco destro, S. Giovanni Battista. Il dipinto porta la sigla "NVF", ovvero "Nicola Vaccaro Fecit" Dalla scheda compilata a cura della Soprintendenza alle Belle Arti in sede di ricognizione prima del restauro della chiesa, si evince che è degli inizi del secolo XVIII ed è di discreto interesse artistico. Le dimensioni della tela sono: 1,50x2,50m.
S. Nicola
Il santo è ritratto a capo scoperto in vesti greche da vescovo con il pastorale e il libro con tre sfere nella mano sinistra; la mano destra rivolta in basso con tre dita aperte verso i tre fanciulli posti ai suoi piedi.
Un angelo sospeso nel cielo regge la mitria di Nicola. Così come nella iconografia più diffusa, il santo appare piuttosto vecchio, con un chiaro riferimento a due miracoli principali: i tre bambini resuscitati dalla salamoia, le tre bisacce con l’oro o, al posto di queste, tre monete d’oro e tre palle d’oro.
Ad uno di quest’ultimi doni è legata la leggenda di un padre che aveva tre figlie, essendo caduto in miseria, decise di avviarle alla prostituzione, cosa che il santo apprese ed evitò facendolo desistere dal proposito con un dono in oro che costituì la loro dote.
Un altro elemento da notare è la figura femminile posta in basso verosimilmente si tratta della madre di S. Nicola. La leggenda vuole che il piccolo Nicola si rifiutava di prendere il latte nei giorni di mercoledì e venerdì, questo fu successivamente interpretato come un preclaro invito all’osservanza del digiuno.
Per quanto attiene alla presenza dei tre bambini, la leggenda che si riporta viene associata al patronato del santo sviluppatosi dopo il Mille per i piccoli. Tre scolari furono uccisi e messi in salamoia dall’oste di una locanda presso cui si erano fermati a mangiare. Il santo li risuscitò.
Questo episodio e quello delle tre fanciulle, rappresentando un chiaro segno della generosità ad offrire dono ai bisognosi, hanno dato vita alla figura della tradizione nordica di Santa Claus: Babbo Natale. La presenza di S. Nicola è spiegata con la venerazione al santo che è molto diffusa nella Costiera Amalfitana e quindi a Maiori, dove, come è noto, almeno sei chiese erano dedicate al vescovo di Myra. Si hanno molte incertezze circa le date di nascita e morte del
Santo: "come per l’infanzia anche per la morte alcuni scrittori in mancanza d’altro riportarono dell’altro Nicola, archimandrita di Sion e vescovo di Pinara del VI secolo"
S. Nicola si ritiene che sia nato a Patara nella Licia – in Asia Minore (attuale Turchia) – intorno all’anno 255 e che morì verso il 333/334, a Myra, l’attuale villaggio turco di Dembre nella provincia di Antalya.
È molto accreditata l’ipotesi che sia morto il 6 dicembre.
Fu sepolto nella città di Myra, sulla cui tomba poco dopo fu edificata una chiesa.
Anche il culto in suo onore non è certamente documentato come riportato in studi specifici si rinvengono tracce di testimonianze a Costantinopoli del VI secolo, a Roma e a Gerusalemme il secolo successivo. "L’invasione araba portò lutti in tante famiglie, e tanti giovani furono rapiti. Nicola, patrono dei carcerati, divenne il santo più invocato. Poco a poco si sviluppò il suo patrocinio sui naviganti, anche senza specifico riferimento alla sua vita storica".
I suoi resti furono trafugati nel 1087 e portati a Bari, la città che lo elesse suo protettore e patrono.
Dunque la presenza del dipinto di S. Nicola, sembra quanto mai opportuno, atteso che il santo fu considerato anche protettore dei marinai.
Va considerato, inoltre, che vi è un’affinità con il mondo francescano negli ideali della vita di S. Nicola, il quale fu "protettore dei poveri, difensore degli oppressi e dei pericolanti". Tutto ciò, evidentemente, prendendo anche in un’eventuale considerazione le intenzioni del committente del quadro, conferma per la comune visione d’intenti, la presenza di S. Nicola in una chiesa, anche se annessa ad un convento francescano.
L’altro personaggio dipinto è S. Giovanni Battista; l’unico santo di cui si commemora come Cristo e la Madonna, nello stesso giorno la morte e la nascita.
Nel dipinto appare dall’aspetto muscoloso e forte con la croce nella mano sinistra, mentre con la destra indica la nuvola di luce di Dio al centro del quadro. Siede in un complesso di nuvole avvolto da una vaporosa veste. Dal suo lato, in alto, puttini.
In basso a sinistra uno stemma, del quale ci occuperemo in seguito.

L’Immacolata fra S. Bernardino ed il beato Giovanni Duns Scoto

È il terzo quadro di grande dimensione che si trova sulla parete a destra; l’autore a cui si attribuisce il dipinto, è Girolamo Cenatiempo ed ha la dimensione di metri 2,60x 2,05.
Si compone di tre figure di cui quella centrale è, appunto l’Immacolata in una classica raffigurazione, tra angeli, sollevata da terra che diffonde un intenso chiarore ed ha alla sua destra San Bernardino da Siena in ginocchio su un’altura rocciosa mentre alla sua sinistra, il beato Giovanni Duns Scoto.
Il monaco di cui abbiamo già fatto cenno ha, alle sue spalle, un angelo alato ed è sollevato da terra. Sullo sfondo un diffuso chiarore con angeli evanescenti.
San Bernardino
San Bernardino da Siena nacque a Massa Marittima (GR.) l’8 settembre del 1380, studiò a Siena i classici latini e si interessò allo studio della Sacra Scrittura affascinato da uno scritto di S. Girolamo.
Dedicò gli anni della vita Giovanile all’assistenza dei malati e bisognosi dopo aver conseguito la licenza in diritto canonico, a 22 anni, entrò nel convento dei Frati Minori di Siena. Successivamente, costruì un piccolo convento sul colle della Capriola. I suoi studi si ispirarono ai Dottori della Chiesa soprattutto francescani. Sua fu l’iniziativa di rappresentare in forma trigrammatica il nome di Gesù, riportando una certa intesa tra i vari partiti che erano formati per la rappresentazione delle sue insegne.
Ebbe un ruolo di primissimo piano tra gli Osservanti sia per gli studi teologici compiuti, sia per la sua diplomazia. Morì il 20 maggio del 1444 nel convento aquilano di S. Francesco.
Il Santo è rappresentato in abiti francescani e mostra una tavoletta icona su cui è inciso il trigramma JHS, che fu poi scelto dai Gesuiti.
Circa la presenza di S. Bernardino, oltre ad essere appropriata, in quanto francescano, si sa che il Santo intervenne per la riedificazione del convento dei Frati Minori Osservanti che si erano
insediati nel 1426 a Maiori, e che era stato distrutto a seguito delle devastazioni e degli incendi dei corsari Turchi e delle irruzioni nelle città costiere.
Inoltre, a lui viene attribuita come miracolo la presenza di una sorgente che sta nel monastero nel quale si soffriva per la mancanza più assoluta di acqua e perciò denominata "Sorgente di S. Bernardino".
E poi si legge da più parti che sia stata quasi certa la venuta del Santo in questa terra di Maiori; infatti a lui si attribuiscono molte opere e fatti di miracoli; fu presente per predicare nel 1435 e fondò un convento ad Altavilla in provincia di Avellino.
Il convento fu perciò ricostruito con l’intervento di San Bernardino nell’agosto del 1436, il che faceva risentire anche qui la devozione al SS. Nome di Gesù diffusa con il trigramma: "JHS".
A proposito di questo consultando uno studio del prof. Carlo Iandolo, leggiamo che: "JHS: è un trigramma – monogramma d’àmbito cristiano, il cui segno centrale riproduce non "H" latina ma "eta" (= "e" lunga) del greco, cosicché le tre lettere rappresentano l’avvio della parola (si legga "Iesùs"), cui il latino corrisponde con "Iesus".
Restando nella stessa tipologia sintetica, si rammenti anche il monogramma costantiniano X/P formato dall’intreccio dei segni alfabetici X e P, ossia delle prime due lettere del nome
"Christòs".
Un simbolico monogramma pittorico fu anche la rappresentazione d’un pesce (in greco I
ΞΘΣ: si legga "ichthiùs"), che divenne un tacito segno di riconoscimento fra Cristiasni fin dai primissimi secoli; nell’acrostico erano contenute le iniziali delle parole "Iesoùs Christòs, Theoù Uiòs, Sotér = Gesù CrisFiglio di Dio, Salvatore".
Ultimo monogramma – trigramma è anche Alfa X/P ed Omega: riferito a Dio, riconosce in Lui il principio e la fine d’ogni cosa; posto sulle tombe, simboleggia la brevità della vita terrena".

San Giovanni Duns Scoto

Il personaggio posto alla sinistra dell’Immacolata viene identificato come il beato Giovanni Duns Scoto, anche se qualche fonte riporta che sia San Pasquale Baylon, ciò perché: "la tipologia della figura si riferisce a quella di san Pietro d’Alcantara del quadro realizzato da Giordano nel 1692 per la chiesa di san Giovanni Capistrano, oggi nella paninoteca di Bari.
Le due opere, dunque sono riferibili, seppur con qualche elemento vicino ai modi del Vaccaro, alla produzione del Cenatiempo a cui Pavone riferisce anche la recisione dei capelli della novizia sita nello stesso complesso.
Riprendendo la vita del beato Giovanni Duns Scoto diremo: "Con la consolidata autorità dottrinale, fondata sulla Scrittura, sulla Tradizione, sul Magistero e sulla potenza dell’ingegno, Giovanni Duns Scoto, per primo nella storia, difende pubblicamente, nell’università di Parigi, tra
il 1306 e il 1307, il privilegio dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria, Madre di Dio, con la dottrina della redenzione perfetta e preventiva di Gesù Cristo.
Duns Scoto fu un filosofo, assiduo ricercatore della "verità" nei suoi studi che seguivano un metodo oxfordiano matematico – scientifico. La sua tesi sull’Immacolata era incentrata sul fatto che la Madre di Dio, essendo benedetta tra tutte le donne, fu prescelta e perciò preservata dal peccato originale.
Giovanni Duns Scoto nacque nella cittadina scozzese di Duns alla fine del 1265, vestì l’abito francescano a soli 15 anni.
Al suo nome è legato un importante episodio: il rifiuto di obbedire all’autorità, Filippo il Bello, re di Francia, che gli imponeva di firmare un documento contro il Papa Bonifacio VIII.
Di qui meritò l’esilio.
Insegnò ad Oxford, a Cambrige ed a Parigi.
Morì l’8 novembre del 1308 a Colonia, dove si era trasferito l’anno precedente per insegnarvi.
Il "Dottore dell’Immacolata" è citato sia come beato sia come santo, incerto è quest’ultimo merito; tuttavia sono noti i processi di Colonia e successivi a Nola, di cui l’ultimo porta la data del 18 febbraio 1906, nel quale si sentenziò: "publicum et ecclesiasticum cultum Venerabili Servo Dei Frati Ioanni Duns Scoto, Ordinis Fratrum Minorum, Beato vel Sancto noncupato ab immemorabili fuisse praestitum, eumque nunquam intermissum adhuc perdurare, ac propteria constare de casu excepto a Decretis felicis recordationis Urbani PP. VIII".

Sant’Antonio da Padova

All’interno del presbiterio sempre sulla parete posta a destra entrando, vi sono due quadri. In alto S. Antonio da Padova fi m. 1,20x1,50 e, sotto, un quadro che raffigura la Sammaritana.
S. Antonio da Padova è rappresentato davanti al Bambino Gesù che sta in alto tra nuvole sorretto da una schiera di angeli con la mano poggiata sulla sua testa. Il santo è in posizione genuflessa, un angioletto in piedi cammina verso di lui portandogli un giglio bianco. Il fondo del quadro è completamente campito con nuvole e puttini integrati nella pittura delle nuvole stesse. A terra un foglio con una scritta.
Diamo alcuni cenni sulla storia del santo.
Nacque a Lisbona il 1195 da Martino de’ Buglioni e donna Maria Taveira. Di nobile famiglia il suo nome di battesimo era Fernando. Entrò fra i Canonici Regolari di S. Agostino a Lisbona a 15 anni (o forse tra i 19 – 20 anni) e, dopo due anni, nel convento di S. Croce in Coimbra, dove dovette ricevere l’ordinazione Sacerdotale. Conobbe S. Francesco ed entrò nell’ordine dei minori da lui fondato. Ebbe un’intensa vita di predicatore in Italia Settentrionale, nella Francia Meridionale. Fu anche Ministro Provinciale dell’Emilia e della Lombardia.
Giunse a Padova nel 1229 come Ministro Provinciale dell’Italia Settentrionale. Fu canonizzato dopo 11 mesi dalla morte, nel 1232, a Spoleto il 30 maggio 1232 da Gregorio IX. Al suo nome è
legata la città di Padova, dove si ritirò poco distante dalla città. A Camposampiero. Qui il suo amico, conte Tiso, gli preparò una celletta su un albero di noce. Ma dovette fare ritorno, essendosi aggravate le condizioni di salute, spirò la sera del 13 giugno del 1231.
Nel periodo tra il 1232 ed il 1263 fu completata la basilica a lui dedicata, dove fu traslato l’8 aprile del 1263 alla presenza di Bonaventura da Bagnoregio, Superiore Generale dei francescani.
Lasciò, in particolare, nelle due serie di Sermoni l’eredità del suo pensiero teologico, al quale aveva dedicato profondi studi e meditazioni.
Al Santo sono stati attribuiti numerosi miracoli, molti dei quali operati in vita, insieme alle profezie e agli esorcismi.
Tra i più noti miracoli vanno citati: la predica ai pesci, la mula che si inginocchia dinanzi all’Eucarestia, il cuore dell’avaro trovato nello scrigno e tanti altri, innumerevoli.
È molto diffuso il culto per il "Santo dei Miracoli", egli viene ricordato in specie il martedì, giorno dei suoi funerali, essendo morto di venerdì. I devoti usano portare addosso una sua immagine con una preghiera taumaturgica.
Nell’iconografia antoniana il Santo viene rappresentato in abito francescano con il Bambino Gesù in braccio, un libro ed un ramo di giglio bianco, simbolo di purezza.
Talvolta reca in mano una forma di pane; infatti, l’usanza vuole che il giorno della sua festa si distribuisce il pane ai fedeli.
È una forma di elemosina che rievoca il miracolo della resurrezione del bambino annegato in una vasca, la cui madre aveva promesso in cambio della vita del figlio di dare ai poveri tanto grano
quanto corrispondente al peso del bambino.

La Samaritana

Sotto il quadro di S. Antonio, è ubicata una tela che ritrae Gesù e la Samaritana al pozzo, trattasi di un dipinto ad olio su tela.
La scena rappresentata è ispirata all’episodio:
-Ora era necessario che egli passasse attraverso la Samaria.
Giunse dunque in una città della Samaria chiamata Sicar, vicino al podere che Giacobbe diede a suo figlio Giuseppe. Lì c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque,
stanco del viaggio, stava con semplicità seduto sul pozzo.
Era circa l’ora sesta. Arriva una donna samaritana ad attingere acqua. Gesù le dice "Dammi da bere" - (Gv. 4, 4-7).
Nel quadro la Samaritana regge il secchio con la mano sinistra, è in dialogo non frontale con Gesù, che è seduto vicino al pozzo.
Le due splendide figure vengono spiate da tre personaggi seminascosti messi in rInfatti:
"Nel frattempo sopraggiunsero i suoi discepoli e furono sorpresi che egli parlasse con una donna…" (Gv. 4, 27-28).
(La Samaritana.
Olio su tela dimensioni m. 1,65x1,46.
Il dettaglio indica che vi è una somiglianza della fanciulla raffigurata nel quadro della "Monacazione" il che induce a ritenere che Girolamo Cenatiempo sia stato anche l’autore del quadro della Samaritana.

San Francesco

Questo dipinto è collocato alla sinistra del quadro di Danta Maria di Costantinopoli.
Ha una forma r4ettangolare, con un lato è semicircolare per raccordarlo al soffitto a botte della chiesa.
San Francesco non poteva certamente mancare in questo contesto. Il poverello d’Assisi viene ritratto in estatico atteggiamento con lo sguardo rivolto verso un grande angelo che gli offre un
pane. La tela, così come il quadro de "La Pietà", collocato alla destra del quadro di Santa Maria di Costantinopoli, sono attribuiti a Giuseppe Mastroleo.
Il pittore, secondo Camera era oriundo di Maiori. In effetti, recenti ricerche hanno dimostrato che aveva un fratello, Stefano, che, trovandosi a Napoli, ospite di Giuseppe ammalato, aveva sposato per procura una fanciulla di Maiori.
L’ipotesi dell’attribuzione è suffragata dalle caratteristiche comuni ai due quadro dai "toni cromatici rischiarati, il panneggio metallico delle vesti ed un’adesione a quella revisione in chiaro del giordanismo operato dal maestro".
Al santo viene offerto il pane, simbolo che sembra richiamare la moltiplicazione dei pani; nella tela, collocata sulla porta d’ingresso, S. Francesco è rappresentato senza stimmate. La scena potrebbe trarre origine da una leggenda secondo cui, nel 1219, il santo si recò di persona a Lecce, ove chiese ospitalità presso alcune nobili famiglie.
Presso il Palazzo di Perrone pare domandasse la carità per i suoi Fraticelli, ottenendone un rifiuto. Allora un angelo discese dal cielo e gli donò una forma di pane.

Monacazione

È il primo quadro, situato sulla parete posta a sinistra entrando nella chiesa: rappresenta una monaca che taglia i capelli ad una fanciulla, forse una novizia, che con questo atto, "monacazione", si avvia ad affrontare la vita religiosa.
La fanciulla del dipinto, scalza, dai lineamenti innocenti, sembra che sia rincorsa dalla religiosa, una santa, anch’essa a piedi nudi. La scena si svolge all’uscita di un edificio apparentemente
religioso, forse annesso ad una chiesa di cui sullo sfondo si nota la cupola.
Dall’espressione la fanciulla non sembra del tutto contenta di quanto le sta succedendo, addirittura appare sorpresa o spaventata, quasi come se costretta a subire l’atto del taglio dei capelli.
Sullo sfondo un paesaggio non nostrano (alberi di quercia e cipressi) e una costa frastagliata. Forse lo stile della cupola potrebbe ricondurre ad una più attendibile definizione del significato del quadro per il quale, a mio avviso, sembra tutt’altro che indicato il titolo di "monacazione". In basso, a destra, lo stemma della famiglia che ha commissionato l’opera che porta la firma del noto Girolamo Cenatiempo.
Fino ad ora i personaggi della scena sono stati individuati in S. Chiara che taglia i capelli alla sorella S. Agnese, ma l’interpretazione è tutt’altro che attendibile e offre spunti e ben altre ipotesi.

La Madonna e le anime purganti

Segue, sulla parete posta a sinistra entrando – in posizione centrale – la Madonna con il Bambino, tra S. Giuseppe e S. Anna, entrambi rivolgono lo sguardo alla figura centrale, la madonna. Nella parte bassa del quadro, le anime del Purgatorio immerse nel fuoco hanno le braccia supplichevoli d’aiuto protese verso la Madonna.
Belle le figure di S. Anna e di S. Giuseppe, entrambi ritratti in età avanzata. Inconfondibile l’identità dello Sposo della Beata Vergine Maria per il bastone fiorito con il giglio, come viene rappresentato nell’iconografia ricorrente.
Ancor più bella è la scena centrale del Bambino che tiene la mano sul seno materno, dal quale sprizzano copiose, stille di latte. Questa rappresentazione della Madonna con un seno scoperto è molto ricorrente nell’iconografia mariana. In più parti, specie per le statue, è stato coperto questo segno, forse per tenero pudore verso la Madre di Gesù; si veda per esempio la statua della Madonna delle Grazie che si venera a Seiano di Vico Equense.
Al centro, in basso uno stemma di famiglia del quale si parlerà in seguito.
Il quadro, olio su tela, delle dimensioni di 1,50x2,50 metri, riporta la sigla "NVF" ovvero "Nicola Vaccaro Fecit".

Le tre monache

Questo quadro, olio su tela dalle dimensioni di 2,05x 2,60 metri, è collocato al centro della parete a sinistra entrando.
È stato sicuramente il quadro che ha destato e richiesto più impegno di ogni altro nella ricerca e nella ridefinizione dei personaggi rappresentati.
Nell’evidenziare le difficoltà incontrate, vale la pena anche di sottolineare il piacere derivato dal confronto con gli autorevoli religiosi che hanno pazientemente ascoltato le ipotesi formulate in corso d’opera.
L’ipotesi più sofferta sotto il profilo della identificazione delle tre religiose è, sicuramente, quella del personaggio posto a destra di chi guarda l’opera.
A nostro avviso si tratta di S. Chiara da Montefalco.
S. Chiara da Montefalco.
Entriamo nella storia della santa.
Chiara era seconda figlia di Damiano e Giacoma e nacque a Montefalco, un colle della provincia di Perugia che si erge a 473 m. di altitudine.
Non si conosce il mese e il giorno, ma solo l’anno della nascita, che fu il 1268, sotto il pontificato di Clemente IV.
Fin dalla sua infanzia palesò il suo trasporto per la preghiera e castigava il corpo con tremendi flagelli. Si faceva portare presso i reclusori per trascorrervi ore in preghiera. In queste case anguste e distanti dai centri abitati si rifugiavano quelle fanciulle che, fuggendo tutte le insidie mondane, volevano dedicarsi ad una vita di preghiera e di obbedienza al Vescovo, al confessore e ad una superiora eletta.
Detti reclusori divennero nel seguito come seminari di molti monasteri.
A Montefalco a quel tempo ve n’erano quattro, uno dei quali portava il nome del padre di Chiara, Damiano, questi fu costretto a costruirlo perché la primogenita, Giovanna, aveva scelto strada della consacrazione a Dio.  Ecco perché maggiormente Chiara frequentava quel luogo dove incontrava la sua sorella maggiore.
Fu lì che si volle ritirare nel 1275, ancora in tenera età la piccola Chiara ed insieme alla sorella Giovanna ed Andriola, compagne di ritiro, dovette richiedere al Vescovo della diocesi spolentina, Tommaso Angeli, la ratifica del nuovo reclusorio, nominando la sorella maggiore direttrice del luogo.

