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Pompei, Città dell'Amore - Le Opere di Carità del Santuario
Chi siamo!
Pompei Città dell’Amore - L’emergenza educativa: un problema di sempre.
Ci sono ragazzi ai quali la vita rende difficile o quasi impossibile crescere, studiare, giocare, vivere. Questi ragazzi, vittime di abbandoni familiari, del degrado sociale, orfani di uno o di entrambi genitori, a volte costretti a vivere per strada, o comunque in situazioni di disagio economico e sociale, non possono andare a scuola come gli altri, devono lavorare invece che giocare, hanno "amici" che spesso li inducono a fare errori e cose sconsiderate senza valutarne le conseguenze. Quotidianamente questi bambini e questi ragazzi sono esposti ai pericoli della strada, di una vita senza punti di riferimento e alla violenza di chi non ha rispetto della loro purezza e innocenza, tutto ciò permea le loro esperienze e il loro vissuto soggettivo, un vissuto che diventa ogni giorno più difficile da rimuovere. Questa realtà determina numerose difficoltà che impediscono a questi giovani di accedere a normali percorsi educativi e formativi e minano pesantemente la loro crescita morale e spirituale.
Tanto più le condizioni di questi bambini e ragazzi sono precarie e instabili, tanto più essi saranno preda di violenze, abusi, soprusi, ingiustizie e pericoli. Il processo educativo è, dunque, uno dei principali strumenti attraverso cui arginare questi fenomeni di degrado sociale e ridare una speranza di vita migliore a questi giovani privi di futuro. Questa è un’esigenza di tutti i tempi, un’esigenza che non fa distinzione di Nazioni, razze, religioni. Dunque, la costruzione di una società libera e in Pace, nasce proprio da qui. Questo è ciò che è accaduto a Pompei, dove l’esigenza di educare e formare i giovani si è sentita fin dalla città stessa. E a intuire tutto ciò è stato un avvocato, un laico, poi diventato Beato, che ha fondato una città, un santuario e numerose opere di carità che ancora oggi offrono una casa, l’educazione e l’amore a tanti bambini e ragazzi che provengono da difficili situazioni di disagio economico e sociale. L’artefice di tutto questo è il Beato Bartolo Longo, colui che ha dato vita alla Nuova Pompei.
In oltre cento anni di vita, le Opere Sociali realizzate dal Beato Bartolo Longo hanno accolto, preparato alla vita ed al lavoro, migliaia e migliaia di ragazzi e ragazze: certamente oltre centomila ad iniziare dal 1886.
Il Fondatore del Santuario di Pompei, fin dal 1886, diede vita ad un grandioso progetto di carità indirizzato agli afflitti, agli emarginati e ai poveri del suo tempo. In particolare, la sua opera mirava ad offrire accoglienza, educazione e amore all'infanzia orfana o abbandonata e dunque priva di punti di riferimento familiare per la propria crescita umana e sociale. Allargò in seguito. La sua azione benefica puntando soprattutto ai casi più difficili di allora, quali i figli e le figlie dei detenuti. Così, accanto agli asili sorti nel 1886, gli oratori per il catechismo e alle "Case operaie", del 1887, Bartolo Longo costruì tre Istituti per ospitare i minori disagiati del suo tempo. Nel 1887, vide la luce l’Orfanotrofio Femminile che accolse le fanciulle orfane ed abbandonate, salvaguardandole dai pericoli provenienti dalla loro situazione di miseria materiale e morale. Il Fondatore ne affidò la direzione alle Suore Domenicane "Figlie del Santo Rosario di Pompei". Con lo stesso scopo, Bartolo Longo fondò, nel 1892, l’Ospizio per i figli dei carcerati, affidandone la direzione ai Fratelli delle scuole Cristiane.
Nel 1922, pochi anni prima della sua morte, diede vita a "L’ultimo voto del cuore", come lui stesso lo definì: l’Ospizio per le figlie dei carcerati che affidò alle cure amorevoli delle stesse Suore.
Sempre pronte a cogliere i segnali ed a rispondere alle necessità provenienti dalle fasce deboli della società, negli anni ’60, le opere del Beato cominciarono a subire le prime trasformazioni, resesi necessarie a seguito dell’evolversi della società e dei nuovi bisogni emergenti, così da modificarne la tipologia e il numero di utenti. Inoltre, per far fronte alle nuove esigenze educative e scongiurare il nascere di forme di emarginazione sociale, alcuni locali dell’Orfanotrofio e dell’Ospizio furono adibiti all’uso scolastico.
I cambiamenti si sono susseguiti nel tempo, in modo continuo e costante, fino ai tempi più recenti, durante i quali, anche a seguito delle norme introdotte in materia, nuove e profonde trasformazioni sono state apportate alle Opere sociali fondate dal Beato, dando vita a strutture in grado di offrire ogni tipo di accoglienza e di supporto indispensabile alle necessità che, di volta in volta, l’emergenza educativa presentava.
L’ideale pedagogico di Bartolo Longo
"Ho già detto che la Carità, nel senso più largo della parola, cioè l’amore, deve essere la base, deve essere la base, il fondamento di ogni sistema pedagogico che voglia pervenire a sicuri e lodevoli risultati; e aggiungo ora, che con l’amore e per l’amore si ottiene educato il fanciullo. Ancorché incorreggibile, o come dicono, delinquente nato. Fategli comprendere che lo amate, perché è sventurato; che lo educate solo perché lo amate; ed egli vi amerà, e per amore si sforzerà di corrispondere alle assidue e amorevoli cure che voi spendete per educarle. E voi troverete nei fatti che la Carità supera tutti i mezzi suggeriti dalla pedagogia e dalle Scienze; e nel campo didattico, come in qualsiasi altro, assicura vittorie certe, grandi e definitive.
Però la carità, come ho provato altre volte, non è nemica della Scienza.
Quindi se io pongo la carità a base dell’Educazione di fanciulli reietti e nati male, non escludo verun ritrovato della scienza e segnatamente della Pedagogia, che è destinata a formar l’Uomo, e quindi è la più ardua com’è la più importante tra le scienze. Ma dico solo che il fondamento di ogni educazione è l’amore cristiano". (Bartolo Longo, "Il Triplice Trionfo della Istituzione a pro dei Figli dei carcerati", Pompei, 1895, pp. 66-67).
Attraverso le parole del Beato Bartolo Longo emerge chiaramente il suo ideale pedagogico, la sua fiducia nell’amore come principio educativo e nella carità come mezzo per arrivare a rendere migliore la vita dei minori in difficoltà che, come tutti, hanno il diritto di crescere circondati dall'affetto e dalle cure di chi si occupa di loro.
Sulle orme di Bartolo Longo
Bartolo Longo si spegne il 5 ottobre del 1926. Da quel giorno tutte le opere realizzate in vita dal Fondatore devono essere portate avanti senza di lui. La società, nel contempo, si va trasformando ed evolvendo e il criterio ispiratore degli interventi sociali deve essere adeguato al processo di modernizzazione.
Nel corso degli anni, dunque, subiscono mutamenti e trasformazioni per essere adattati alle diverse emergenze sociali. Le realtà caritative realizzate dal Fondatore, che sono nate e si sono sviluppate secondo un percorso socio-pedagogico che ha costantemente tenuto fede al suo carisma originario, attraverso la loro storia, raccontano i cambiamenti della società in questi 120 anni.
Le opere sociali oggi
Oggi tutti i progetti di carità realizzati da Bartolo Longo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, hanno subito notevoli trasformazioni, soprattutto a seguito dell’evoluzione legislativa che ha interessato il campo dell’assistenza sia nei confronti dei minori abbandonati o in gravi difficoltà economiche e sociali, che degli orfani.
È a partire dagli anni ’70 che le norme legislative regionali e regionali hanno previsto nuovi assetti organizzativi nel campo educativo e in quello sanitario e sociale. La più grande trasformazione ha riguardato proprio il progetto "Istituto".
Questo tipo di struttura, dotato di un’organizzazione e di un’identità definita, rispondeva all'esigenza di assistere orfani, abbandonati o mentalmente deboli.
Ma ben presto, nonostante ciò, si cominciò a dubitare della sua efficienza, nonché delle gravi perdite economiche che causava allo Stato.
La delibera regionale del 25 giugno del 1992, rifacendosi alla legge n. 698 del dicembre 1975 che trasferiva alle Regioni i poteri di vigilanza e controllo su tutte le istituzioni pubbliche e private di assistenza ai minori, stabiliva altresì i requisiti organizzativi, strutturali e pedagogici necessari per l’autorizzazione al funzionamento.
Tra le forme di accoglienza, oltre alla comunità di tipo familiare e alla comunità alloggio, era prevista quella dell’istituto educativo-assistenziale con un massimo di 40 posti.
A seguito di questa delibera, nel 1997, l’Orfanotrofio Femminile venne trasformato in "Centro Educativo Beata Vergine del Rosario", suddiviso in diverse comunità di accoglienza, ognuna con una propria autonomia.
Nel 2000, con la legge n. 328, gli Istituti-Comunità scomparvero del tutto e vennero previsti solo "interventi di sostegno per i minori in situazioni di disagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine e l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare".
Inoltre la stessa legge prevedeva ancora che "i servizi e le strutture a ciclo residenziale destinati all’accoglienza dei minori devono essere organizzati esclusivamente nella forma di strutture comunitarie di tipo familiare".
Con la legge n. 149 del 2001 è stata poi modificata la disciplina sull’adozione e sull’affidamento dei minori, prevedendo che la comunità di tipo familiare fossero solo abitazioni "di passaggio" per il minore che, al più presto, doveva essere adottato e doveva ritornare, qualora fosse possibile, presso la famiglia di origine.
Infine, entro il 2006, "il ricovero in istituto doveva essere superato mediante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in una comunità di tipo familiare caratterizzata da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia".
Le trasformazioni introdotte dalla vigente normativa in materia non hanno tuttavia intaccato l’eredità longhiana, e i principi di carità e solidarietà del Fondatore in materia di accoglienza e assistenza ai minori in difficoltà, integralmente recepiti, sono stati attualizzati e adeguati alle presenti esigenze sociali.
Attualmente le forme di accoglienza e le relative strutture adeguate allo scopo, gestite e amministrate dal Santuario di Pompei, sono: il Centro "Beata Vergine del Rosario" suddiviso in diverse comunità, ognuna dotata di un regolamento autonomo, e il Centro "Bartolo Longo", suddiviso in "Centro di Accoglienza Oratoriale semiresidenziale" e "Polo Scolastico. Ciascuna di queste strutture si articola, a sua volta, in più interventi rivolti a fasce diverse.
Il Centro Educativo "Beata Vergine del Rosario" racchiude al suo interno la "Casa Emanuel", il Centro Polifunzionale Diurno "Crescere Insieme", il Centro di Ascolto "Myriam", il "Movimento per la Vita e Centro di Aiuto alla Vita", la comunità di tipo familiare "Giardino del Sorriso" e il "Gruppo Appartamento".
Le equipe educative dei nostri centri sono, dunque, impegnate e coinvolte in prima persona accanto ai minori e in stretta collaborazione con i servizi sociali territoriali, valutano i nuovi e possibili ingressi in struttura, elaborano e concordano il progetto educativo individuale, attuando percorsi per potenziare l’autostima e l’autonomia di ciascun minore.
