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Chiese a SMCV

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*Cappella della Redenzione

Sotto il titolo “Della Morte”
La storia della Cappella della Redenzione inizia il 15 gennaio 1548 quando un gruppo di laici benestanti e di religiosi diede vita al Sacro Monte dei Morti, una congregazione il cui scopo era quelli di assistere i moribondi poveri e di assicurar loro una degna sepoltura sottraendoli all’abbandono nei campi e nei canali che circondavano la nostra Città.
Fu a tale scopo acquistato un terreno accosto alla cattedrale di S. Maria Maggiore nel quale fu realizzato un cimitero sotterraneo: sempre nel Duomo saranno di lì a poco aperti anche i cimiteri delle congregazioni di S. Maria del Conforto e della SS. Annunziata.
Dieci anni dopo, nel 1560 iniziò la costruzione di un oratorio al di sopra di questo Cimitero. La Congregazione ricevette un primo riconoscimento nel 1604 da Papa Clemente VIII. A sostenere la Congregazione erano le offerte dei fedeli: il cardinal Melzi aveva autorizzato a tal fine il posizionamento di un ceppo per tale raccolta. Il Monte dei Morti possa tenere un ceppo dentro il suo oratorio eccetto il giorno della vigilia prima di agosto, possa fare la cerca alle messe dentro del suo oratorio dopo il Corpo di Cristo e della Madonna. Possa fare la cerca per la piazza il giorno di mercoledì e di venerdì senza altro riguardo ma il giorno di domenica, di giovedì e di sabato non prima che siano finite affatto le sopradette cerche del Corpo di Cristo e della Madonna rispettivamente.
Comandiamo che si osservino gli ordini fatti dalla gloriosa memoria del cardinal nostro zio che sia in Cielo in materia delle cerche che si possiedono dalle altre cappelle con ogni riguardo et discretezza. Dal palazzo di S. Maria 20 di luglio 1666 Gio. Antonio Melzi Arcivescovo di Capua. Con testamento del 30 novembre 1675, Francesco Cusano nominò suo erede universale il “Sacro Monte dei Morti”. Per questa cospicua donazione, di cui ancora oggi benefica la Congrega, vi rimando alla mia ricerca “Cronache del XVII secolo: la S. Maria di Nicola Salzillo” (pag.145/157) La cospicua donazione permise di ampliare il primo oratorio: i lavori iniziarono nel 1722 e terminarono nel 1777 quando assunse la forma attuale. Lascio a Mario Tafuri, che fu Superiore della Congrega, la descrizione della Cappella, come riportata nel suo testo “La Congrega della Redenzione sotto il titolo della Morte” pubblicata nel 1999.
Adiacente la Cappella di S. Giuseppe, sul fondo della navata sinistra del Duomo, si apre il vestibolo antistante la Cappella della “Congregatio Mortis”. Sulle pareti laterali: a sinistra una tela ad olio datata 1759 raffigurante S. Filippo Neri, a destra una tela ad olio datata 1925 raffigurante S. Carlo Borromeo fra gli appestati; nel soffitto: un affresco del secolo XIX con “Cristo fra gli Angeli e un’anima purgante” S. Filippo Neri S. Carlo Borromeo tra gli appestati Cristo tra gli angeli e un’anima purgante. Nella parete di sinistra si apre la porta che immette nella Sagrestia e sul fondo il portale d’ingresso della Cappella, con un fregio in stucco dorato raffigurante la Madonna che intercede per le Anime purganti, e più in alto, un Angelo che incorona la Vergine. Sul pavimento, si apre una botola, chiusa da una grata, che immette in una cripta dove la tradizione vuole che si trovino le reliquie di S. Simmaco (422-440). In alto un organo a canne del XVIII secolo con la cantoria completa la parete di fondo. La Cappella, a pianta rettangolare, presenta un coro ligneo del XVIII secolo, decorato negli stalli e nei dorsali, composto di quaranta scanni, oltre a quello riservato ai Presuli della Diocesi e a quello riservato al Padre Spirituale.
Sopra il coro, alle pareti di destra e di sinistra quattro affreschi con S. Teresa, S. Rita, S. Chiara e S. Scolastica. La volta, nella parete centrale, presenta un affresco di fine ‘700 raffigurante Cristo Risorto. Sull’arco trionfale che separa l’abside troneggiano due grandi scheletri alati in stucco, che sorreggono uno stemma con la scritta “Omnes enim vivunt in Deo” (tutti vivono nel Signore).
L’abside accoglie un altare che, per dimensioni ed imponenza, viene considerato l’apoteosi del barocco napoletano. Costruito da artigiani napoletani nel 1732, è composto da marmi policromi con volute e fregi intarsiati. Il tabernacolo, anch’esso in marmi policromi intarsiati, presenta una porta a sbalzo di argento massiccio. Sopra l’Altare una grande tela ad olio, datata 1757, con il Pianto sul Cristo morto. È opera del pittore Francesco De Mura, e raffigura la scena della deposizione con Cristo che giace in grembo a Maria in lagrime attorniata dalla Maddalena, da S. Giovanni e dalle Pie Donne.
Completa il quadro un’artistica cornice a sbalzo in marmo policromo, finemente intarsiata. Attorno all’abside quattro nicchie accolgono le statue di S. Rocco, S. Vito e S. Liborio. La quarta statua di S. Francesco d’Assisi nel 1901 è stata donata alla Chiesa dell’Istituto Papale di questa Città. Una balaustra in marmi policromi, impostata su un gradino rococò napoletano, delimita il perimetro dell’abside. Alle pareti laterali due tele del secolo XVIII raffiguranti a destra il Giudizio Universale e a sinistra il Giudizio di Salomone.
L’intero pavimento della Cappella, in pregevole maiolica decorata, è datato 1750 ed è opera del maestro ceramista vietrese Giuseppe Mataloni. Un vano nella parete sinistra dell’abside immette nell’ampia sagrestia. Sulla parete in fondo una tela ad olio datata 1813 raffigura la Madonna con Bambino e le Anime purganti.
A sinistra un busto in gesso di Alessio Simmaco Mazzocchi (1684-1771), copia del bronzo esistente nel Duomo e donato alla Confraternita dal fratello Francesco Paolo Storino nel 1928. Ancora nella parete una tela ad olio del XVII secolo raffigurante S. Sebastiano, della scuola di Mattia Preti, ed un cassettone d’epoca con una campana contenente l’Addolorata. Alla parete di destra una lapide in marmo ricorda il grande benefattore del Sodalizio Francesco Cusano (1613-1675).
Un armadio del primo ottocento, con una testa di Cristo in gesso di Giuseppe Saggese (1927), completa l’arredamento della Sagrestia. Infine, in dotazione alla Sagrestia, una serie di oggetti di argento a sbalzo della prima metà del ‘600 in stile barocco: un ostensorio, una pisside, due calici, un campanello, un turibolo per l’incenso, un secchiello con l’aspersorio, un incensiere, due porte di tabernacolo di cui una in argento massiccio.