Qui trascorse una vita di preghiera e privazioni obbedendo a sette ardui proponimenti:
- pensare sempre a Dio
- non guardare mai in faccia l’uomo
- obbedienza alla Superiora
- tenere il silenzio comandato
- astenersi da ogni piccolo peccato
- subire pene corporali
- non mangiare carne o quanto altro di gusto.
Aveva sette anni ed ebbe l’apparizione - visione della Madonna con il Bambino. Applicò con rigore le regole che si era imposta e massimamente quelle che le procuravano terribili pene corporali.
La vita esemplare che svolgevano le tre religiose fece sì che in quel reclusorio convenissero altre pie fanciulle tanto che il loro numero si elevò ad otto, poi a venti e, ritenendo troppo angusta la casa, fu necessario acquisire altri locali, per cui le oratrici si trasferirono nel nuovo edificio, sebbene ancora in costruzione, nel 1282.
A seguito di uno speciale decreto del 10 giugno del 1290 del Vescovo Gerardo Artesino, il reclusorio si trasformò in monastero, poi denominato di "Santa Croce".
Le religiose furono aggregate alla Regola ed all’Istituto di Sant’Agostino.
Ma il 22 novembre del 1291 la prima Abbadessa, che era sua sorella Giovanna, morì e Chiara prese il suo posto.
La vita della Nostra fu tutta dedita alla preghiera ed al sacrificio, molti fatti miracolosi sono legati a lei; all’età di trentatré anni le apparve il Cristo ed in quel momento sentì che nel suo cuore venivano impressi tutti i misteri della Passione.
Governò con illuminata saggezza, riuscendo ad eliminare persino una setta di eretici scoperta intorno al 1306 e che andava diffondendosi in Umbria.
S. Chiara morì il 17 agosto del 1308 nel suo monastero della Croce in Montefalco alle ore 9.00 circa.
Fu deciso di imbalsamare la Santa Abbadessa e così, nel separare le interiora dal resto del corpo, si accorsero che nella cistifellea vi erano tre globi uguali di consistenza molto dura; venne, altresì, scoperto che il cuore era fin troppo grande. Intanto si celebrarono i riti funebri e, successivamente, si decise di analizzare il cuore della defunta Chiara, lo aprirono e scopersero che in esso vi era impressa la figura della Croce con i suoi flagelli.
Si era verificato quanto la Santa in vita ripeteva spesso: che aveva il Cristo nel cuore, lo stesso che vi entrò all’età di trentatrè anni quando ne avvertì quella meravigliosa sensazione.
La cosa fu sottoposta a due prove di conferma da parte dei Superiori, i quali, toccando con mano e pungendosi, come se avessero toccato chiodi di ferro, dovettero ammetterne la verità.
Per quanto attiene i tre globi, si giunse alla considerazione che essi rappresentassero la SS. Trinità e per dar prova di ciò vennero posti sulla bilancia. Sicché li trovarono non solo uguali tra loro, ma il peso di due valeva quanto uno solo, tutti e tre quanto uno solo e quanto ne pesavano due.
Dunque fu provata, dopo i misteri della Passione del suo cuore, anche la devota venerazione della Santa per la SS. Trinità.
Aggiungiamo che nel 1430 si costruì una nuova chiesa nella quale fu trasferito il corpo di Santa Chiara, edificio che subì ricostruzioni e vari interventi di completamento.
Poi, nel 1615, si pose la prima pietra per la costruzione dell’attuale chiesa.
Quest’ultima, a seguito della soppressione degli Ordini Religiosi, passò di proprietà del Comune, indi della S. Sede.
Si conclude così il racconto della Santa che è stata individuata nel dipinto grazie ai due elementi peculiari della sua vita: il cuore con la Passione di Gesù Cristo e l’uguale peso dei globi sulla bilancia.
Per ciò che attiene poi alla sua appartenenza all’Ordine di S. Agostino e perciò è forse fuori luogo la sua presenza in un convento Francescano quale è quello della Pietà di Maiori, ci pare sufficiente adottare come soluzione del problema quanto riportato in proposito nelle "Croniche degli Ordini Istituiti dal P. S. Francesco" e che è opportuno trascrivere qui di seguito:
"Le Monache c’hora stanno in quel Monastero, dove è il suo scopo, sono dell’Ordine de gli Eremitani di Sant’Agostino; perché secondo che si trovava nelle memorie antiche, dopo la morte della Beata Santa Chiara, le Monache si divisero in due parti, & una parte volle essere di S. Agostino, l’altra di S. Francesco; e potendo più una dell’altra, quelle di S. Agostino restarono in detto Monastero, e quelle del Terz’Ordine di San Francesco presero un altro luogo; e perciò quelle di S. Agostino dicono, che detta Santa è dell’Ordine loro; ma tutti i Scrittori antichi dell’Ordine de’ Minori la connumerarono con quelle del Terz’Ordine di S. Francesco; il che si prova ancora per alcune imagini del detta Santa, che sono dipinte nella Terra di Montefalco habito bigio di detto Terz’Ordine.
Ma, ò che sia dell’una, ò dell’altra Religione, rendiamo pur noi gratie a Dio che mostra ne’ servi suoi opere così maravigliose, ad edificatione della Chiesa sua, e comnsolatione de gli eletti.
Una parte di quei misteri, che furono ritrovati nel cuore di quella Santa, fu portata al Papa in Avignone, e Sua Santità gli ripose con grandissima venerazione".
I processi di beatificazione portano le seguenti date:
- 18 giugno 1309 il Vescovo di Spoleto, Pietro Paolo Trinci, iniziò il processo informativo.
- Un secondo processo iniziato il 6 settembre 1319 non ebbe seguito.
- Il 19 aprile del 1673 fu inserita nel Martirologio Romano
- Nel 1736, Clemente XII ordinò la ripresa della causa approvandone il culto "ab immemorabili".
- Nel 1738 fu istituito un nuovo processo sui miracoli e sulle virtù, ratificato il 17 settembre del 1743.
- Il 23 ottobre del 1850 se ne celebrò un altro che si concluse il 21 novembre 1851
- L’8 dicembre del 1881 la beata fu canonizzata da Leone XIII.
Indipendentemente da questi processi andava sempre più aumentando la devozione per Chiara venerata come beata fin dalla sua morte per i molteplici miracoli che si susseguivano ed a lei attribuiti.
La Santa viene commemorata il 17 agosto, giorno della morte, mentre il 30 ottobre è la festa "Impressio Crucifixi in corde S. Chiara".
Un’ultima considerazione. La Santa non veste l’abito agostiniano ma quello francescano.
Ciò, in primo momento, ha fuorviato le indagini, per l’individuazione del personaggio; ma, ben riflettendo, il suo abito è stretto in vita da un cordone nero testimone dell’apparenza originaria agli Agostiniani.
Tutto ciò ci sembra poter essere confermato dal brano poc’anzi riportato in merito all’appartenenza all’uno o all’altro Ordine. In definitiva questo quadro, insieme agli altri, ha favorito l’occasione di contattare molte religiose e religiosi con i quali è nato un confronto sui simboli e sulla storia dei vari santi.
Tra i tanti conventi visitati, utilissimo è stato l’incontro avuto con le suore del Monastero "S. Chiara della Croce" di Montefalco.
Santa Elisabetta d’Ungheria
Nacque in Ungheria nel 1207, figlia del re Andrea II e della regina Gertrude di Merano.
A seguito di un lungo fidanzamento iniziato in tenera età con Ludovico IV, langravio di Turingia, con lui si sposò nel 1221 a soli 15 anni, matrimonio dal quale ebbe tre figli: Ermanno, Sofia e Gertrude.
Ludovico accettò l’invito di Onorio III a partecipare ai preparativi della crociata, nel giugno del 1224 e si adoperò per la pacificazione dei principi in Germania. L’anno successivo, nel 1227, morì a Otranto.
Intanto Elisabetta si era dedicata ad una vita di preghiera e opere buone, divenendo poverissima materialmente, ma molto ricca spiritualmente; ella avrebbe voluto rinunciare alla
dote, ma ebbe il parere contrario di Corrado Marburgo – predicatore e inquisitore – suo confessore, al quale il papa l’aveva affidata.
I suoi beni furono perciò impiegati per la costruzione di un ospedale a Marburgo, luogo per il ricovero e la cura dei malati e dei poveri abbandonati, ai quali prestava lei stessa amorevoli cure e assistenza.
Elisabetta morì il 17 novembre del 1231, aveva appena 24 anni. Fu sepolta nella stessa Marburgo.
Sono molti i miracoli attribuiti a Elisabetta e perciò, a seguito della richiesta di Corrado di Marburgo a papa Gregorio IX, si avviò subito dopo la morte il processo per la canonizzazione.
Corrado volle impegnarsi fino in fondo nell’ottenimento del riconoscimento della santità di Elisabetta di Turingia, anche se si scontrò con il volere e il coinvolgimento dell’arcivescovo Sigfrido II che era contrario.
Nella procedura della canonizzazione ritroviamo l’interessamento di Raimondo di Peñafort. Intanto sopraggiunse la morte di Corrado e una nuova commissione, alla quale comunque non fece parte l’arcivescovo Sigfrido II, completò le indagini e, finalmente, il 1° giugno del 1235 Elisabetta fu proclamata santa.
Si tramanda che il riconoscimento le fu tributato soprattutto per la sua ricca spiritualità e per la vita condotta sia come sposa, sia come vedova. Donna consolatrice dei poveri e degli affamati, moglie di un crociato che per la sua opera di dedizione alle opere di carità, ben condivideva e rafforzava, le scelte del marito, divenendo anch’essa crociata e perciò autentica interprete di quanto Corrado andava predicando sulla sequela della croce.
Inoltre, ad esaltare la forte religiosità femminile vi è, appunto, la costruzione dell’ospedale dedicato a S. Francesco a Marburgo, che, di fatto, si traduce in un att0o di rinuncia ai beni della dote che le aspettava. Questo gesto Elisabetta lo compie in una chiesa francescana il giorno del venerdì santo, quantunque il suo confessore le avesse sconsigliato di perdere il prestigio di una regina.
Elisabetta ebbe una spiccata tendenza ad aderire alle idee del fraticello d’Assisi, al quale mostrò la sua venerazione non solo perché a lui dedicò l’ospedale, ma anche per altre vicende legate alla storia della sua vita; fra queste la scelta del suo confessore, che era un francescano.
Molti autori le hanno attribuito un’appartenenza del Terz’Ordine dei Francescani anche se di fatto non è mai avvenuto, né fece parte di altro ordine; le sue azioni ed il suo comportamento, infatti, si configurano appieno nell’ideologia francescana.
Ciò spiega l’attendibilità della interpretazione della identità della santa, rappresentata tra sante francescane e la sua presenza in un convento di clarisse di questo ordine.
Frequenti, infatti, sono le raffigurazioni di Elisabetta in vesti di umile terziaria francescana, o mentre esercita la sua opera di carità a favore dei poveri bisognosi.
Simbolicamente lo scettro e la corona sotto il piede sono collegati all’episodio all’ episodio della sua vita in cui rinuncia ai beni materiali della nobiltà regale a favore degli umili e dei malati.
La foto riproduce la scultura lignea recentemente restaurata della santa con lo scettro nella mano destra e la corona di regina deposta ai suoi piedi; porta il cordone bianco e la veste celeste e, su quest’ultima, un ampio mantello regale; il capo è coperto con un velo bianco.
E da segnalare la presenza della santa nella chiesa di S. Francesco a Maiori.
A questo punto sarebbe interessante approfondire l’argomento ed indagare sul culto di S. Elisabetta a Maiori, ritenendo che sarà senz’altro legato ad una interessante storia che meriterebbe una maggiore attenzione.

Santa Margherita da Cortona

A destra di Santa Elisabetta, la figura genuflessa che abbraccia la croce, in abiti francescani è Santa Margherita da Cortona.
La santa è già presente in un quadro della chiesa di S. Francesco dei Frati Minori, a Maiori in un dipinto con l’Immacolata e San Francesco, dall’aspetto di "Penitente dell’Ordine Serafico, in atteggiamento di preghiera". L’elemento che consentirebbe questa individuazione è il cane che è dipinto nei suoi pressi. Il fedele animale ebbe un’importanza nella sua vita perché è il protagonista di un racconto dal quale scaturiscono le scelte che la condussero alla sua santità.
Margherita nacque a Laviano sul lago Trasimeno nell’anno 1247, le scelte operate nella sua vita furono condizionate in special modo dalle seconde nozze del padre, Tancredi di Bartolomeo, con una donna che procurò alla piccola non poche sofferenze.
Fu così che Margherita accettò di unirsi ad Arsenio dal quale ebbe un figlio. La storia però, ebbe un triste epilogo: il suo amante fu assassinato e proprio il suo fidato cagnolino la condusse alla scoperta del feroce assassinio, facendogli rinvenire il cadavere insanguinato in un bosco di Petrignano. Il pittore Marco Beneficial ha lasciato un quadro che riassume questa storia; il dipinto attualmente si trova a Roma nella Chiesa di S. Maria Aracoeli (sec. XVIII).
Alla vista di quell’orrendo delitto Margherita decise di ritornare a casa con suo figlio, abbandonando la dimora presso cui era stata ospite, ma non fu accolta dal padre. Si recò a Cortona dove fu accolta insieme al suo piccolo figlio da due donne che abitavano nel castello della famiglia Moscaria; le fu offerto anche lavoro, ma, soprattutto, trovò il conforto della guida spirituale dei francescani. Infatti nel 1277 fu ammessa al Terz’Ordine senza mai
disattendere ai suoi doveri materni, con sua il suo piccolo divenne poi frate minore. Margherita si dedicò ad opere di carità, rivolgendo particolare attenzione verso gli ammalati e, particolarmente, alle gestanti.
Nel 1278 fondò un ospedale: "Casa S. Maria della Misericordia". Trascorse una vita di dura penitenza con mortificazioni materiali del corpo, digiuni e flagelli, ricevendo in compenso grazie speciali delle quali ci sono state tramandate testimonianze dal suo confessore, frate Giunta Bevagnati di Cortona, dei frati minori nella "Legenda de via ed miraculis beatae Margarite de Cortona".
Con l’appellativo di "Maddalena", Margherita è considerata una santa che riflette nella sua vita un profondo francescanesimo con una incondizionata devozione alla passione di Cristo per la quale dedicava molto tempo della sua giornata alla contemplazione.
Margherita morì a Cortona (Arezzo) nell’ann0o 1279. Fu canonizzata da Benedetto XIII il 17 maggio del 1728, essendo stata inserita nel martirologio Romano a seguito del decreto di Clemente XI, il 13 luglio del 1715.
Il 22 febbraio si celebra la sua festa (Martyrologium Romanum).
Va ricordata una fidatissima amica di Margherita, la beata Egidia da Cortona, con la quale fondò il primo nucleo della Congregazione, oggi estinta, detta delle "Poverelle".
Un’immagine di santa Margherita da Cortona si ritrova anche nel dipinto su tavola nella chiesa di S. Francesco a Maiori.
La santa è rappresentata insieme a S. Diego ai lati dell’Immacolata.

*San Giovanni Battista

Ultimo dipinto collocato sulla parete di sinistra entrando, raffigura S. Giovanni Battista ed e posto sulla parete dell’abside.
Trattasi di un quadro ad olio su tela delle dimensioni di m. 1,60 x 1,40, dai toni cromatici molto intensi e scuri, che esaltano, perciò, il chiarore indicativo della luce divina.
Il santo ha un aspetto giovanile ed il corpo muscoloso; regge la croce di giunco con la scritta: "Ecce Agnus Dei", le parole che evocano il saluto che rivolse a Gesù all’atto del suo Battesimo.

Rivestito come nell’iconografia Occidentale, di una pelle di capra (o montone) con a fianco l’agnello, seduto, con lo sguardo proteso verso l’alto.
Di quest’opera di stile classico, nulla è possibile aggiungere in merito alla datazione ed all’autore.
È un’altra immagine di S. Giovanni Battista oltre quella riproposta dal Cenatiempo nel quadro di S. Nicola, già menzionato in precedenza.
Il dipinto, come ipotizza Antonio Braca, per un accostamento iconografico può essere restituito a Massimo Stanzione, "la stesura pittorica, invece, con accentuati toni devozionali e ricca di bagliori pittorici, sembra raccomandarsi con la produzione tarda di Andrea Vaccaro, probabilmente oltre gli anni cinquanta del Seicento".

*La Pietà

Questo dipinto collocato nell’interno del presbiterio si trova alla destra del quadro di S. Maria di Costantinopoli, in maniera simmetrica rispetto a quella di S. Francesco.
Ha anch’esso una forma rettangolare con un lato semicircolare, che si raccorda con il soffitto a botte della chiesa.
Abbiamo già presentato un altro quadro della Pietà eseguita da Paolo de Matteis; di questo dipinto, invece, non è noto l’autore, ma sicuramente è di buona fattura.
L’immagine è classica, il Cristo morente sta tra le braccia della Madre; due angeli assistono alla scena e dal fondo scuro, emerge un ramo di fiori; in alto una parte della croce conficcata in un groviglio di nuvole. Il dipinto è molto delicato, le mani della Madonna, il volto, la serenità nell’atteggiamento del Cristo e tante altre attenzioni pittorico-espressive danno alla tela una armonica atmosfera di mistica tenerezza.
Anche questo dipinto sarebbe attribuibile Francesco Mastroleo, per le stesse ragioni riferite per il dipinto di S. Francesco, posto all’altro lato di S. Maria di Costantinopoli.

*Gli Stemmi

Introdursi in questo mondo dell’araldica è sempre quanto mai affascinante sia perché, attraverso l’emblema, si giunge a considerazioni circa la motivazione di certe azioni, sia perché si può anche pervenire all’autore o al promotore di un’opera. Nel nostro caso i quadri a parete della chiesa del convento di Santa Maria della Pietà, sono tutti firmati con uno stemma; ciò ha consentito di fare una serie di supposizioni circa il committente dell’opera.
Infatti attraverso lo stemma e la lettura della simbologia, sono state tratte notizie utili sul casato, talune deterministiche ai fini dell’individuazione della famiglia che ha sponsorizzato l’opera.
Dunque l’utilità dell’araldica è associata a una piacevole sensazione della scoperta e all’emozione che si prova quando ci si avventura in un mondo, per quanto affascinante, pur sempre nuovo.
La proposta di lettura che segue per ciascuno stemma attenderebbe, allora, una conferma di quanto ipotizzato e ha spinto alla ricerca anche chi vorrebbe ottenere risultati matematicamente esatti e s’accorge che si trova di fronte ad una "disciplina regolata da leggi e consuetudini, ma, soprattutto è il regno dell’eccezione.
Tutti gli stemmi sono partiti tranne quello riportato in basso al centro del quadro della Madonna con le anime purganti. Essi infatti sono divisi in due parti – sistema poco usuale in araldica – e cioè: nella parte destra (a sinistra di chi guarda), indicante la famiglia del ramo femminile. Ovvero, rispettivamente committente e, forse, abbadessa o clarissa nobile, che era presente nel monastero.

Lo stemma dipinto in basso a sinistra del quadro di S. Girolamo con S. Bonaventura, firmato dal Cenatiempo (1707). Del ramo maschile, ovvero quello relativo alla parte destra, non se ne conosce la famiglia mentre il ramo femminile - lato sinistro - appartiene alla famiglias Conte di Maiori/Tramonti.
Si può ipotizzare, secondo D. Taiani, che lo stemma appartenga alla famiglia Apaterno di Tramonti.
Lo scudo a cartoccio è sormontato da un elmo con svolazzi. Il campo è partito, così blasonato: nel 1° di azzurro, alla cicogna al naturale con la zampa destra alzata sostenendo un sasso, sopra una montagna a tre cime di verde e sormontata da due stelle d'argento ordinate in fascia.
Nel 2° d'oro, all'aquila bicipide al naturale sormontata da una corona d'oro.

Stemma riportato nel quadro che raffigura San Nicola, Vescovo di Mira con San Giovanni Battista uguale a quello dipinto nel quadro di San Girolamo e San Bonaventura e nel quadro della "Monacazione".

Quadro dell'Immacolata tra San Bernardino e il Beato Dins Scoto - attibuito al Cenatiempo.

Ramo sinistro:famiglia de Fontanellis di Tramonti - Villaggio delle Pietre; ramo destro, famiglia Sasso di tramonti - Villaggio delle Pietre.
Lo scudo è partito così blasonato: nel 1° di azzurro, alla fontana zampillante al naturale, sormontata da cinque stelle d'argento.
Nel 2° d'azzurro  al monte di cinque vette di verde sormontate da due croci patenti patenti di rosso.
Lo stemma è parlante, la figura della fontana richiama il cognome (Fontanellis), mentre i cinque monti (o sassi) richiamano il cognome Sasso, che fu famiglia fondatrice dell'ordine di Malta.


Lo stemma riportato in questo quadro di Girolamo Cenatiempo, ha gli stessi elementi di quello riportato nel quadro di San Girolamo e di San Bonaventura cioè il cigno bianco a destra sormontato da due stelle bianche; e l’aquila bicipide a sinistra, a sua volta, sormontata da una corona.Si può dedurre, tuttavia, che il titolare di questo stemma sia lo stesso che ha commissionato il quadro di San Girolamo e San Bonaventura.