Grande attenzione è rivolta poi alla famiglia di provenienza e pertanto, periodicamente, sono previsti incontri collettivi e colloqui individuali con i genitori.
Le finalità che i Centri Educativi del Santuario si propongono mirano a: dare un concreto aiuto alla famiglia mediante il potenziamento della capacità genitoriali; fornire ai minori un contesto educativo favorevole allo sviluppo della crescita psicofisica; recupero scolastico; favorire la socializzazione fra i minori e l’apertura al contesto del gruppo e della comunità. È prevista periodicamente la consulenza di psicologi, logopedisti e scambi informativi con la scuola.
Lo stile di vita dei nostri centri diurni si caratterizza per un’organizzazione di vita di tipo familiare e lo stesso metodo educativo riprende in pieno i sentimenti di amore e carità del nostro Fondatore.   
(Da: Il Rosario e la Nuova Pompei - Gennaio/Febbraio 2010)
*Le origini
Le Case dipendenti dal Santuario
Vediamo quali sono le case presso cui lavorano le Suore “Figlie del Santo Rosario di Pompei” e che dipendono direttamente dalla Prelatura di Pompei. Partiamo dal 1887 per giungere ai giorni nostri, con la presenza delle Suore anche nelle comunità parrocchiali.
Il Fondatore del Santuario di Pompei, fin dal 1886, diede vita ad un grandioso progetto di carità indirizzato agli afflitti, agli emarginati e ai poveri del suo tempo. In particolare, la sua opera mirava ad offrire accoglienza, educazione e amore a tutti i bambini e ragazzi orfani o abbandonati che, quindi, non avevano punti di riferimento familiari per la propria crescita umana e sociale. Allargò, in seguito, la sua azione benefica puntando soprattutto in casi più difficili di allora, quali i figli e le figlie dei detenuti. Così, vicino agli asili sorti nel 1886, agli oratori per il catechismo e alle "Case operaie", del 1887, Bartolo Longo costruì tre Istituti per ospitare i minori disagiati del suo tempo.
Nel 1887, vide la luce l’Orfanotrofio Femminile che accolse le fanciulle orfane ed abbandonate, salvaguardandole dai pericoli provenienti dalla loro situazione di miseria materiale e morale. Il Fondatore ne affidò la direzione alle Suore Domenicane "Figlie del Santo Rosario di Pompei".
Esempio personale, istruzione, esortazioni, carità, pazienza, tolleranza e fermezza senza durezza, erano i punti di un orientamento educativo che si ispirava ai principi evangelici della pedagogia cristiana.
Con lo stesso scopo, Bartolo Longo fondò, nel 1892, l’Ospizio per i figli dei carcerati, affidandone la direzione ai Fratelli delle Scuole Cristiane.
Nel 1922, pochi anni prima della sua morte, fondò "l’ultimo voto del cuore", come lui stesso lo definì: l’Ospizio per le figlie dei carcerati che affidò alle cure amorevoli delle stesse Suore.
Le prime trasformazioni
Negli anni ’60, l’allora Vescovo di Pompei, Mons. Aurelio Signora, per evitare che le figlie dei carcerati venissero emarginate ed additate come figlie di delinquenti, volle fondere l’Orfanotrofio e l’Ospizio Sacro Cuore, destinando l’uno all’accoglienza delle alunne di Scuola Materna, Scuola Media, Scuola Superiore e Scuola Professionale e l’altro alle bambine della Scuola Elementare e ai maschietti della Scuola Materna. Nel 1966, si operò una divisione anche all’interno dell’Istituto Bartolo Longo. I maschietti della Scuola Elementare, finora affidati ai Fratelli delle Scuole Cristiane, furono trasferiti nei locali dell’IPSI (Istituto per la Specializzazione Industriale), in onore di una benefattrice del Santuario, ed affidati alle cure delle Suore, pensando che, per bambini di così tenera età, esse fossero più adatte a sostituire la figura materna.
Ancora Mons. Signora, nel 1973, inaugurò una struttura per il Seminario, che in seguito, fu in grado di ospitare anche i bambini dell’Istituto "Assunta Ponzo".
Negli anni ’80, i quattro Istituti pompeiani ospitavano complessivamente circa 600 alunni.
In seguito, con l’evolversi della società e i nuovi bisogni emergenti, anche la tipologia e il numero degli utenti cambiarono completamente.
Un nuovo aspetto legislativo
Questa trasformazione impose un’approfondita riflessione. Negli anni ’90, il Santuario promosse corsi di aggiornamento per le educatrici e gli educatori.
In questo stesso periodo anche la legislazione riguardante le strutture per l’accoglienza dei minori cambiò. A seguito di una legge regionale del 1994, che prevedeva strutture con non più di quaranta minori, si decise di ristrutturare l’Orfanotrofio Femminile creando un’alternativa educativa specifica, adeguata ai dettami della nuova legislatura. Nel settembre del 1994, furono così avviati i lavori di ristrutturazione e le alunne dell’Orfanotrofio furono trasferite in parte all’Istituto "Assunta Ponzo", rimanendovi fino all’agosto del 1997, anno in cui fu inaugurata la nuova struttura.
La stessa denominazione "Orfanotrofio Femminile" fu trasformata in Centro Educativo "Beata Vergine del Rosario", strutturata in quattro comunità autonome: comunità "Angeli custodi" che accoglieva bambini e bambine di scuola materna; comunità "Marianna De Fusco" per l’accoglienza di ragazze di scuola superiore; comunità "Nuova Eva" e comunità "Arcobaleno" per le ospiti di Scuola Media e Scuola Elementare.
Anche gli altri Istituti cambiano denominazione, l’Istituto "Sacro Cuore" divenne Centro Educativo "Sacro Cuore" con, all’interno, tre comunità femminili di Scuola Elementare: comunità "Santa Maria Goretti", comunità "Nazareth", comunità "Santa Teresa del Bambin Gesù".
L’Istituto !Assunta Ponzo" divenne Centro Educativo "Assunta Ponzo", con tre comunità maschili di Scuola Elementare: comunità "Shalom", comunità "Simpatia" e comunità "Nuovi orizzonti".
Anche l’Istituto "Bartolo Longo" divenne Centro Educativo "Bartolo Longo", con quattro comunità maschili di Scuola Medi9a e Istituto Professionale: comunità "San Giuseppe", comunità "Sacra Famiglia", comunità "Angeli Custodi" comunità "San Domenico",
Nello stesso anno, 1997, il Centro Educativo "Assunta Ponzo" fu trasferito presso il Centro Educativo "Sacro Cuore" le cui ospiti vennero progressivamente trasferite presso le comunità del Centro Educativo "Beata Vergine del Rosario".
Verso la chiusura degli Istituti
Nell’anno scolastico 2000/2001 il calo numerico degli ospiti dei diversi centri fu notevole. Nel 2000, infatti, la legge quadro 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, prevedeva "… interventi di sostegno per i minori in situazione di disagio tramite il sostegno nucleo familiare di origine e l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare e per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza".
Inoltre, per favorire la deistituzionalizzazione, la medesima legge prevedeva la chiusura degli Istituti entro il 31 dicembre 2006 e la trasformazione dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale nella forma di strutture comunitarie di tipo familiare.
Nasceva così l’esigenza di avviare un percorso di evoluzione e trasformazione dei Centri Educativi del Santuario sia come risposta agli ultimi interventi legislativi sia come bisogno di compiere quel salto ideologico che portava al superamento definitivo della logica dell’Istituto, prevista anche dalla legge 149/2001, recante modifiche alla precedente legge (184/83) sull’adozione e affidamento dei minori.
Far mutare nuove iniziative significava dare alle opere del Beato Bartolo Longo continuità nel tempo, adeguandole ai continui mutamenti del contesto sociale e culturale. È esperienza condivisa che, l’inserimento di un bambino in una comunità di tipo familiare, piuttosto che in una grande struttura, abbia degli esiti positivi sul suo sviluppo psico-affettivo.
Nasceva così, il 6 novembre 2000, la Comunità di tipo familiare "Giardino del Sorriso", che ha avuto come prima sede il Villino Squillante, ubicato in via Plinio. Successivamente, il 30 ottobre del 2003, la comunità fu trasferita in via Arpaia, luogo dove ebbe inizio la missione del Beato.
L’impegno continua
L’opera del Beato Bartolo Longo in favore dei bisognosi continua ancora oggi, pur cambiando nelle forme e ampliando il numero dei destinatari. I poveri, di ogni genere, età e condizione sociale, accolti qui a Pompei sono le vere stelle che circondano la Vergine del Rosario.
Le realtà caritative pompeiane si sono, infatti, trasformate nel tempo, adeguandosi alle esigenze dell’infanzia e all’evoluzione del sistema normativo che le regola, ma, anche, per offrire risposte adeguate alle nuove povertà e alle nuove emergenze sociali. Sono nate, dunque, affiancandosi a quelle esistenti, nuove case di accoglienza che, assumendo sempre più la veste di veri e propri nuclei familiari, hanno dato alle opere costruite in origine da Bartolo Longo continuità nel tempo, adeguandole ai continui mutamenti del contesto sociale e culturale.
Attualmente sono operativi due centri diurni, "Crescere Insieme" e "Bartolo Longo", che grazie all’impegno delle Suore Domenicane Figlie del santo Rosario di Pompei, fondate dallo stesso Longo, e ai Fratelli delle scuole Cristiane di San Giovanni Battista de la Salle, accolgono in semiconvitto circa 200 ragazze e ragazzi, tra i 6 e i 18 anni, offrendo loro non solo cibo ed istruzione, ma attività quali doposcuola, musica, ceramica, sporto, teatro, danza.
Nella "Casa Emanuel" vengono accolte ragazze madri, donne sfuggite a situazioni di violenza familiare e donne immigrate. Molto attivo anche l’ambulatorio materno infantile per famiglie disagiate, gestito dalla Confraternita di Misericordia, che offre visite mediche gratuite.
Il Centro di Aiuto alla Vita e Movimento per la Vita operano a tutela della maternità e dell’accoglienza della vita, assistono e sostengono i sofferenti e difendono la vita umana sin dal suo concepimento e in tutto l’arco del suo sviluppo fino alla morte naturale.
Il Consultorio Familiare "San Giuseppe Moscati" è un vero e proprio laboratorio di formazione, prevenzione e servizio di consulenza a tutela e sostegno della famiglia e della persona, dal concepimento al tramonto naturale della vita.
Nelle ex case operaie, poi, ha preso vita il Centro per il bambino e la famiglia "Giovanni Paolo II", con le case-famiglia: "Oasi Vergine del Sorriso", dove si accolgono in particolare i minori, e "Maria, Madre della Provvidenza" per dare aiuto a donne e adolescenti affidate alla "Fraternità di Emmaus". La terza: "Maria, Madre di Misericordia", è gestita dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, mentre la Comunità "Chiara Luce" che ospita minori con gravi disabilità, è affidata alla Fondazione "Giuseppe Ferraro onlus".
Infine, sono attive la "Comunità Incontro" per il recupero dei tossicodipendenti e, grazie alla collaborazione con il Sovrano Militare Ordine di Malta, una mensa per i poveri che assicura circa 200 pasti ai poveri della città, ma anche ai tanti che vengono dai comuni vicini.
(Autore: Mons. Salvatore Acampora – Delegato e Responsabile dell’Accoglienza del Santuario di Pompei)
 