(Autore: Giovanni Laurenza)

*Chiesa delle Vittime Espiatrici

Alle spalle della chiesa di S. Erasmo, lungo via Verdi

 

(Autore: Salvatore Fratta)

*Chiesa degli Angeli Custodi

Posa della Prima Pietra 25 maggio 1880 benedetta dal rev. Giuseppe Maria Buonpane, incaricato dall'allora arcivescovo di Capua card. Francesco S. Apuzzo.
La chiesa - su progetto dell’ing. Francesco Sagnelli fu costruita dalle imprese di maggior lustro operanti nella città, imprese di Ferdinando Troiano e Domenico Aulicino.
Poco appariscente all'esterno, quasi nascosta nella fila di palazzi che si susseguono sul corso Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere, questo gioiello di chiesa rivela tutta la sua grazia e la sua forza a chi vi entra. Dai cittadini indicata come “Chiesa degli Angeli Custodi al Corso”, in realtà è dedicata anche alla Madre di Dio, come risulta dall'iscrizione nel catino dell'abside.
Su progetto dell’ing. Francesco Sagnelli, la costruzione venne realizzata a cura e a totale spesa di Gaetano Saraceni, ricco possidente, che, inoltre, provvide anche ad arredarla.
Due piani sovrapposti sormontati da un timpano triangolare caratterizzano la facciata nel primo piano, sopra un grande portone, posta una lapide con dedica;
(Traduzione della lapide: Questo tempio dedicato a Dio in onore della Vergine Madre di Dio e degli Angeli Custodi con devozione e con suo denaro dalle fondamenta fece costruire ed abbellire Gaetano Saraceno 1882), sulla seconda parte si apre un finestrone con arco sovrastante, tipico di fine Ottocento. Quattro lesene terminanti con capitello ionico al primo piano, diventano corinzie al secondo e dividono la facciata in zone verticali.
Mediante due scalini si accede all’interno del sacro edificio a pianta rettangolare ad una sola navata con volta a botte, molte cappelle laterali e l’altare maggiore in marmi policromi.
Negli anni precedenti, negli stessi spazi, sorgeva la Cappella del Conservatorio dell’Angelo Custode, il cui ingresso era situato nella via omonima (divenuta dal 1913 via C. Gallozzi). A seguito della costruzione della nuova strada e dell’abbattimento della Chiesa di S. Lorenzo, la cappella si rivelò insufficiente a contenere i fedeli delle zone circostanti e pertanto si sentì la necessità di una nuova chiesa.
Entrando, s’incontra una seconda grande porta in legno che sorregge la tribuna dell'organo, uno strumento a canne con leve manuali per i mantici. Sotto la tribuna è attaccata una bella tela, raffigurante La Santa Famiglia di anonimo.
Del primitivo sacro edificio rimase solo il campanile che, infatti, mostra caratteristiche architettoniche settecentesche. Esso s’innalza sulla parte destra della chiesa attuale, preso l’abside e ospita due campane.
Sulla campana maggiore, oltre al rilievo di un Angelo custode con un fanciullo e di un busto di Madonna con bambino, è visibile la seguente scritta: “GAETANUS SARACENUS AERE SUO FECIT ANNO DOMINI 1883” – Luigi Mobilione fabbricante di campane in Napoli via Zappari n. 28”. Sulla campana più piccola vi è la raffigurazione dello stemma cittadino e di un ostensorio, mentre una scritta così recita: “A.D. 1823 – Municipio di S. Maria Capua Vetere – Michael Angelus Camirchioli Paetramelaria artifex”.

1 - *Il Duomo - Santa Maria Maggiore e San Simmaco Vescovo (V Sec.)