Stemma dipinto in basso, al centro, del quadro della Madonna tra Sant'anna e San Giuseppe con le anime purganti.
(è evidente parte della firma dell'autore).
Lo stemma apparteneva alla famiglia de Ponte di Maiori, con blasonato: d'azzurro, al ponte a tre archi, sormontato da due torri, il tutto, d'argento.
Lo scudo richiama il cognome del committente data la figura del ponte.
L'arma è inserita in un armonioso scudo accartocciato e sormontato da una corona di marchese.
Lo stemma apparteneva - quasi dertamente - alla famiglia De Ponte di cui si rimanda l'albero geneologico al capitolo XXIX sulle "Famiglie di Maiori" a pag. 314.

Quadro attribuito al Cenatiempo e che riproduce "Le tre Monache".
Ramo maschile: famiglia Auricchio di Maiori.
Ramo femminile: famiglia Citarella di Maiori.
Stemma Aurisicchio di Maiori che abitagva di fronte al monastero, così blasonato.
Partito: nel 1° spaccato a) d'azzurro al pozzo sostenente un secchio e accostato da due leoni il tutto d'oro; b) d'oro.
Nel 2° spaccato a) d'azzurro al pasce al naturale nuotante in una campagna mareggiata e sormontato da tre stelle d'argento;
b) bandato di oro e di rosso.
Lo stemma è sormontato da un elmo.
Si ha motivo di dedurre che le tre monache vogliono simboleggiare tre sorelle suore:
Agata, Anna ed Elisabetta, che sono state presso il monastero di cui ci stiamo occupando nel periodo della commissione, fatta dalla madre Letizia Citarella dopo la morte del marito, Antonio Aurisicchio.

*Gli Artisti
Ci sembra doveroso dedicare un breve sguardo a coloro che hanno operato nel campo artistico e che rappresentano i cronisti ufficiali della storia dei vari tempi.
Ci limitiamo all’essenziale anche perché il tentativo di raccogliere notizie sulla vita e l’operato dei vari artisti ha presentato difficoltà dovute al reperimento di fonti storiche.
Di ciò ne è prova la stesura del profilo biografico del Cenatiempo, autore forse di quattro opere, di cui solo due firmate. Più dettagliata è la scheda biografica di Paolo de Matteis, del quale hanno parlato in maniera più diffusa vari autori.
Vanno poi annoverati tra i pittori coloro che hanno prestato comunque la loro opera per il restauro o per il
rifacimento delle pitture della chiesa.
Foto a sinistra: l'artista Luca Albino (a destra) con Luca Di Bianco
Ci riferiamo a Gaetano Conforti che operò nel 1946, coadiuvato dal pittore-ceramista Vittorio Acabbo, per il restauro degli affreschi del soffitto della chiesa. Non va sottaciuta l’opera degli artigiani che hanno concorso con la loro sapiente esperienza al lustro della chiesa grazie a loro, definita da più parti: "la perla della Costiera Amalfitana".
Ritornando alle pitture, è il caso di evidenziare il difficile compito della individuazione dei personaggi raffigurati nei quadri; ad essi – come già accennato – è stato possibile risalire attraverso l’interpretazione dei simboli, cosa non sempre chiara e leggibile. In questa fase si sono rivelate particolarmente utili le varie indicazioni suggerite da storici locali ed esperti nel campo, nonché da S. Ecc. Mons. Francesco Saverio Toppi, Arcivescovo Emerito di Pompei, francescano.
Non si esclude, pertanto, che sia stata omessa qualche particolare e necessaria notizia sull’argomento ma, come già detto, siamo fiduciosi che altri studiosi prenderanno da qui lo spunto per affrontare il lavoro di ricerca rendendolo più esaustivo sotto l’aspetto storico.
Girolamo Cenatiempo
Da più parti si legge: Gerolamo, o anche Geronimo; Cenatiempo, o anche Cenatempo, così come lui stesso firma il quadro di S. Girolamo, di cui ci siamo occupati.
Circa la sua data di nascita, nulla di preciso è stato possibile appurare, si sa per certo che cominciò a diffondersi il suo nome, e forse la sua arte, nel 1705 "quando a Napoli risulta iscritto alla Confraternita dei Santi Anna e Luca, sodalizio a scopo religioso-assistenziale, con annessa una Accademia del nudo".
Stando alle notizie apprese da più fonti biografiche, Cenatiempo era un pittore la cui opera era molto richiesta e, specie a Napoli, ebbe un’intensa attività intorno al 1700, documentabile, la maggior parte, perché ogni quadro reca chiaramente firma e data.
Evidentemente fanno eccezione solo alcune opere presenti nella chiesa di S. Maria della Pietà di Maiori, che sono state attribuite a lui, ma non firmate; esse sono: L’Immacolata tra S. Giovanni e Duns Scoto, Le Tre Monache francescane.
Riportano, invece, la sia firma il quadro della "Monacazione" e quello di S. Girolamo e S. Bonaventura (1707).
Quindi le opere di Cenatiempo si trovano a Napoli in varie chiese, tra queste ricordiamo S. Pietro a Maiella, in cui eseguì il maggior numero di quadri nelle varie cappelle, sulla volta e sulle pareti laterali.
Ma, scorrendo le pagine del Celano, il maestro viene citato molto frequentemente, ciò a conferma che la sua opera era ben richiesta in quel periodo.
E sempre per restare a Napoli, ci piace citare ancora le chiese dove si rinvengono sue tele: S. Maria della Sapienza (1711), Gesù Vecchio (!712), S. Pietro Martire (1722), Nunziatella a Pizzofalcone (dopo il 1730) ed ancora, quella di S. Maria di Pozzano a Castellammare di Stabia (1724) e Chiesa di S. Francesco ad Ottaviano.
Operò anche a Foggia nella chiesa della SS. Trinità a Sansevero.
"Nel 1709 il Cenatiempo è documentato all’Aquila, dove il 16 settembre firmava il contratto per gli affreschi della volta della cappella di "S. Bernardino che predica con i Santi Giovanni da Capestrano e Giacomo della Marca". Nella stessa città vi ritornò lasciandovi altre opere datate 1725 e 1733.
Tra i fatti salienti leggiamo che in occasione della Santificazione di Pio V (1714), il Cenatiempo dipinse 14 medaglioni inseriti negli altrettanti archi del porticato del cortile di S. Domenico, su progetto dell’architetto Muzio Nauclerio.
Naturalmente in questa sede abbiamo citato solo i principali luoghi in cui ha operato il Cenatiempo; evidentemente, il profilo biografico del pittore è molto più ricco di quanto si possa immaginare.
Al suo nome si affianca anche quello di suo fratello Ignazio, di cui per ora non vi sono reperite notizi.
Si apprende che sia nato a Vietri sul Mare, e che, da un articolo apparso su "Vita cristiana di Maiori", il periodico della Comunità ecclesiale di Maiori (N. 5-6 maggio-giugno 1997). A firma di Enzo Mammato, si può dire con una certa probabilità che per il cognome possa considerarsi Maiorese. Nel 1565 un tal G. Battista Cenatiempo si imbatté in uno schiavo negro fuggito da una galea sistemata presso Capo d’Orso, come riporta un atto pubblico del tempo. Inoltre, nel 1710 era presente a Maiori, un canonico della Collegiata che si chiamava Antonio Cenatiempo.
Circa la data della sua morte non vi sono notizie certe.
Della sua formazione artistica apprendiamo che fu un allievo di Luca Giordano (1635: † 03.01. 1705) e questo direbbe tutto in quanto alla sua bravura, anche se talvolta si discosta da quello stile per la accentuazione del contrasto chiaroscurale perché si allontana dallo stile classicheggiante per tendere al popolaresco; ciò, evidentemente anche a motivo delle richieste che provenivano dal gusto di certi sociali diversi.
Va ricordato anche suo fratello, Ignazio, del quale si fa menzione nel dizionario più volte citato, a proposito degli "Episodi della vita di S. Antonino vescovo di Firenze", opere presenti nella cappella Alfieri, già Rubino in S. Pietro Martire a Napoli. Della pittura citata infatti Girolamo dipinse il quadro centrale, mentre i due laterali furono eseguiti, appunto, da Ignazio ed "i cui pagamenti risultano registrati tra il febbraio e l’agosto del 1722". Detti pagamenti rappresentano l’unica prova dell’attività pittorica di Ignazio.
Paolo de Matteis
Paolo de Matteis nacque a Piano di Orria, paesino del Cilento poco distante da Perito – in provincia di Salerno – il 09 febbraio 1662. Suo padre, Decio, era benestante e sua madre si chiamava Lucrezia Orico.
Paolo si mostrò incline al disegno fin dalla più tenera età, perciò, suo padre, osservando questa sua tendenza lo portò a Napoli dove si esercitava a copiare opere d’arte importanti. Poi, su consiglio di amici, lo volle distogliere da questa sua passione per avviarlo allo studio delle
lettere, della geometria e della filosofia sotto la guida di ottimi maestri. Ma il pensiero correva sempre alla pittura e, ricriminando questa sua tendenza, pregò il padre di lasciargliela praticare.
Fu così che Decio, sfruttando le sue altolocate amicizie, tra queste quella del Cavaliere Reggente Gaeta, fece sì che Paolo fosse introdotto nella scuola di Luca Giordano, il pittore più accreditato del tempo. Con lui andò a Roma, dove ebbe modo di studiare, osservare e copiare opere d’arte dei più grandi maestri, prendendo i primi incarichi di lavoro.
Frequentò l’Accademia di S. Luca, studiò a fondo il nudo, diede continue prove di saper usare la matita per esprimere, al massimo della efficacia, in toni chiaroscurali forme e soggetti artistici.
Ritornò a Napoli, dove intensificò la sua attività e sposò Rosolena, non senza difficoltà per le contrarietà e le avversità del padre, Michele Perrone, valente scultore del legno.
I suoi quadri si trovano nella chiesa di S. Luigi dei Padri Minimi.
Dipinse la cupola e diversi quadri della chiesa di S. Francesco Saverio.
Andò anche in Francia dopo la venuta del re Filippo V nel 1702 a Napoli e vi rimase per tre anni.
Tornò a Napoli dove eseguì opere nelle chiese di Monteoliveto, S. Brigida, S. Caterina a Formello e di S. Spirito.
Aveva fama di pittore molto veloce, difatti impiegò solo sessantasei giorni per affrescare la cupola del Gesù Nuovo ricostruita a seguito del crollo avvenuto per il terremoto del 5 giugno 1688 e per la quale venne impiegato il tempo record di sei mesi e diciotto giorni per essere ricostruita da Arcangelo Guglielmelli. Ma, come sappiamo, anche questa cupola dovette essere abbattuta, perché ritenuta pericolante e rifatta l’attuale.
Difficile elencare tutte le opere del de Matteis disseminate nelle varie chiese di Napoli, tuttavia ci piacciono ricordare ancora: la "storia della vita di S. Nicola di Bari" nella chiesa di S. Nicola della Carità, i dipinti in S. Anna dei Lombardi. Nel "1711 decorò la sede della congregazione dei pittori nella casa professa dei Gesuiti". Nel 1699 affrescò il soffitto della farmacia a S. Martino con una scena raffigurante S. Bruno che intercede presso la Vergine per l’umanità sofferente.
Lavorò, come già detto. All’estero; infatti tra il 1713 ed il 1719 ebbe una commissione per il palazzo del viceré conte W. Dann a Vienna.
Tra le città italiane, dove fu chiamato a prestare la sua opera si annoverano: Taranto, Monopoli, (BA), Laterza a Bisceglie (BA), Guardia Sanframonti (Bn).
Dunque il de Matteis è stato un pittore di grande fama artistica, che si è visto impegnato nell’affrontare anche nuove correnti e stili. Infatti durante la sua permanenza a Roma, all’inizio della carriera E POI A Parigi, dove si recò con il suo allievo Giuseppe Mastroleo, "partecipò al clima culturale del momento fondato sull’abbandono dei soggetti artistici a carattere profano e paganeggiante a favore di una pittura apologetica e celebrativa, di lebruniana e di stampo religioso.
Durante il periodo parigino (1703-1705), ebbe modo di conoscere altri ed altre scuole, tra
questi citiamo P. Mignardi, del quale ne studiò le opere.
Paolo de Matteis visse solo 56 anni; morì infatti il 26 luglio del 1728 a Napoli, dove fu sepolto nella chiesa della Concezione a Montecalvario.
Vanno ricordate le sue tre figlie: Mariangiola, Felice ed Emanuela, avute dalla prima moglie Rosolena – sposò in seconde nozze la figlia dell’avv. Francesco D’Agostino.
Delle tre si legge che furono pittrici, allieve del padre e, in particolare, Mariangiola aveva un’ottima inclinazione per l’arte e conseguì risultati, specialmente nel campo della ritrattistica.
Di ciò ne traiamo conferma da più testi e soprattutto dal De Dominici, che ben illustrò la vita di Paoluccio, così chiamato il de Matteis "per essere picciolo, e di minute membra".
Nicola Vaccaro
Nicola Vaccaro era figlio di Andrea ed Anna Criscuolo, nacque, nacque il 13 marzo del 1640. Si unì in matrimonio all’età di 17 anni con Anna Maria figlia del pittore Giacomo Mannecchia.
Andrea fu valente pittore e, nonostante fosse costretto a svolgere il lavoro di scrivano del padre per aiutare la famiglia numerosa, svolse l’attività di pittore con successo. Innumerevoli opere sono collocate nei monumenti più importanti di Napoli. Uno fra tutti, il Duomo.
Il nome di battesimo del nostro era Tommaso Domenico Nicola, ma ha sempre firmato con un solo nome: Nicola. Il padre morì il 18 gennaio del 1670 e, come riporta il Celano, Nicola continuò l’opera interrotta che era il quadro di S. Marta nell’omonima chiesa di Napoli.
Dunque Nicola Vaccaro continua l’opera del padre, riscuotendo affermazioni e commissioni di lavoro per importanti monumenti religiosi. Tra questi citiamo la cappella di S. Restituta nel Duomo di Napoli – dove aveva operato anche il padre – la chiesa della SS. Annunziata, la chiesa di S. Tommaso d’Aquino, di S. Maria della Speranza e di S. Gioacchino dell’Ospedaletto, quest’ultima sempre in Napoli.
Aggiungiamo per il padre Andrea, la nota che egli fu uno dei fondatori della "Congregazione dei Professori di Pittura" cui, come abbiamo visto, vi era iscritto anche Paolo de Matteis.
Morendo lascò tutto al figlio Nicola e alla moglie, la quale avrebbe tenuto con sé i quadri che si trovavano in casa per poi lasciarli, anche questi, a Nicola; si ricordò anche della sorella Grazia, consentendole di percepire un vitalizio.
Ma, tornando al figlio Nicola apprendiamo che iniziò la sua carriera dipingendo scene mitologiche e bibliche con sfondi paesistici, avendo avuti come maestri: Salvator Rosa, Nicolas Poussin (dal quale trasse insegnamenti di linee espressive e classiche) e Francesco Solimena.
Seguì Salvator Rosa a Roma, studiando le opere di questo maestro "imitandone anche lo stile e massimamente nei tronchi; sicché tornato in Napoli, alcuni dei suoi quadri vendeva per opera di Salvatore".
Il De Dominici elenca numerose opere attribuite a Nicola, esaltandone doti e qualità di pittore, racconta, deluso, la fine che fece allorquando lasciò i pennelli per dedicarsi quale impresario del teatro di S. Bartolomeo, essendosi invaghito di una cantatrice.
In questa attività rimise buona parte – se non tutte – le ricchezze che gli aveva lasciato il padre, e tardi s’accorse del fallimento di questa idea per cui riprese a dipingere, ma non più con il "primiero studio", bensì con il desiderio di far presto.
Il rammarico del De Dominicis è proprio questo che "se Nicola Vaccaro avesse seguitato a dipingere con quello studio, col quale aveva principiato, sarebbe nel numero de’ più Virtuosi Pittori de’ tempi suoi"
Tuttavia, nonostante avesse vissuto una esperienza negativa con il teatro, anche quando riprese a dipingere "non sapea astenersi in tempo di Carnevale del far rappresentare delle Commedie in
Casa propria, con non poco dispendio della sua borsa".
Nicola Vaccaro, il pittore4 di "favole e baccanali", morì il 23 maggio del 1709 a Napoli e fu seppellito nella stessa Chiesa della Pietà dove volle riposare il padre Andrea.
Intanto sulla data di nascita e morte, troviamo qualche dissonanza con la letteratura esistente; in particolare nel catalogo della mostra della "Civiltà del Seicento a Napoli", a firma di Ciro Fiorillo, si legge che nacque nel 1637 e morì nel 1717, date diverse da quelle riportate da altri autori.
Ma ciò che più risulta interessante che è confermato anche in questo volume è che egli siglava i suoi quadri con le lettere "N.V.F.", ovvero "Nicola Vaccaro Fecit", proprio come abbiamo rinvenuto sul quadro della Madonna e delle Anime del Purgatorio, che sta nella chiesa del Monastero di S. Maria di Maiori.
Ma, già dal Celano, avevamo avuto conferma della firma della appartenenza del quadro della Madonna al Vaccaro, avendo letto che: "Nella cappella seguente – riferendosi alla chiesa di S. Gioacchino dell’Ospedaletto – la tela rappresentante S. Rosa, S. Rocco e S. Teresa è lavoro di Nicola Vaccaro, il quale mi restò notizia con questa cifra: "N.V.F.".
(Celano, Carlo. Notizie del bello antico e del curioso della città di Napoli. Edizioni Scientifiche Italiane. Napoli, 1974, Vol. 7, pag. 1454, Vol. 5).
Dunque per noi è stata motivo di somma gioia poter definire l’autore – senz’altro autorevole – di un quadro della chiesa di cui ci stiamo occupando, del quale leggiamo a proposito della sua opera, S. Marta: "In questa tela (…) s’avverte l’intento di Nicola di procedere con canoni più aggiornati: la figura si allunga, il contesto acquista più ampio respiro, i piani sono scanditi con più limpido ardito, il paesaggio, da comparsa, fa da comprimario alla stessa figura…".
(Fiorillo, Ciro. Civiltà del Seicento a Napoli. (Mostra". Electa, Napoli, 1984. Vol. 2, pag. 180. Vol. I).
Insomma egli fu ispirato da Salvator Rosa preso a modello e seppe lavorare sia in campo chiesistico con le figure intere, sia nel campo ritrattistico, con le figure ridotte.
Vi è una traccia della sua attività di scrittore, ma al momento, è tutta da verificare.
Giuseppe Mastroleo
Giuseppe Mastroleo, "Se non nativo, (era) oriundo di Maiori (…) valente pittore, ed uno de’ più abili allievi di Paolo de Matteis. Nacque verso la fine del secolo XVII, e morì nel cinquantesimo anno della sua età.
Gaetano Conforti
Gaetano Conforti (1891-1971) nacque a Maiori il 19 luglio. A sedici anni conseguì la "Licenza di Scuola Tecnica" e si iscrisse al Regio Istituto delle Belle Arti di Napoli dove, il 28 maggio 1915, si laureò in Architettura.
Ebbe come maestro Domenico Morelli, all’epoca Preside della Facoltà. Dotato di particolare talento entrò subito nella schiera dei "Costaioli" (impropria definizione secondo Massimo Bignardi), che avevano cenacolo presso lo studio di Gaetano Capone.
Pittore, scultore, restauratore, tenne tutta per sé la sua vasta produzione, preferendo alle gallerie l’insegnamento nelle Scuole Statali. Molte le sue tele che vanno dal ritratto al paesaggio ed alla vita di ogni giorno. Tra le opere più ricordate, vi è quella dello "Sbarco degli alleati a Maiori". Le sue tele hanno il pregio di uno stile ricco di visioni e di composizioni che raccontano la verità attraverso scene tratte dal vivere quotidiano.
Forse lavorò col maestro nella chiesa del Gesù Nuovo. "G. Conforti nel 1946 – come già accennato – restaurò gli affreschi centrali del soffitto della chiesa del Monastero delle Suore con la collaborazione del ceramista-pittore Vittorio Acabbo e affrescò i rosoni laterali rappresentanti santi domenicani ed Angeli".
Vittorio Acabbo
Vittorio Acabbo è nato a Maiori il 31 gennaio 1921, ci ha parlato nel suo studio a Piazza d'Amato, della sua vita vissuta tra gli artisti locali e napoletani. Il padre, musicista, lo affidò a Luca Albino, un nome molto noto a Maiori; stimatissimo pittore, dal quale don Vittorio ha tratto insegnamenti di vita e d’arte pittorica: un "caposcuola", come da lui stesso definito.
"Ho frequentato la Scuola delle Belle Arti di Napoli, restando in questa città dal 1935 fino al 1939 – racconta Acabbo – poi rientrai a Maiori ma non ebbi tempo di mettere in pratica quanto
avevo appreso durante il periodo napoletano perché sopraggiunse la guerra" (Da un’intervista con l’artista Vittorio Acabbo del 27 luglio 2004. A Maiori nel suo studio). Quindi lasciò il suo paese per ritornarvi solo nel 1945 alla fine del conflitto. Varie sono state le esperienze della sua vita, tutte legate a doppio filo con la sua verve artistica. E così, all’epoca degli alleati, barattava un ritratto per un paio di scarpe o qualcosa da mangiare; la pittura durante il periodo della guerra lo salvò diverse volte da seri pericoli di vita.
Dal 1950 al 1969, affrontò l’esperienza di ceramista, avendo acquistato una fabbrica di ceramica dove lavorò intensamente.
Durante il colloquio gentilmente concessoci, riprende più volte il ricordo di Luca Albino, con il quale aveva trascorso circa 18 anni fino alla sua morte. Insomma un racconto di colori e di immagini tutto fortemente emozionante e denso d’un entusiasmo per l’arte tuttora vivo.
È difficile elencare quante opere abbia dipinto, collocate in varie Chiese, non solo di Maiori.
In lui è vivo il ricordo del prof. Gaetano Conforti, del quale esalta anche molto la professionalità e l’abilità pittorica. Stette al suo fianco durante l’opera di restauro ed il rifacimento degli affreschi della chiesa di S. Maria della Pietà: "… feci, tra l’altro, la fiammella sulla testa di S. Vincenzo Ferreri", soggetto dipinto ex novo perché completamente danneggiato dall’umidità; la stessa sorte toccò al dipinto di S. Caterina, ma fu solo ritoccata. E questo nel 1946.
(Autore: Mario Rosario Avellino)

*Il piccolo campanile
Collocato sulla parte sommitale del tetto vi è il piccolo campanile, una struttura a due archi nei quali alloggiano due piccole campane di bronzo appartenenti al Monastero della Pietà non soppresso e perciò risparmiate dalla requisizione prevista dei Reali Decreti del 2 novembre 1808 e del 13 ottobre 1811, ai quali seguivano circolari esplicative ed applicative circa le modalità di consegna delle campane.
Il provvedimento, come si ricorderà, deriva dalla necessità di reperire il bronzo per le Reali Fonderie.
Quindi anche per le campane fu stilato un elenco e furono emanate le norme relative alla conservazione di quelle che non venivano requisite con l’indicazione che: "in ogni chiesa di detti
monasteri soppressi rimasta aperta con decreto di S. M. o con particolare ordine di questo Ministero del Culto.
Ne debba rimanere una grande ed una piccola quando vi fosse la Parrocchia, altrimenti una sola piccola".
Le campane requisite3 venivano portate presso l’Arsenale Reale e, lì, fuse.
Ma, per fortuna, le due piccole campane del Monastero rimasero al loro posto dove si trovano tuttora.
Le due campane, varie viste:
Campana grande che porta la scritta:
LA PITA’ ANNO DOMINI M.CCCCC.XXXXXX + DALL’ALTRO LATO IN BASSORILIEVO: Madonna con Bambino in trono.
La più piccola riporta la scritta: + A.D. 1685. Vi è rappresentato S. Francesco in ginocchio davanti al Crocifisso; dall’altro lato una Madonna con il Bambino; verosimilmente S. Maria a Mare.
Non sembra il caso di interpretare le date ed i simboli, appare chiaro che le due campanelle sono state fuse in epoche diverse, rispettivamente la prima nel 1568 e la seconda un secolo dopo, nel 1685.
(Autore: Mario Rosario Avellino)

*Le Suore e i Vescovi
Riportiamo qui di seguito notizie sui Vescovi che si sono succeduti alla guida della Diocesi.
"Alla morte di Mons. Francesco Maiorsini venne eletto alla sede amalfitana l’avellinese Enrico De Domenicis (1894-1908), già vescovo di Marsi Venina. Ampliò il Seminario, si assunse le spese del complito restauro del Chiostro del Paradiso, celebrò il Sinodo Diocesano nel 1903, quasi ad un secolo di distanza dall’ultimo celebrato nel 1816, e lo scopo fu quello di un risveglio della disciplina ecclesiastica e di un adattamento alle nuove esigenze del tempo.