Il Convegno delle Opere, occasione di confronto per continuare sulla via del bene e della carità
 
(Di: Marida D'Amora)
 
Il 7 settembre, nella sede pompeiana della Comunità Incontro, si è tenuto l'incontro annuale di operatori, volontari e religiosi che lavorano ogni giorno portando avanti il carisma del Beato Bartolo Longo. La relazione è stata affidata a don Giuseppe Esposito, parroco del "Santissimo Salvatore" e studioso della figura del Fondatore. L'Arcivescovo di Pompei, Monsignor Tommaso Caputo, ha presieduto i lavori.
Persone, parole, immagini e luoghi per raccontare tutta la ricchezza umana e spirituale delle Opere di Carità fondate dal Beato Bartolo Longo.
Un incontro, quello del 7 settembre, che ha messo insieme responsabili, operatori, volontari e religiosi che vivono l’impegno di solidarietà volto a cambiare la prospettiva di vita di chi vive nel disagio e non vede speranza nel futuro. Quello scelto per la mattinata di riflessione e di confronto è stato un luogo simbolo: la sede della Comunità Incontro, la struttura per il recupero di chi vive il dramma della dipendenza dalla droga che, il 12 agosto 2004, don Pierino Gelmini avviò nella Fattoria concessa dal Santuario mariano. «Questo incontro – ha detto monsignor Tommaso Caputo, Arcivescovo di Pompei – è un prezioso motivo di crescita per la nostra Chiesa e per tutti voi che ogni giorno operate per il bene del prossimo meno fortunato». Le Opere di carità di Pompei, infatti, continuano a portare avanti il carisma del Fondatore Bartolo Longo e si aggiornano, anno per anno, nel comprendere e nell’affrontare le emergenze nuove che coinvolgono gli uomini del nostro tempo.
E proprio di quel carisma, dopo il saluto introduttivo di monsignor Salvatore Acampora, responsabile delle Opere, ha parlato il relatore, don Giuseppe Esposito, parroco del "Santissimo Salvatore" e studioso della figura del Fondatore, cui ha dedicato alcune pubblicazioni. «Longo – ha spiegato il sacerdote – era stato istruito spiritualmente da san Ludovico da Casoria e, come quest’ultimo, propugnava una carità attiva: non un semplice filantropismo.
Il Convegno delle Opere, occasione di confronto per continuare sulla via del bene e della carità
Il 7 settembre, nella sede pompeiana della Comunità Incontro, si è tenuto l'incontro annuale di operatori, volontari e religiosi che lavorano ogni giorno portando avanti il carisma del Beato Bartolo Longo. La relazione è stata affidata a don Giuseppe Esposito, parroco del "Santissimo Salvatore" e studioso della figura del Fondatore. L'Arcivescovo di Pompei, Monsignor Tommaso Caputo, ha presieduto i lavori. Non una semplice serie di atti per far del bene sic et simpliciter, ma un vero e proprio modo di pensare e dunque di operare nel mondo. E ciò non solo riguardo al mondo degli adulti, ma forse e soprattutto verso l’infanzia e l’adolescenza, periodi della vita delicatissimi e maggiormente esposti a traumi». Non solo dunque rendeva concreta la carità, ma la insegnava perché potesse trasmettersi nel tempo. Don Esposito ha ricordato, poi, la premurosa opera delle Suore domenicane "Figlie del Santo Rosario di Pompei", la cui congregazione fu fondata dallo stesso Longo, e ha descritto il metodo educativo utilizzato. Era racchiuso in tre parole: preghiera, studio, lavoro. «Questo – ha concluso il sacerdote – è il carisma longhiano: amore per il prossimo senza scadere nel sentimentalismo fine a se stesso, slancio e fermezza nel raggiungere gli obbiettivi prefissati senza lasciare nessuno indietro o nel rancore». Sono le direttrici ancora oggi seguite a Pompei e lo evidenziano le testimonianze intervenute dopo la relazione e i racconti commossi e grati di chi è stato accolto nei Centri educativi per i bambini e i giovani "Bartolo Longo" e "Beata Vergine" o nelle Case famiglia del Centro "Giovanni Paolo II", di chi ha trovato ascolto al Consultorio familiare o al Centro di aiuto alla vita, di chi è uscito dal dramma della dipendenza dalla droga, di chi ha trovato un pasto caldo alla Mensa per i poveri "Papa Francesco", di chi ha potuto sottoporsi ad una visita negli studi medici pediatrico e materno-infantile, di chi si è formato al lavoro grazie ai laboratori del progetto "Un mestiere per il futuro". «Questo incontro – ha concluso monsignor Tommaso Caputo, Arcivescovo di Pompei, che qualche anno fa pensò a quest’appuntamento annuale perché gli operatori delle Opere potessero confrontarsi, sostenendosi a vicenda – è stato ancora una volta un prezioso motivo di crescita per la nostra Chiesa e per tutti voi che ogni giorno operate per il bene del prossimo meno fortunato».
Storie di quotidiana rinascita nelle case famiglia
«Il servizio civile è entrato nella mia vita allo stesso modo in cui un ospite entra in casa tua quando non hai il tempo per accoglierlo. Mentre mi affannavo a cercare la mia strada, è arrivato lui chiedendomi di fermarmi! È lui che mi ha scelta!». A parlare così è Sara, 24 anni, che sta svolgendo il Servizio Civile nella Casa "Santa Maria del Cammino" del Centro Giovanni Paolo II del Santuario, che ne ospita nel complesso cinque. «Il mio primo pensiero, però – ha continuato Sara - è andato all'arricchimento materiale di questa esperienza: portafogli più pieno, curriculum più ricco.
E l’ho pensato con l’avidità di chi vuole agguantare e non gustare. Poi, tutte le mie convinzioni sono andate in frantumi e mi sono fermata davvero, mi sono fermata negli occhi di Cocò, mi sono fermata davanti ai silenzi di Stefano, mi sono fermata a contemplare la felicità, a prendere una boccata di vita». Ora ha quasi terminato il suo percorso e, facendo un bilancio della sua esperienza, ci ha raccontato che, per lei, il Servizio Civile è stato un anno di grazia in cui ha capito alcune cose fondamentali, ovvero che "Sara non è il centro dell’universo, Sara non possiede la verità, che un sorriso può salvare tutti in tutte le circostanze, che la verità senza carità non è verità, che ognuno è unico e speciale, che nessuna vita è inutile e che solo vivere in comunione ti dona una vita piena". Sara ha assaporato ogni attimo di questa esperienza, lasciandosi illuminare dai sorrisi di chi è stato accolto, dall’amore di chi accoglie.
E lo stesso accade a chi bussa alla porta accanto, e all’altra ancora, e in tutte le case del Centro Giovanni Paolo II. Ognuna spalanca le porte alla solidarietà e, insieme, ogni giorno, portano avanti progetti e iniziative che coinvolgono tutti, come il laboratorio creativo dedicato ai bambini o l’ergoterapia che ha dato vita all'orticello "Giovanni Paolo II". Sono state tante le accoglienze in questo 2019 e molti i "lieto fine". Come la storia di C. che, dopo un anno e mezzo in Casa "Chiara Luce", è potuto finalmente ritornare dalla sua mamma, o quella di D., di circa un anno e mezzo, arrivata piccolissima nella casa "Oasi Vergine del Sorriso", e che ha finalmente trovato una famiglia adottiva. Ora, in casa sono stati accolti P. e B. due fratellini di 2 e 4 anni. Da qualche settimana, anche la Casa "Chiara Luce" ha accolto tre fratellini di 10, 6 e 4 anni.
La loro è una storia di violenza familiare e di profondo disagio sociale. In casa c’è anche S., una ragazzina di 12 anni che si trova lì da circa un anno, sottratta ad un nucleo familiare coinvolto nello spaccio di stupefacenti e, poi, Rosy e Leo, una coppia di coniugi che, dal 1999, accoglie bambini in affido e offre ospitalità a chi, per brevi periodi, ha bisogno di un tetto sotto cui rifugiarsi e trovare conforto. Anche la Casa "Maria Madre della Provvidenza" ha accolto due bimbi molto piccoli e la Casa "Maria, Madre di Misericordia" continua, ogni giorno, ad accogliere chi è nel bisogno.  Le case del Centro Giovanni Paolo II non sono, dunque, solo luoghi di passaggio e accoglienza, ma storie di mamme, bambini, donne sole, immigrati, operatori e volontari che hanno intrecciato le loro vite tra le mura del Centro. Sono storie che aiutano a fare memoria del passato e a riprogettare continuamente il futuro. Ognuna di esse è unica e speciale, e spiega, nel profondo, il percorso che ciascuno compie all’interno della Casa in cui è accolto.
Le Suore "Figlie del Rosario" negli Istituti di Pompei
Singolare corona al Santuario formano gli Istituti Pompeiani. Sono i fiori della carità cresciuti alla luce della fede e della devozione a Maria e offrono una prova convincente della vitalità di Pompei. Fondati da Bartolo Longo hanno avuto uno sviluppo straordinario e sono la manifestazione della inesauribile fecondità della Chiesa e della sua ansia di elevare la condizione della vita umana a livelli sempre più alti.
Lo sanno tutti che dalla carità degli oranti a Pompei vivono le orfane della natura e della legge, gli abbandonato, i poveri, i bisognosi e per provvedere a tutti costoro si conta unicamente sulla Provvidenza. A Pompei, infatti, la preghiera si tramuta in carità.
Finché i genitori o i parenti non le richiedono, le orfane rimangono a spese della carità: si istruiscono, si preparano ad affrontare la vita, si dedicano con interesse ai lavori femminili e quando trovano un impiego o vanno spose lasciano l’Istituto e, lontane, il ricordo gioioso d’essere cresciute nella casa della Madonna, le anima nella loro vita. Ma chi dedica le assidue cure ai piccoli bisognosi e alle ragazze? Chi dà ad essi calore, conforto, aiuto, incoraggiamento, amore? Ci sono le Suore "Figlie del Rosario", volute qui a Pompei da Bartolo Longo, che incessantemente e instancabili sostituiscono in parte le mamme e seguono attimo per attimo la vita delle assistite.
Infatti, quando Bartolo Longo fondò l’Orfanotrofio pensò che per tale istituzione si richiedevano donne attente, cuori generosi, sostituti di mamme, Suore ben preparate alla loro delicata missione tra i fanciulli emarginati.
Si mise in giro per l’Italia per conoscere i migliori Istituti; studiò gli statuti e lo spirito di molte famiglie religiose e, per assicurare cure materne alle sue orfanelle, fondò una Congregazione di Suore "con statuti speciali, opportuni ai loro ministeri di carità, secondo i bisogni di questo luogo, di questo Santuario, di questo popolo" (B. Longo al Card. Mazzella).
Ottenne che tre valenti Suore Domenicane venissero ad indirizzare nei primi passi della vita religiosa il gruppo di giovani maestre e di orfanelle che sbocciavano nella luce della Madonna. Gli Istituti Pompeiani non dovevano essere la solita opera di beneficenza cristiana a favore di un’innocenza incolpevole mediante il pane della carità, ma essi dovevano avere una grande missione: "Queste fanciulle deboli dispongono di una suprema forza, la forza dell’orazione. Il mondo dà ad esse la carità, esse in compenso danno al mondo la preghiera". (G. Auletta) Bartolo Longo affidava perciò questi "fiori" alle Suore, fondate da Lui, perché come angeli custodi vegliassero con amore sulle vite di queste creature provate dal dolore e le aiutassero nel cammino e nella formazione di ogni giorno. Sono tante le Suore che svolgono amorevolmente la loro opera a favore dei fanciulli e fanciulle dei nostri Istituti Pompeiani. Esse pregano molto e guardano le Opere con gli occhi e con il cuore di Bartolo Longo: si commuovono alla vista di tanti ragazzi bisognosi e si sforzano di trasformare, come il Fondatore, tutto e tutti in un’immensa famiglia dove ci si sente sicuri, protetti, amati.
(Autore: Ermelinda Cuomo - da: Il Rosario e la Nuova Pompei - Maggio 1982)
*Il Convegno delle Opere, occasione di confronto per continuare sulla via del bene e della carità
Il 7 settembre, nella sede pompeiana della Comunità Incontro, si è tenuto l'incontro annuale di operatori, volontari e religiosi che lavorano ogni giorno portando avanti il carisma del Beato Bartolo Longo. La relazione è stata affidata a don Giuseppe Esposito, parroco del "Santissimo Salvatore" e studioso della figura del Fondatore. L'Arcivescovo di Pompei, Monsignor Tommaso Caputo, ha presieduto i lavori.
Persone, parole, immagini e luoghi per raccontare tutta la ricchezza umana e spirituale delle Opere di Carità fondate dal Beato Bartolo Longo. Un incontro, quello del 7 settembre, che ha messo insieme responsabili, operatori, volontari e religiosi che vivono l’impegno di solidarietà volto a cambiare la prospettiva di vita di chi vive nel disagio e non vede speranza nel futuro. Quello scelto per la mattinata di riflessione e di confronto è stato un luogo simbolo: la sede della Comunità Incontro, la struttura per il recupero di chi vive il dramma della dipendenza dalla droga che, il 12 agosto 2004, don Pierino Gelmini avviò nella Fattoria concessa dal Santuario mariano. «Questo incontro – ha detto monsignor Tommaso Caputo, Arcivescovo di Pompei – è un prezioso motivo di crescita per la nostra Chiesa e per tutti voi che ogni giorno operate per il bene del prossimo meno fortunato». Le Opere di carità di Pompei, infatti, continuano a portare avanti il carisma del Fondatore Bartolo Longo e si aggiornano, anno per anno, nel comprendere e nell'affrontare le emergenze nuove che coinvolgono gli uomini del nostro tempo. E proprio di quel carisma, dopo il saluto introduttivo di monsignor Salvatore Acampora, responsabile delle Opere, ha parlato il relatore, don Giuseppe Esposito, parroco del "Santissimo Salvatore" e studioso della figura del Fondatore, cui ha dedicato alcune pubblicazioni. «Longo – ha spiegato il sacerdote – era stato istruito spiritualmente da san Ludovico da Casoria e, come quest’ultimo, propugnava una carità attiva: non un semplice filantropismo,
Il Convegno delle Opere, occasione di confronto per continuare sulla via del bene e della carità
Il 7 settembre, nella sede pompeiana della Comunità Incontro, si è tenuto l'incontro annuale di operatori, volontari e religiosi che lavorano ogni giorno portando avanti il carisma del Beato Bartolo Longo. La relazione è stata affidata a don Giuseppe Esposito, parroco del "Santissimo Salvatore" e studioso della figura del Fondatore. L'Arcivescovo di Pompei, Monsignor Tommaso Caputo, ha presieduto i lavori. Non una semplice serie di atti per far del bene sic et simpliciter, ma un vero e proprio modo di pensare e dunque di operare nel mondo. E ciò non solo riguardo al mondo degli adulti, ma forse e soprattutto verso l’infanzia e l’adolescenza, periodi della vita delicatissimi e maggiormente esposti a traumi». Non solo dunque rendeva concreta la carità, ma la insegnava perché potesse trasmettersi nel tempo. Don Esposito ha ricordato, poi, la premurosa opera delle Suore domenicane "Figlie del Santo Rosario di Pompei", la cui congregazione fu fondata dallo stesso Longo, e ha descritto il metodo educativo utilizzato. Era racchiuso in tre parole: preghiera, studio, lavoro. «Questo – ha concluso il sacerdote – è il carisma longhiano: amore per il prossimo senza scadere nel sentimentalismo fine a se stesso, slancio e fermezza nel raggiungere gli obbiettivi prefissati senza lasciare nessuno indietro o nel rancore». Sono le direttrici ancora oggi seguite a Pompei e lo evidenziano le testimonianze intervenute
dopo la relazione e i racconti commossi e grati di chi è stato accolto nei Centri educativi per i bambini e i giovani "Bartolo Longo" e "Beata Vergine" o nelle Case famiglia del Centro "Giovanni Paolo II", di chi ha trovato ascolto al Consultorio familiare o al Centro di aiuto alla vita, di chi è uscito dal dramma della dipendenza dalla droga, di chi ha trovato un pasto caldo alla Mensa per i poveri "Papa Francesco", di chi ha potuto sottoporsi ad una visita negli studi medici pediatrico e materno-infantile, di chi si è formato al lavoro grazie ai laboratori del progetto "Un mestiere per il futuro". «Questo incontro – ha concluso monsignor Tommaso Caputo, Arcivescovo di Pompei, che qualche anno fa pensò a quest’appuntamento annuale perché gli operatori delle Opere potessero confrontarsi, sostenendosi a vicenda – è stato ancora una volta un prezioso motivo di crescita per la nostra Chiesa e per tutti voi che ogni giorno operate per il bene del prossimo meno fortunato».
(Autore: Marida D'Amora)                       

*Assunta Ponzo - 1965 (Pompei - NA)

Fondazione del Centro Educativo "Assunta Ponzo"