La basilica fu edificata nel 432 da San Simmaco, vescovo di Capua e patrono di Santa Maria Capua Vetere. Simmaco dedicò la basilica alla Madonna dopo che il concilio di Efeso aveva proclamato Maria come Madre di Dio.
Dopo la distruzione della basilica costantiniana, intitolata a san Pietro, e della basilica germaniana, intitolata ai santi Stefano ed Agata (VI secolo), la basilica di Santa Maria Maggiore (Sancta Maria Syricorum) fu sede cattedrale del vescovo di Capua. Almeno dal IX secolo la chiesa fu dotata di un proprio capitolo canonicale.
Anche dopo il trasferimento della sede vescovile nella nuova Capua, fondata dai principi longobardi sull'ansa del fiume Volturno (antica Casilinum) per potersi meglio fortificare e difendere dagli attacchi dei Bizantini di Napoli e dei Saraceni, la basilica continuò a mantenere il trono vescovile, il titolo e la funzione di concattedrale in quanto, nell'adiacente palazzo vescovile, costruito probabilmente prima dell'anno mille e comunque certamente esistente nel XIII secolo, i vescovi e, dopo il 964, gli arcivescovi metropoliti di Capua, per preservarsi dal clima insalubre del palazzo vescovile nella nuova Capua, vi tennero la propria residenza durante i mesi estivi.
Il palazzo, successivamente soggetto a significativi lavori di ristrutturazione nel XVII secolo, ad opera degli arcivescovi Camillo e Antonio Melzi (donde è attualmente denominato Palazzo Melzi), mantenne la sua destinazione fino 1818.
In quell'anno, infatti, il cardinale arcivescovo Francesco Serra di Cassano, per consentirvi l'allocazione dei Tribunali della neocostituita Provincia di Terra di Lavoro, lo cedette in enfiteusi al Municipio di Capua, impedendo così il loro trasferimento nella città di Caserta che, proprio in quell'anno, a causa dell'insufficienza delle anguste strutture presenti nella città di Capua, diveniva il nuovo capoluogo provinciale. Non cessava comunque la residenza degli arcivescovi di Capua in Santa Maria durante i mesi estivi, né, conseguentemente, il funzionamento come concattedrale della basilica di Santa Maria Maggiore.
Lo stesso cardinale Serra di Cassano, infatti, faceva edificare un nuovo palazzo vescovile nella vicina via Melorio e tale situazione rimase immutata fino al periodo della seconda guerra mondiale, che vide il progressivo abbandono e degrado della residenza arcivescovile de Santa Maria, fino al triste esito della sua demolizione negli anni novanta.
La presenza più che millenaria della sede Vescovile nella basilica di Santa Maria Maggiore (che del resto è appartenuta allo stesso Municipio di Capua fino alla prima metà del milleottocento), spiega non solo la magnificenza e la grandiosità del sacro edificio, in parte nascoste all'esterno dalla facciata settecentesca, ma anche l'ininterrotto susseguirsi, nel corso dei secoli, dei continui interventi di ingrandimento, di ristrutturazione e di decorazione che ne hanno fatto un insieme al contempo nobile ed imponente, nella mirabile e singolare composizione armonica di molteplici e variegati elementi provenienti dallo spoglio degli edifici dell'antica Capua pagana e precristiana, fino alle sobrie ed eleganti decorazioni in marmi policromi e stucchi del sei e settecento napoletano.
All'interno della chiesa nel 787 Arechi II, principe di Benevento, stipulò con Carlo Magno il trattato di pace che, dopo la sconfitta del Re Desiderio a Pavia, consentì per oltre due secoli la sopravvivenza del dominio longobardo nella propaggine meridionale dell'Italia. Secondo l'anonimo salernitano, lo stesso principe, in scioglimento del voto fatto alla Madonna per ottenere, con la mediazione dei vescovi della Campania, la stipulazione della pace con i Franchi, apportò alla chiesa delle modifiche sostanziali, aggiungendovi la quarta e la quinta navata e configurandola così al classico schema della pianta basilicale.
Successive modifiche furono apportate nel corso del XVI secolo, con la costruzione delle volte in muratura nella seconda e terza navata e l'adeguamento del Presbiterio alle prescrizioni del Concilio di Trento; con la conseguente distruzione dell'antico altare, del ciborio che lo sovrastava (probabilmente ligneo) e del coro.
Nel Seicento l'antico atrio antistante la facciata, su cui si affacciavano le abitazioni dei Canonici, fu inglobato nel Corpo della navata maggiore per aumentarne la lunghezza; fu inoltre costruito, al di sopra delle arcate delle mura perimetrali della stessa navata, un soffitto a cassettoni lignei, che coprì le antiche capriate del tetto, fino ad allora direttamente visibili.
Nel Settecento profondi lavori di consolidamento e ristrutturazione modificarono l'aspetto e le dimensioni del sacro edificio e diedero alla chiesa la struttura odierna: la costruzione di sei pilastri di sostegno fra gli archi delle mura perimetrali della navata maggiore e l'elevazione della grandiosa volta ad incannucciata; la distruzione dell'antica abside ornata di mosaici paleocristiani rappresentanti la Madre di Dio e l'iscrizione dedicatoria di San Simmaco, che arrecò la gravissima e pressoché irrimediabile perdita di una fondamentale testimonianza dell'epoca di costruzione del primo nucleo della Chiesa e della sua dedicazione; la costruzione del nuovo presbiterio, più ampio e profondo del precedente.

2 - *Il Duomo (o Basilica) di Santa Maria Maggiore
La Basilica di Santa Maria Maggiore fu eretta da S. Simmaco, vescovo di Capua, il quale nel 432, di ritorno dal Concilio di Efeso, volle dedicare alla Vergine un grandioso tempio sul modello di quello innalzato a Roma da Papa Liberio.
Il Pasquale, che è il primo a sostenere questa tesi, il Pratili e lo Iannelli, ritengono che la Basilica fu edificata sulla cosiddetta Grotta S. Prisco, una cripta paleocristiana risalente al 42 d.C.
Inizialmente, come è stato tramandato, la basilica era ad una sola navata, poggiava su un basamento di tre o quattro scalini ed era preceduta da un portico tetrastilo; in seguito fu ampliata da Arechi, principe longobardo beneventano, nel 787, e in tale occasione vennero aggiunte le navate laterali e restaurata da mastro Leone nel 949 per ordine di un Pietro diacono.
Ai primi del Seicento, per volere del cardinale Bellarmino, furono eseguite alcune opere di restauro di modesta entità.
Nel corso del Settecento, invece, l’edificio subì notevoli trasformazioni a causa di interventi restaurativi in grande stile, che produssero anche danni e perdite gravi.
Tra il 1742 ed il 1786 furono eseguiti i lavori di restauro più notevoli, furono innalzati i pilastri di sostegno della navata centrale, a intervalli regolari ogni due arcate, fu sostituita la vecchia copertura di detta navata a capriate lignee; fu demolito l’altro ingresso e rifatta la facciata.
Nello stesso periodo furono eseguiti anche lavori di intonacatura, di stuccatura e di arredo: nel 1765, come ricorda l’iscrizione che vi è incisa, fu costruito l’altare maggiore in marmo colorato; nel 1770 fu dipinta sul fondo dell’absidia monumentale, l’icona dell’Assunzione della Vergine, opera di Giacinto Diano della scuola napoletana; nel 1774 il maestro marmorario Domenico Aloia realizzò la balaustra marmorea dell’altare maggiore; in quagli stessi anni lo scultore napoletano Giuseppe Sarno scolpì la statua di S. Simmaco che si trova nella cappella omonima: nel 1786 i falegnami Rauso e Lania eseguirono il coro ligneo e gli organi ai lati dell’abside, di cui uno finto, quello di sinistra. Le opere di trasformazione e di restauro continuarono per tutto l’Ottocento.
Il campanile a sinistra della chiesa costruito dopo il 1872, è a pianta quadrata: sulla base del travertino poggiano tre piani decrescenti di mattoni con aperture simmetriche su tutti e quattro i lati. Esso, probabilmente, sostituì la vecchia torre campanaria abbattuta tra il Settecento e l’Ottocento.
L’interno della chiesa, come si presenta attualmente, è a cinque navate, divise da 51 colonne antiche di varia grandezza e qualità di marmi, tutte sormontate da capitelli corinzi.
Lungo le pareti laterali si snoda un gran numero di cappelle costruite in varie epoche. La più antica risale al 1551.
Nella cappella dei SS. Ignazio e Francesco Saverio, fondata dal primicerio Giovanni di Napoli nel Settecento ed appartenente per lungo tempo a questa nobile famiglia, vi è la tomba del padre gesuita Ignazio di Napoli.
Nei sotterranei ai quali è consentito l’accesso sono visibili tombe di canonici e cittadini illustri. In quelli inaccessibili colmi di sepolture ed estesi per tutta la superficie della basilica ed oltre, fin sotto la piazza antistante e le strade limitrofe, è, secondo la tradizione, sepolto San Simmaco, fondatore della chiesa.
La basilica, consacrata il 1° agosto del 432 e dedicata da San Simmaco a Santa Maria, ebbe vari nomi. Oltre che S. Maria Suruicorum, si chiamò anche Santa Maria delle Grazie, per le grazie concesse dalla Vergine alla città, o per aver la Vergine esauditi speciali voti dei fedeli; infine fu detta Santa Maria Maggiore perché superava le altre Chiese della diocesi o perché, trovandosi nella zona meno colpita dalla distruzione dell’841, intorno ad essa si era costruito il nucleo urbano più consistente o, finalmente, perché costruita sul modello della ononima basilica Liberiana.