Visitò la Diocesi nel 1895.
Alla sua morte gli successe il suo coadiutore Antonio M. Bonito (1908-1910), che fu poi trasferito nel 5 luglio del 1910.
Resse allora la Diocesi Angelo M. Dolci (1911-1914), già vescovo di Nazianzio, che fu poi trasferito alla sede di Gerapoli.
Gli successe Ercolano Marini (1915-1945), già vescovo titolare di Archelaide, poi trasferito nella sede di Norcia.
Questi scrisse circa 12 opere, la maggior parte delle quali sul mistero della SS. Trinità.
Fondò nel 1915 la rivista propria della Diocesi "Rivista Ecclesiastica Amalfitana", periodico bimestrale tuttora edito sotto la direzione e responsabilità della Curia. Celebrò nel 1929 il Sinodo Diocesano. Celebrò un Congresso Eucaristico.
Nel 1945 si dimise dalla cura della diocesi, ma, pur essendo morto in Roma, fu tumulato, per suo esplicito desiderio, nella Cattedrale di Amalfi.
Gli successe Luigi Martinelli (1946), che morì ancor prima di prendere possesso della Diocesi.
Fu promosso quindi a questa sede Angelo Rossini (1947-1965) già vescovo Titolare di Germa di Galazia ed ausiliare dell’Arcivescovo di Ravenna, dopo un periodo di Amministrazione Apostolica di Mons. Demetrio Moscato, vescovo di Salerno. Morì mentre partecipava ai lavori del Concilio Vaticano II.
Dopo un periodo di sede vacante, in cui governò la diocesi il Vicario Capitolare Mons. Andrea Afeltra, fu eletto non vescovo, ma Amministratore Apostolico della sede amalfitana Angelo Raimondo Verardo (1966-1968), dei Frati Predicatori, già commissario dell’Ex-Santo Ufficio.
Eletto poi vescovo di Ventimiglia, continuò a governare la Diocesi amalfitana come Amministratore Apostolico fino alla venuta dell’Amministratore Apostolico, Mons. Jolando Nuzzi, già vescovo di Campagna, ed attualmente Vescovo di Nocera dei Pagani e Sarno.
Dopo circa 7 anni di sede vacante, nel 25 settembre 1972 l’Arcidiocesi ha il suo nuovo Presule: Mons. Alfredo Vozzi, già vescovo di Cava e Sarno.
Con tale nomina la Diocesi di Cava è unita all’Arcidiocesi amalfitana, e quella di Sarno viene aggregata alla vicina Diocesi di Nocera dei Pagani.
A Mons. Vozzi successe Mons. Ferdinando Palatucci, resse la Diocesi fino al 1988". Dopo Mons. Palatucci, per un anno, resse la Diocesi come Amministratore Apostolico Mons. Gioacchino Illiano, Vescovo di Nocera – Sarno.
Nel 23 febbraio 1991 inizia il ministero pastorale nell’Arcidiocesi di Amalfi – Cava de’ Tirreni, Mons. Beniamino Depalma" (da Giovinazzo).
Intanto è bene sottolineare che il ricordo di S. Ecc. Mons. Ercolano Marini è particolarmente caro alle suore perché, come si ricorderà, fu proprio lui a volerle a Maiori nell’Istituto S. Maria.
Difatti il Decreto di Fondazione dell’Asilo Infantile porta la sua firma e la data del 18 giugno del 1923; ma vediamo chi era Mons. Marini.
"Ercolano Marini nacque a Matelica, cittadina delle Marche in provincia di Macerata, il 21 novembre 1866 dai coniugi Eleuterio Marini e Carolina Giovagnoli. Fu battezzato il 23 novembre nella Cattedrale di
Matelica e ricevette la Cresima il 14 giugno 1874.
A 13 anni, nel novembre 1879, entrava nel Seminario di Fabriano e fu ordinato sacerdote il 21 settembre 1889 nella stessa Cattedrale di Matelica da Mons. Lorini.
Fu parroco a Terricoli, poi Canonico prevosto della Cattedrale di Matelica dal 1894 al 1896. Intanto, il 20 ottobre 1896, a Bologna conseguiva la laurea in S. Teologia.
Il 27 settembre diventa Priore del Capitolo della cattedrale di Terni e nel 1901 lo troviamo a Spoleto, Vicario generale dell’Arcivescovo benedettino, Mons. Domenico Serafini.
In tale ufficio lo raggiunse la nomina a Vescovo titolare di Archelaide di Palestina il 29 giugno 1904. Aveva 38 anni.
Era, certamente, uno dei Vescovi più giovani del suo tempo.
Poiché Mons. Serafini era assente da Spoleto, resse la Diocesi con un mandato particolare. Al suo rientro, il Marini fu destinato a reggere la diocesi di Norcia fin dal 29 aprile 1906. La resse fino al 2 giugno 1915, quando fu nominato Arcivescovo di Amalfi.
Il 29 settembre 1915 riceveva a Roma il s. Pallio, allora insegna di tutti gli Arcivescovi, e fece il suo ingresso in Amalfi il 3 ottobre di quell’anno.
Iniziava il suo trentennale servizio nella Chiesa Amalfitana. Trent’anni non si possono racchiudere in poche note.
Diciamo che amò e cantò – con la parola e con la penna – l’altissimo mistero della SS. Trinità; svolse un ministero pastorale intenso, vigile, premuroso; si chinò sulle vittime innocenti delle guerre, che caratterizzarono il suo tempo, creando l’Orfanotrofio "Anna e Natalia" per gli orfani; visse povero e se ne andò povero dalla diocesi, vendendo tutto per soccorrere gli indigenti.
Sulla soglia degli ottant’anni, precorrendo i tempi, chiese al S. Padre di lasciare l’incarico e ciò avvenne il 5 ottobre 1945. Prima si ritirò nell’Abbazia benedettina di Finalpia, in provincia di Savona; poi nel maggio 1947, venne a Roma, dove fu accolto nella casa della "Fraternità sacerdotale" ed ivi si spense serenamente nella notte del 16 novembre 1950.
Volle essere sepolto nella Cattedrale di Amalfi".
Ercolano Marini già conosceva Bartolo Longo o, almeno, l’Opera Pompeiana.
Al futuro beato, infatti, indirizzò una lettera spedita da Norcia, dove era Vescovo prima di essere nominato Arcivescovo di Amalfi.
Questo il testo scritto in data 21 luglio 1910.
"Ill.mo Signore,
Dall’Ecc.mo Mons. Silj e dagli altri Sacerdoti miei diocesani residenti presso codesto insigne Santuario la S. V. Oll.ma sarà venuta a conoscenza del mio, abbastanza arduo, proposito, di ridonare a culto dovuto l’antica Cripta da cui nacquero gemelli S. Benedetto e S. Scolastica. Per l’attuazione di questo proposito si richiede una somma rilevante, perciò sono costretto fare appello alla generosità dei buoni.
Io so quanto la S.V. ha saputo fare costì guidata sempre dal grandioso ideale a cui ha saputo ispirarsi ed ho veduto le opere sorte sotto l’impulso della sua carità. Mi faccio perciò ardito di pregarla di dare uno sguardo di benevolenza alle opere che devono sorgere in onore del grande Patriarca del Monachesimo occidentale, per il quale la S. V. Ill.ma deve certamente nutrire singolare attenzione.
Mi scusi della libertà e gradisca l’omaggio della mia osservanza insieme all’augurio delle più elette benedizioni.
Dev.mo suo Servo
† Ercolano Vescovo di Norcia".
Intanto non si faceva sfuggire le occasioni per elogiare le suore per il loro operato. In una lettera così scrive:
                                                                           "ARCIVESCOVADO di AMALFI
                                                                                    Amalfi, lì 9 giugno 1925
Rev.ma Suor M. Colomba di S. Cecilia Superiora Gen. le delle Suore Domenicane Valle di Pompei.
Reverendissima Madre
Sono lieto di esprimere alla maternità vostra tutta la mia soddisfazione per l’apostolato di bene che le Sue buone Suore compiono nella città di Maiori. Sia nell’Asilo che nella scuola di lavoro esse spiegano tutta l’attività e lo zelo.
Ed è veramente degno di ammirazione lo studio con cui fanno che le anime tenere alla loro cura affidate, s’innamorino della pratica della nostra della nostra Santa Religione.
La Chiesa pubblica, annessa all’Asili, che prima era quasi abbandonata ora è addivenuta uno dei migliori focolari di pietà cristiana.
Le Suore con la loro serietà e religiosa modestia, con l’abnegazione che portano nei loro uffici, si hanno attirato l’ammirazione e il plauso di tutta la cittadinanza.
Porto ciò a conoscenza di vostra maternità, perché a Lei e a coloro che la coadiuvano nella direzione dell’Istituto, sia di conforto e benedicendo mi confermo Dev.mo Arciv. Ercolano Arcivescovo".
Anche Mons. Beniamino Depalma ha dimostrato di essere molto vicino alle Suore di Bartolo Longo; egli non si fa sfuggire occasioni per dimostrare la sua attenzione per il loro operato.
Così scrive in una lettera indirizzata alle Suore Domenicane di Maiori e pubblicata sul periodico della Congregazione: "In Cammino… con Maria", l’organo di stampa della Congregazione delle Suore "Figlie del S. Rosario di Pompei".
"È da poco che le Suore Domenicane, a Maiori, hanno riaperto le porte della loro cappella principale, restaurata dopo i danni causati dal terremoto del 1980.
L’occasione della riapertura della cappella è stata offerta dalla celebrazione del Capitolo Generale della loro Congregazione, tenutosi durante i mesi estivi.
Le Suore Domenicane, "Figlie del S. Rosario di Pompei", sono un dono e una grande benedizione di Dio a favore della comunità ecclesiale e cittadina di Maiori.
La loro integrazione con la gente del paese è perfetta e la loro presenza è diventata ormai insostituibile e preziosa. Frattanto, proprio come persone, le suore mostrano una generosa disponibilità nell’accoglienza di quanti ad esse si rivolgono per eventuali bisogni o necessità. Il loro monastero ha assunto un aspetto nuovo e una forma più accogliente, dopo gli ultimi lavori eseguiti, tanto da essere addirittura scelta come sede di importanti e decisivi incontri a livello di Congregazione, In esso ha trovato sede l’Istituto di Scienze Religiose "Ercolano Marini" dell’Arcivescovo di Amalfi – Cava de’ Tirreni, che usa locali ed attrezzature della scuola parificata dell’Istituto S. Maria, gestito, appunto, dalle suore. E quante generazioni sono passate per quei banchi e per quelle aule!
Quanti bambini delle scuole materne ed elementari hanno ricevuto dalle suore i primi rudimenti della fede e del sapere, nonché la prima educazione per la vita! Anzi alcuni bambini di ieri, oggi, sono già sacerdoti a servizio della chiesa locale.
E a proposito di sacerdoti, non si può non ricordare, con commozione e gratitudine, e indicare come modello di solidarietà e di condivisione il servizio di assistenza prestato dalle suore di Maiori ad un anziano sacerdote di questa Arcidiocesi e della terra di Maiori: Don Clemente Confalone, che ha chiuso i suoi occhi a questo mondo e che vive ancora tuttora nel ricordo della gente maiorese e della comunità delle suore.
Valida e costruttiva è la collaborazione con il parroco per la vita e la crescita della comunità parrocchiale di S. Maria a Mare.
Alcune suore sono presenti nel Consiglio Pastorale Parrocchiale, altre svolgono il ministero del catechista, preparando i bambini a ricevere i Sacramenti della iniziazione cristiana, ed altre ancora, in qualità di ministri straordinari dell’Eucarestia, coadiuvano con il parroco nella visita agli ammalati. Ma anche se le suore non avessero svolto o non svolgono alcuna attività, già la loro presenza, da sola, fatta di preghiera, di contemplazione e di vita consacrata al Signore, è, per gli uomini distratti e indaffarati nelle cose del mondo, un segno tangibile del regno futuro e richiamo inconfondibile alla modalità della futura vita che vivranno coloro che saranno risorti in Cristo.
Veramente questa comunità diocesana deve molto alle suore, che, certamente troveranno sempre nuove occasioni per rendersi maggiormente utili alla chiesa e alla città di Maiori. Che il Signore faccia piovere, su questa comunità di consorelle che è in Maiori, l’abbondanza delle sue elette benedizioni e dei suoi celesti favori.
Ecco una breve scheda che riassume le notizie principali sulla vita di S. Ecc. il Vescovo
Beniamino Depalma, pubblicata con la rispettiva foto prima che prendesse possesso canonico dell’Arcidiocesi.
Padre Beniamino Depalma è nato a Giovinazzo, in provincia di Bari, il 15 maggio 1941. Compì gli studi presso le Scuole dei Missionari di S. Vincenzo de’ Paoli (Congregazione della Missione) a Napoli e a Torino.
Emise la professione il 7 ottobre 1962 e fu ordinato sacerdote il 3 aprile 1965. In seguito, ha perfezionato gli studi teologici conseguendo la Licenza in Teologia dell’Italia Meridionale in Napoli e la licenza in Liturgia presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo in Roma.
All’interno della Congregazione della Missione, ha ricoperto i seguenti incarichi:
- Direttore della Scuola Apostolica della Provincia Napoletana;
- Parroco della Parrocchia di S. Gioacchino in Napoli;
- Direttore degli studenti di Teologia e dei Novizi della Provincia Napoletana e Superiore della Casa S. Nicola da Tolentino";
Visitatore della Provincia Napoletana.
Dal 1989 è Direttore dello Studentato Teologico della Provincia Napoletana della sua Congregazione.
Da molti anni, inoltre, è Assistente regionale dell’UNITALSI campana e Vice Assistente regionale dei Gruppi giovanili di volontariato vincenziano.
Eletto Arcivescovo di Amalfi-Cava de’ Tirreni il 7.12.1990, è stato consacrato vescovo nella Cattedrale di Napoli il 26.1.1991 dal Cardinale Michele Giordano, essendo conconsacranti S. E. Ferdinando Palatucci, Arcivescovo emerito di Amalfi-Cava de’ Tirreni e S.E. Ciriaco Scanzillo, Vicario Generale di Napoli. Prese possesso canonico dell’Arcidiocesi nella Cattedrale di Amalfi il 23.2.1991, rimanendovi fino al 16 luglio 1999, quando fu eletto Arcivescovo di Nola.
Attualmente è alla guida della Diocesi di Amalfi e Cava de’ Tirreni, l’Arcivescovo Mons. Orazio Soricelli del quale riportiamo una sintesi essenziale della sua vita.
È nato a Calvi S. Nazzaro (Bn), il 9 luglio 1952 da Sabato e Carmela Bocchino, primo di tre figli.
Dopo aver trascorso l’infanzia nel paese natale, ha frequentato la scuola elementare e media ad Apice. È cresciuto nell’A.C., ha scoperto la vocazione al sacerdozio, sotto la guida dell’abate don Nicola Santillo.
Nel seminario Arcivescovile di Benevento ha frequentato il ginnasio e nel Seminario Regionale il liceo e il corso filosofico-teologico, conseguendo il titolo di baccellierato con il massimo dei voti. È stato ordinato diacono a Benevento nella chiesa di S. Maria della Verità il 4 gennaio 1976 e sacerdote ad Apice l’11 settembre 1976 da Mons. Raffaele Calabria. Vice rettore al Seminario Regionale e Segretario del Liceo nell’anno 1976-77. Chiuso il Seminario Regionale il 30 giugno 1977, è nominato vice parroco di S. Modesto al Rione Libertà di Benevento come collaboratore
di Mons. Francesco Zerrillo. Dal 1982 al 1986 anche parroco di S. Giovanni Battista di Maccabei. Subentrò come parroco di S. Modesto, dopo la consacrazione episcopale di Mons. Zerrillo. Successivamente, il 1° gennaio 1987, divenne parroco della SS. Addolorata in Benevento.
Ha insegnato religione per un ventennio nelle scuole Medie di Benevento. In questa stessa città è stato vicario foraneo e membro del consiglio presbiteriale e del collegio dei consultori. È assistente diocesano del Cammino Neocatecumenale e membro dell’Istituto Gesù Sacerdote dei Paolini. Dal 1989 vice direttore e dal 1992 direttore del Centro Missionario e dell’Ufficio Missionario Diocesano.
Dal 1993 delegato regionale delle PP. OO. MM. e segretario regionale della Commissione per la cooperazione missionaria tra le chiese; membro del Consiglio Missionario Nazionale; Consigliere Nazionale e sindaco revisore delle PP. OO, MM.
Il 3 giugno 2000 è stato nominato da Giovanni Paolo II Arcivescovo di Amalfi – Cava de’ Tirreni, ricevendo la consacrazione episcopale il 30 giugno 2000 nella Basilica Cattedrale di Benevento.
Inizia il suo ministero il 23 settembre 2000.
(Autore: Mario Rosario Avellino)

*Città - Maiori Comune

Maiori è un comune di 5.745 abitanti della  provincia di Salerno, situato sul  Golfo di Salerno a metà strada tra  Amalfi e  Salerno.
L'Unesco ha dichiarato dal  1996 Maiori, assieme alla  Costiera amalfitana, Patrimonio dell'Umanità.
Le origini della città risalgono al periodo degli  etruschi. Dal secondo dopoguerra Maiori ha registrato una notevole espansione urbanistica e vanta uno dei migliori tenori di vita della
 Campania.
Profilo Storico
Lo storico locaVista dall'alto di Maiori e di parte della sua spiaggiale F. Cerasuoli ipotizza che Maiori potrebbe essere stata l'antica città estrusca di Cossa, traducibile in Boxa o Possa, e latinizzata successivamente in Posula, primo centro della città poi divenuto un suo villaggio, l'attuale contrada di S. Pietro in Posula dove tra l'altro era un tempio dedicato al dio etrusco Vertumno distrutto dagli abitanti della città nel IV d.C. con l'avvento del Cristianesimo.
Infine da citare l'ipotesi (A. M. Fresa), non in contrasto con quella del Cerasuoli, che Maiori fosse stato il rifugio dei superstiti dell'antica e prestigiosa città etrusca di Marcinna (molto probabilmente l'attuale Vietri sul Mare), distrutta da un cataclisma alluvionale o da un saccheggio, e che la tradizione tramandata per generazioni della loro indiscutibile perizia nautica sia divenuto, dieci secoli dopo, uno dei presupposti fondamentali per la fondazione della prima Repubblica Marinara d'Italia.
Maiori è quindi ritenuta, per consolidata tradizione storiografica, di antichissime origini risalenti agli Etruschi proprio per la desinenza "inna" di chiara derivazione Osca dell'antico nome Reghinna.
Durante i secoli IX e X, allorquando la Repubblica Amalfitana visse il periodo di più grande splendore Maiori fu sede di numerosi arsenali e dell'Ammiragliato, nonché della Dogana e del Fondaco del sale.
Negli arsenali repubblicani di Maiori sarebbe stato dato per la prima volta il nome di Tramontana al vento freddo spirante dal Nord, dalla valle del limitrofo comune di Tramonti. Per secoli questo nome fu dipinto sulla Rosa dei Venti dagli amalfitani a cui è data la paternità della bussola. Gli arsenali di Maiori continuarono la loro attività anche dopo la caduta della Repubblica amalfitana e costruirono navi anche per il reame di Napoli.
Maiori ha goduto nel corso dei secoli di numerosi attestati e privilegi da parte di Re e Pontefici dell'epoca tra cui vanno menzionati: il titolo di <<Città Regia>>, del quale venne insignita da Re Filippo IV di Spagna nel 1662 e il titolo di "Insigne Collegiata", tuttora riconosciuto, con cui venne insignita dal Pontefice Giulio II nel 1505 l'allora Basilica, sede di Rettoria, di S. Maria a Mare.
Infine è doveroso citare due rovinose alluvioni di questo secolo: la prima del 24 ottobre 1910 che distrusse il lato nord-orientale di Maiori, il Convento dei Frati Minori e la frazione di Erchie; la seconda il 24 Ottobre 1954 distrusse buone parte dei villaggi a nord e il centro cittadino.
Dopo quest'ultima catastrofe la ricostruzione della città, realizzata in assenza di un piano regolatore generale e lasciando spazio ad uno sfruttamento a volte intensivo del territorio, fa assumere a Maiori l'aspetto odierno.
Dopo la seconda guerra mondiale, nel periodo del neo-realismo, Maiori fu scelta da Roberto Rossellini come set per alcuni dei suoi film: Paisà, Viaggio in Italia, Miracolo, La macchina ammazzacattivi. Molti maioresi hanno partecipato come attori, secondo i dettami del neorealismo, ai film di Rossellini, certamente non ultimo il famoso scugnizzo del film Paisà.