Opera aperta il 2 ottobre 1965 per accogliere, sotto la guida delle suore, bambini della scuola primaria, prima ospitati in un'ala del Seminario "B. Longo", voluta dal Prelato Mons. Aurelio Signora (12,12,1965) sul colle Sant'Abbondio, ora presso il "Centro Educativo Sacro Cuore".
News dal del Centro Educativo "Assunta Ponzo"
Centenario dell’Orfanotrofio Femminile
Alle radici della Speranza
Il Cardinale Opilio Rossi ricorda che la speranza cristiana esige l’impegno di tutti a favore dei poveri e degli emarginati
Nel Vangelo proclamato in questa celebrazione eucaristica in onore della Vergine Maria, abbiamo ascoltato con devozione l’inno del Magnificat, che è l’Inno del Magnificat, che è l’inno che canta la speranza di Maria.
L’umile fanciulla di Nazareth, promessa sposa ad un povero operaio, sperava la venuta del Salvatore annunciato dai profeti, come la speravano molti in Israele. Gabriele, il messaggero celeste le annunciò il compimento della sua speranza, ma in un modo impensato. Essa sarà la donna prescelta da Dio: "da te nascerà il Salvatore sperato. Nulla è impossibile a Dio".
La risposta di Maria fu di abbandono totale e senza riserva alla parola di Dio, parola di speranza per lei e per il mondo: così il destino suo e di tutta l’umanità veniva segnato per sempre dalla venuta del Salvatore nel suo senso verginale.
Nel Magnificat, Maria esprime la sua gioiosa gratitudine per il privilegio della maternità divina; canta la misericordia di Dio verso coloro che lo temono, proclama l’amore di Dio per gli umili.
Maria esalta anche la fedeltà di Dio alle sue promesse di salvezza. Ed anche la Chiesa, ed anche noi, che siamo Chiesa, celebriamo le grandezze e meraviglie che Dio ha operato in Maria, lodiamo l’azione di Dio, padre dei poveri e dei derelitti. Nel Magnificat, Maria riconosce poi la sua pochezza ed umiltà; tutto attribuisce alla gratuità della grazia di Dio, che ha fatto in lei grandi cose. È sorretta dalla speranza nel sentirsi e sapersi salvata; non si compiace in se stessa, ma unicamente nella misericordia e nella potenza di Dio: tutto ha ricevuto come puro dono. "L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata".
Se tutte le generazioni la chiameranno beata, è unicamente perché Dio, nel suo amore, ha posto i suoi occhi sulla umiltà, sulla piccolezza della sua ancella. Forte richiamo per noi: l’uomo per salvarsi non può far affidamento sulle sue proprie forze e gloriarsene; non ha nulla di suo, ma deve unicamente sperare dalla grazia del Signore. Questo è ciò che vale, soprattutto se si pensa che le cose di questo mondo sono effimere, passano. Veramente, alla gratuità assoluta della salvezza, dobbiamo corrispondere con un’attitudine di speranza e di riconoscenza del dono amoroso e gratuito di Dio che salva.
Nel Magnificat, in questo inno che canta la gioia e il giubilo della speranza di Maria, risalta anche la situazione di stridente contrasto tra i potenti del mondo e del denaro e i poveri e gli ultimi della società; e questa discriminazione è contro la volontà di Dio, la giustizia del suo regno, l’annuncio di salvezza e di speranza per tutti. Questo è il significato delle parole del Magnificat:
"Ha dispiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi".
Maria è segno di speranza per la Chiesa e per l’uomo contemporaneo; in preda della paura. Nella Enciclica di Giovanni Paolo II "Redemptor hominis" c’è un paragrafo intitolato: "Di che cosa ha paura l’uomo contemporaneo?". E vi si legge: "L’uomo di oggi sembra di essere minacciato da ciò che produce. I frutti della multiforme attività dell’uomo si rivolgono contro l’uomo stesso. L’uomo pertanto vive sempre più nella paura. Egli teme che i suoi prodotti possano diventare mezzi e strumenti di una inimmaginabile autodistruzione" (n° 15).
Maria è segno di speranza perché "piena di grazia". Maria, segno di speranza vuol dire: segno che orienta verso il futuro, verso il Dio che verrà, verso Colui che ha detto: "Non abbiate paura, io ho vinto il mondo". Maria ci indica il cammino della vera speranza cristiana, impegnandoci al tempo stesso per il regno di Dio e la giustizia nel mondo.
Chiesa siamo tutti noi che formiamo il popolo di Dio. Ciascuno di noi, tutti i credenti, siamo tenuti a costruire ogni giorno la Chiesa come segno di speranza per il mondo. Un mondo segnato dal peccato, dal peccato che è il sommo male e la causa di ogni altro male, anche delle guerre, degli odi, delle ingiustizie, del sottosviluppo. E se, nonostante la redenzione del Nostro Signore, questi mali rimangono, è solo perché l’uomo non vuole lasciare il peccato, abusando della libertà di cui Dio gli fa dono.
Si perpetua così anche la situazione di stridente contrasto fra ricchezza e miseria. Da una parte ingenti beni accumulati e dall’altra popoli sprovvisti dei mezzi necessari per condurre una vita degna dell’uomo e indispensabili per sopravvivere.
Al tempo stesso però il mondo prende sempre più coscienza della fratellanza universale e della urgenza di cambi nelle istituzioni onde superare le discriminazioni oppressive i instaurare la compartecipazione umana.
Nell’attuale concreta situazione del mondo, la Chiesa deve compiere la sua missione di salvezza e di speranza per tutti, con le opere e con l’annuncio del vangelo per l’avvento del regno di Dio e la giustizia nel mondo.
Chiesa siamo tutti noi che formiamo al popolo di Dio. Ciascuno di noi, tutti i credenti, siamo tenuti a costruire ogni giorno la Chiesa come segno di speranza per il mondo. Un mondo segnato dal peccato che è il sommo male e la causa di ogni altro male, anche nelle guerre, degli idoli, delle ingiustizie, del sottosviluppo. E se, nonostante la redenzione del Nostro Signore, questi mali rimangono, e solo perché l’uomo non vuole lasciare il peccato, abusando della libertà di cui Dio gli fa dono.
Si perpetua così anche la situazione di stridente contrasto fra ricchezza e miseria. Da una parte ingenti beni accumulati e dall’altra popoli sprovvisti dei mezzi necessari per condurre una vita degna dell’uomo e indispensabili per sopravvivere.
Al tempo stesso però il mondo prende sempre più coscienza della fratellanza universale e della urgenza di cambi nelle istituzioni onde superare le discriminazioni oppressive e instaurare la compartecipazione umana.
Nell’attuale concreta situazione del mondo, la Chiesa deve compiere la sua missione di salvezza e di speranza per tutti, con le opere e con l’annuncio del vangelo per l’avvento del regno di Dio. Ma, la proclamazione della speranza cristiana senza le opere rimarrebbe sterile.
Questa speranza esige oggi dalla Chiesa e da ciascuno di noi un atteggiamento fraterno e l’impegno a favore dei poveri, degli emarginati, dei diseredati e abbandonati dalla società. Se non sentiamo questo assillo, vuol dire che non abbiamo compreso la verità semplice e radicale del messaggio cristiano o che non conosciamo per esperienza la reale situazione di quelli che
soffrono. Sì, la speranza cristiana appare vera quando vi è l’impegno per i fratelli, vissuto con amore e per la giustizia: cioè nel dare compimento al precetto del vangelo: l’amore al prossimo.
Oggi, il messaggio di speranza di Maria e della Chiesa ci trova riuniti nella Basilica di Nostra Signora del Rosario di Pompei, per celebrare solennemente il centenario della fondazione dell’Orfanotrofio femminile, opera del Beato Bartolo Longo.
Fanciulle povere ed abbandonate, e più tardi figli di divorziati, hanno trovato ospitalità nella casa sorta all’ombra del santuario, sotto la protezione della Madonna; casa, frutto della fede e dell’amore di un fervente figlio della Chiesa.
Fanciulle prive di affetto e calore materno, abbandonate a se stesse, esposte ai pericoli della seduzione del vizio, hanno ricevuto e ricevono accoglienza amorosa dalla Chiesa ed in particolare dalle buone religiose dell’Istituto fondato dallo stesso Beato Bartolo Longo. Così, la città di Pompei si è aperta a sentimenti di fede e di amore al prossimo, sapendo che fede e carità sono il fondamento della vita cristiana.
Il Beato Bartolo Longo ha così mostrato quanto importante e feconda di opere può essere la santità dei laici per il mondo contemporaneo.
Nella omelia della sua Beatificazione, il 26 ottobre 1980, il Papa Giovanni Paolo II ha definito Bartolo Longo "un laico che ha vissuto totalmente l’impegno ecclesiale".
Il Beato Bartolo Longo possiamo considerarlo il primo testimone della nuova Pompei e qui egli è passato con il fuoco della carità, con la corona del rosario, seminando speranza e consolazione. Devoto e imitatore di Maria, ha aderito a lei, la Vergine orante, pellegrino nella fede, compassionevole e in tutto solidale con Gesù nell’opera della salvezza.
Parlare di Bartolo Longo, come laico impegnato nella società, campione della fede e della carità, e di forte stimolo per i fedeli che oggi si preparano al prossimo Sinodo dei vescovi, che ha per tema: "Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo a venti anni dal Concilio Vaticano II", che si celebrerà dal 1° al 30 ottobre di quest’anno (1987).
Una vocazione e missione laicale così pienamente realizzata nella fede e nella carità come quella di Bartolo Longo, è una testimonianza capace di muovere e trascinare tante anime. Dev’essere un appello ed incitamento alla coscienza cristiana di tanti battezzati specialmente laici, a penetrare di fede, di amore, di speranza, di giustizia, di fraternità e di pace le realtà temporali: il mondo dell’economia, della politica, della famiglia e della scuola, della università e della vita professionale.
Raccogliere fanciulle abbandonate e trasformarle in modelli di rettitudine morale e di vita cristiana, è la risposta della fede, dell’amore e della giustizia – fondamento della società. È la risposta di un figlio della Chiesa, esempio per i laici che oggi desiderano vivere intensamente la chiamata di Dio alla santità e all’impegno a favore dei necessitati e dei più poveri.
In Maria, Madre della speranza, troviamo la forza e l’incentivo per percorrere ed avanzare in questo cammino di santità

(† Card. Opilio Rossi)
(Da: Il Rosario e la Nuova Pompei - Luglio/Agosto 1987)

*Atelier del Santuario per un matrimonio speciale

Grazie alla generosità di tante spose, le abili mani di due sarte e di una religiosa riadattano e arricchiscono i vestiti donati alla Vergine per la gioia di altre giovani donne.

È in un silenzio denso fatto di concentrazione e professionalità che, nell’Atelier del Santuario, troviamo al lavoro, come api operose, due esperte sarte e una religiosa che, con passione e amore, le guida e le dirige.
Siamo a due passi dalla Basilica, in uno dei tanti edifici del complesso religioso, in cui, giorno per giorno, il lavoro instancabile di tanti rinnova il miracolo di carità e amore che è l’essenza del Santuario della Beata Vergine di Pompei.
In questo meraviglioso laboratorio, le nostre sarte Lucia Palomba e Lucia cesarano, assieme a Suor Maria Egidia Di Palma, ridanno vita agli abiti donati e vestono le spose di nuovi sogni e progetti.
Sono ormai tantissimi anni che, con grande dedizione ed esperienza, selezionano con cura, lavorano, rinnovano e impreziosiscono gli abiti portati in dono dalle spose che, alla polvere dell’armadio che inevitabilmente ricoprirebbe il ricordo del loro giorno più bello, generosamente preferiscono la gioia di regalare un sorriso. Ed è proprio qui, in questo laboratorio, che, in un circuito virtuoso, altre promesse spose potranno coronare il proprio sogno d’amore e trovare l’abito giusto per il giorno del "sì", senza spendere cifre da capogiro.
Attualmente gli abiti disponibili sono ben 174. A questi vanno aggiunti i 33 vestiti per prima comunione e qualcuno anche per il battesimo. Ogni mese sono tanti i capi che vengono donati per essere poi acquistati da spose di tutta Italia. Il ricavato contribuisce a finanziare le tante opere di Carità del Santuario.
Se una ragazza lo desidera, con l’assistenza delle esperte addette, l’abito può anche essere modificato e arricchito con nuove stoffe o dettagli scelti dalla futura sposa.
La creatività e la fantasia che anima il laboratorio è a disposizione di chi si affaccia ad ammirare i suoi stand ricchi di abiti. Negli anni, sono tante le ragazze giunte da regioni anche lontane per vestire l’abito portato in dono alla Madonna del Rosario di Pompei. Alcune seguono la tradizione di famiglia, tramandata di madre in figlia, che le ha viste per generazioni giungere all’altare con l’abito dell’Atelier del Santuario.
"Non è solo una questione economica, che certo conta nella scelta dell’abito, ma molte ragazze – ci raccontano le nostre esperte all’opera – scelgono gli abiti del nostro laboratorio per amore verso la Madonna. Altre – ci dicono – semplicemente scelgono di non spendere cifre esagerate per un giorno in cui conta, più dello sfarzo, il vero amore e la gioia di ricevere un sacramento così importante".
Spesso gli abiti acquistati al laboratorio vengono, a loro volta, donati nuovamente al santuario, regalando.
In questo modo, anche ad altre spose, la possibilità di indossare l’abito dei sogni nonostante le difficoltà economiche.
Donare l’abito da sposa al Santuario è, dunque, un atto di grande generosità, non solo perché tante giovani spose non potrebbero altrimenti indossare un abito che rispecchi i loro desideri ma, soprattutto, perché ciò significa regalare una speranza e un futuro ai tanti bambini e ragazzi e alle numerose giovani mamme che vengono accolti al santuario, contribuisce alla costruzione di una vita più serena e piena di luce per tutti loro.
(Autore: Daria Gentile)
*Lettera ritrovata in un abito da sposa
Il "Laboratorio degli abiti da sposa" è una preziosa Opera di carità del Santuario di Pompei. In questo vero e proprio "Atelier", le spose portano in dono l’abito di nozze, che le nostre sarte provvedono a lavare, rinnovare e impreziosire con dedizione e maestria. E così, proprio nel Laboratorio, altre spose potranno trovare l’abito giusto per il giorno del "sì", senza spendere cifre da capogiro. Tra l’altro, se una ragazza lo desidera, con l’assistenza delle esperte addette, l’abito può anche essere modificato e arricchito con nuove stoffe o dettagli scelti dalla futura sposa. La creatività e la fantasia che anima il laboratorio è a disposizione di chi si affaccia ad ammirare i suoi stand ricchi di abiti.
Donare ed acquistare un abito da sposa è un atto di grande generosità non solo perché tante giovani spose non potrebbero altrimenti indossare un abito che rispecchi i loro desideri ma, soprattutto, perché ciò significa regalare una speranza e un futuro ai tanti bambini e ragazzi e alle numerose giovani mamme che vengono accolti nelle Opere di carità del Santuario. Tutto ciò che viene donato al Santuario, contribuisce alla costruzione di una vita più serena e piena di luce per tutti loro. Tra le benefattrici v’è anche una devota anonima di Napoli, che ha lasciato, nella tasca del suo abito, una missiva scritta a colei che indosserà quel vestito nel giorno del matrimonio. È un inno alla famiglia benedetta da Dio, ma anche alla fraterna condivisione dei doni del Padre. Ecco la lettera.
È l’11 giugno 2016. Oggi festeggio sette anni di matrimonio, sette anni di amore consacrato innanzi a Dio Voglio con-dividere quest’amore con te, che indosserai il mio abito da sposa. Non so dirti perché non abbia donato prima questo vestito. So solo che ho pregato la Madonna di illuminarmi su quando e dove lasciarlo in dono. Così, un sabato mattina di maggio 2016, durante il "Buongiorno a Maria", mentre ero raccolta in preghiera dinanzi alla Madonna di Pompei, ho sentito che una fiamma fervente d’amore bruciava il mio cuore.
In quel momento, ho promesso che sarei ritornata nel giorno del mio anniversario per donare l’abito, che da questo momento sarà il tuo vestito da sposa. Voglio condividere con te quest’amore e credimi se ti dico che sono felice di vederti sorridere. T’immagino arrivare all’altare radiosa. Quel giorno sarò con te perché il mio cuore e il mio amore saranno una sola cosa con la tua gioia. Pregherò per te, "sorellina mia", perché il Signore ti benedica e renda feconda la tua famiglia.
Ti auguro tutto il bene e l’amore del mondo e, anche se, forse, nella vita non c’incontreremo mai, anche se non potrò darti un nome o un volto, so di amarti e so che avevi bisogno di sentire quest’amore. Saremo sempre unite nell’amore di Dio e nella preghiera reciproca.
Una devota di Napoli.
(Autore: Katia Di Ruocco)

*Bartolo Longo - 1961 (Pompei - NA)
(Suore Domenicane "Centro Educativo Bartolo Longo" - Via Sacra,39 80045 Pompei (NA) "Campania"

Fondazione del "Centro Educativo Bartolo Longo"

Le Suore iniziarono a prestare la loro opera in cucina, nella lavanderia, nella stireria, il 25 gennaio del 1961.
Il Centro è diretto dai "Fratelli delle Scuole Cristiane" voluti da Bartolo Longo come educatori dei Figli dei Carcerati fin dal 13 agosto del 1907.