*Parrocchia Immacolata Concezione di Maria Vergine

La Chiesa Parrocchiale dell’Immacolata Concezione di Maria Vergine a Santa Maria Capua Vetere (CE), inaugurata nel 2010, è caratterizzata da una pianta "a ventaglio", convergente vs il campanile in c.a., da cui si diramano "a raggiera" le cinque falde a curvatura variabile della copertura in legno lamellare.
La sagomatura sinusoidale dell’estradosso delle pareti laterali in c.a, che intercettano il campanile a diversa quota, al fine di compensare i quattro metri complessivi di dislivello, ha imposto per la copertura lignea, un sistema "scalettato" di sei travi principali a doppia curvatura, di luce pari a 18 mt circa.
Gli arcarecci, disposti in flessione retta, rastremati all’estradosso per costituire il miglior supporto possibile al tavolato superiore fortemente curvato, hanno luce variabile da mt 3,0 a mt 10,0 circa.
Gli appoggi delle travi principali, realizzati in carpenteria metallica pesante, sono stati collocati dai progettisti sul matroneo.


*Sant'Agostino Vescovo

Edificata quasi certamente nel VI sec. La Cappella, conosciuta nei sec. XVII e XVIII come S. Agostino ad Arcum, per la breve distanza dall’Arco Adriano, si innalzava solitaria lungo l’Appia, lontana dalle prime case del casale di S. Erasmo.
Nell’elenco cronologico dei vescovi dell’antica Capua, stilato dal canonico Gabriele Jannelli, S. Agostino occupa il quinto posto, e sedette sulla cattedra vescovile, quasi certamente, dal 252 al 260 d.C. circa.
Ma, come sovente accade per fatti molto antichi, di questo vescovo si hanno scarsissime notizie antecedenti a questo limitato periodo.
Secondo il succitato Jannelli, Agostino proveniva da Cartagine ed era amico di Cipriano vescovo di quella città.
La storia di Agostino ebbe inizio con l’ascesa di Decio, acclamato imperatore nella primavera del 249 dai soldati della armata pannonica alle sue dipendenze. (Pannonia – attuale Ungheria). Dopo la sua elezione, Decio decise di recarsi a Roma e nell’ottobre dello stesso anno, appena giunto nella capitale, iniziò a meditare su quali misure prendere contro le numerose comunità cristiane presenti nella città e nell’Impero. Questa decisione imperiale è da ricercare principalmente nei seguenti motivi:
1°) Nel fatto che Decio essendo stato eletto dai suoi soldati voleva anche essere riconosciuto dal popolo come legittimo imperatore. Pertanto, approfittando dell’entusiasmo suscitato dalle celebrazioni avutesi l’anno precedente per il primo millennio della fondazione di Roma, pensò di ristabilire l’antico ideale dello stato e della religione ufficiale dell’Urbe. Per questo fu indicato con l’appellativo "Rerstitutor sacrorum".
2°) Nell’insofferenza del popolo contro il cristianesimo. Tale malanimo, sempre frenato dal precedente imperatore Filippo l’Arabo, potè finalmente esplodere in disordini aventi lo scopo di richiedere misure drastiche contro gli adepti della nuova religione.
La persecuzione ebbe inizio prendendo lo spunto dal tradizionale sacrificio in onore di Giove, una pratica religiosa divenuta abituale e non seguita più da molti fedeli.
Pertanto, il 3 gennaio del 250, Decio, giunto nel Campidoglio, solennemente officiò il rito e diede ordine che, in tutto l’impero, i cittadini romani facessero altrettanto. Ovviamente l’ordine valeva anche per i cristiani che furono obbligati a sacrificare alle divinità pagane. In caso di rifiuto, accusati di empietà, sarebbero stati imprigionati, esiliati o condannati a morte.
L’intenzione delle autorità era quella di ottenere il volontario abbandono della nuova religione e per rendersi conto se quanto ordinato venisse realmente eseguito, furono inviate delle apposite commissioni nelle città e nei villaggi.
Il sacrificio consisteva in un atto di abiura accompagnato da un sacrificio o dall’offerta dell’incenso secondo il rito pagano e una volta compiuto quanto richiesto, a tutti coloro che si assoggettava al sacrificio veniva consegnato un certificato scritto attestante l’avvenuto sacrificio: il cosiddetto "libellus".
Ovviamente, vi furono dei proseliti che rifiutarono di sottoporsi a tale pratica e furono sottoposti al martirio, ma, molti altri, per evitare queste sofferenze, accettarono di sacrificare o, corrompendo qualche funzionario, acquistarono il famoso libello.
Costoro vennero definiti "lapsi", cioè coloro che sono caduti in errore.
Altri ancora, si allontanarono dalle città in cui vivevano rifugiandosi in luoghi più sicuri. Così fece pure Cipriano, eminente personalità fra i cristiani e vescovo di Cartagine, vivendo per qualche tempo nel deserto pur mantenendo vivi i contatti con la Chiesa, e intervenendo nelle dispute religiose.
Con molta probabilità, più o meno negli stessi giorni, forse consigliato dallo stesso Cipriano, anche Agostino e sua madre Felicita, si allontanarono da Cartagine, e raggiunsero Capua, città in cui, al loro arrivo, erano conosciuti solo da pochi esponenti del clero capuano.
La persecuzione cessò con la morte di Decio e di suo figlio Erennio Etrusco, avvenuta il 1° luglio del 251 durante la guerra contro i Goti, nella battaglia di Abrittus, località a nord della città di Nicopoli in Bulgaria.
Non essendoci più pericolo, molti di coloro definiti lapsi chiesero di essere riammessi nella comunità cristiana. Ma, dopo il suo ritorno a Cartagine dal volontario esilio, Cipriano era propenso ad applicare, per loro, una certa severità.
Invece, a Roma, dove i lapsi erano in numero maggiore, il vescovo Noviziato preferì una riconciliazione più facile.
Sulla questione dei lapsi, S. Cipriano scrisse una lettera anche al clero di Capua, lettera che esiste tuttora. Si dice che scrisse pure una lettera ad Agostino, ma essa non è pervenuta.
Mentre i cristiani discutevano su queste cose, la vita dell’Impero Romano continuava. A Decio successe Treboniano che non si occupò molto dei cristiani, e anche se le fonti cristiane ricordano una persecuzione, sembra che l’unico atto ostile fu l’arresto e l’incarcerazione di papa Cornelio nel 525.
Nell’agosto del 253, Treboniano morì, e, nel settembre dello stesso anno, venne proclamato imperatore Valeriano (253-260) che, durante i primi anni del suo regno, si dimostrò favorevole alla nuova religione.
A Capua, intanto, Agostino, divenuto personaggio molto stimato dalla comunità cristiana della città, era stato acclamato vescovo e con solerzia, insieme alla madre Felicita, curava il gregge che lo aveva scelto come guida.
Qualche anno dopo, però, le cose cambiarono, e per i consigli di Macriano, suo principale collaboratore e capo di un partito ostile ai cristiani, l’Imperatore Valeriano, riprendendo il tentativo di Decio, infierì contro i cristiani e, in modo particolare, contro il clero.
Nel 257 emise un primo editto. Veniva ordinato a tutti i vescovi, presbiteri e diaconi di fare un sacrificio idolatrico sotto pena dell’esilio e della confisca dei beni. Nello stesso tempo furono vietate tutte le adunanze religiose.
Pochi mesi dopo, nel 258, con un secondo editto, l’imperatore ordinò che i succitati vescovi, presbiteri e diaconi venissero giustiziati subito; mentre i membri dell’aristocrazia ed i senatori, seguaci di Cristo, fossero privati di tutti gli onori, confiscati i loro beni e, se ancora fedeli a tale culto, anch’essi decapitati. Disposizioni simili furono prese anche contro i cristiani in servizio presso la casa imperiale e, per la prima volta, anche contro le matrone.
Lo scopo principale di queste misure era quello, innanzitutto, di riempire le esauste casse statali e, in secondo luogo di indebolire le comunità cristiane privandole delle guide spirituali.
Ovviamente, né Agostino né sua Madre si sottoposero a quanto espressamente richiesto dall’ultimo editto e pertanto subirono il martirio il 15 o il 16 novembre di un anno imprecisato compreso fra il 250 e il 260 d.C., verosimilmente nel 258, cioè poco prima della partenza, avvenuta nei primi mesi dell’anno seguente, dell’imperatore Valeriano I per la campagna contro Sapore I, il re sasanide che lo catturò e lo rese schiavo.
Il figlio Gallieno, già associato al padre, rimasto unico imperatore pose fine alla persecuzione.