Regione - Campania

La Campania è una  regione dell'Italia meridionale. Conta 5.701.931 residenti (censimento 2001 ed ha la più alta densità di popolazione tra le regioni italiane, ma è seconda dopo la Lombardia per numero totale di abitanti. Il suo capoluogo è  Napoli. Confina a ovest, sud-ovest con il  Mar Tirreno, a nord-ovest con il  Lazio, a nord col  Molise, a nord-est con la  Puglia e ad est con la  Basilicata.  Il nome Campania deriva dal termine  latino campus, che vuol dire campagna, e per commistione linguistica, dal termine osco Kampanom, con il quale si indicava l'area nei pressi della città di  Capua.
Reghinna Maior
Giace questa città di Maiori in una grande valle, aperta a sud, sud-ovest sul Tirreno, dal cui lido, per una piaggia lunga pressocchè due terzi di un miglio (chil. 1 e met. 235 lin.), s’interna lievemente acclive, percorrendo serpeggiante circa 6 miglia, (11 chil. Itin.) ora stringendosi svariatamente, e così diradandosi in tante, più o meno profonde, valli secondarie, fra colli alterni finchè si espande sulla vasta cerchia ov’è disseminata Tramonti.
(Cerasuoli Filippo, Scrutazioni storiche, archeologiche, topografiche con annotazioni e documenti della città di Maiori).
Circa la fondazione della città di Maiori pare che sia ben accreditata l’ipotesi che essa risalga agli Etruschi e ciò perché, originariamente nota come Reghinna "la desinenza "inna" denunzia la matrice chiaramente di derivazione da quella civiltà
(Primicerio Giuseppe. La città di Maiori dalle origini ai tempi odierni).
Ma non si escludono, secondo alcuni, ipotesi di derivazione greca, ritenendola colonia ascrivibile al IV sec. A. C.
Tuttavia, noti storici locali hanno affrontato l’argomento della determinazione della data di nascita di Maiori e confrontando le tesi sostenute dal Camera, Staibano e Primicerio, si avvalora, appunto, l’ipotesi della derivazione etrusca.
In quanto al nome, rifacendoci all’attuale denominazione del torrente Reghinna, si sosterrebbe che così si chiamava il capo etrusco, il Lucumone che la fondò.
Foto a sinistra: Prof. Luca Albino, famoso artista di Maiori che nella foto è ritratto alla destra di Luca Di Bianco.
Quindi l’attributo maior valeva solo per distinguere i due torrenti: quello più grande dal più piccolo, Reghinna minor, collocato a breve distanza. Di qui, i due comparativi "minor e maior" diedero il nome alle due città, rispettivamente di Minori e Maiori.
Piuttosto interessanti sono le vicende storiche che in varie epoche si sono succedute a partire dalle distruzioni della città nel IX secolo ad opera di Sicardo duca di Benevento e dei Pisani nel 1137. Intanto in questo periodo (842) nacque la confederazione dei paesi amalfitani con la designazione di Maiori quale sede degli Arsenali, dell’Ammiragliato, del Fondaco del sale e della Dogana.
Nel XIV secolo la cittadina fu donata da Carlo II D’Angiò a sua moglie, Maria, in appannaggio vitalizio.
Poco dopo, nel 1505 la chiesa di S. Maria a Mare, nella quale fu collocata la statua rinvenuta a mare all’inizio del XIII secolo nella balla di cotone, fu eretta a Collegiata.
Ma tra le vicende degne di rilievo, vanno menzionate anche quelle che hanno aperto profonde ferite nel tessuto urbano della cittadina.
Ci riferiamo alò maremoto del 1343 che distrusse buona parte del litorale; alla mereggiata del 1681, che rase al suolo tutta la parte della città vicino al mare ed ancora alle alluvioni del 1735, del 1773, del 1910 e a quella recentissima del 1954.
Anche le due epidemie di colera, del 1837 e del 1911, furono responsabili di numerose vittime.
Va menzionata, infine, in ordine di tempo lo sbarco degli alleati, avvenuto nel 1943 proprio a Maiori.
A giudicare dalle varie vicende qui elencate non si potrebbe giustificare tanta bellezza e una così fiorente situazione turistico-commerciale. Ma, evidentemente, i Maioresi hanno sempre avuto un grande spirito di "rinascita" tant’è che sono riusciti a conservare tradizioni e paesaggio, che conferiscono alla ridente Maiori l’appellativo, che noi condividiamo in pieno, di "gemma della Costiera Amalfitana".

Santa Maria a Mare

È opportuno, prima di ogni cosa, soffermarsi brevemente sulla chiesa principale di Maiori: ciò perché essa ha una storia d’arte e tradizioni di grande interesse ed anche per sapere dove trae origine la dedicazione a "Santa Maria a Mare" e il titolo di "Collegiata".
La Chiesa Collegiata di S. Maria a Mare è uno dei monumenti religiosi più importanti di Maiori; essa è definita Collegiata perché ebbe il privilegio di avere un Capitolo di Canonici senza essere sede Vescovile.
È ubicata sul colle Torina e prese il posto della Rocca S. Angelo, che fu distrutta nel 1137 dai pisani.
Vediamo in breve di attingere dalla storia:
"La chiesa principale è intitolata a S. Maria a Mare, che s’innalza su di una certa prominenza della banda sinistra: il primo titolo fu di S. Michele Arcangelo". (Camera Matteo. Hitoria della città e della costiera di Amalfi) Poi a seguito del ritrovamento della statua della B. Vergine, verso l’inizio del XIII secolo, la chiesa fu dedicata alla Madonna recuperata dal mare da pescatori di Maiori.
Un mercantile proveniente dall’Oriente, forse da Costantinopoli, che la portava a bordo, arrivato nei pressi di questa città, per l’eccessivo carico rallentò fino a fermarsi per cui si dovette alleggerire il suo peso. Si buttarono in mare delle merci e, tra queste, vi era un "involto di bambagia dove tenevasi custodito quel simulacro.
La balla di cotone conteneva una bella statua di una Madonna con il Bambino. Di fattura greca, di legno di Cedro del Libano o, secondo alcuni – tra cui il Cerasuoli – di legno di cipresso, fu posta nell’attuale chiesa che prese il nome di "S. Maria a Mare".
"Un’antica e costante tradizione, narra, che nella conquista e nello spoglio di Costantinopoli, fatta dai francesi e veneziani (1204), in cui immense ricchezze e Reliquie sacre furono sottratte e portate via, una nave mercantile reduce di là, solcando il golfo di Salerno, soprannaturalmente arrestassi a vista della spiaggia di Maiori, senza poter andare innanzi…" (Camera Matteo. Memorie storico-diplomatiche dell’antica città e ducato di Amalfi).
La statua di stile orientale, "vuolsi che da principio era stata destinata per onorare la prua di una nave", ha subìto vari interventi di restauro, in particolare va citato il "più recente del 1836 in cui furono apportate delle modifiche sostanziali su disegno dell’architetto napoletano Pietro Valente" (Primicerio. Notiziario e guida…).
Quindi la "Chiesa fu per lungo tempo Rettoria curata, finchè nel 1505 i Majoresi ottennero dal Papa Giulio II colla mediazione del Cardinale di S. Giorgio, cameriere e nipote del Pontefice l’erezione a Collegiata, diretta da un Prevosto, con otto canonici e quattro eddomadarj esenti dalla giurisdizione del Metropolitano d’Amalfi e sottoposti immediatamente alla S. Sede, facendo uso delle insegne pontificali ad instar episcopo rum, come dalla bolla datum Cesenae.
9 an. Ottobre 1506. Pontif. An. III.
"Questo sacro e miracoloso simulacro della B. Vergine, divotamente venerato in essa insigne collegiata, fu con breve apostolico di Clemente XIV solennemente ivi incoronato a’ 15 agosto 1769 con corona d’oro (Camera Matteo) In effetti l’incoronazione avvenne il 13 agosto, data in cui ricadeva la solenne festività della Madonna.
Non mancarono tentativi da parte di qualche arcivescovo di Amalfi di far perdere il titolo di Collegiata alla Chiesa di S. Maria a Mare. Tra questi Tommaso Regulano (regolano) (1504-  +1510), arcivescovo pro tempore, intentò la causa, che non portò a termine perché morì immaturamente. Successivamente Antonio Bellistraro O. Cist., che si era insediato il 15 giugno del 1513, riprese la causa ottenendo dal Papa Leone X "la revocazione de’ suoi diritti e l’abolizione delle insegne pontificali concesse alla prepositura.
Statua
La statua lignea di Santa Maria a Mare incoronata dal Rev.mo Capitolo di S. Pietro in Vaticano nel 1769. Il 13 agosto.
La statua, alta 125 cm, venne arricchita con l’apposizione di due corone d’oro, una alla Madonna e l’altra al Bambino, per legato del Conte Alessandro Sforza (3 agosto 1768), dall’alto Capitolo di S. Pietro in Vaticano. L’alto prelato, Mons. Antonio Puoti, Arcivescovo di Amalfi, ne solennizzò l’incoronazione il 13 agosto del 1769, festa che si protrasse fino al 15 dello stesso mese, giorno della festa della Madonna. Recentemente, il 21 aprile del 2004, il S. Padre, Giovanni Paolo II, pose nella mano destra della Madonna una rosa d’oro.
Obelisco
L’obelisco con la statua di S. Maria a mare eseguita nel 1984 dallo scultore Padre Tarcisio Musto, al secolo Attilio, francescano, collocato sul lungomare di fronte all’ingresso del Corso Reginna. (Autore: Mario Rosario Avellino)

*L'alluvione del 1954
"La sera del 25 ottobre 1954 piovve e piovve ininterrottamente; il torrente "Reghinna Maior" all’epoca coperto, s’ingrossò e straripò in tre ondate successive, gradatamente sempre più alte e forti".
La furia dell’acqua e del fango sconvolse la serenità e l’incanto paesaggistico di Maiori, Minori, Tramonti, paesi della Costiera; si registrarono danni incalcolabili agli abitanti, oggi si piangono ancora le vittime.
Solo a Maiori ve ne furono trentasei.
Negli occhi degli abitanti si legge ancora il terrore e lo sgomento provocati da quel tragico avvenimento.

Le testimonianze ed i documenti fotografici ci fanno rabbrividire, ci par di stare in mezzo a quella confusione di voci disperate che chiedevano aiuto ed accompagniamo il ricordo di quell’evento alla recente esperienza di Sarno.
Il tutto ci costringe a riflettere.
L’evento si commenta da solo osservando qualche foto che ci
piace riportare in questo brevissimo capitolo della nostra storia, che non ha la pretesa di essere esaustivo per i contenuti, ma sufficientemente efficace per la rievocazione di un momento difficile vissuto da questa meravigliosa cittadina.
A distanza di oltre sessanta anni potremmo dire che allora fu data una grande prova di solidarietà umana, unita ad una volontà di ripresa civile da parte dei cittadini.
Ogni segno di quella devastazione sarà stato cancellato dalle strutture, ma è vivo il ricordo di chi visse quell’esperienza che viene tramandata anche ai più giovani perché ne colgano gli intrinseci valori della sofferenza umana.
(Autore: Mario Rosario Avellino)

*Chiesa di San Nicola - Cappella Gentilizia
Da un testo, di cui non è citata la fonte, che ci ha gentilmente fornito Mons. Nicola Milo, Prevosto dell’insigne Collegiata da S. Maria a Mare di Maiori si apprende: "All’imboccatura del Casale dei Cicerali, e proprio ove si dice Porta di Fiume vi è una chiesa seu Cappella sotto il titolo di S. Nicola arcivescovo di Mira, anticamente di S. Maria de Cicis.
Della fondazione non se ne sa cosa alcuna per essere antichissima con piccola sagrestia, e con un
campanello in un buco sopra alla porta: questa chiesa è del Capitolo, in cui vi è tenuto celebrare due Messe Cantate l’anno, una nel giorno di S. Nicola colle rendite lasciate da Don Diego di Tisi; e l’altra a’ 13 settembre del fu Preposto Russo.
Foto a sinistra
L’attuale ingresso della Cappella di S. Nicola con lo stemma dei Citarella, successivamente ereditato dai Confalonieri di Ravello. Oggi la chiesetta è tenuta aperta al culto perché affidata al Parroco della Collegiata. Lo stemma raffigura un partito; nel 1° è Citarella (alleanza matrimoniale con la famiglia Spina di Scala).
Un 2° è famiglia Spina. Esso si blasona: spinato di oro di azzurro caricato da una banda di rosso con tre rose d’oro.

Di quest’ultimo si legge: "Nel 1661, D. Giuseppe Russo, cittadino di pur distinto casato, il quale in gioventù avea sposato la signora Costanza Aurisicchio, e divenuto vedovo senza prole, assunse lo stato chiesastico, zelò molto per la Collegiata, e ne beneficò colla sua opulenza il capitolo, che coi beni ne conservava tuttora il ritratto. Gli successe per morte, dietro bensì la vacanza di cinque anni, nel 1679, D. Giovanbattista Quaranta…".
La piccola chiesa fu edificata nel 1362 per volontà di Giovanni Franconio e passò. Poi, nel 1525 di proprietà di Andrea Citarella, avendo quest’ultimo acquistato il palazzo nel quale vi era integrata
la Cappella gentilizia. Essa fu eretta con bolla di Monsignor Marino del Giudice Vescovo di Amalfi (13.4,1961, trasferito nel 1375).
Foto a destra
La finestra "ingraticolata per comodo di udir la Messa all’interno del palagio", Sotto la lapide – con il permesso di Clemente XIII – di assistere ai riti sacri.
"Alla chiesetta S. Nicola de’ Cicerali, l’ultimo della progenie Francone, Giovanni, legò in dotazione l’annesso casamento, con attiguo giardinetto, destinandole un rettore: il quale, a causa di subìte deteriorazioni, nel 1459 diè in enfiteusi gli anzidetti fondi alla infrascritta famiglia Oliva; da cui passarono nel 1525 alla cennata Citarella, e ne fu affrancato il canone nel 1534"
Il testo che ci ha fatto pervenire Mons. Milo in merito alla "Cappella di S. Nicola" continua così: "Tiene in essa due Benefici uno di libera collocazione, che si possiede dal Decano D. Tiberio Citarella e l’altro è "de iure patronatus" del fu D. Francesco Aurisicchio, che si possiede dal can. D. Filippo Staibani.
Detta cappella asseriscono li eredi di D. Giov. Battista Citarella essere propria loro, sì, per averla fondata i loro antenati, sì perché nella medesima vi esercitano moltissimi jussi ed in specie di fondazione del Beneficio, e di un antico istrumento dell’anno 1383 fu notar Buonanno Mendina di Majuri tra Mons. Sergio Arciv. Di Amalfi esecutore testamentario del fu Benedetto Citarella che si conserva dal Capitolo di Maiori, si contiene, che lasciò la detta sua eredità per fondare l’ospedale e chiesa della SS. Trinità presso la Marina di Maiori, et altro si osserva da detto istrumento".
In merito alla citata Porta Fiume aggiungiamo che erano tre le porte che davano l’accesso alla Marina, e cioè: Porta Fiume che era posta sulla sponda sinistra del fiume, Porta Ruga era quella del lato occidentale della città e l’altra, del lato di oriente, porta di Iosola.
La denominazione della chiesa di S. Nicola de’ Cicerali discende dal fatto che: "De Cicerariis, Cicerali, era l’odierno quartiere centrale, ove sono i resti delle gentilizie case".
Mentre per il passaggio della chiesetta alla famiglia Francone, si legge che la casa Francone passò al ramo Cunzo della famiglia Citarella, originaria di Ravello. Detta casa fu comprata da: "Marcantonio Oliva, nel 1525, col padronato dell’annessa chiesetta di S. Nicola. La quale chiesetta benvero dal fondatore fu eretta, ed è tuttavia di uso pubblico, coll’accesso dalla strada Cicerali: senonchè vi sporge una finestra ingraticolata, per comodo di udir la Messa dall’interno del palagio; il cui diritto venne sancito da pontificio rescritto del 1772, fol. 375, di notar Venosi Gio. Dom".
Intanto anche la piccola chiesetta di S. Nicola subì i danni dell’alluvione del 1954 e fu chiusa al pubblico.
Restò chiusa per ben 37 anni. Il 21 aprile del 1991, a seguito dei lavori di restauro fu riaperta al pubblico e benedetta da S. Ecc. Mons. Beniamino Depalma, Arcivescovo di Amalfi.
La Cappella, che è di proprietà delle Suore "Figlie del S. Rosario di Pompei" fu concessa in
comodato al richiedente Parroco Mons. Nicola Milo, il quale fece richiesta di poter utilizzare il luogo sacro per le attività religiose della parrocchia.
Foto a sinistra
Interno della cappella di S. Nicola. L’altare con la statua dell’Addolorata ed il quadro di S. Nicola.
Ben lieta di poter contribuire allo sviluppo religioso del paese la Congregazione concesse l’uso della Cappella che è sita, (annessa) al palazzo Confalone alla via Reginna a Maiori, anch’esso proprietà delle Suore di cui si dirà più avanti.
Nel contratto vengono specificati i limiti della concessione, in merito alla manutenzione, conservazione e utilizzazione dell’immobile.
L’atto reca la firma della Madre Colomba Russo, all’epoca Superiora Generale delle Suore "Figlie del S. Rosario di Pompei", e del Parroco Sac. Don Nicola Milo. La data è del primo dicembre 1989.
Al restauro della Cappella concorsero i fedeli con le loro offerte in denaro, suppellettili ed arredi sacri, mentre offrirono gratuitamente mano d’opera e materiali i seguenti benefattori: la ditta D’Urso Alberto; il Sig. Ferrara Enrico; il Sig. Lieto Filippo; la ditta Melchionda Carmine, i fratelli Rumolo Gennaro, Giovanni e Luciano e lo zio Rumolo Vincenzo; la ditta Russo Carmine.
Tutti citati in un pieghevole che fu stampato in occasione del grande evento della riapertura al culto e nel quale venne riportato, oltre alle notizie utili – memorandum, anche un bilancio con la descrizione dei lavori eseguiti, per un totale di ₤ 5.649,800.
Oggi non sono sufficienti le attenzioni di chi la custodisce, avrebbe bisogno di lavori di manutenzione particolari per gli evidenti segni di umidità che hanno causato diffuse screpolature e distacchi di intonaci.
Foto in basso
La lapide marmorea murata sotto la finestra "ingraticolata"

SACELLUM-HOC
DIVI NICOLAI MYRENSIS EPISCOPI NOMINE IMNSIGITUM A IOHANNE
FRANCONIO ANNO CIDCCCLXII ERE TUM TIBERIUS IOSEPHUS ET
PETRUS CITARELLI FRATRES AD QUOS IUS PATRONATUS CUM
PROXIMIS AEDIBUS EX PECUNIA PERVENERAT ELEGANTIUS UXOR
NAVERUNT IN EOQUE CLEMENTIS XIII PONTIFICIS MAXIMI
PERMISSU REGE ETIAM FERDINANDO IV P.F.A. ADSENTIENTE
FENESTRAM APERUERUNT EX QUA SINE ASYLI IURE SACERDOTI
SACRIS OPERANTI ADESSE LICERET HOC NE NESCIRET POSTERITAS
SAXUM PRO MONUMENTO P.