*La carità Fondamento d’ogni educazione
1892 – 1992: Un secolo di Redenzione
I cento anni dell’Istituto per i figli dei carcerati ci ripropongono il carisma di un uomo, il Beato Bartolo Longo, che seppe trarre dalla sua vita, fortemente evangelica, i motivi conduttori e fondamentali della sua iniziativa educativa. In un’epoca fortemente segnata dal positivismo scientifico, egli seppe vincere la sua battaglia di educatore perché credette fino in fondo che il Cristo è il vero Redentore degli uomini.
Nel celebrare questo centenario vogliamo individuare e sottolineare quella che ne fu e dovrà ancora essere l’ispirazione fondamentale: riconoscere il Signore Gesù presente e operante col suo amore nell’uomo bisognoso di redenzione.
È questo il contenuto essenziale, costitutivo dell’Opera per i figli dei carcerati e questo deve essere il traguardo da raggiungere con le celebrazioni centenarie in programma. Dobbiamo attualizzarne il messaggio centrale con una rivisitazione della metodologia pedagogica e una rilettura dei testi originali.
È universalmente riconosciuto che Bartolo Longo fu un pioniere coraggioso, audace nel volere ad ogni costo una istituzione come questa. La scienza allora dominante sosteneva drasticamente l’irricuperabilità dei figli dei criminali; egli si batté con un anticonformismo eroico per la tesi contraria e riuscì a dimostrarla non solo in teoria, ma soprattutto con i fatti, fino a strappare il plauso e l’ammirazione degli stessi avversari.
Non si può non restare profondamente commossi dinanzi ai risultati meravigliosi raggiunti da questa geniale iniziativa, additata dai competenti del settore come soluzione emblematica di un problema acutissimo che da sempre tormenta la società.
A noi qui ora indicare e approfondire l’idea-forza che la volle e la realizzò.
La base da cui partì il nostro santo Fondatore era la fiducia nella Grazia redentrice del Cristo e nella capacità di ogni uomo di lasciarsi plasmare da una pedagogia, fondata innanzi tutto sulla componente religiosa ed espressa con un amore sincero e affettivo. “Con questo amore e per questo amore – egli affermava – si ottiene educato il fanciullo, ancorché incorreggibile, o come dicono loro, delinquente nato. Fategli comprendere che lo amate, perché è sventurato, che lo educate solo perché lo amate, ed egli vi amerà per amore si sforzerà di corrispondere alle vostre assidue e amorevoli cure che voi spendete per educarlo. E voi troverete nei fatti che la Carità supera tutti i mezzi suggeriti dalla pedagogia e dalla scienza… essa che è il fondamento d’ogni educazione” (Longo B. Il triplice trionfo della Istituzione a pro’ dei figli dei carcerati, Valle di Pompei 1902).
L’amore a cui si riferisce il Beato, è l’amore del Cuore di cristo che si comunica nell’eucarestia e permea tutta la sua pedagogia. Il grande segreto del suo sistema educativo, “ignoto del tutto ai materialisti” era la Comunione “a lungo preparata e costantemente frequentata”” (ivi, 84-85). “Nell’incontro intimo e personale della santa Comunione, che apre alla comunione e alla solidarietà con tutti, Gesù stringe a sé il piccolo reietto, si associa incredibilmente alla sua condizione di abbandono e di rifiuto, ne condivide nella Passione la maledizione, prendendo su di Sé lo stesso delitto del padre e l’avvilimento della madre, Lui che proprio nell’Eucarestia si fa pane per tutti”. “E questo è lo stesso Gesù abbandonato – annota Bartolo Longo – che a me poveretto chiede di essere accolto, rispettato e amato in questi stessi orfanelli della Legge: “Chi accoglie uno di questi, accoglie Me” (Mc 9,37). Ecco la tesi che io provo luminosamente: la sacra Comunione con Cristo è il più potente mezzo di educazione dei fanciulli. Il primo elemento di educazione è l’incontro e l’amicizia lunga con Gesù” (ivi, 78).
E aggiunge ancora con entusiasmo: “Gesù Cristo vive, opera, parla, s’insinua nel cuore, produce effetti inusitati, magnanimi anche nei cuori più tiepidi, nei cuori più vili, perché Egli è vivo e vero là, nel Sacramento dell’amore, nell’Eucarestia, ed è in mezzo a noi” (ivi 82). Gesù vuole bene ai fanciulli presi dalla strada, ad essi presta le parole del “Padre nostro”, le sue parole e anche il suo sentimento di Figlio. Scrive testualmente: “Così ho fatto per i figli dei carcerati. La loro educazione si diceva difficile per molti, per molti impossibile; il loro avvenire si prevedeva tristissimo, ed io… ho presentato loro e ho fatto amare Gesù” (ivi, 82). Contrariamente ai positivisti che si fermano al padre delinquente, Bartolo Longo attraverso Gesù arriva al Padre e raccomanda di educare il fanciullo ad una continuata intimità quotidiana col Padre celeste” (ivi, 80).
Bisogna a tal fine insegnare e pregare, far “imparare Dio” e cioè che Dio è “Padre, il Padre nostro” e che noi siamo avvolti dall’abbraccio della sua paternità universale come figli e quindi fratelli tra di noi, fratelli di tutti gli uomini. Siamo nel cuore del Vangelo, in piena atmosfera soprannaturale. In essa vive, respira, opera il Beato e realizza meraviglie in tutti i campi, dal religioso al sociale, dal pedagogico all’artistico, al culturale.
Ci siamo soffermati un po’ ad ascoltare, a leggere le sue parole, i suoi pensieri dominanti e abbiamo potuto constatare come tutto in lui parte dalla fede, dalla visione cristiana della realtà e quindi dall’adozione di una metodologia interamente permeata di spiritualità.
Alla radice di tanti mali che ci affliggono e che non riusciamo a superare, c’è una mentalità secolarizzata, estranea e indifferente alla realtà di Dio, aliena dalla fede e dalla pratica religiosa. Siamo allarmati oggi particolarmente dal fenomeno della criminalità che si allarga paurosamente anche ai ragazzi.
Occorre ripresentare in termini attuali il carisma del Beato Bartolo Longo, incarnarlo con spirito di profezia nelle urgenze che premono oggi da ogni parte. Abbiamo bisogno del suo fervore, del suo zelo ardente, del suo entusiasmo, del suo slancio missionario per la diffusione del Vangelo.
Abbiamo soprattutto assoluto, estremo, urgente bisogno di cogliere il suo segreto più profondo e di farlo nostro: il rapporto personale d’amore con Gesù, che è poi il costitutivo essenziale della vita cristiana.
Da quando abbiamo riferito dobbiamo concludere che lo spirito di Bartolo Longo è completamente assorbito e comandato dal Cristo Gesù. La sua stessa devozione appassionata per il santo Rosario è motivata dalla certezza che vi riscontra il mezzo più pratico ed efficace per completare, vivere e irradiare nel mondo intero il Mistero del Cristo Gesù.
Nel Mistero del Cristo Gesù fiorisce la speranza dell’intervento dello Spirito che rinnova la faccia della terra e trasforma il cuore dell’uomo. Nel Cristo Gesù si esalta la dignità della persona umana, di ogni uomo, anche il più meschino, elevato come figlio a partecipare alla stessa vita del Padre celeste.
Nel cristo Gesù tutta l’umanità diventa una famiglia e gli uomini, tutti gli uomini, fratelli tra di loro con la legge suprema dell’amore.
La Vergine Maria ci ottenga con suo Rosario questa grazia suprema: conoscere, amare e far amare il Signore Gesù, nostro Dio e nostro fratello, nostro Salvatore e nostro tutto!
(Autore: Mons. Francesco Saverio Toppi)
*Le Suore nell’Istituto “Bartolo Longo”
“L’Ospizio per i figli dei carcerati” fu una delle più geniali creazioni di Bartolo Longo. La scienza positivistica del secolo scorso proclamava l’impossibilità di educare i nati a delinquenti, fatalmente predestinati a percorrere la via della delinquenza dei loro genitori, senza che nessuna prevenzione ed educazione potesse avere effetto su di essi.
Egli invece credeva profondamente alla forza redentrice del bene e all’efficacia rinnovatrice dell’educazione e creò questa opera per combattere tale teoria. L’ imponente edificio sulla Via Sacra, porta oggi il nome del suo fondatore ed ospita ragazzi solo in minima parte figli di carcerati.
Essi frequentano la Scuola Media o l’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato. Alla loro educazione sono preposti i Fratelli delle Scuole Cristiane, i quali ebbero questo incarico dallo stesso Bartolo Longo. Ma in esso c’è anche un piccolo manipolo di Suore del Ss. Rosario di Pompei preposte a servizi nevralgici. La piccola comunità è composta da tre Suore, ciascuna a capo di altrettanti servizi essenziali al funzionamento dell’Istituto: guardaroba e lavanderia, approvvigionamento, cucina e servizi annessi. Questa piccola comunità mette ogni giorno in pratica quello che Bartolo Longo voleva dalle sue Suore.
E tutti sappiamo bene che quello che vogliono i santi non è sempre facile metterlo in pratica: umiltà, modestia, lavoro indefesso, dedizione, sacrificio… Esse svolgono una mole imponente di lavoro nascosto, e infatti raramente le si vedono a Casa Madre, ma è un lavoro indispensabile, prezioso e portatore di una grande lezione per tutti. Meritano di essere ringraziate continuamente ed ammirate.
Ve le presento tutte e tre ai loro posti:
La Responsabile di Comunità: Madre Irma Santarpia
La Vicaria: Suor Maria Felice Franzese al delicato impegno della distribuzione delle vivande e alla preparazione di succulente torte per i ragazzi e come se non bastasse è alle prese con le macchine lavatrici e per cucire.
Insomma, il lavoro non manca, ma, fortunatamente, non manca loro né la dedizione né la gioia.
*Gli Auguri del Papa per il Centenario dell’Istituto Bartolo Longo
 
Al Venerato Fratello Monsignor Francesco Saverio Toppi Delegato Pontificio per il Santuario della Beatissima Vergine Maria del SS.mo Rosario di Pompei.
 
1. Ho appreso con gioia che ai memorabili eventi, che costellano la storia di codesto Santuario della Beatissima Vergine Maria del SS.mo Rosario, si aggiunge quest’anno la fausta ricorrenza del primo Centenario di fondazione dell’Opera per i Figli dei Carcerati.
 
La provvida iniziativa, nata dal cuore del beato Bartolo Longo, si è rivelata una geniale intuizione capace di ridare il sorriso e la gioia di vivere a tanti ragazzi e ragazze in difficili condizioni familiari. Essa servì, fin dai suoi inizi, a smentire le teorie di quanti ritenevano che fosse impresa vana tentar di educare al bene i figli di coloro che avevano dato prova di tendenze trasgressive. La società colta dell’epoca, imbevuta di pregiudizi circa l’ereditarietà del carattere, mostrò scetticismo di fronte a tale nobile sforzo educativo, ma il Beato non si lasciò intimidire né indietreggiò. Con ferma costanza egli perseverò nell’iniziativa, riuscendo a conquistare alla sua causa uomini di grande prestigio, i quali giunsero ad offrire il loro contributo per la redazione del regolamento della erigenda Istituzione, basata, per volontà del Longo, sulla religione, sulla scuola, sul lavoro, e soprattutto sull’amore cristiano.
 
2. È noto che l’Istituto, nel corso degli anni, ha saputo forgiare personalità di grande levatura, le quali si sono distinte, oltre che per impegno cristiano e capacità professionale, anche per ineccepibile correttezza nell’esercizio di pubbliche responsabilità. Meritevole di menzione è pure l’influsso benefico svolto dall’Istituto in modo, per così dire, collaterale. Bartolo Longo, infatti, non si preoccupò soltanto della difesa dei fanciulli, figli dei carcerati, ma s’adoperò anche per recuperare i loro genitori. Sia i ragazzi accolti nell’Opera, sia i genitori carcerati venivano condotti dall’apostolo a scoprire, attraverso l’amore dell’uomo, l’amore di Dio. Nel carcerato, punito dalla società, il Beato Longo vedeva il Signore, sempre memore delle parole del Vangelo: “Ero carcerato, e mi avete visitato” (Mt 25, 36ss). Scriveva a questo proposito: “Abbracciare i figli dei carcerati e sottrarli alla miseria e all’ignominia è il modo più semplice e pratico di mostrare con i fatti ai padri e ai compagni dei padri la bontà della società che hanno offesa, e di avviarli irresistibilmente ad una rapida e completa rigenerazione”.
 
3. Bartolo Longo fu tra i pionieri della riforma carceraria e rimane anche oggi un punto di riferimento per quanti intendono offrire la loro opera al risanamento della società. Non potendo da solo attendere ad un’attività così vasta ed impegnativa, ricorse all’aiuto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, i quali, da autentici figli di San Giovanni Battista de La Salle, non hanno cessato di consacrare la loro vita alla nobile causa di tanti giovani desiderosi di acquistarsi una solida formazione spirituale e sociale. In seguito, il Beato fondò la Congregazione delle Suore Figlie del Santo Rosario di Pompei, alle quali affidò le figlie dei carcerati. L’attività educativa, svolta con spirito materno da queste Religiose, dedite al servizio di chi vive nella emarginazione, si è rivelata quanto mai opportuna e benefica.
 
In questi cento anni, nell’Opera fondata dal Beato Bartolo Longo sono passati circa quattromila ragazzi, dei quali il primo, Domenico Pullano, diventò sacerdote. Il 12 aprile del 1909, lunedì di Pasqua, egli celebrò la seconda S. Messa nella Cappella dell’Istituto e, commosso, amministrò l’Eucarestia anche al grande benefattore, Bartolo Longo, che l’aveva amorevolmente accolto mentre si trovava in una situazione di abbandono.
 
4. Auspico che la ricorrenza giubilare serva ad attirare l’attenzione su codesta Casa di educazione, che conserva tutta la sua attualità, esercitando la sua benefica opera a vantaggio di tanti ragazzi e ragazze. Come agli inizi, anche oggi essa vive col sostegno della carità e della solidarietà umana e cristiana. Le celebrazioni centenarie vogliono essere, da parte di tutti, assolvimento di un debito di riconoscenza verso il venerato Fondatore, che con animo coraggioso e intrepido promosse e portò avanti tale Opera contro ogni avversità, fidando nell’aiuto di Dio e nella materna protezione della Vergine SS.ma del Rosario.
 
A Maria, Madre del Redentore, affidò ancora l’intera Istituzione, mentre, da parte mia, ben volentieri imparto a Lei, venerato Fratello, ai ragazzi, alle ragazze ed ai loro familiari, come pure agli educatori ed educatrici la mia speciale Benedizione Apostolica, in pegno di abbondanti favori celesti.
 