*Chiesa Sant'Andrea Apostolo
Il Parroco

Il Sacerdote Gennaro Iodice é nato a Casalba (oggi Macerata Campania) - (Ce) il 9 Luglio 1944. Dopo le classi elementari e dopo due anni di avviamento professionale in S. Maria C. V., ha frequentato la seconda media nel Seminario Vescovile di Caserta; ha terminato gli studi ginnasiali nel Seminario Arcivescovile di Capua e quelli liceali teologici nel Pontificio Seminario di Benevento prima e in quello Arcivescovile di Napoli dopo.  
Ordinato Sacerdote il 21 Settembre 1969 da S. Ecc. Mons. Tommaso Leonetti, è stato Vicario Coadiutore (Vice Parroco) della Parrocchia di S. Andrea Apostolo in S. Maria C. V. dal Novembre 1969 a tutto Febbraio 1977.

Dal 1977 al Novembre 78 Vicario Coadiutore della Parrocchia S. Martino V. in Macerata Campania (Ce). Dal Novembre 1978 al Marzo 1980 Economo curato della stessa Parrocchia di S. Martino V. Parroco in S. Martino V. di Macerata Campania dal 1980 al 1991.
Dal 1991 Fidei Donum in Guatemala nella Congregazione della Divina Redenzione fondata da P. Arturo d'Onofrio a Visciano, presso Nola. Collaboratore di P. Livio nell’HOGAR del nigno nella città di Guatemala in Guatemala.

Nello stesso periodo anche Coadiutore di don Gabriele Marino, Parroco della Parrocchia de la Maya sempre nella stessa città e successivamente Economo Curato nella Parrocchia del "Cristo Resuscitato" sempre nella città di Guatemala.
Dal Marzo 1992 fino a Maggio 1994 Parroco della Parrocchia della Vergine Maria del Carpinello nella periferia Nord-Orientale della città di Medellin in Colombia.
Dal 14 Dicembre 1994 al 5 Ottobre 2001 Parroco della Parrocchia S. Cuore in Capua. Dal 6 Ottobre 2001 Parroco in S. Andrea Apostolo di S. Maria C. V. (CE) .