(Nell’anno 1362 venne eretta da Giovanni Franconio questa chiesa insignita del nome di San Nicola Vescovo di Myra.
I fratelli Tiberio, Giuseppe e Pietro Citarella, ai quali il diritto di patronato era pervenuto a titolo oneroso "con acquisto in denaro" unitamente alle prossime case, la resero più artistica.
E in essa il permesso di Clemente XIII Pontefice Massimo e con l’assenso anche di Re Ferdinando IV P.F.A.
(Pius Felix Augustus),
aprirono una finestra dalla quale senza diritto di asilo, fosse lecito assistere nei sacri uffici al sacerdote celebrante. Perché la posterità non ignorasse ciò, posero questa lapide per memoria.
Sull’altare vi è un busto dell’Addolorata di pregevole fattura, è una statua lignea del XVIII secolo, posta in una nicchia al di sopra della quale vi è il quadro di S. Nicola di Bari coevo, che rievoca il miracolo di S. Nicola con i tre bambini nella botte.
Scrive Cerasuoli:
"Quantunque dessa, la Città, quasi dacchè cristianizzata l’Italia, stasse sotto la la dominazione, o protezione di greci imperatori e durante tale protettorato, ivi si moltiplicassero le chiese, molte delle quali dedicate a Santi della Chiesa Orientale…" e qui reca la nota:
"Avevasi una divota predilezione per S. Nicola Vesc. Di Mira, sicchè non meno di 6 chiese vi erano a questo Santo, erette alcune prima, altre dopo la traslazione del suo corpo a Bari".
Lo stesso autore le elenca ubicandole così:
- Nei villaggi interni:
S. Nicola Vesc. Di Mira, a Vivata, seu de Ascea;
S. Nicola od. A carpineto
S. Nicola id. de Toro plano
- Nella città:
S. Nicola id. de Carbonariis
S. Nicola id. in Playa quercus
Quast’ultima, dal "tempo distrutta, venne rimpiazzata da un’altra, in onore della BB. Immacolata e dei SS. Angeli Custodi, ivi dedicata il dì 6 marzo 1756, ora pure dismessa.
Foto in alto:
"All'imboccatura del Casale di Cicerali, e proprio ove si dice Porta di Fiume vi è la chiesa, seu Cappella, sotto il titolo di S. Nicola arcivescovo di Mira..."
(Autore: Mario Rosario Avellino)

*Don Clemente Confalone
La gratitudine da parte delle Suore per questo insigne sacerdote per quanto ha fatto per la Congregazione impone di dedicargli un capitolo di questa Storia.
Non aggiungiamo alcunché di personale per tracciare la figura del Rev.do Don Clemente e preferiamo far parlare direttamente le Suore.
In particolare è bene riportare uno stralcio della relazione del IX Capitolo Generale che si celebrò in data 26 giugno del 1983, che porta la firma di Sr. Maria Florinda Capasso, Superiora della casa.
Ecco cosa scrive:
"La Casa di Maiori in questi anni ha subito una radicale trasformazione dovuta sia alle condizioni in cui erano ridotti alcuni ambienti che da tempo attendevano un restauro, sia dalla cospicua donazione che è stata fatta in nostro favore dal sacerdote Don Clemente Confalone con l’unico onere di assisterlo.
Don Clemente più volte ci aveva fatto intendere questo suo desiderio e più volte si era risposto negativamente.
Ma poi la morte a breve distanza delle due sorelle che vivevano con lui, lasciava Don Clemente solo in un enorme palazzo in balia delle cameriere. Di qui la sua supplica di non abbandonarlo e di accoglierlo per carità nel nostro Istituto di Maiori.
Don Clemente: la morte di un santo
"Martedì 14 giugno, alle ore 20.30 Mons. Don Clemente Confalone, all’età di 86 anni, lasciava questo mondo, dopo aver ricevuto, qualche ora prima, il Sacramento dell’Olio degli infermi, per andare ad ottenere il premio promesso agli eletti del Signore.
Come S. Paolo, (2 Timoteo cap. 4,7), egli poteva dire: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede.
Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno".
Lo assistevano premurosamente tutte le Suore Domenicane, presso le quali lui era andato a trascorrere gli ultimi anni della sua vita, quando ormai, perduti tutti i fratelli e le sorelle, afflitto da un male alla gamba e quasi sfinito nelle forze, aveva pensato di affidarsi alle cure delle Suore di Maiori.
È stato accolto nell’Istituto di S. Maria il 13 giugno, festività di S. Antonio, del 1979 e vi è rimasto contento e sereno esattamente per 15 anni.
Nato il 10 marzo del 1908, laureato in Giurisprudenza (16.11.1933), ritenne che la sua vocazione fosse non quella di svolgere la professione di avvocato, ma quella di servire il Signore nel Sacerdozio per il bene delle anime.
Ordinato Presbitero della Diocesi di Amalfi nel 1947, (Sacerdote 1.6.1947 S. Ecc. Demetrio Moscato, Arc. Di Salerno e Amministratore Apostolico di Amalfi) si è po0sto al servizio della Collegiata, di cui, poi, è diventato Canonico (Bolla 7.2.1948), e ha svolto il suo ministero sacerdotale presso la comunità ecclesiale di Maiori.
Contemporaneamente, nei primi anni del suo ministero, fu chiamato a svolgere anche l’alto e delicato compito di Padre Spirituale nel Seminario minore di Amalfi, della cui Cattedrale, divenne, in seguito, canonico onorario (13.6.1957).
(Con Bolla Pontificia del 4.4. 1957 nominato Mansionario della stessa Cattedrale).
Furono anni benedetti, quelli, nei quali egli avviò al sacerdozio qualche giovane, sostenendolo, poi, spiritualmente ed economicamente lungo tutto il suo cammino formativo.
La sua forza era la santa Eucarestia: passava delle ore a pregare davanti al SS. Sacramento in Collegiata, rendendosi disponibile per le confessioni a tutte le ore.
(Cappellano d’onore di S.S. con il titolo di Monsignore il 26.6.1972).
Il suo amore era la Vergine Santissima, venerata sotto il titolo di S. Maria a Mare: egli si è industriato in tutti i sensi perché l’Insigne Collegiata diventasse con decreto pontificio
Santuario di S. Maria a Mare e venisse realizzata una strada che permettesse anche alle persone più anziane di accedere agevolmente alla Chiesa Madre per venerare la Madre di Dio.
La sua prima cura sacerdotale fu l’assistenza agli ammalati, ai quali portava il conforto del sacramento Eucaristico, la benedizione di S. Maria a Mare e la solidarietà dei fratelli.
E spesso sotto il loro cuscino lasciava un’offerta personale, così come soleva comportarsi il medico S, Giuseppe Moscati.
E non solo gli ammalati, ma molte persone bisognose hanno beneficiato della carità di Don Clemente!
(Foto in alto: Mons. Clemente Cesare Gerardo Confalone era nato a Maiori il 10 Marzo del 1908 da Francesco e da Teodolinda Perisi. é deceduto a Maiori il 14 giugno del 1994).
Di animo e di stirpe nobile, egli non ha mai fatto pesare la diversità del suo rango sociale, ma tutti ha trattato e accolto con benevolenza e amore: potrà, ora nei cieli, ripetere con San Paolo (1 Corinzi cap. 9.22). "Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno".
L’ultimo addio a Don Clemente è stato dato in Collegiata, alle ore 9.30 di giovedì 16 giugno, in una Concelebrazione di più di una ventina di sacerdoti, presieduta da S. E. Mons. Beniamino Depalma, il quale nell’omelia pronunziata davanti a una Chiesa gremita di fedeli, ha così sintetizzato la vita di Don Clemente: "un uomo del santissimo sacramento, un devoto di Maria Santissima, un fratello che ha fatto dono di sé agli altri".
Un santo, cioè, un santo dei tempi moderni, che ha saputo felicemente coniugare la vita attiva con quella contemplativo, la vita di gioia con quella di sofferenza, la vita dell’osanna con quella del silenzio, la vita della manifestazione con quella del nascondimento.
È stato forse questo che pensava la folla che ha accompagnato il feretro per le vie di Maiori, battendo le mani in segno di estremo saluto.
Quel gesto ha significato, sì, l’addio e il dolore per un pezzo di Maiori e della Comunità credente che scompariva e che se ne andava lasciando più povero chi rimaneva, ma ha significato altresì il trionfo di un santo. L’espressione di una simpatia, l’accettazione del suo messaggio di santità.
                                                         (Vincenzo Taiani)
Abbiamo chiesto una testimonianza a Mons. Nicola Milo, prevosto della Collegiata di S. Maria a Mare, la Madonna di cui era tanto devoto Don Clemente. Questo è il testo della lettera:
"Insigne Collegiata S. MARIA A MARE
"Santuario"
84010 Maiori (SA)
Sacerdote-canonico della Collegiata di Maiori e della Cattedrale di Amalfi, Cappellano d’onore di Sua Santità con il titolo di Monsignore.
L’attività pastorale di D. Clemente si è svolta tutta e sempre nella comunità parrocchiale di Maiori.
Nel 1951-52 è stato responsabile della parrocchia di S. Maria a Mare. Poi sempre fino al decesso è stato collaboratore instancabile e disinteressato del Prevosto Mons. Nicola Milo nella conduzione spirituale di questa Comunità.
Nei primi anni di sacerdozio Don Clemente si è prestato anche come padre spirituale nel Seminario di Amalfi con tanta bontà e tanto cuore verso i seminaristi, aiutando alcuni anche economicamente.
Il suo apostolato si è svolto a Maiori, sempre a disposizione di tutti e di tutto: sacre funzioni, confessioni, visite agli ammalati, anziani, bisognosi, ai quali, con discrezione, lasciava un’offerta sotto il cuscino.
I suoi due ideali erano il Santissimo Sacramento, davanti al quale passava molto tempo, e il culto e la devozione alla Madonna, a Santa Maria a Mare, come viene invocata a Maiori.
Grande gioia provò quando nel 1973 la nostra Collegiata fu elevata a Santuario.
E se, oltre alle due feste mariane in Maiori, 15 agosto, l’Assunta, e terza domenica di novembre, Patrocinio di S. Maria a Mare, onoriamo S. Maria a Mare il 13 agosto, lo dobbiamo all’amore filiale di Don Clemente verso la Madonna.
Per arrivare in Collegiata esistevano soltanto tre scalinate e Don Clemente ha molto collaborato per avere la strada rotabile, che avvolgesse e facilitasse la salita-visita alla Collegiata agli anziani, ai malati, ai disabili. La popolazione di Maiori amava Don Clemente, lo stimava, lo additava come santo sacerdote e come tale lo ha pianto e ne conserva un religioso ricordo. Rimasto solo, Don Clemente si è ritirato presso le Suore Domenicane di Pompei, a Maiori, accolto e accudito in tutto come fratello e sacerdote e qui ha dato la sua bella anima a Dio il 14 giugno 1994.
Don Clemente è stato sempre di esempio con il suo lavoro, specialmente con la sua vita sacerdotale, per me e per gli altri sacerdoti di Maiori.
        
Maiori, 16 maggio 1998
                                                                                              
(Sac. Nicola Milo)
              (Praepositus ed Capitulum Cicitatis Majorem)".
Don Clemente nell’ottobre del 1943, trentacinquenne appena laureate, era a Roma come Tenente di Fanteria; al suo nome sono legati fatti storici che è necessario citare in questo capitolo. Apprendiamo da un articolo:
"La capitale era in preda al caos e alla paura. L’armistizio dell’8 settembre aveva determinato una situazione paradossale. Trasformando in alleati i nemici di ieri, e viceversa.
(…) L’ingegnere Pietro Lestini, vicepresidente dell’Associazione Cattolica S. Gioacchino, (…) con l’appoggio del parroco, padre Antonio Dressino aveva allestito un servizio di accoglienza per militari allo sbando, Ebrei ne perseguitati politici". Il nascondiglio era situato nella chiesa di S. Gioacchino, in un "locale esistente tra la volta ed il tetto a ridosso della cupola, un locale quasi aereo tra le capriate del soffitto. Fu quella che venne chiamata "sezione aerea di S. Gioacchino". (di qui la sigla S.A.S.G.), che sotto il vincolo del giuramento e della segretezza delle azioni, si prefiggeva di occultare quanti fossero perseguitati e di compiere atti di sabotaggio contro i nemici nazifascisti".
Lì trascorre un lungo periodo il tenente Confalone discutendo e progettando speranze per il futuro. Non vi era nessun contatto con l’esterno, al cibo vi provvedevano le Suore della Carità e a sera si recitava il Rosario al quale partecipavano anche gli Ebrei che si nascondevano in quella soffitta.
Quando, finalmente, poté tornare a casa, Clemente Confalone aveva già maturato la decisione di entrare in seminario. Due anni di studio gli furono sufficienti per ottenere l’ordinazione sacerdotale".

Per il tenente Confalone quella storia cominciò con un "rifiuto all’ordine di partire per Trieste, scegliendo la strada della diserzione".
(Foto a destra: Don Clemente Confalone, tra le suore presso cui è vissuto gli ultimi anni della sua vita, amorevolmente assistito. Alle sue spalle Padre Giuseppe Buono, missionario).
Per il futuro non avrebbe indossato divise, né gradi, solo l’umiltà di servire il Signore.
Abbiamo chiesto anche a Don Luigi Capozzi una testimonianza ricordo di Mons. Confalone; ci ha mandato un documento che merita di essere pubblicato nella sua interezza perché rappresenta una significativa espressione di gratitudine di un giovane Sacerdote, che è stato aiutato da Don Clemente nel difficile iter formativo di religioso.
"Ricordare Don Clemente è …"
Scrivere una testimonianza per un libro è come dare la nota, far vibrare il diapason, far partire il canto. Volentieri scelgo la nota della gratitudine, riconoscente al Signore che mi ha fatto incontrare Mons. Clemente Confalone e attingere, da questa figura straordinaria, la sapienza del cuore che nasce e cresce nella vita profonda dello spirito, soprattutto in contesti vitali.
Don Clemente è stato un prete prete: innamorato della vita donata totalmente al servizio del Regno; appassionato per Gesù Cristo, sino a farne l’unica ragione di esistenza; devoto a Santa Maria a Mare, Madre e patrona di questa nostra terra; comunicatore gioioso del Vangelo, anche nei momenti di sofferenza e di prova; fedele alla Chiesa fino a diventarne un testimone sapiente e credibile.
Un sacerdote dall’intelligenza alta e umile, dal cuore discreto ed aperto, dagli ideali forti e concreti, sintonizzati sull’amore di Dio e per gli altri.
Ancora oggi, l’onda lunga di una testimonianza luminosa vive nella memoria di tanti e non solo di coloro che lo hanno conosciuto e ne hanno preso il mantello.
Lo ricordo nella sacrestia della Chiesa Collegiata, nello stanzino del sacrista, tutto dedito a preparare le ampolle dei sacri oli da inviare alle altre parrocchie della comunità di Maiori; lo scandire delle parole latine: "oelum infirmorum"; la sua scrupolosità a far bene le cose di Dio con cuore e mente, hanno segnato profondamente la mia vita e spinto a sceglierlo, negli anni del liceo, come mio confessore.
Tra me e Don Clemente si creò una sintonia straordinaria, un rapporto tra padre e figlio, tra maestro e discepolo, per me è stato una ricchezza attingere alla sua profonda sapienza di uomo, credente e prete.
Negli anni del liceo e dell’università, in particolar modo nel periodo estivo, mi recavo da Don Clemente tre volte a settimana e durante le nostre discussioni desiderava sapere notizie della Collegiata, eventuali programmi, iniziative, novene, ecc., e notizie degli eventi civili della cittadina o eventuali chiarificazioni su informazioni apprese da qualche visita ricevuta in settimana.
Sostando alla finestra della sua camera, nelle ore mattutine, riconosceva le persone di passaggio e, ricollegandosi al passato, raccontava qualche aneddoto.
Questo legame d’affetto ebbe un segno indelebile, quando il giorno 8 maggio 1988, anno Mariano, Mons. Ferdinando Palatucci mi conferì l’ammissione agli ordini sacri. In questa occasione Mons. Palatucci si rivolse a Don Clemente dicendogli: "Questa sera con noi c’è Don Clemente, uomo del silenzio e di preghiera. A voi, Don Clemente, affido Luigi, alle vostre preghiere, alla vostra parola sapiente, affinché il Signore attraverso la vostra persona edifichi questo giovane nel bene e traverso la vostra persona edifichi questo giovane nel bene e porti a compimento l’opera che, oggi, ha iniziato".
Padre e compagno di viaggio, sempre vicino, soprattutto nei momenti di difficoltà; sempre disponibile, premuroso di attenzioni e d’interessamento.
Nell’Istituto delle Suore Domenicane, Don Clemente, circondato dall’affetto e premura di tutte le suore e in particolar modo di Suor Adalgisa, responsabile della sua persona, ha vissuto la sua esistenza con serenità e armonia, soprattutto in un clima familiare tanto necessario per una persona anziana.
Gli esempi di dedizione al prossimo sono come mattoni che edificano la personalità e motivano le proprie scelte di vita e oggi, se sono prete, il mio grazie va a Don Clemente, il quale ha edificato di santi esempi la mia vita e pregato per la mia vocazione e sono convinto che anche ora, dopo la
sua dipartita da questo mondo al Padre, prega per me continuando a intercedere presso Dio.
Viene spontaneo chiedersi: Qual è stato il segreto di Don Clemente?
Prima di tutto la preghiera, l’adorazione e la devozione a Santa Maria a Mare…; la sua Eucaristia quotidiana, memoriale sacramento della morte e risurrezione di Cristo, fonte e culmine della vita cristiana e di tutta l’evangelizzazione, è stato principio, mezzo e fine del suo ministero sacerdotale. Don Clemente aveva ben compreso che nell’Eucaristia era racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, questa intima unione, l’Eucaristia e la devozione al rosario e alla Madonna, era il segreto della sua serenità e sapienza di vita.
Qualcuno mi ha chiesto: perché ricordare D. Clemente?
Per me ricordare Don Clemente significa ritrovare un modello da imitare, nei limiti delle umane possibilità, un amico da incontrare, che protegge, aiuta, prenda per mano e accompagni nella quotidianità di un cammino non sempre facile, è per me gioia, perché ritengo che anche questo sia un modo di fare un po’ di bene e di dar lode al Signore.

                                                                         In fede
                                                                    Sac. Luigi Capozzi
                                                                 Roma lì, 26 giugno 1999
Don Clemente Confalone, dall'orrore della guerra al sacerdozio

Nell'ottobre del 1943 Roma era in preda al caos. Vi dominava la paura. L'armistizio dell'8 settembre aveva determinato una situazione paradossale, trasformando in alleati i nemici di ieri, e viceversa, e segnando l'inizio di un conflitto tra italiani di opposte fazioni. L'ingegnere Pietro Lestini era vicepresidente dell'Associazione cattolica di San Gioacchino, nel quartiere Prati. Come ricorda la figlia Giuliana in un libro (S.A.S.G., edizioni Il Ventaglio), egli era impegnato nella lotta contro gli oppressori nazisti, ma soprattutto "nella testimonianza di solidarietà e altruismo di tutti i perseguitati a causa della razza, della religione, dell'idea politica e dell'amore per una patria libera e democratica". Con l'appoggio del parroco, padre Antonio Dressino, l'ingegnere Lestini aveva allestito un servizio di accoglienza per militari allo sbando, ebrei e perseguitati politici. Tra i primi accorsi ci fu il tenente di fanteria Clemente Confalone, "un uomo alto e magro, quasi ieratico, avvalorava questo suo aspetto la spiccata tendenza alla religiosità". Profondamente buono, educato ai principi della fede e della fratellanza universale, egli s'era rifiutato di obbedire all'ordine di partire per Trieste. Aveva scelto la strada della diserzione, trovando riparo nella chiesa di san Gioacchino, àncora di salvezza per quanti volevano sfuggire alle retate nazifasciste. In questo contesto, un tipo come lui, che preferiva impugnare la corona del Rosario anziché la pistola, divenne ben presto bersaglio di lazzi e frizzi da parte degli altri rifugiati. "Pur tuttavia - rileva Giuliana Lestini - essendo d'animo mite riusciva a sopportare e in fondo a prestarsi fino al momento in cui di cattivo umore rispondeva con veemenza ed acredine. Era però riuscito a imporre la recita del Rosario e spesso li puniva coi suoi sermoni sulla bontà divina e la malvagità umana". Il rifugio ideato dall'ingegnere Lestini era "un locale esistente tra la volta e il tetto della chiesa stessa a ridosso della cupola, un locale quasi aereo tra le capriate del soffitto". Fu quella che venne chiamata "Sezione aerea di san Gioacchino" (di qui la sigla S.A.S.G.), che, sotto il vincolo del giuramento e della segretezza delle azioni, si prefiggeva di occultare quanti fossero perseguitati e di compiere atti di sabotaggio contro i nemici nazifascisti. Si trattò di ore, giorni, mesi trascorsi in una situazione di precarietà assoluta. Murati addirittura, per motivi di sicurezza. Il tenente Clemente Confalone, appartenente a una delle famiglie più in vista di Maiori, aveva trentacinque anni, essendo nato il 10 marzo 1908 (fra pochi mesi, quindi, ricorrerà il centenario; segnalo questa data ai Parroci e all'amministrazione comunale di Maiori perché si possa organizzare una cerimonia pubblica per ricordarlo). Con una laurea in giurisprudenza, conseguita brillantemente, era avviato a una carriera di avvocato o di magistrato, nel solco di una consolidata tradizione familiare. La terribile esperienza vissuta fece maturare in lui un'altra decisione: quella di diventare prete. Rientrato finalmente a casa, abbandonò i codici ed entrò in seminario. Furono sufficienti due anni di studio per l'ordinazione sacerdotale. Resta memorabile, in quanti lo hanno conosciuto, la sua profonda devozione alla Madonna, venerata come protettrice dai maioresi nella storica Collegiata e festeggiata il 15 agosto col nome di S. Maria a Mare. Don Clemente, che ha trascorso la vecchiaia - seduto in carrozzella, per le precarie condizioni fisiche - presso le Suore Domenicane di Maiori, amorevolmente assistito, ha chiuso gli occhi il 16 giugno del 1994, all'età di ottantasei anni. Di quella "soffitta" non aveva mai parlato con nessuno. Ma la sera del 9 marzo 1984, quando ricevette la visita di padre Ezio Marcelli, nuovo parroco di san Gioacchino, si lasciò travolgere dall'emozione e dai ricordi: "Il mangiare - riferì - saliva per mezzo di una carrucola. A far funzionare il congegno ci pensava l'ingegnere Lestini, con l'ausilio del sacrestano Domenico Pizzato, che si occupava anche di svuotare i secchioni utilizzati come gabinetto. Il cibo era fornito dalle Suore della Carità che, malgrado la carestia, non fecero mancare nulla del necessario". Poi il racconto divenne più intenso: "Si passavano le ore discutendo del più e del meno, della vita passata, delle speranze per il futuro, del desiderio di uscire da quel luogo. A volta ci recapitavano i giornali. Lestini li faceva passare attraverso un foro nel soffitto all'interno della chiesa. Ci industriammo per portare la luce elettrica in modo da illuminare il nostro rifugio; e tanto facemmo che entrammo in possesso perfino di una radio per essere al corrente di ciò che avveniva fuori. La sera si recitava il Rosario, e vi prendevano parte anche gli ebrei". Uno di questi, vedendolo "troppo devoto", una volta, un po' per burla e un po' seriamente, gli aveva detto: "Quando ti farai prete diventerò cristiano". Don Clemente non ha mai saputo se mantenne la promessa.
Scritto da Sigismondo Nastri (Redazione), domenica 27 gennaio 2013 18:06:39
(Questo articolo è stato pubblicato su "Cronache del Mezzogiorno" il 23 luglio del 1996)

Museo di Arte Sacra "Don Clemente Confalone"

Il Museo di Arte Sacra "Don Clemente Confalone" è realizzato nella Cripta della Chiesa Collegiata. Ad esso si accede dai due ingressi principali del Santuario, seguendo il percorso pedonale della "Scala Santa", nonché da un ingresso diretto che si apre sul piazzale di arrivo della strada rotabile "via Capitolo".
Il Museo di Arte Sacra "Don Clemente Confalone" è una raccolta di opere, che contiene un
messaggio cristiano da proporre a quanti, anche oggi, cercano una esperienza del divino attraverso la bellezza artistica.
Le opere qui riprodotte offrono precise e preziose indicazioni circa il "sensus fidei" del popolo maiorese e diventano di per sé azione catechetica di evangelizzazione e di annunzio.
Il museo, custode delle memorie del passato, offre ai visitatori un imponente patrimonio artistico, manifestazione dello spirito religioso di un popolo. Ne è pregevole esemplare, a questo proposito il paliotto in alabastro di fattura gotica, esso è il più antico in Italia nel suo genere ed è di provenienza inglese.
Databile primo quarto del XV secolo, rappresenta le "cinque gioie della Vergine" tra i santi Margherita e Giacomo. L’opera si compone di sette lastre inserite in telaio ligneo, sormontate quasi tutte da una raffinata e sottile architettura gotica a traforo. Il polittico conserva tutta la sua compostezza e si impone come capolavoro autentico anche perché conserva la sua originaria policromia.
Segue una mostra di altre pregevolissime opere che comprende due antifonari del XV secolo, tre piatti da questua a sbalzo di fattura tedesca ed altri oggetti che rispecchiano la devozione popolare.
Due ampie vetrine, collocate ai lati dell’altare ospitano preziosi paramenti sacri, importante testimonianza dell’arte manifatturiera di sacri ornamenti dal XVI al XIX secolo.
Numerosi vasi sacri e suppellettili che costituiscono una preziosa testimonianza dell’arte dell’argenteria napoletana nei secoli XVIII e XIX.