Dal Vaticano, 8 maggio dell’Anno 1992
 
Joannes Paulus II
*Il Progetto del Fondatore
 
Fondato nel 1892, il “Beato Bartolo Longo” è il fiore all’occhiello dei centri educativi di Pompei. La sua istituzione dimostrò l’inesattezza della teoria lambrosiana circa l’ineducabilità dei figli dei carcerati. Oggi è profondamente cambiata la tipologia degli ospiti ma non lo spirito d’accoglienza e di promozione umana.
 
“… il campo della carità è così vasto – soleva dire il santo Padre Ludovico da Casoria – che produce svariati, belle e giovevoli frutti di salvezza alla civile famiglia. Oggi, o fratelli, ci pare giunto il momento opportuno di manifestare – non senza una certa esitazione – un voto segreto del nostro animo, che da tempo chiudiamo gelosamente nel cuore con una perplessità, a volte dolorosa, la quale nasce dal desiderio ardente di attuarlo, e dall’evidente insufficienza, e, direi quasi, impossibilità dei mezzi, per venirne a capo… Or qual è, a mio credere, la classe più abbandonata dei fanciulli in Italia e fuori?
 
Sono i figli dei carcerati, e segnatamente i figli dei forzati, i quali condannati a quindici, venti anni di pena, e talvolta alla galera per tutta la vita, non vedranno mai più i loro figlioli, se non forse quando questi, per effetto dei loro delitti, andranno a raggiungere i loro genitori nelle prigioni! ...
 
Oh, io depongo oggi nel Cuore di Gesù Cristo e nel cuore dei miei amati fratelli e sorelle, questo mio focoso desiderio, questo voto, di fondare qui, all’ombra del santuario, sotto il materno manto di Maria, un’Opera di educazione morale e civile per i figli dei carcerati, per quegli esseri abbandonati, che la sciagura dei genitori getta a languire nella via con tutti i disagi e le amarezze dell’orfano, senza averne il carattere esterno, comunemente riconosciuto, per godere dei pietosi provvedimenti istituiti a salvare l’infanzia abbandonata”.
 
(Autore: Bartolo Longo)
*Poesia di Mons. Baldassarre Cuomo
 
Nel Centenario di Fondazione dell’Opera per i figli dei Carcerati
 
La notte che si muta in luce
 
Nella Valle un dì bruciata e fosca…
 
Cala la notte d’improvviso, e la paura
 
gli animi avvolge
 
d’incombente squallida vendetta.
 
I giorni mesti filtrano miseria
 
al pianto dei piccoli affamati,
 
al padre che rincorre orrori
 
tra le macchie e i boschi.
 
Giace la donna, giovane,
 
dal petti innanzi tempo inaridito
 
e gli occhi
 
che il dolore e l’ansia impietra…
 
E fugge quel padre
 
che torbido pensier del sangue fratricida
 
che or ora ha sparso ad inquinar la terra.
 
È notte intorno
 
e più note in cuore
 
quando, inginocchiato al suolo della Valle
 
un dì bruciata e fosca,
 
disperato implora: “Salvatemi i miei figli!”
 
Eco di Dio che al misero si abbraccia
 
egli risponde un uomo:
 
“Spegni i tuoi terrori:
 
è aperto già il mio cuore ai figli tuoi
 
e la mia casa.
 
Ma tu percorri la tua via!...”
 
S’ode d’allora un’armonia
 
che i mesti volti tinge di sorrisi.
 
È un cinguettio di bimbi
 
che i tortuosi passi della storia
 
di semi d’innocenza sparge
 
e i pianti amari
 
in lacrime di gioia discioglie.
 
Ferve la prece qui insieme col lavoro,
 
il nobile squillare degli ottoni
 
e il libro che il sapere insegna:
 
gli animi tutti carezza di celeste pace
 
un cuore.
 
Mira, mio spirito, e ragiona:
 
il filo d’erba che il deserto uccide
 
rechi una pietosa mano
 
in suolo aprico:
 
un verde manto bacerà la primavera…
 
(Autore: Mons. Baldassarre Cuomo)
*Primo Centenario Istituto Bartolo Longo
 
Sono le ore 17,30 circa del 23 maggio quando nel cortile dell’Istituto B. Longo – così come previsto dal calendario delle manifestazioni per il centenario dell’Opera per i figli dei carcerati – cominciano a presentarsi gli invitati alla celebrazione ufficiale.
 
La banda dell’Istituto è già riunita, accenna a qualche motivo per rendere piacevole l’attesa: ci sono gli ex alunni, ci sono numerosi rappresentanti dei Figli di S. Giovanni Battista de la Salle, venuti da ogni parte d’Italia, ci sono le Figlie del S. Rosario di Pompei con la loro Madre Generale, giungono autorità civili e militari, si presentano via via intere famiglie di cittadini pompeiani.
 
Intenso è, nell’attesa dell’apertura ufficiale della cerimonia, il via vai delle persone del locale in cui le Poste Italiane hanno predisposto l’annullo speciale concesso per il centenario.
 
Verso le 18,00 la banda richiama al “silenzio” e giungono il Cardinale Opilio Rossi, il Prelato Francesco Saverio Toppi, l’emerito Arcivescovo Domenico Vacchiano, il primo cittadino di Pompei Giuseppe Tucci, altri rappresentanti della comunità religiosa e civile.
 
Il corteo si dirige verso la porta d’ingresso del teatro dell’Istituto: è un primo significativo perché la struttura, nella quale Bartolo Longo aveva riposto obiettive speranze di educazione e di animazione culturale, era da alcuni anni inattiva per una serie di interventi di restauro e di ammodernamento, che hanno richiesto tempo per essere realizzati e che hanno anche dovuto saper attendere la generosità dei benefattori.
 
Il teatro, intitolato ai coniugi Pasquale Di Costanzo e Assunta Mattiello, è stato così riaperto alla sua funzione e si prevede che per esso abbia inizio un periodo di intensa promozione artistico-culturale e ricreativa, anche per il sostegno di una nascente Associazione culturale legata ai due personaggi cui il teatro si intitola.
 
Mentre il pubblico si sistema nella sala teatro dove in prima fila siedono gli ex Direttori dell’Istituto: Tullio Crocicchia, Pasquale Sorge, Rocco Edelman, Rodolfo Meoli, sul palcoscenico al tavolo della presidenza hanno preso posto il Cardinale Opilio Rossi, il Prelato Arcivescovo Mons. Francesco Saverio Toppi, l’Amministratore del Santuario Mons. Pietro Caggiano, il Vicario generale Mons. Baldassarre Cuomo, il Direttore dell’Istituto Bartolo Longo Fratel Domenico Anzini, il Sindaco di Pompei dott. Giuseppe Tucci: sono i rappresentanti ufficiali che si alterneranno per soffermare l’attenzione dei presenti sulla celebrazione giubilare.
 
Così il saluto del Prelato al Cardinale Opilio Rossi “per la sua presenza e per la premura attenta e stimolante con cui segue il nostro Santuario e le Opere annesse”.
 
Ci sarà anche l’intervento del Direttore dell’Istituto: “senz’altro oggi è un giorno storico, così come lo è stato il 29 maggio 1892, giorno in cui si pose la prima pietra dell’erigendo Ospizio educativo B. Longo…
 
Sono cento anni di vita che si sono sgranati come un immenso Rosario con i suoi misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi e potremmo dire che ogni grano è una perla incastonata in questi cento anni di storia”.
 
“Per noi cittadini e figli di Pompei, - ha detto poi il Sindaco Tucci – rimane difficile esprimere e rendere agli altri il significato che riveste l’Istituto B. Longo… Per noi assume un carattere di sacralità… Assistiamo ad un evento che ci rallegra e ci lascia stupiti. Siamo infatti testimoni di una carità inesauribile, che non si consuma perché è alimentata dalla fede… Anche il teatro in cui siamo sorse per volontà di B. Longo: oggi tanti ricordi di infanzia e di giovinezza di molti pompeiani riaffiorano nel rivedere il teatro dell’Istituto… Anche questa inaugurazione nasce dalla carità cristiana…”.
 
Questi interventi ufficiali erano stati tutti preceduti dall’ascolto, per la voce di Mons. Raffaele Matrone, della lettera che il Pontefice ha fatto giungere per l’occasione giubilare al Prelato di Pompei.
 
La sala si è fatta silenziosa, tutti si sono alzati ed hanno ascoltato: “Ho appreso con gioia che ai memorabili eventi, che costellano la storia di codesto Santuario della Beatissima Vergine Maria del SS.mo Rosario, si aggiunge quest’anno la fausta ricorrenza del primo centenario di fondazione dell’Opera per i figli dei carcerati […] Bartolo Longo fu tra i pionieri della riforma carceraria e rimane anche oggi un punto di riferimento per quanti intendono offrire la loro opera al risanamento della società. Non potendo da solo attendere ad un’attività così vasta ed impegnativa, ricorse all’aiuto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, i quali, da autentici figli di S. Giovanni Battista de la Salle, non hanno cessato di consacrare la loro vita alla nobile causa di tanti giovani desiderosi di acquistarsi una solida formazione spirituale e sociale.
 
In seguito, Bartolo Longo fondò la Congregazione delle Suore Figlie del S. Rosario di Pompei, alle quali affidò le figlie dei carcerati. L’attività educativa, svolta con spirito materno da queste Religiose, dedite al servizio di chi vive nella emarginazione, si è rivelata quanto mai opportuna e benefica.
 
In questi cento anni, nell’Opera fondata dal Beato Bartolo Longo sono passati circa quattromila ragazzi, dei quali il primo, Domenico Pullano, diventò sacerdote. Il 12 aprile del 1909, lunedì di Pasqua, egli celebrò la seconda S. Messa nella Cappella dell’Istituto e, commosso, amministrò l’Eucarestia anche al suo grande Benefattore, Bartolo Longo, che l’aveva amorevolmente accolto mentre si trovava in una situazione di abbandono”.
 
È uno dei passaggi della lettera di Giovanni Paolo II, il quale ha così dato una significativa testimonianza al “Venerato Fondatore, che con animo coraggioso ed intrepido promosse e portò avanti tale opera contro ogni avversità, fidando nell’aiuto di Dio e nella materna protezione della Vergine Santissima del Rosario”.
 
In questi cento anni sono passati circa quattromila ragazzi: ciascuno dei quali è giunto con un proprio vissuto, fatto di dolori, di tristezza, di privazioni materiali e morali.
 
L’esistenza di questi ragazzi e di queste ragazze sarebbe rimasta senza speranza se non fosse entrata fra le mura dell’Istituto, se non vi avesse trovato gli educatori chiamati da Bartolo Longo, i Fratelli delle Scuole Cristiane e le Suore Domenicane del Santuario, pronti a realizzare l’impegnativo progetto di ridare sorriso e gioie, di offrire un itinerario di educazione e di formazione. In questa ottica di risanamento e di animazione civile e religiosa si sono mossi in questi primi cento anni tutti coloro che hanno proseguito nel cammino intrapreso da Bartolo Longo.
 
In una cornice rinnovata le persone hanno seguito il messaggio del Pontefice. Da esso i presenti hanno potuto percepire con maggiore chiarezza la funzione di Bartolo Longo: quei quattromila ragazzi divenuti uomini per la fede, per la scuola, per il lavoro, per l’amore cristiano, ci dicono che la “provvida iniziativa” ha trovato nel tempo ulteriori motivi di consenso, presentandosi, all’anno giubilare nella pienezza dei suoi compiti, con una prospettiva anche più ampia, che si apre al contributo associativo esterno.
 
Una prima espressione di tale contributo, a chiusura della serata, dal concerto offerto dalla professoressa Cristina Mattiello per il primo centenario della fondazione dell’Istituto ed in memoria del cognato Pasquale Di Costanzo Sovrintendente del San Carlo.
 
Dal coro polifonico Januensis, sotto la direzione del Direttore Herbert Handt i presenti hanno potuto ascoltare la “Messa di Gloria” di Gioacchino Rossini, in una esecuzione vibrante, che ha sintetizzato il senso stesso della spiritualità del centenario.
 
(Autore: Luigi Leone)
 
*L’Albero della Carità
 
Centenario dell’Istituto “Bartolo Longo”
 
Ho sempre pensato che il vero inchiostro con il quale questo periodico è scritto, viene da quell’inesauribile calamaio di carità che Bartolo Longo ha lasciato ai posteri. Uomo di preghiera anche quando impugnava la penna, il Beato ha lasciato, sotto forma di Opere, molteplici e visibilissimi “appunti” perché di questo flusso di carità, col passare del tempo, niente andasse perduto.
 
Di tempo, di giorni in cui mattone su mattone si ponevano le fondamenta di un edificio tutto innalzato – in nome del Vangelo – all’amore verso il prossimo, ne è trascorso davvero tanto. Ma nemmeno lo spazio di un secolo ha fatto ingiallire le foglie di un’attualità germogliata come pianta spontanea dalle robuste radici dell’albero della carità.
 
È precisamente “vecchia” di un secolo L’Opera per i figli dei carcerati, uno degli “appunti” più illuminati che Bartolo Longo ha inserito in quella grande raccolta di “Miracoli” che è la Nuova Pompei. Del Centenario di questa istituzione viene celebrato, anzi sancita, una naturale e perenne giovinezza. La carità – quando è autentica – è una delle poche merci che non paga dazio di fronte al mutare dei tempi. Possono cambiare le forme, ma la sostanza, se è tale, travalica anche i secoli. Di questo centenario, di questa nostra festa, a me tocca parlare con la discrezione di chi ha appena il compito di introdurre e di “aprire” le pagine – come le porte di un’accogliente casa comune – al solenne e attentissimo messaggio inviato per l’occasione da Giovanni Paolo II.
 
Sono pagine di una nostra storia che, attraverso le parole del Papa, diventano storia della Chiesa universale.
 
È al centenario, ovviamente, che il giornale “Il Rosario e la Nuova Pompei” dedica il meglio di sé. Un articolo del nostro Prelato, Mons. Toppi.
 
Del messaggio di Giovanni Paolo II colpisce, tra le altre, un’affermazione: “Bartolo Longo fu tra i pionieri della riforma carceraria e rimane ancora oggi un punto di riferimento per quanti intendono offrire la loro opera al risanamento della società”.
 
Se viene del tutto spontaneo pensare a quale forma di carità ricorrerebbe oggi Bartolo Longo per rispondere alle esigenze di una società così diversa e lontana dal suo tempo, bisogna anche aggiungere che al centro di tutto è la santità.
 