*Chiesa Sant'Erasmo
Notizie Storiche 1032 – 1336 (preesistenza intero bene)

Esiste un diploma reale del 1336 con il quale il re Roberto d’Angiò ordinò l’edificazione di una Chiesa presso il suo Castello (appunto la Torre di S. Erasmo) nel rione omonimo. Questa chiesa fu poi demolita nel 1909 e se ne costruì una nuova poco distante
Descrizione
La costruzione della chiesa di S. Erasmo, quasi di fronte all’omonima cappella edificata dagli angioini qualche secolo prima, risale al 1889. Gli annali ricordano una cerimonia di fondazione particolarmente solenne con la partecipazione delle più alte cariche cittadine ed ecclesiali. Fu il vescovo Alfonso Capecelatro a benedire la prima pietra di una costruzione che, però, vide dei lavori lunghi e complessi. Solo nel 1919 la chiesa di S. Erasmo fu completa dopo la demolizione della vecchia chiesa avvenuta nel 1909.
L'interno della Chiesa è ad un'unica navata, con volta a botte decorata dagli affreschi dell'investitura divina e sacra di Sant'Erasmo e della Presentazione al Tempio. L'abside custodisce l'icona della Maternità e due bassorilievi rappresentanti Santa Teresa e Santa Rita, opere del M° Amedeo Ventriglia.
Il lato destro è diviso dalle cappelle dedicate a San Francesco, all'Immacolata, a Sant'Alfonso e dall'altare dedicato alla Madonna di Pompei, donata da Bartolo Longo. A sinistra si trovano invece, le cappelle e gli altari del Cuore di Gesù, del Crocefisso, San Giuseppe e Sant'Antonio Abbate. Il fonte battesimale è di marmo rosa. All'entrata sulla destra si fa notare un affresco raffigurante il Battesimo di Cristo.
La facciata, edificata a spese di Ciro Papale, presenta due livelli divisi in maniera marcata. Il timpano superiore, di forma triangolare, è affiancato sulla destra da una torretta campanaria. Il secondo livello è scandito da una serie di lesene corinzie che si frappongono a tre finestroni, con a lato un orologio e lo stemma di dedica della facciata stessa.
Il livello inferiore presenta un grande portale, a cui si giunge attraverso quattro scalini, delimitato da due colonne doriche.
Il timpano che sormonta il portale, di forma emiciclica, contiene uno stucco raffigurante la Madonna in Trono.
L'intera costruzione paga la mancanza di una piazza o, anche di uno spiazzo che dia profondità alla facciata, troppo alta rispetto alla via angusta che le è innanzi.
La Chiesa fu decorata dall'artista Iodice nel 1923, ma il tempo e l'incuria hanno devastato una gran parte delle decorazioni.
Il restauro è cominciato nel 1993 con l'avvento del parroco don Elpidio Lillo, il quale trovando la chiesa in uno stato di pietoso abbandono, con l'aiuto di molti volontari e l'opera preziosa degli artisti Mincione Pasquale e Pennacchio Pasquale, ha ridato alla chiesa il suo splendore nel 1997.

*Chiesa Santa Maria delle Grazie

La chiesa della Madonna delle Grazie fu dichiarata parrocchia il 13 gennaio 1964 dall'Arcivescovo di Capua Mons. Tommaso Leonetti, che affidò "pleno jure" ai Frati Minori nella persona del M.R.P. Emanuele Lombardi, Ministro Provinciale dei Frati Minori di Napoli, la cura pastorale della zona, che andava fortemente sviluppandosi attorno alla chiesa e al convento francescano.
Il territorio parrocchiale si estende a Nord - Ovest di Santa Maria C. V. in una zona che in questi ultimi anni ha conosciuto un forte sviluppo. La popolazione ha caratteristiche socio - culturali eterogenee. Nell'ambito della parrocchia si trovano la Casa circondariale di Detenzione e Rieducazione (P.zza S. Francesco d'Assisi), una Scuola elementare, il Tabacchificio, il Campo Sportivo. Nel 1989 contava circa 2850 abitanti.
Il 3 dicembre 1963 fu stipulata la "Convenzione tra L'Ecc.mo Ordinario di Capua e il M.R.P. Ministro Provinciale OFM di Napoli per l'erezione del beneficio parrocchiale nella chiesa di S. Maria delle Grazie in S. Maria C. V. da affidarsi "in perpetuum et ad nutum S. Sedis". Il solenne rito del "possesso canonico" ebbe luogo il 15 febbraio 1964 con la partecipazione dell'Arcivescovo di Capua, del Ministro Provinciale, e del Sindaco della Città.
Erano presenti anche i giovani studenti francescani di S. Lucia al Monte e di Grumo Nevano, sacerdoti, suore, religiosi e numerosissimi fedeli. Dopo il rito sacro, presso i locali del convento, vi fu un ' agape fraterna alla quale presero parte molti cittadini.
Fondazione della Chiesa e del Convento di S. Maria delle Grazie
Fuori le mura della città, a circa 300 metri dall ' abitato, in prossimità della via provinciale, esisteva un'antica Cappella dedicata alla Madonna delle Grazie. Erano i ruderi della famosa Basilica dei Santi Martiri Stefano e Agata, fatta erigere dal Vescovo S. Germano tra il 510 e il540 tra il "Catabulum" e l'Anfiteatro Campano. Il Santo Vescovo tornato da Costantinopoli, dove era stato inviato dal papa Ormisda (514-523), per porre fine allo scisma di Acacio, vi depose le reliquie del protomartire Stefano, portate dall'Oriente.
Detta Basilica fu distrutta dai saraceni capitanati da Radalgiso durante il saccheggio che subì Capua nell'841 d.C.
Dell'intero complesso paleocristiano si salvarono 1' arco dell'abside, l'abside laterale sinistro e l'annesso Palazzo Vescovi le dove dimorarono i Vescovi a S. Maria, quando questa fu distinta da Capua. Nel medioevo veniva additata come "derelicta sancti Stephani Ecclesia". Essa, secondo la descrizione dello scrittore Johannowsky, constava di tre navate con tre absidi a semicerchio e dalle Visite pastorali del Canonico Giuseppe Vetta (1778) per ordine dell ' arcivescovo Adelmo Gennaro Pignatelli si evince che la chiesa era rivolta ad Oriente, come era costume del tempo.
Tale Cappella di proprietà del Comune richiamava l' attenzione di molti fedeli, che vi si recavano per la preghiera, ma essa era in stato di grande abbandono.
Nel 1827 era tenuta in piedi e vi incrementava il culto un vecchio eremita settantenne, Francesco Pezzella, il quale, con l'abito di eremita, questua va per il mantenimento della sacra edicola e per la celebrazione della Santa Messa. Al Pezzella successe l'eremita Giuseppe Perrotta, già colono, e così di seguito, senza che il bilancio del Comune fosse gravato.
Ma con l'andare del tempo la Cappella, non avendo adeguati restauri, andava sempre più deteriorandosi. Venne l'occasione propizia per porre rimedio all'inevitabile e definitiva rovina del sacro edificio.
Per caso si trovò a passare in quella zona il signor Carlo Bisogni con alcuni suoi amici di S. Maria Capua Vetere, per una passeggiata.
Sorpresi da un violento acquazzone si rifugiarono nella Cappella, anche se essa faceva acqua da tutte le parti. Il Bisogni restò, da un lato, ammirato per la felice scoperta, dall’altro, amareggiato per lo «stato precario di quella preziosa reliquia». Se la prese con il custode eremita, ma questi gli rispose che, non avendo sovvenzioni e fondi necessari, a stento riusciva a pagare, con le offerte dei fedeli, il sacerdote che celebrava la santa messa.
Il Bisogni, allora, da cristiano fervente e devoto della Madonna. Pensò di acquistarla a proprie spese c il 31/12/1884 fece istanza all' Amministrazione comunale.
Questa, nella seduta straordinaria del 21/2/1885, concesse all’unanimità al richiedente la Cappella con tutti gli accessori la somma di lire 600, con la clausola che la Cappella fosse sempre aperta al pubblico e destinata al culto divino.
Ma l' intenzione dell’acquirente era quella di affidarla ai Padri Alcantarini, perché ne facessero un centro di spiritualità mariana e per questo la Curia Arcivescovile di Capua ottenne, previo rescritto della Santa Sede la sanatoria, avendo costui trattato direttamente la compravendita di un edificio sacro senza consultare le Autorità religiose locali.
Il card. Alfonso Capecelatro, accondiscendendo ai pii desideri del Bisogni, affidava con decreto del 5/6/1885 la Cappella e l'eremo adiacente ai Francescani Alcantarini nella persona di P. Giustiniano Pcluso, residente nella vicina Macerata. Assieme ad altri due confratelli prese dimora in tre stanzette adiacenti alla Cappella e, sostenuto dal Bisogni, vi apportò i dovuti restauri e l'abbellì quanto meglio poté.
Ciò contribuì ad aumentare l’afflusso dei fedeli, per cui la piccola comunità religiosa constatò l'insufficienza del luogo per accogliere tante persone c cominciò a vagheggiare l'idea per la costruzione di una chiesa più grande e di un conventino che potesse ospitare in modo più degno la comunità religiosa.
Tra la fi ne dell'800 c i primi del '900 sono stati di comunità presso i locali della Madonna delle Grazie, P. Giustiniano Peluso, P. Mattcso Pensa, P. Angelo Pietrogiacomo, P. Mansueto di Maria Purissima, P. Anselmo Chiacchio, P. Carmine Rotoli, P. Giammaria Palumbo.
La gioia e la sorte di veder realizzati i sogni vagheggiati toccava proprio a quest'ultimo, il quale, entrato a far parte della nuova comunità nell'anno 1906, veniva eletto superiore nell’ anno successivo.