Orario di apertura:
Marzo-Novembre-Dicembre: tutti i giorni dalle 15.30 alle 17.30
Aprile-Maggio-Giugno-Settembre-Ottobre: tutti i giorni dalle 14.00 alle 19.00.
Luglio-Agosto: tutti i giorni dalle 14.00 alle 20.00.
dal 7 gennaio al 28 febbraio: CHIUSO.
per prenotazioni tel. 089877090 cell. +39 328 7482192

*La casa per lo Juniorato
In sede al Capitolo Generale straordinario, nell’agosto del 1998, fu deciso che la Casa di Maiori sarebbe diventata la sede per la formazione delle Juniores.
Già avemmo modo di riportare, alquanto in dettaglio, l’iter di un’aspirante suora, nel volume di Storia della Congregazione; ora, volendo fare un cenno ad un periodo meglio noto come "Juniorato", diremo:
"Trascorsi due anni di frequenza al noviziato, di cui uno canonico, la novizia può essere ammessa alla Professione Religiosa. Annualmente rinnova i voti per cinque anni per poi emettere la Professione perpetua, se ritenuta idonea. In questo periodo di cinque anni le giovani si chiamano Juniores e perciò il periodo è detto "Juniorato".
Dal periodico della Congregazione: "In cammino… con Maria", apprendiamo che fu appunto il Capitolo Generale straordinario celebrato a Maiori nell’agosto del 1998, ad approvare una
richiesta, fatta pervenire dalla base, circa la formazione delle Juniores.
Si chiedeva che le giovani suore "continuino, dopo la professione, la loro formazione in una casa a parte e siano guidate da una suora idonea.
Rendere operativa la suddetta decisione del Capitolo ha costituito un impegno non indifferente da parte della Congregazione, ha dovuto operare su due fronti: cercare la suora idonea per la guida delle giovani e scegliere il posto dove le suore in formazione avrebbero potuto percorrere il loro cammino di preparazione per un inserimento qualificato nel vivere il Carisma del Fondatore. Per la prima parte, (…) la scelta è caduta su Madre Valeria, la quale avendo terminato il suo mandato come responsabile della comunità di Casa Madre ha accettato di accompagnare, almeno inizialmente, le giovani in questo iter formativo.
Per la casa di accoglienza è sembrato opportuno scegliere quella di Maiori la quale dà garanzia sia per gli spazi a disposizione. Sia per le attività che in essa si svolgono.
Infatti le giovani suore possono partecipare come uditrici al corso di scienze religiose che si tiene nella casa. Ciò costituisce un aiuto per l’ascolto non solo dei contenuti, ma anche per l’esercizio della lingua italiana.
Il lavoro di adeguamento delle strutture alle esigenze di attuazione per un sereno progetto formativo è stato lungo e laborioso. Sono accorsi quattro mesi per rendere gli spazi accoglienti, funzionali e rispondenti alle esigenze per un inserimento sereno nel contesto della comunità". Quindi lo Juniorato è considerato l’adolescenza della vita religiosa e la necessità di avere una sede dove si concentrano le attività di studio; è tanto più sentita per la presenza in Congregazione delle giovani religiose provenienti dall’estero, India e Filippine.
Tra i progetti stilati per la formazione delle neo-religiose si evince la necessità di individuare strategie formative finalizzate alla conoscenza e all’approfondimento degli elementi essenziali del Carisma del Beato Bartolo Longo. Ciò, ovviamente, presenta notevoli disagi dovuti, soprattutto, alla diversità della lingua e delle culture.

(Autore: Mario Rosario Avellino)

*Il monumento a Bartolo Longo
"Collocare una statua del Beato Fondatore in ogni casa dove opera la suora di Pompei, è stato un disegno e un’ispirazione della Congregazione.
Sembrerà come avere Bartolo Longo vivo in mezzo a noi, questo il commento raccolto da più parti.
L’Anno Centenario ha rappresentato, perciò, un’occasione per dare corso alla realizzazione di questo disegno.
La prima statua fu collocata a Pompei, nella Casa Madre della Congregazione, il 21 novembre del 1997.
Questa è la motivazione ed il progetto¸ pertanto, all’Istituto di Maiori venne destinato il secondo gruppo scultoreo di bronzo dell’artista Enzo Scatragli.
Qui la scelta del luogo dove collocare il monumento non fu difficile, avendo stabilito di sistemarlo all’aperto, in un luogo facilmente raggiungibile con lo sguardo per dedicarvi un pensiero di riconoscenza da parte dei bambini della scuola, degli ospiti, dei visitatori e delle Suore.
E così, anche quell’angolo della casa, forse apparentemente un po’ troppo abbandonato, oggi è diventato ridente e luminoso.
Il progetto fu redatto dall’Ing. Andrea Ingenito e i lavori furono affidati ad una ditta locale, I
marmi furono lavorati e forniti dalla ditta Sorrentino e Figli di Napoli.
Tutta l’operazione fu sapientemente guidata da Madre Valeria Torelli,
Il gruppo scultoreo, il cui bronzo ottenuto nella fonderia del Sig. Di Giacomo di Napoli, poggia su un basamento di marmo di 0,90 m. d’altezza da terra ed è ancorato ad una mensola di m. 0,90 x 1,40.
Per i dettagli costruttivi, i processi e la tecnica delle fasi di lavorazione, si rimanda alla pubblicazione che fu approntata per l’inaugurazione del primo monumento eretto a Pompei. Si attendeva solo il giorno dell’inaugurazione a Maiori, e fu un tempo, direi, quasi impaziente per chi ha posto questo imponente significativo segno di devozione verso il Beato Bartolo Longo che ha voluto la Congregazione.
Essa, che ha già percorso cent’anni di vita all’insegna del bene per i minori, risponde al principio-disegno del Fondatore verso il quale sente il bisogno di suggellare con questo gesto ogni promessa di operare anche nel futuro a servizio del carisma da lui ereditato. Così il 2 dicembre del 2000, alla presenza del Sindaco di Maiori, dott. Stefano della Pietra, di S. Ecc. Mons. Francesco Toppi, Arcivescovo-Prelato di Pompei, di numerose autorità, amici ed ex alunni dell’Istituto; l’Arcivescovo di Amalfi – Cava de’ Tirreni Mons. Orazio Soricelli benedisse il monumento.
In una serata di festa solenne i cittadini di Maiori accolsero con calorosa accoglienza il Beato Bartolo Longo. Non mancò alla cerimonia la Banda del Centro Educativo "Bartolo Longo", che, con le note armoniose, rese omaggio al suo Padre Fondatore.
Nel corso della cerimonia gli interventi dell’Arcivescovo e delle Autorità presenti, sottolinearono la valenza formativa dell’opera delle Suore a Maiori ed espressero segni di compiacimento per l’iniziativa di erigere in quella città un monumento a Bartolo Longo.
(Foto: Questo il luogo prescelto per ubicarvi il monumento a Bartolo Longo. A ridosso del muro di confine tra l'Istituto e la piazzetta posta ad ovest).

(Autore: Mario Rosario Avellino)

*L'Istituto di Scienze Religiose
La casa ospita l’Istituto di Scienze Religiose intitolata a: "Mons. Ercolano Marini". Di Lui si legge nell’art. 1 del regolamento, fu "Arcivescovo dell’Arcidiocesi di Amalfi dal 1915 al 1945, uomo insigne per santità e cultura teologica, autore di dodici opere, la maggior parte delle quali sul mistero della SS. Trinità, fondatore della "Rivista Ecclesiastica Amalfitana", tuttora organo ufficiale della Curia, organizzatore e presidente dell’ultimo Sinodo Diocesano celebrato nel 1929…".
L’Istituto della Diocesi di Amalfi – Cava de’ Tirreni, è "un’ente ecclesiastico riconosciuto con D.M. n. 52 del 31.1.1987, pubblicato nella G.U., supplemento, mdel 7.3.1987".
Il direttore dell’Istituto è il Sac. Prof. Vincenzo Taiani, egli così scrive nella "Presentazione del Direttore" nell’annuario del 1994.
"L’Arcidiocesi dell’Istituto di Amalfi-Cava de’ Tirreni ha, finalmente, un suo Istituto di Scienze Religiose, intitolato a Mons. Ercolano Marini, arcivescovo di Amalfi dal 1915 al 1945, presule
dotto e santo, che ha lasciato in preziosa eredità alcuni scritti di alta e profonda teologia.
A trent’anni circa dal Concilio Vaticano II, la Chiesa amalfitano-cavense ha compiuto un salto di qualità nei confronti di quelli, che, nel suo sene, passano sotto il nome di Laici.
La nuova ecclesiologia, sviluppatasi in questo triennio, ha riscoperto tutta intera la vocazione e la missione dei laici all’interno della Chiesa e del mondo.
Il Laico non è più uno spettatore passivo dell’evangelizzazione, ma è un attore, che propone a sé e agli altri il messaggio di Cristo, è uno che è corresponsabile, insieme al Vescovo e ai Sacerdoti, della Pastorale, in forza della sua consacrazione battesimale e crismale, attraverso la quale egli partecipa al triplice mistero di Cristo: sacerdotale, regale e profetico.
E come Dio è ministro per il suo popolo, come Cristo è ministro, come la Chiesa è ministra, anzi è tutt’intera ministeriale, così i Laici sono i ministri, nel senso che possono assumere un servizio nella comunità ed esprimere, così, il loro carisma.
Ma hanno bisogno di scoprire, individuare e orientare, attraverso l’ascolto della Parola e lo studio teologico, la loro specifica vocazione.
E questo è l’intento precipuo dell’Istituto di Scienze Religiose. Riconosciuto dalla CEI nel marzo
1993, esso intende aiutare i laici a crescere e maturare nella fede-cultura della vita e si propone di preparare i laici, qualora lo desiderassero, ad assumere il ministero ordinato del Diaconato.
L’ISR è sbocciato sul terreno rassodato da cinque anni di lavoro scientifico e di esperienza didattica della precedente Scuola di Formazione Teologica, che, nata come idea, desiderio ed aspirazione all’indomani della pubblicazione della Nota dei Vescovi Italiani del 19.05.1985 su "La formazione teologica nella Chiesa particolare", divenuta poi concreto proposito di realizzazione nel Convegno Ecclesiale di Maiori del dicembre 1985, nel quale, per la prima volta nella storia millenaria della Diocesi, convennero insieme sacerdoti e laici in dialogo costruttivo e lungimirante sulle nuove direttrici della pastorale della Chiesa locale, ha confermato la validità del progetto della formazione permanente dei laici della Diocesi e ha suggerito un nuovo e più adeguato strumento culturale, che rispondesse meglio alle attese e alle rinnovate esigenze spirituali dei tempi nuovi, che, servendo fede e cultura, insegnasse meglio a coniugare fede e cultura, aiutasse la fede a diventare cultura e la cultura ad arricchirsi della fede, in modo che, risolvendosi il tutto in una sintesi mirabile, la fede, in modo che, risolvendosi il tutto in una sintesi mirabile, la fede, come dice Giovanni Paolo II, potesse davvero essere pienamente accolta, interamente pensata, fedelmente vissuta.
L’ISR, che organizza, al suo interno, come corsi speciali, anche la Scuola di Formazione all’Impegno Sociale e Politico e la scuola di Formazione per Operatori Pastorali a livello e a
conduzione foraniale, non è soltanto una crescita e una maturazione della Chiesa amalfitano-cavense, non è soltanto un rinnovato e più consistente tentativo che essa ha posto in essere per accogliere le istanze e le linee del Concilio Vaticano II e per allinearsi, così, al passo dei tempi e del cammino delle altre Chiese particolari, ma è un gesto concreto che essa compie per rispondere alle giuste attese ed esigenze dei suoi figli, è un dono che Dio fa alla sua Chiesa che è in Amalfi-Cava de’ Tirreni, è una grazia che lo Spirito Santo elargisce al popolo amalfitano-cavense in cammino verso il Signore che viene".
                                                                      Sac. Prof.
                                                              Vincenzo Taiani – Direttore

Queste le finalità ed i programmi dell’ISR, che ha sede e segreteria presso l’Istituto parificato S. Maria di Maiori (Sa), gestito dalle Suore Domenicane di Pompei, avvalendosi della struttura scolastica ivi esistente.
(Autore: Mario Rosario Avellino)

*Famiglie di Maiori
Più volte nel corso del presente lavoro sono state citate varie famiglie, pertanto è opportuno riportare qualche notizia.
Sono solo alcuni casati dei quali si è tentata una ricostruzione della genealogia; forse, non sarà ritenuta soddisfacente e completa da chi è studioso approfondito della materia, ma potrebbe risultare utile per soddisfare qualche curiosità.
L’elenco delle famiglie ritenute degne di menzione è sicuramente ben più numeroso, ma ci occuperemo, in particolare, della genealogia delle seguenti famiglie:
Famiglia Filippo Cerasuoli
Come afferma lo storico Giuseppe Primicerio nel suo volume: "La Città di maiori, dalle origini ai tempi odierni", Filippo Cerasuoli morì a circa 84 anni, il 28 maggio 1877.
Era figlio di Andrea e Maria Gambardella, il suo cognome avrebbe subìto il passaggio da de Carasolo a Cerasuolo, indi a Cerasuoli.
De Cerasuolo viene infatti annoverato tra le "famiglie distinte" nel senso "quelle tral ceto nobile e ’l mediano, indigene o alienigene, le quali per coltura d’ingegno, professioni nobili, parentadi, agiatezza, vivevano more nobilium e produssero uomini ragguardevoli, per dignità, dottrina, filantropia.
Era notaio ed è da tenere in grande considerazione per aver scritto uno dei più importanti volumi di storia di Maiori.
Fu anche Sindaco di Maiori.
Decise, all’età di 70 anni, di scrivere la storia di Maiori, ritenendo che si sarebbe fatto un grave torto alla città se qualcuno non vi avesse provveduto.
A proposito della "Fisionomia sia mentale che letteraria del Cerasuoli" il Primicerio lo definisce "combattivo anche se un tantino puntiglioso".
Insomma uno storico amante della verità e troppo intenzionato a rivendicare taluni patri valori forse ingiustamente non attribuiti alla sua città, azione che lo vede più volte in contrasto con altri studiosi tra i quali Matteo Camera, e M. Freccia.