Solo i santi sanno guardare lontano ed è per questo che la santità finisce per essere la più incisiva delle forme di intervento e di presenza sociale.
 
Ed è anche per questo che il secolo non pesa su quest’edificio che ha la carità per fondamento.
 
Eppure anche, anzi soprattutto allora, mettere mano a un’impresa di carità significativa sfidare i tempi, remare controcorrente, andare a cacciarsi in quei “guai” dei quali è inevitabilmente lastricata la strada di ogni buona intenzione. Significava andare a scovare e scavare il bene in una società che mostrava di averne timore quasi quanto il male.
 
Il positivismo era la barriera che la scienza del tempo innalzava tra uomo e uomo; il confine artificiale e artificioso tra il bene e il male.
 
Attraverso le celebrazioni del centenario dell’Istituto Bartolo, è possibile ripercorrere oggi l’itinerario di una straordinaria avventura ecclesiale e umana, dalla quale Pompei è insieme protagonista e testimone.
 
Le pagine de “Il Rosario e la Nuova Pompei”, arricchite dal messaggio del Papa, sono a loro volta i fogli di un irripetibile diario che continua ad essere scritto con l’inestinguibile inchiostro tratto dalla perenne carità di Bartolo Longo.
 
(Autore: Angelo Scelzo)
*Un voto del nostro cuore
Fondazione del "Centro Educativo Bartolo Longo"
Le Suore iniziarono a prestare la loro opera in cucina, nella lavanderia, nella stireria, il 25 gennaio del 1961. Il Centro è diretto dai "Fratelli delle Scuole Cristiane" voluti da Bartolo Longo come educatori dei Figli dei Carcerati fin dal 13 agosto del 1907.
I figli dei carcerati sotto il manto della Vergine di Pompei
“Fratelli! Abbiam donato a Dio un Tempio, ed alla Madre di misericordia una Reggia, donde spargere i suoi tesori di beneficenza per coloro che gemono ed affannano.
Abbiamo eretto accanto al Tempio della fede, il tempio della Carità, ove abbiam messo in salvo le anime di creaturine infelici, di povere orfanelle, che sono anch’esse altrettanti templi dello Spirito Santo.
Ma la Carità di Cristo, che è “fuoco vivo”, intende a dilatarsi sulla terra, e non guarda confini…
Oggi, o fratelli, ci pare giunto il momento opportuno di manifestare…, un voto segreto del nostro animo, che da tempo chiudiamo gelosamente nel cuore con una perplessità, a volte “dolorosa”, la quale nasce dal desiderio ardente di attuarlo, e dall’evidente insufficienza, e, dirci quasi, impossibilità dei mezzi, per venirne a capo.
Il giorno indimenticabile dell’8 Maggio 1887, in cui la Regina delle Vittorie entrò solennemente incoronata a prender possesso del suo Trono, elevatole in questo Santuario dalla pietà dei figli suoi sparsi nel mondo, io deposi là, nel Cuore pietoso di Lei, il mio desiderio, di raccogliere intorno quel Trono la classe delle bambine più abbandonate, che si aggirano vagando tra le vie della nostra Italia col prossimo pericolo della perdizione. E cosifatta schiera d’innocenti sventurate, parea a me, che avesse ad essere la Corte eletta della Regina della Misericordia sulla terra di Pompei, che da mane a sera La inneggiasse con la corona del celeste Rosario.
E sì iniziai l’Orfanotrofio femminile, il quale tolse nome dalla vergine di Pompei. La Madonna benedisse l’opera caritatevole: e oggi settantacinque orfanelle vivono ricoverate qui, mediante l’inesauribile pietà vostra, o fratelli dilettissimi.
Quale prova più certa, che veramente la Madonna ci aveva messo in cuore la santa risoluzione di sposare al culto la beneficenza?
Entrando oggi, nell’Anno Quintodecimo, il Cuore divino del Figliuolo della vergine a prendere il possesso del trono anche a Lui apparecchiato, io mi sento sospinto da un’altra forza nuova e occulta a metter fuori una parola, che è pure un desiderio intenso, una fiamma, un voto, che depongono in quel Cuore di bontà sconfinata, e nel cuore pietoso dei miei amati fratelli.
Io ragiono a questa guisa. – Se entrando la Madre di misericordia in questo Santuario si scelse a sua corte una corona formata delle fanciulle più abbandonate; entrando il Figliuolo dell’Uomo, che presenta il suo Cuore riboccante di paterno amore e di compassione agli uomini, vuol certo beneficare alla classe dei fanciulli più abbandonati; …!
Or qual è, a mio credere, la classe più abbandonata dei fanciulli in Italia e fuori?
- Sono i figli dei Carcerati, e segnatamente i figli dei forzati, i quali condannati a quindici, a venti anni di pena, e volta alla galera per tutta la vita, non vedranno mai più i loro figliuoli, se non forse quando questi, per effetto di loro delitti, andranno a raggiungere i loro genitori nelle prigioni! ...
Cotesti fanciulli non sono orfani; e quindi non han diritto a godere dei benefizi civili, e dei ricoveri ed orfanotrofi provinciali o comunali.
Sono in condizione peggiore degli orfani, perché invisi ai propri cittadini in odio dei loro colpevoli genitori, portano, senza colpa, il marchio dell’infamia dei loro parenti; e lasciati con una madre per lo più povera, … senza educazione, senza freno, coi pravi esempi paterni dinanzi agli occhi, fra poco si daranno al vizio, e quindi al delitto. E presto o tardi il tetro carcere sarà inevitabilmente la loro casa. Il pane nero dello Stato sarà il loro alimento perenne…
Oh, io depongo oggi nel Cuore di Gesù cristo, e nel cuore dei miei amati fratelli e sorelle, questo mio focoso desiderio, questo voto, di fondare qui, all’ombra del Santuario, sotto il materno manto di Maria, un’Opera di educazione morale e civile pei figli dei carcerati …
Questo ramo di beneficenza cristiana esercita sul mio cuore un’attrattiva irresistibile, e mi apparisce davvero degno della più viva sollecitudine.
Che avviene infatti di una povera famiglia, quando per qualche orrendo misfatto, il padre è condannato o a perpetuo carcere, o a venti anni di pena?
La madre, forse giovane ancora, vedova desolata vivente tuttora il marito, vedendo mancare il pane in casa, è costretta a mendicare per non morir di fame lei e i figli, e diviene a sua volta vittima della seduzione o della prepotenza! …
Ora una nuova istituzione cristiana che intenda a salvare cotesta classe di fanciulli veramente abbandonati, è altamente benemerita della civiltà e della patria: dappoichè eserciterebbe anche, nel medesimo tempo, un’azione altamente educativa e moralizzatrice delle carceri e dei bagni di pena. Quando uno sciagurato… vien condannato ad essere segregato dal civile consorzio per quindici o venti lunghi anni, sottoposto a dure ed obbligatorie fatiche…, il primo effetto che risente della sua condanna è la più orrenda disperazione.
Considerando lo stato suo presente senza libertà, senza dimani, ricordando la moglie, i propri figli, fanciulli ancora; bestemmi la società, che lo ha scacciato, bestemmi Dio che lo ha creato, bestemmia sé stesso, che non sarà mai più felice… Ora se in tale stato d’inferno il povero condannato ode che la sua famiglia, i figli suoi, non sono al tutto abbandonati; che vi ha uomini pietosi i quali prestano la mano fraterna al loro soccorso; che la “Vergine di Pompei”, qual madre tenerissima, li raccoglie sotto il suo manto; oh, allora un raggio di luce squarcia quel fitto tenebrore. L’infelice galeotto al pensiero che vi ha al mondo degli uomini che pensano a lui! Ai figli suoi! Che egli non è da tutti abbandonato; senza avvedersene, diventa più rassegnato, più calmo; obbedisce a superiori, ottempera alle leggi che dapprima gli parean durissime e ingiuste.
Che è avvenuto? – Un raggio di conforto è disceso a mitigare l’inferno del suo cuore. La preghiera a Maria, quella preghiera, che era stata abbandonata dal primo giorno in che fu avvinto da catene, ritorna spontanea sulle labbra. Il povero forzato quindi innanzi, si rammenta i figli, associa involontariamente le memoria di essi con la memoria della Vergine che li ha presi a custodire. E ogni volta che li chiamerà a nome da lungi (senza speranza di risposta), invocherà ancora quel Nome benedetto che forma il conforto di tutti i tribolati. E l’amore de’ propri figliuoli gli detterà nel cuore una fervida preghiera alla celeste Consolatrice degli afflitti.
Ecco la Vergine di Pompei distendere i rami delle sue beneficenze fin dentro i più orrendi abituri de’ galeotti. Ecco la vergine di Pompei fatta augusta educatrice delle prigioni!
È questa l’idea, da cui un’opera cristiana al tutto nuova, di cui insino ad oggi non vi ha esempio né in Francia, né nel Belgio, né in altre cattoliche nazioni. L’Italia sarebbe la prima a possederla… pei figli dei carcerati, pei figli dei galeotti, fanciulli abbandonati all’ozio ed alla occasione del delitto, né gli Spagnoli, né altri popoli cristiani vi han rivolto il pensiero. Vi ha pensato la Madonna di Pompei! ...
Ecco il voto del mio cuore… Il cuor di Gesù lo vuole! I figli dei Carcerati sono anche i figli della Madonna di Pompei!
(Avv. Bartolo Longo – da: “Il Rosario e la Nuova Pompei 1891. Pp. 274-278)

*Belvedere Marittimo - 1918

Nacque il 24 novembre del 1918. Le Suore raggiunsero la casa il 3 febbraio 1019, che chiuse, purtroppo, nel 1924.