*Parrocchia San Paolino Vescovo di Capua – Chiesa Vecchia e Nuova
La Parrocchia intitolata al santo vescovo di Capua Paolino del IX secolo (fu vescovo dall’835 all’843), è stata voluta e istituita canonicamente del 1964, il 13 di gennaio, dall’Arcivescovo del tempo, Mons. Tommaso Leonetti che il 5 maggio dello stesso anno l’affidò alla cura pastorale di don Pietro Ferriero, che ne fu primo parroco, unendo così tutto il tempo della sua vita in modo indissolubile alla storia della comunità.
Parrocchia nuova, ne consegue…l’assenza della chiesa parrocchiale!
In virtù di un accordo stipulato tra l’Arcivescovo e la Confraternita  A.G.P. e del Carmine, la Parrocchia fu ospitata nella Cappella della sunnominata Confraternita;  fu provvista di terreno, acquistato dallo stesso Arcivescovo da un beneficio della Parrocchia di S. Marcello Maggiore in Capua, in previsione della costruzione della parrocchiale, e le furono offerti in uso alcuni locali all’interno dell’ex Palazzo Vescovile, sito in Via Melorio, per poter svolgere le ordinarie attività di catechesi e accoglienza.
Nella piccola Cappella di Via Melorio la vita spirituale di una comunità che lentamente si andava formando, cominciò a pulsare, divenendo con gradualità motore per una linfa sempre più vitale che con forza attraversava tutto il corpo.
Dimensione profetica, liturgica, di carità, andavano consolidandosi e imponendosi, così che nel vigore di poco tempo la piccola comunità acquistò una fisionomia ben definita.
Malgrado la carenza di ambienti, la Parrocchia accolse il gruppo Scout 1 di S. Maria C. V. e la sede dell’UNITALSI.
Fu fucina di un movimento missionario che poi si è esteso e consolidato anche in altre Parrocchie della città, nonché riferimento per non pochi poveri e ultimi, che trovavano una porta sempre aperta e una mano pronta a soccorrere.
Mancava la ciliegina, però! Quella chiesa parrocchiale tanto attesa e desiderata.
Nel 1967 e successivamente nel 1974 due progetti furono approntati e finanziati dalle Opere Pubbliche, ma in modo insufficiente, così che il sogno continuò a rimanere nel cassetto.
Don Pietro, scomparso all’alba del 1993, portò con sé in Paradiso il desiderio della costruzione della parrocchiale.
Dal 5 gennaio 1994 al 31 ottobre 1995, l’amministrazione della Parrocchia fu affidata a p. Berardo Buonanno, dei Frati Minori, che rivitalizzò le attività avviate da don Pietro, che avevano conosciuto un momento di appannamento in seguito alla sua lunga malattia, e ne avviò di nuove, tenendo ben saldo il timone della conduzione della vita parrocchiale.
Dal 1 novembre 1995 fino ad oggi l’amministrazione della Parrocchia è affidata a don Salvatore Monaco, che immessosi nella nuova realtà ha avviato a conclusione alcune questioni irrisolte, in particolare quella della costruzione della Chiesa e delle annesse opere pastorali, cominciata con la posa della prima pietra il 28 giugno 1998 e conclusasi con la solenne dedicazione il 24 marzo 2001.
In questi ultimi anni, anche grazie ai muovi spazi e alle rinnovate ene4rgie che la Provvidenza sempre dispone attraverso collaboratori nelle opere pastorali, la Comunità è cresciuta e maturata. Molteplici, oggi, sono le attività che si svolgono: ma il giudizio su queste non spetta a noi.
Disponiamo piuttosto che i nostri giorni e le nostre opere sempre più si adeguino al disegno di Dio, così da portare, all’interno di questa Comunità parrocchiale e su questo specifico territorio, un pezzettino di paradiso!