Famiglia Citarella


Famiglia Confalone

Trasmigrarono da Ravello
Michelangelo
(che vanta pure l’Ordine di Malta)
Nel 1564 prima dimora villaggio di S. Pietro in Posula nella casa della estinta Famiglia De Rosa.
Nel 1729 si trasferì alla contrada Torrione, edificandovi un nuovo palazzo.
Trojano
Nel 1600 si stabilì a destra della casa-Imperato. Che in origine era della Famiglia De Ponte dei marchesi di Colonisi "dai di cui eredi, estinta, venduta nel 1608 alla (Famiglia) Citarella e da questa nel 1616 alla (Famiglia) D’Aruca, dalla quale prese il nome di Casa D’Aruca, passò in retaggio a Silvia D’Aruca, moglie di Domenicantonio Confalone seniore"
(Cerasuoli pag. 161-162).
"I beni passarono ai Confalone per conto della Famiglia di lei, D’Aruca".
A seguito di alleanza matrimoniale di don Giuseppe Confalone di Ravello con Donna Marianna Citarella Della Porta di Napoli (duca), furono trasmessi ai Confalone il palazzo ed il titolo di
duca di Grottaminarda.
A proposito di Confalone:
"E sotto l’imperio di Federico, Attanagio Coppola hebbe i suoi poderi anche a Napoli nel luogo detto Clino.
Il primo però, che nei reali registri leggiamo, è Tomaso di quei di Scala, che insieme con Alessandro d’Affetto, Nicola Freccia, Andrea Bonito, Matteo Rufolo, Nicola Acconciaioco, Gannizzo di Palma, Angelo Pirato, e Nicola Campalono, hoggi Confaloni, tutti, e otto i suoi paesani della riviera di Amalfi, hebbe a prestare nel 1275 al Re Carlo primo mille oncie d’oro, ricevendone in pegno la sua Corona reale adorna di varie pietre prezione.
Confalone:
"Nobile originaria della città di Scala, Nobile della città di Ravello e passata per giustizia dell’Ord. Di Malta fin dall’anno 1635 – Resid. Napoli – Arma; D’azzurro al leone d’oro tenente astata del medesimo una banderuola di rosso svolazzante".
Famiglia De Ponte
De Ponte, nome che volgarmente si trasformò in D’Aponte – Casa D’Aponte -, che divenne benemerita della dinastia normanna, ebbe posto in corte, trasferendosi a Napoli.
In particolare queste le notizie che attingiamo a proposito di questa famiglia:
"de Ponte
Derivata dai Conti di Maiori, e diramata in varie città del napoletano, à goduto nobiltà in Napoli
al seggio di Portanova, Amalfi, Taranto e Rossano. À posseduto bel 56 feudi, 4 marchesati e due ducati. À vestito l’abito del S.M.O. Gerosolismitano, di cui Rinaldo fu priore di S. Eufemia e capitano generale dei Saraceni nel 1295, e Pietro fu creato gran Maestro nel 1534. Di questa famiglia sono da notare un Gregorio creato Cardinale di S.R. Chiesa nel 1230; un Andrea, ascritto fra i baroni del regno del 1279, e giustiziere degli Abruzzi; un Gualtiero gran siniscalco del regno nel 1298; un Francesco maestro di campo di Carlo V e Castellano a Manfredonia; un Nicolò ambasciatore del Concilio di Trento, rese segnalati servizi alla Repubblica di Venezia: - Arma: D’Azzurro, al ponte di due archi, sovrastato da due torri, il tutto d’argento.
Imperato riferisce quanto scrive il Camera e che: "Ai suoi tempi poteva a buon diritto andar superba di mitre, di toghe, di spade e di altri onorevoli uffizi, e forze, non esclusa l’aureola dei beati. Inoltre Imperato aggiunge che viene ricordata Sr Teresa De Ponte che nel 1650 si fece francescana, conducendo vita piissima di virtù e di penitenza, tanto da meritare le sacre stigmate da Gesù Cristo, di cui fu devotissima. Si spense a Napoli nel 1659 in odore di santità e fu seppellita nella chiesa dell’Ospedaletto dei Frati M. Osservanti".
Famiglia Staybano
"Famiglia originaria della città di Scala, una di quelle credute di origine romana, passate nell’Amalfitano in tempo di Costantino il Grande, prese nome dalla signoria di Staibano posta tra Lettere e Gragnano, la quale nel 1148 fu ceduta dal Benedettino Costantino a Pardo Abbate del Monastero dei Ss. Ciriaco e Giuditta in Atrani.
Ha goduto nobiltà nelle città di Scala, ove fu reintegrata nel 1567, Amalfi, Maiori e Napoli fuori seggio.
XII emigrò da Scala in Tramonti, e da questa città due rami passarono in Maiori, nel 1399.il primo nel 1260, e l’altro nel 1399.
Il ramo discendente da Cerio Staibano, e che inquartava il proprio stemma con quello delle famiglie Capano, de Curtis, Marzano e Rossi del Barbazzale, si stinse in Giuseppe Cavaliere dell’ordine di S. Giacomo, e marito di Giovanna Carafa dei Conti di Montecalvo. Egli ebbe una sorella, Anna, morta nubile nel 1725, la quale legò i beni del ricco fedecommesso e Monte di famiglia ai PP. Teatini di S. Maria degli Angeli a Pizzofalcone.
Degli Staibano veggonsi monumenti in Napoli nella chiesa di S. Pietro a Maiella, in Lecce nella chiesa di S. Maria del Carmine, in Maiori nelle chiese di S. Francesco e di S. Maria delle Grazie, sul cui battistero in segno dello antico patronato vi è scolpito lo stemma della famiglia.
"Feudi posseduti da questa famiglia:
- Cesarano – Lauro – Nardò – Novella – Paternò – Staibano.
Memorie storiche
Cerio e Sergio
– Si leggono tra feudatari del Regno nel 1170.
Pandulfo e Perrone – Ebbero conferite importanti cariche da Re Carlo I d’Angiò.
Emanuello – Nel 1302 fondò in Maiori la Chiesa di Santa Maria ad Nives o de Vetrana. Fu Maestro di Campo, Contesdtabile e balestriere di re Roberto d’Angiò. E Duce della XXV Legione dello stesso Re.
Nicola -  Ebbe concessi alcuni feudi dalla Regina Giovanna I. Nel 1313 fu delegato dai nobili di Ravello a presentare a re Roberto il donativo da essi inviatogli.
Gerbino – Ottenne da re Ladislao il permesso di fabbricare nella città di Maiori una torre coi merli.
Bertraimo – Ottenne alcuni feudi dal Re Ladislao, il quale in quell’epoca concesse molti beni feudali confiscati per fellonia ad Amore Citarella, Lionello Miracapilli e Romeo d’Aponte patrizi di Maiori. Fu poi lo Staibano Familiare e Consigliere della Regin a Giovanna II che accompagnò nella città di maiori.
Giovan Domenico – Abate mitrato della Badia di S. Maria de Olcapia presso Maiori.
Morì in concetto di santità.
Cosmangelo – Regio Credenziere del fondaco del sale in Maiori per la regina Giovanna II.
Alessandro – Distinto giureconsulto, occupò varie cariche nella magistratura in tempo di re Ferdinando I d’Aragona.
Colonno – Dottore in legge e Giudice nel 1480.
Luca – Dottore in teologia, fisico e matematico insigne. Fu professore della Scuola medica salernitana. Nel 1515 edificò nella città di Maiori il Monastero di S. Maria della Pietà dell’ordine delle Clarisse per le donzelle nubili.
Mariano – Distinto avvocato e regio Consigliere nel 1548.
Mariano – Fu eletto del popolo napoletano, ed uno dei Governatori della casa di "Ave gratia plena" nel 1562
Fabrizio – Regio uditore delle Calabrie, e poi Commissario generale del Regno nella spedizione di Lepanto contro i Turchi.
Pietro – Prevosto mitrato della insigne Collegiata di S. Maria a mare della città di Maiori nel 1601.
Giovan Battista – Autore dell’opera, "De interesse contractum", stampata per la prima volta nel 1615: Fu Dottore in legge ed essendo curatore della eredità del Principe di Sicilia, espropriata a favore del Principe della Rocca Filomarino, vedendo un giorno il Duca di Perdifumo, fratello del Filomarino fece atto di disprezzo calcandosi il cappello sul capo, del che offeso il Duca lo ferì gravemente cagionandogli la morte.
Ambrogio – Agostiniano, scrisse e stampò il Tempio eremitano dei Santi e Beati del suo Ordine nel 1608. Fu il fondatore degli Agostiniani scalzi di Napoli.
Serafino – Edificò in Lecce un collegio per istruzione di quella gioventù.
Paolo – Valente avvocato, scrisse un’opera legale intitolata "Consilia", stampata dal nipote Paolo nel 1692.
Paolo – Chiaro giureconsulto, Giudice della G.C. della Vicaria, Uditore delle province di Principato e Basilicata, Consigliere del S.R.C. e del Viceré Conte d’Ognatte. Fu autore dell’opera "Resolutiones Forenses" stampata nel 1615. Il ramo di questo Paolo si estinse nel 1694 in Fabrizio Staibano.
Francesco – Uomo dotto e autore di più opere nel 1654.
Giuseppe – Cavaliere dell’Ordine di S. Giacomo nel 1685.
Principio – Avvocato primario ed archeologo insigne. Fu autore di un’opera legale nel 1700.
Geremia – Autore del trattato "Collegium antipraticum" che comprende delle erudizioni di scienze botaniche e fisiche. Morì nel 1801.
Luigi – Distinto archeologo, autore di più opere e socio di molte Accademie scientifiche e letterarie italiane e straniere. Morto nel 1877 in Salerno.
Arma:
Di azzurro con la fascia di argento caricata da tre rose di rosso, accompagnata da quattro stelle d’argento, tre nel capo ed una nella punta.
Arma:
D’argento alla fascia d’azzurro caricata da tre stelle di oro, accompagnate da tre rose di rosso, due nel capo ed una nella punta.
Ricordiamo che Luigi era nato a Scala il 17 ottobre del 1822 da Principio ed Enrichetta Afeltra. A lui fu intitolata la locale Scuola Media Statale di Maiori con una cerimonia il 20 dicembre del 1986.

(Autore: Mario Rosario Avellino)

*Le Suore Domenicane da cento anni a Maiori

Il 17 e il 18 giugno si sono tenute, nel comune della Costiera Amalfitana, le celebrazioni per il centenario del primo arrivo delle “Figlie del Santo Rosario di Pompei”, che ancora oggi operano per l’istruzione e l’educazione dei bambini maioresi. Il centenario si è “incrociato” con il Cammino Giubilare Longhiano. «Cento anni fa, quando le prime quattro suore partirono per venire qui a Maiori – ha ricordato la Superiora Generale, Madre Ermelinda Cuomo, nell’accogliere, il 17 giugno, il Quadro della Madonna Pellegrina – era presente ancora Bartolo Longo, che le ha benedette e ha detto: portate la devozione alla Madonna dovunque andiate. La Madonna è venuta oggi a “farsi vedere”». A condividere la festa con l’intera cittadinanza, rappresentata dal sindaco Antonio Capone, Monsignor Orazio Soricelli, Arcivescovo di Amalfi-Cava de’ Tirreni, l’Abate di Cava, Dom Michele Petruzzelli e l’Arcivescovo di Pompei, Monsignor Tommaso Caputo.
Un secolo fa, il 16 luglio 1923, le Suore Domenicane di Pompei presero possesso dell’ex convento di Santa Maria della Pietà a Maiori (Salerno) e diedero vita a una struttura che offriva istruzione, educazione e opportunità ai bambini. Ancora oggi, a cento anni da quel lontano 1923, la Congregazione delle Suore Domenicane “Figlie del Santo Rosario di Pompei” continua a svolgere, nel comune della Costiera Amalfitana, un ruolo importante offrendo i servizi della Scuola dell’infanzia e della Scuola primaria, accogliendo i bambini più piccoli, mettendo a disposizione la mensa scolastica e il doposcuola e proponendo le attività della colonia estiva.
Il 17 e il 18 giugno scorsi le Suore hanno celebrato il centenario della presenza della Congregazione a Maiori, accogliendo il Quadro pellegrino della Madonna del Rosario di Pompei. L’Immagine venerata da milioni di fedeli in ogni parte del mondo è stata accolta con gioia da tutta la cittadinanza, a partire dai bambini iscritti alla scuola paritaria delle Suore domenicane.
Insieme ai docenti e alle religiose, i piccoli alunni hanno dato il via a una parata, accompagnata dalla banda musicale, dall’Istituto verso il Lungomare, dove ad accoglierli hanno trovato Monsignor Orazio Soricelli, Arcivescovo di Amalfi-Cava de’ Tirreni, il Padre Abate dell’Abbazia della Santissima Trinità di Cava, Dom Michele Petruzzelli, e le autorità civili e militari. «Evviva Maria!», hanno gridato in coro i bambini, non appena il Quadro è arrivato a Maiori. «Qui sei di casa, anzi sei a casa – ha detto Don Nicola Mammato, il Parroco della Collegiata di Santa Maria a Mare – Maiori è una città mariana. Ti veneriamo con tanti titoli: Santa Maria a Mare, Santa Maria del Principio,
Santa Maria delle Grazie, Avvocata Nostra, Madonna del Carmine, Madonna del Rosario, Madonna della Pietà, Madonna di Costantinopoli, Madonna della Libera. Come un meraviglioso ricamo, la Santissima Trinità ha voluto unire la figura di Monsignor Ercolano Marini (Arcivescovo di Amalfi dal 1915 al 1945) con l’entusiasmo mariano di Bartolo Longo. Oggi celebriamo con Te, un secolo di presenza attiva e laboriosa delle Suore Figlie del Rosario di Pompei. Tante generazioni di maioresi sono cresciute attraverso le amorevoli cure delle Suore. La tua visita sia una spinta a crescere nella fede». «Voglio prima di tutto ringraziarvi, carissime Suore Domenicane di Pompei – ha detto il sindaco Antonio Capone – a nome mio e dell’intera cittadinanza di Maiori, per la fondamentale, incessante e preziosa opera svolta da voi in questi anni a servizio della nostra comunità.
Mi lega a voi la mia devozione alla Madonna di Pompei, forse anche grazie ai miei genitori che vollero fortemente che io facessi la mia prima Comunione nel Santuario di Pompei, ma anche perché ho in famiglia una zia suora. La vostra opera ha sancito un legame con la nostra città ben saldo e fortissimo: avete resistito alla Guerra Mondiale, all’alluvione, al terremoto e alla pandemia di Covid. Oggi avere qui il Quadro della Madonna di Pompei rappresenta per me motivo di grande gioia e orgoglio». «Da Pompei – ha evidenziato la Superiora Generale, Madre Ermelinda Cuomo – siamo venute numerose e oggi la Congregazione sta insieme con voi. Cento anni fa, quando le prime quattro suore partirono per venire qui a Maiori, era presente ancora Bartolo Longo, che le ha benedette e ha detto: portate la devozione alla Madonna dovunque andiate. La Madonna è venuta oggi a “farsi vedere”. Le Suore hanno questo per primo impegno: propagare il Rosario e, in coincidenza con i centocinquant’anni del primo arrivo di Bartolo Longo, che celebriamo a Pompei, risuonano dappertutto le parole: “Se cerchi salvezza, propaga il Rosario”.
Solo questo vi voglio dire. Questo è il messaggio che vi ha portato la Madonna: la preghiera del Rosario è arma vincente in ogni guerra, in ogni situazione. Continuiamo a dare testimonianza di essere Figlie del Santo Rosario di Pompei: abitiamo nella stessa casa della mamma. Il resto ve lo dirà la Madonna». «Non solo i bambini che vediamo qui presenti, ma anche i genitori e i nonni – ha detto l’Arcivescovo Soricelli – sono stati alunni delle Suore Domenicane, il cui insegnamento rimane indelebile nella vita di tutti loro. Gioisci comunità di Maiori, esulta e rallegrati con tutto il cuore per la visita della venerata Icona della Madonna di Pompei! L’accoglienza festosa e numerosa è un segno eloquente della devozione dei maioresi alla Madonna. Sant’Agostino ha detto che Maria “prima credette e poi divenne madre, anzi divenne madre proprio perché aveva creduto alla Parola di Dio”. Quando Maria andò a trovare l’anziana cugina incinta di Giovanni Battista, il ventre di Elisabetta sussultò e lei esclamò: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”.
Ed è con queste parole bibliche che tutti noi dovremmo rivolgerci a Maria». La celebrazione del giorno successivo è stata presieduta dall’Arcivescovo di Pompei, Monsignor Tommaso Caputo. «Possiamo dire – ha detto il Prelato nella sua omelia – che le Suore Domenicane si sono calate nella storia di questa città e questa città lo ha voluto riconoscere, nel 1945, con la cittadinanza onoraria. Hanno portato tanta luce, tanta gioia, tanta serenità. E hanno anche asciugato tante lacrime. Con il loro apostolato sono state segno della compassione di Dio. Gesù, nel vedere le folle, sentì compassione. Compativa con loro.
Queste donne sono state madri per tante giovani e tanti giovani in questa città. Sono state segno della compassione di Dio, hanno testimoniato la bellezza del Regno di Dio e la bellezza del Vangelo. Nel cuore di ognuno ci deve essere tanta riconoscenza nei loro confronti». A prendere parte alle celebrazioni e alla gioia della ricorrenza è intervenuta l’intera cittadinanza di Maiori: innumerevoli abitanti hanno frequentato le scuole delle Suore rimanendo legati per tutta la vita alle religiose e a quel luogo di formazione. Durante le celebrazioni è stata ricordata anche la compianta Madre Colomba Russo, per oltre un ventennio Superiora dell’Istituto delle Suore Domenicane di Pompei sito a Maiori, venuta a mancare a 86 anni lo scorso 14 giugno.

(Autore: Maria Abate)

*Stemmi della Città di Maiori
Art.4 dello Statuto del Comune di Maiori
Il comune ha uno stemma quale segno distintivo e un proprio gonfalone che è quello storicamente riconosciuto e di cui fa uso nelle manifestazioni di carattere locale e nazionale.
Nelle cerimonie e nella altre pubbliche ricorrenze, e ogni qualvolta sia necessario rendere ufficiale la partecipazione dell’ente a una particolare iniziativa, il Sindaco può disporre che venga esibito il Gonfalone con lo stemma del Comune.
Stemmi della Città di Maiori
Nel tempo la città di Maiori ha avuto stemmi di diversa fattura. Dalla documentazione attuale si evince che gli stemmi utilizzati sul gonfalone e sui documenti con intestazione Comune di Maiori, andando a ritroso nel tempo, sono nell’ordine i quattro descritti di seguito.
In precedenza, fino al 2014, è stato utilizzato è utilizzato uno stemma (in evidenza) costituito da uno scudo inquartato e sormontato da corona per il titolo di comune. Nel primo quarto a sinistra su sfondo d’oro, troviamo un castello al naturale posto su di un monte di colore verde.
Nel secondo a destra su sfondo azzurro una scimitarra al naturale, posta in banda, con impugnatura in basso. Nel terzo, sempre su sfondo azzurro, un cavalluccio marino al naturale. Infine nell’ultimo quarto a destra, su sfondo d’oro, una ruota di mulino al naturale. La simbologia rappresenta l’antica città di Maiori, storicamente, fortificata e in lotta contro i Saraceni, ed, economicamente, dedita ai traffici marittimi e agli opifici (carta e paste alimentari).
Questo stemma fu ideato da uno de "I Costaioli", la scuola dei pittori di Maiori, il maestro Ulderico Forcellino, che dopo l’alluvione del 25 Ottobre 1954, essendo consigliere anziano, subentrato al defunto Sindaco Salvatore Confalone, l’utilizzò a sostituzione dello stemma in uso fino ad allora.
Lo stemma utilizzato in precedenza è così descritto: "d’azzurro, al vaso d’oro, dal quale esce una pianta di maggiorana al naturale, piantato su una campagna di verde e sormontato da un’aquila (la pojana, uccello locale) al naturale, con la testa rivolta a destra e tenente nel becco un rametto di maggiorana e accompagnata nel capo da cinque stelle d’argento disposte 2-1-2. Lo stemma cimato da una corona antica di nobile".
La maggiorana richiama il nominativo della città e le stelle simboleggiano le 5 frazioni: Erchie, S. Pietro, S. Maria delle Grazie, Vecite, Ponteprimario. Lo storico maiorese Filippo Cerasuoli, nonché sindaco della città, nel 1876 nella sua opera "Scrutazioni storiche, archeologiche, topografiche della vetusta città di Maiori", invece lo descrive con "Majorana il titolo: lo stemma, un testo di persa, da cui un’aquila in volo ha spiccato, ed estolle in becco un fasciolo".
Ancora prima il Comune di Maiori utilizzava ancora un diverso stemma riprodotto anche nei sigilli a secco, così blasonato dal Barone Antonio Guerritore in "Gli stemmi civici dell’antica repubblica amalfitana", Roma-1920: "Di azzurro al vaso d’oro con pianta di maggiorana, accompagnato in capo da corona radiata a cinque punte" annotando "così rilevasi dal suggello di tale Università nel vol. 3758, anno 1739, degli atti preliminari del Catasto e dalla raccolta degli stemmi dei comuni, del 1818 denominata fin dal XIV secolo: Reginna Maior".
Infine è riscontrabile uno stemma del 1600, ancora visibile su due sculture su pietra di piperno alla base di un antico arco, nella piazza del Sedile di Maiori.  Della blasonatura di questo stemma abbiamo solo un testo residuale leggibile a tratti: "Di… alla pianta di maggiorana di… sormontata da una corona di…".  Esso veniva utilizzato nella seconda metà del Seicento a seguito del titolo di Città Regia, di cui Maiori venne insignita da Re Filippo IV di Spagna nel 1662.
(Pagina realizzata con la consulenza di Vincenzo Mammato, appassionato cultore di storia e arte locale).
Il Gonfalone
Il gonfalone è un drappo partito di rosso e d’azzurro riccamente ornato di ricami d’argento.
Un po’ di storia…
I gonfaloni o più comunemente stendardi sono insegne di origine militare di forma prevalentemente rettangolare che servivano a coordinare le manovre da compiersi sul campo di battaglia dalle singole compagnie.
Ogni compagnia aveva, sul proprio gonfalone una pittura o stemma che richiamava o il Santo Patrono o l’arte e il mestiere degli appartenenti ad essa. Il magistrato a cui era affidata la custodia e la cura del gonfalone, sia in pace che durante i combattimenti, era detto Gonfaloniere.
Con la nascita del Comune moderno è invalso l’uso di usare, principalmente nelle cerimonie pubbliche, un’insegna su cui è riportato lo stemma.

Manifestazioni ed eventi in cui è autorizzato l’uso del gonfalone
Festa Patronale – Festa del Corpus Domini – Cerimonie Ufficiali in cui è rappresentato il Comune di Maiori.
Storia
Primo Stemma

Il primo  stemma civico  di cui si ha notizia risale al  XVII secolo. Ancora visibile su due delle  sculture  di  piperno  realizzate alla base di un antico  arco  conservato nella Piazza del Sedile, fu adottato ufficialmente in seguito al conferimento del titolo di  Città Regia  rilasciato dal  Re di Spagna Filippo IV d'Asburgo  nel  1662. Dai resi dei di blasonatura pervenutici si può evincere che almeno in parte lo stemma fosse formato da uno  scudo  che riportava una pianta di maggiorana (nome scientifico Origanum majorana), che richiama il nome di Maiori  (anticamente Reginna Major), sormontata da una  corona  non meglio identificata.
Secondo Stemma
Il secondo stemma di cui si ha notizia risale al  secolo successivo, come si evince da dei  sigilli a secco  ritrovati successivamente dagli storici, da atti preliminari del  catasto  o da una raccolta di stemmi comunali redatta nel  1818. Similmente al precedente reca all'interno del suo scudo  azzurro  un vaso d' oro  dal quale nasce una pianta di maggiorana sovrastata da una corona a cinque punte.
Terzo Stemma
Questo stemma successivo richiama i precedenti per la presenza della corona e della maggiorana ma presenta novità come le cinque  stelle, che simboleggiano le cinque frazioni  di  Maiori  (Erchie, San Pietro, Santa Maria delle Grazie, Vecite, Ponteprimario), e come l' aquila , che con molta probabilità si riferisce ad una  poiana comune, pennuto tipico della zona.
Quarto Stemma
Il quarto stemma, significativamente più recente dei precedenti, sostituì il predecessore dopo l' alluvione del 25 ottobre 1954  per volontà del  sindaco, appena entrato in carica, Franco Ulderico Forcellino, maestro della scuola di pittori di  Maiori  I Costaioli.
Questo stemma, completamente distante dai precedenti, consiste in uno  scudo inglese   inquartato, timbrato da una corona muraria da  comune, dove per ogni campo si vuole rappresentare un diverso aspetto della storia maiorese: nel primo campo è presente un  castello, posto su di un  monte,  alnaturale, (rappresenta la capacità difensiva della città), nel secondo campo è invece presente, su sfondo azzurro, una  scimitarra  al naturale raffigurata come se fosse la  banda  del suo campo, posta con il manico verso il basso (rappresenta la lotta contro i  saraceni), il terzo campo presenta, sempre su sfondo azzurro, un  ippocampo  al naturale che volge lo sguardo verso sinistra mentre il quarto ed ultimo campo presenta, su sfondo oro, una  ruota  di mulino al naturale (entrambi i simboli rappresentano l'impegno marittimo dell'economia locale).
Durante il periodo di utilizzo di questo stemma, il  gonfalone  del  comune  era  blasonato  come "drappo partito di rosso e d'azzurro riccamente ornato di ricami d'argento".
Quinto Stemma
L'odierno stemma di  Maiori, adottato ufficialmente con  decreto del Presidente della Repubblica SergiomMattarella  del 27 ottobre 2015, è stato progettato e miniato nel  2014  dallo  storico - araldista  Maurizio Ulino, incaricato dalla  giunta  del  sindaco Antonio Della Pietra, in seguito alle azioni del governo cittadino volte a far riottenere a Maiori lo status di  Città d'Italia, perso con la caduta della  monarchia  nel  Paese;
Il suo  blasone  ufficiale è:
Lo stemma rappresenta un ritorno alle origini; riprende infatti i temi fondamentali degli stemmi più antichi della città, ossia il ricorrente sfondo  azzurro, la pianta di  maggiorana  (spezia molto ricercata nel  Medioevo  e coltivata nell' agro  di Maiori), e la  corona  a cinque punte.

(Autore: Mario Rosario Avellino)

Torna ai contenuti