*Chiesa San Paolo Apostolo
Addio don Pierino, due comunità in lutto

Per la comunità di Santa Maria Capua Vetere ha rappresentato per anni una guida, per la sua città, Portico era un figlio di cui andare orgogliosi.
Don Pietro Piccirillo, per tutti semplicemente don Pierino, ha salutato questo mondo per compiere il suo ultimo viaggio.
Nominato il nuovo parroco della chiesa San Paolo Apostolo a Santa Maria Capua Vetere. Il successore del compianto Monsignore Pietro Piccirillo è don Gennaro Fusco, cinquantenne sammaritano doc, docente di diritto canonico, già parroco della parrocchia di San Vito a Ercole frazione di Caserta. Da voci di corridoio l’insediamento dovrebbe avvenire in forma solenne il 23 agosto 2021.
Il Vescovo di Capua, Monsignore Salvatore Visco presiederà la solenne celebrazione eucaristica. Don Gennaro, originario proprio di Santa Maria Capua Vetere, proviene dalla chiesa di Ercole di Caserta dopo aver trascorso diversi anni alla Santa Maria delle Vittorie di Casagiove

Don Gennaro Fusco è il nuovo parroco della Chiesa di San Paolo Apostolo a Santa Maria Capua Vetere


*Chiesa San Pietro Apostolo

La chiesa sorge sulle rovine di un antico tempio: secondo alcuni storici si tratta della basilica fatta costruire intorno al 320 d.C. da Costantino il Grande, la cosiddetta "Costantiniana".
Altri ritengono invece che si tratti dei resti della chiesa fatta edificare nel 455 da S. Prisco II, 41° vescovo di Capua, con il titolo di S. Pietro ad corpus, riferendosi con tale specificazione al fatto che la chiesa si trovava nel corpo, cioè al centro della Città. In questa chiesa sarebbero state conservate le reliquie del suo fondatore.
Secondo la cronologia dei vescovi dell’antica Capua, redatta dal canonico Gabriele Jannelli, fondatore del Museo Provinciale Campano, fu sede vescovile dal 327 al 455, anno in cui il vescovo Prisco II trasferì la sua sede nel Duomo.
Nel 1950 furono effettuati dal De Franciscis scavi nella piazza che portarono alla luce i resti di una domus risalente al I a.C. secolo, luogo in cui, secondo la tradizione, S. Prisco avrebbe ospitato S. Pietro.
Questa casa, secondo il De Franciscis, fu successivamente trasformata in luogo di culto. Su di essa sarebbe sorta la Basilica Apostolorum, edificata a tre navate.
Distrutta nel corso delle invasioni barbariche, fu realizzata sulle sue rovine una torre di difesa in epoca longobarda.
Seguiamone la storia nei secoli successivi come riportato nel testo di Gustave Clausse
"Basiliques et mosaïques chrétiennes" del 1893:
"CATTEDRALE DI S. PIETRO IN CORPO
"Le antiche basiliche di Capua, dedicata una, la cattedrale, a San Pietro in Corpo, e costruita, si dice, da Costantino; l’altra, eretta nel V secolo sotto il titolo di S. Maria Maggiore dal vescovo Simmaco, sono sfuggite alla distruzione e ai terremoti.
"La chiesa cattedrale, ricostruita una prima volta dal conte Lando e dal vescovo Landulfo nell’840, riedificata quasi completamente una seconda volta all’epoca di Carlo d’Angiò, probabilmente dall’architetto francese Pierre d’Angicourt, è un monumento notevole per la purezza e la ricchezza di stile gotico che qui è stato impiegato.  
1 Pierre d’Angicourt, architetto francese, portato in Italia da Carlo d’Angiò quando è venuto, chiamato da Urbano IV, era stato incaricato di sovrintendere a tutti gli edifici pubblici: si deve a lui la costruzione della cattedrale di S. Gennaro a Napoli come quella di S. Pietro di Capua.)
"Tuttavia qui ritrova una bella disposizione proveniente dall’architettura dell’antica chiesa: la cupola che sormonta il punto d’intersezione del transetto e della navata principale è sostenuta da diciotto colonne di granito antico provenienti dal famoso anfiteatro di cui i Saraceni avevano fatto una fortezza.
"Ciampini ha potuto ancora vedere e fare l’incisione di un bel mosaico che decorava la volta dell’abside. Esso rappresentava, sull’ara della tribuna: Il busto di Nostro Signore in un medaglione, e da ciascun lato i profeti Isaia e Geremia che tengono in mano dei grandi rotoli aperti recanti delle iscrizioni. Al centro della conca la Vergine Maria, assisa su un trono, sistemata frontalmente, che tiene tra le braccia il suo divino Figlio. Ai suoi lati si trovano S. Pietro e S. Paolo e più lontano S. Agata e S. Stefano.
I due apostoli sono vestiti di toghe bianche, i due santi sono ricoperti di ricchi vestimenti ricamati.
"Ciampini aveva creduto di poter fissare la data di questi mosaici al principio del IX secolo, epoca che concorda con la ricostruzione del vescovo Landolfo, riportandosi all’iscrizione posta alla base della tavola e così concepita

CONDIDIT HANC AULAM LANDULFUS E TOTO BEAVIT
MOENIA RES MOREM VITREUM DEDIT UGO DECOREM

Noi possiamo oggi rettificare l’errore del dotto archeologo romano, errore che deriva dal fatto che egli ignorava l’epoca nella quale era vissuto l’arcivescovo Ugo, autore del mosaico; ora, Jannelli, in un interessante lavoro sulla cattedrale di Capua ha potuto determinare questa epoca ponendola nell’anno 1130.
Il mosaico, distrutto a seguito dei lavori eseguiti nel 1702 appartengono dunque alla prima metà del XII secolo.


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