(Suore Domenicane - Casa Albergo M. De Fusco - Via Roma, 43 - 80045 Pompei (NA)
Fondazione della "Casa Albergo Marianna De Fusco"
Il nove febbraio 1965 Sua Eccellenza Mons. Aurelio Signora inaugurava la Casa di Riposo per signore anziane intitolata “Fondazione Marianna De Fusco” la consorte di Bartolo Longo, la donna che mettendo a disposizione dell’Apostolo del Rosario i suoi beni in Pompei, gli facilitava di attuare le grandi Opere sociali-religiose della Nuova Pompei.
Con la Fondazione Marianna De Fusco il Santuario della Beata Vergine veniva arricchito della gemma che mancava.
Con l’Orfanotrofio e i vari Istituti per gli abbandonati, orfani della Legge e della morte, ecco anche una casa per le anziane che vanno incontro alla morte sole e senza affetto.
L’Opera veniva affidata alla Direzione ed alla Cura delle Suore di Pompei che con zelo, amore e dedizione stanno accanto alle ospiti dando loro serenità e assistenza ammirevole.
Da quel giorno decine e decine di anziane si sono preparate a morire cristianamente ben assistite religiosamente e amorevolmente.
Le varie Superiori, da Madre Elena, Madre Sabina, Madre Lucia Pedone, Madre Mercedes, Madre Domenica, Madre Luciana, Madre Remigia, all'attuale superiora Madre Arcangela, hanno saputo dare all’ Istituzione tanto affetto e cura da farne una grande famiglia dove si gode la pace e la serenità.
*Albergo del Rosario (Pompei - NA)
Fondazione "Albergo del Rosario"
Si tratta di una grande struttura che fu gestita, in primo momento, dalle Suore ed attualmente è chiusa.
*Ex responsabile della "Casa Albergo Marianna De Fusco"
Madre Vanna Maggiolini
Comunità della "Casa Albergo Marianna De Fusco"
Ultime Suore appartenenti alla comunità sono:
Suor Maria Domenica (Italiana) - Suor Maria Sofia Badong (Filippina)
*Fondazione Marianna De Fusco
Il nove febbraio 1965 Sua Eccellenza Mons. Aurelio Signora inaugurava la Casa di Riposo per signore anziane intitolata “Fondazione Marianna De Fusco” la consorte di Bartolo Longo, la donna che mettendo a disposizione dell’Apostolo del Rosario i suoi beni in Pompei, gli facilitava di attuare le grandi Opere sociali-religiose della Nuova Pompei.
Con la Fondazione Marianna De Fusco il Santuario della Beata vergine veniva arricchito della gemma che mancava. Con l’Orfanotrofio e i vari Istituti per gli abbandonati, orfani della Legge e della morte, ecco anche una casa per le anziane che vanno incontro alla morte sole e senza affetto.
L’Opera veniva affidata alla Direzione ed alla Cura delle Suore di Pompei che con zelo, amore e dedizione stanno accanto alle ospiti dando loro serenità e assistenza ammirevole.
Da quel giorno decine e decine di anziane si sono preparate a morire cristianamente ben assistite religiosamente e amorevolmente.
Le varie Superiori, da Madre Elena, Madre Sabina, Madre Lucia, Madre Mercedes, Madre Domenica, Madre Luciana a Madre Remigia hanno saputo dare all’Istituzione tanto affetto e cura da farne una grande famiglia dove si gode la pace e la serenità.
*News dalla "Casa Albergo Marianna De Fusco"
Essere devoti: un motivo per vivere
Restare accanto alla Madonna del Rosario (Al pensionato “Marianna De Fusco” la vita trascorre in un clima di serenità e in compagnia di chi “Ci aiuta a credere nei più alti valori cristiani”
La nota caratteristica che distingue questo Pensionato è la devozione alla Madonna del Rosario.
Potremmo dire che soltanto il desiderio di vivere accanto a Lei ci ha indotto a restare qui definitivamente.
“Siamo arrivate da mille strade diverse” ricorda un noto canto e così è per noi che, pur essendo diverse per età, professione, provenienza, ci sentiamo unite dallo stesso filiale amore per la Madre divina.
Un esempio fra tutti potrebbe essere quello della Signora Carmela S. ultranovantenne.
Prestò la sua attività per vari anni alle dipendenze dell’Amministrazione del Santuario e oggi con due figli maschi brillantemente sistemati, puntuale e precisa nei suoi doveri quotidiani, ripete spesso a edificazione di tutti: «Questo è il periodo più bello della mia vita».
È commovente la sua gratitudine alla Madonna per le tante grazie ricevute che esprime, oltre che con devote preghiere, anche portando di persona frequentemente la sua modesta offerta al Santuario.
L’Immagine della Vergine del Rosario troneggia in tutte le sale come in tutte le nostre camere.
i esce molte volte per partecipare alle funzioni che si celebrano nel Santuario.
E le inferme che restano in camera fanno scorrere tra le dita per molte ore al giorno la corona del Rosario.
La Cappella, linda, confortevole, ornata sempre di fiori freschi è il cuore del Pensionato e ci accoglie ogni mattina per la Messa come nel pomeriggio per il Rosario e per le altre funzioni che, secondo i tempi liturgici, vengono celebrate.
Oltre alla presenza ordinaria del Cappellano, che con assidua dedizione presta qui la sua opera, c’è anche quella straordinaria del nostro Vescovo e dei Superiori che ci fanno dono della loro fervente parola di apostoli mariani.
Tutto concorre in questo Pensionato a sostenere la pietà mariana perché tutto è organizzato e predisposto allo zelo missionario delle Suore Figlie del S. Rosario di Pompei.
La loro presenza non solo garantisce la funzionalità dell’istituzione, ma ci aiuta a credere nei più alti valori cristiani.
Esse sanno trovare il modo di rendere più serena la vita di tutte le ospiti aderendo nei limiti del possibile alle nostre richieste.
Una particolare attenzione è rivolta alle signore inferme. La Superiora, con molta dolcezza e pazienza, si reca a visitarle più volte al giorno per portare loro una parola di incoraggiamento che concorre a rendere la sofferenza accettata e offerta.
Preghiamo insieme la Vergine del Rosario perché sostenga le nostre Suore nella loro difficile missione e le renda sempre più capaci di testimoniare e trasmettere il Suo amore materno. (Autore: Carolina Muavero)
*Natale atteso con ansia
Già con l’inizio della novena si possono notare i fervidi preparativi per l’allestimento del presepe e dell’albero e per l’addobbo delle sale e dei corridoi con angeli, rami di abete, festoni ecc.
La sala da pranzo assume il tono delle feste natalizie: tovaglie, fiori, musiche, ornamenti adeguati alle circostanze.
Ciò che caratterizza però la vita del Pensionato è proprio il clima religioso che vi domina.
Infatti, durante questo periodo non manca la visita del nostro Arcivescovo che ci porta i suoi auguri, la sua benedizione e quella degli altri Superiori.
La Vigilia di Natale, il Bambino Gesù anticipa la sua nascita al pomeriggio in modo che la processione possa svolgersi in orario compatibile con l’età delle più anziane e con le esigenze delle inferme.
La processione si snoda per i piani e il Cappellano visita tutte le camere offrendo la statua di Gesù Bambino alla nostra venerazione. Segue quindi la celebrazione della Messa.
Dopo cena, a chi può, è consentito di recarsi al Santuario insieme alle Suore per partecipare alla solenne funzione di mezzanotte.
Un grazie particolare, perciò, è doveroso porgere alla Madre Superiora che si preoccupa di farci trovare anche i posti riservati come persone di famiglia.
Siamo tutte particolarmente devote alla Vergine del Rosario e poter partecipare alle funzioni che si celebrano nel Santuario in queste occasioni, è il dono più bello che possiamo ricevere.
Non rimpiangiamo nemmeno i cibi tradizionali che si preparano in questi giorni perché i pranzi nei giorni di festa sono particolarmente ricchi e invitanti.
Le Suore dedicano più tempo alla cucina per preparare personalmente dolci caratteristici: struffoli, croccanti mandorlate, torte, ecc… Le feste natalizie sono ricche di “dolci” sorprese: piccoli dono che troviamo a tavola il giorno di Natale, quelli che abbiamo la possibilità di vincere nelle tombolate e infine quelli contenuti nella calza della Befana che ci viene consegnata puntualmente il 5 gennaio.
Tutto si conclude, proprio come prescrive il calendario liturgico con la festa del Battesimo di Gesù.
Durante queste feste abbiamo modo di apprezzare ancora di più la generosa disponibilità delle nostre Suore che, pur essendo poche, riescono non solo ad assicurare a tutte la necessaria assistenza e a garantire l’efficienza del Pensionato, ma anche a trovare ogni giorno, con piccoli gesti d’amore, il modo per alimentare in noi il gusto della vita e quindi la capacità di riconoscere i doni che il Signore largamente ci offre.
(Autore: Carolina Muavero)
*I cinquant'anni della Casa Albergo
La struttura di ospitalità per signore anziane fi inaugurata nel 1965, nel 41° anniversario della morte della Contessa Marianna De Fusco, Si volle dedicare quest'importante Opera sociale proprio alla consorte del Beato Bartolo Longo che, come il Fondatore del Santuario, fu esemplare apostola di carità in pieno spirito evangelico  
1965 - 2015 - La festa per l'anniversario
Ricorre quest'anno il 50° anniversario della casa Albergo Marianna De Fusco, opera sociale del Santuario della Beata Vergine di Pompei, finalizzata all’accoglienza e all’assistenza di signore anziane.
La struttura fu inaugurata il 9 Febbraio 1965, quando ricorreva il 41° anniversario della morte della Contessa Marianna De Fusco, consorte del Beato Bartolo Longo. Il suo nome a quest’istituzione della carità è stato dato per illuminare il ricordo di una donna che ha donato i propri averi per costruire, insieme all’Avvocato, il Santuario e le opere annesse, finalizzate all’accoglienza e all’assistenza dei bambini e degli anziani.
Dalle origini ad oggi, la Casa Albergo ha percorso un cammino di continuo miglioramento nel pieno rispetto delle normative di legge, mantenendo sempre servizi efficienti e al passo coi tempi.
Lo scopo principale, nella volontà della Contessa, è l’assistere le signore anziane autosufficienti nella casa della Madonna. Tutto ciò grazie al grande contributo caritatevole delle Suore Domenicane Figlie del Santo Rosario di Pompei, che si sono avvicendate negli anni e che hanno fatto in modo che la struttura rimanesse ancora oggi un fiore all’occhiello tra le opere del Santuario.
Sin dai primi anni d’attività, le signore ospiti giungevano desiderose di trascorrere il periodo dell’anzianità in una struttura del Santuario di Pompei, proprio vicino alla Madonna.
Molte donne erano già state nella cittadina mariana da piccole, accolte negli Istituti di accoglienza per orfani, ed hanno avuto la possibilità di ritornare poi da anziane nella Casa Albergo, immersa nella gioia e nella pace.
Il 21 febbraio 2015, nella struttura, si è tenuta una grande festa per il cinquantesimo. Organizzata dalla Madre Superiora, Suor Maria Vanna Maggiolini, con la collaborazione di Suor Maria Domenica, Suor Maria Sofia e di tutto lo staff, la cerimonia è iniziata con la celebrazione della Santa Messa, presieduta nella Cappella interna dall’Arcivescovo Mons. Tommaso Caputo e animata dai canti liturgici delle suore Domenicane.
Insieme al Presule, hanno concelebrato Don Salvatore Acampora, Don Giuseppe Rendina, Don Antonio Protano e Don Enrico Gargiulo. Oltre alle signore ospiti e tutto il personale della struttura con i relativi familiari, erano presenti le autorità civili e militari e numerosi invitati che hanno partecipato con fervore ed emozione. Dopo aver consumato il rinfresco, gli ospiti si sono trasferiti nella sala TV dove hanno potuto assistere alla proiezione di un breve, ma emozionante filmato che ha riassunto la vita evolutiva della struttura ed i momenti più significativi delle ospiti dagli anni passati ad oggi.
Il momento di festa si è concluso con un pranzo finale allietato da divertenti esibizioni canore delle signore ospiti. È stata una giornata speciale non solo per le osapiti, ma anche per tutta l’équipe operante; una giornata all’insegna della convivialità, della spensieratezza e dello stare insieme.
È stato bello condividere la loro serenità e i momenti divertenti e capire che ci vuole proprio poco per far felice qualcuno.
Non esiste un’età per sentirsi bene, l’importante è riuscire a vivere a pieno le proprie emozioni e desiderare di condividerle con gli altri, è proprio questo che si è concretizzato in questa giornata.
I nostri cari anziani rappresentano la ricchezza dell’attuale generazione, un punto di riferimento, una memoria storica, spesso consumati da una vita di fatiche e sacrifici, ma portatori di una grande saggezza e di consigli preziosi. Per questo gli anziani vanno custoditi, assistiti e protetti con rispetto e amore.
(Autore: Massimo Marinaro)
*Natale atteso con ansia
Già con l’inizio della novena si possono notare i fervidi preparativi per l’allestimento del presepe e dell’albero e per l’addobbo delle sale e dei corridoi con angeli, rami di abete, festoni ecc.
La sala da pranzo assume il tono delle feste natalizie: tovaglie, fiori, musiche, ornamenti adeguati alle circostanze.
Ciò che caratterizza però la vita del Pensionato è proprio il clima religioso che vi domina.
Infatti, durante questo periodo non manca la visita del nostro Arcivescovo che ci porta i suoi auguri, la sua benedizione e quella degli altri Superiori.

*Casa Famiglia - 1934

Fondazione "Casa Famiglia"

Proposta del 24 ottobre 1934. Opera Pompeiana nella quale venivano preparate ad affrontare le realtà del mondo le giovani che lasciavano gli istituto pompeiani. La prima sede fu a Pompei in via Colle S. Bartolomeo, presso il Villino di Bartolo Longo.

Accoglienza ai minori

“L’amore, deve essere la base e il fondamento di ogni sistema educativo che voglia pervenire a sicuri e lodevoli risultati” (Bartolo Longo).
Luogo privilegiato dove l’ amore si esprime e si concretizza è la famiglia, piccola Chiesa domestica in cui “la paternità e la maternità umana hanno in sé in modo essenziale ed esclusivo
una somiglianza con Dio, sulla quale si fonda la famiglia, intesa come comunità di persone unite nell’amore” (Lettera del Papa alle famiglie).
Purtroppo questo luogo privilegiato per molti bambini è inesistente e tutti sappiamo quanto siano devastanti le conseguenze per la loro vita.
Ed ecco finalmente una nuova legge quadro (328 dell’8 novembre 2000) che tutela il diritto dei minori ad avere una famiglia. Questa legge prevede, per le famiglie in difficoltà, come intervento prioritario aiuti economici e prestazioni sociali; là dove per inadeguatezza genitoriale o altri motivi si rende necessario l’allontanamento dei minori dalla famiglia di origine è previsto l’ affido familiare e/o l’ adozione; per i casi in cui i due precedenti interventi non sono possibili, è consentita l’ accoglienza dei minori in strutture comunitarie di tipo famiglia.
Le Opere educative di Pompei, già avviate alla riconversione dal 1997 con la ristrutturazione dell’ ex Orfanotrofio formando gruppi con non oltre 13 minori, si incamminano ora verso una completa conversione. A spingerci non sono solo le nuove norme legislative ma anche la presa di coscienza di quanto sia fondamentale per la crescita e lo sviluppo armonico del bambino crescere in un contesto familiare.

È chiaro che anche la comunità di tipo familiare non può sostituirsi alla famiglia., ma è comprovato che una comunità fondata sull’amore, sul rispetto della persona in quanto tale, può avere gli strumenti necessari che aiutano il bambino a soddisfare i suoi bisogni emotivi-affettivi che gli consentono di crescere armonicamente. (Continua...)

*Cattori - 1935 (Torre Annunziata - NA)

Fondazione "Cattori"

Richiesta del 23 ottobre del 1935 per opera d’assistenza e apostolato fra bambini, gioventù femminile, villici ed operai in Rione Cattori.
Casa S. Michele Arcangelo in Torre Annunziata.
Le Suore si ritirarono nel 1975.

*La Casina

Questo nome farà sobbalzare molte ex alunne per la vivacità dei ricordi suscitati, anche se di natura diversa.
Molte funzioni, infatti, ebbe questo edificio nel passato ed altre ne avrà nel futuro.
Sorta negli anni venti per essere il Sanatorio delle Opere pompeiane (a quei tempi la Tbc era malattia non ancora sconfitta), subì varie modifiche e, tra l’altro, fu anche la “Casa famiglia” delle giovani fidanzate che, in preparazione al matrimonio, imparavano gli elementi essenziali di economia domestica.
Ha ospitato persone con drammi di salute, speranzose di guarigione e giovani aperte alla vita di nuove famiglie: tutti motivi di vividi ricordi.

L’edificio, consolidato e ristrutturato a seguito del sisma del 1980, ospita un laboratorio per la preparazione di abiti da sposa e prima Comunione, una pista coperta di pattinaggio e due aule per la catechesi.
*Orfanotrofio 1887 - Centro Educativo "Beata Vergine del Rosario"
Suore Domenicane Centro Educativo Beata Vergine - Piazza Bartolo Longo, 1 - 80045 Pompei (NA) "Campania"
L'Opera fu inaugurata il 7 maggio 1887, sorgeva accanto al Santuario, venne poi trasformata in un nuovo edificio inaugurato nel 1954.
Ora denominata "Centro Educativo B. Vergine del Rosario", è stata completamente rinnovata ed adeguata alle esigenze moderne.
*Bartolo Longo racconta
L’orfanotrofio femminile della Beata Vergine del Rosario. Scopo dell’Istituzione
Nell’interno del monumentale Santuario della Vergine del Rosario in Valle di Pompei, e propriamente a sinistra di chi entra nel Tempio, sorge un’Orfanotrofio femminile, fondato dal Comm. Avv. Bartolo Longo e dalla Contessa Marianna De Fusco, sua consorte.
Esso toglie il titolo alla Vergine del Rosario di Pompei e raccoglie gratuitamente le bambine orfane di ambo i genitori, povere ed abbandonate, dall’età di quattro anni a sei anni, di ogni parte d’Italia e dell’Estero, le quali diseredate dal bacio materno e dalla materna cura e sorveglianza, vanno per le pubbliche vie, esposte ai pericoli e alle seduzioni del vizio.
La origine di esso rimonta al giorno indimenticabile dell’8 Maggio 1887, in cui la taumaturga Vergine del Rosario, incoronata, entrò trionfalmente nel suo tempio a prendere possesso della sua Casa di elezione; e venne così elevata sopra il Trono monumentale formato di bronzi, di oro e di marmi preziosi eretto a lei dall’amore ardente di migliaia e migliaia di figli suoi sparsi per il mondo.
In memoria di quel giorno, che segnò la data del risorgimento della Nuova Pompei, fu pensiero dei Fondatori innalzare accanto al monumento della Fede un monumento della Carità che rendesse testimonianza della carità cristiana del secolo XIX, ispirata dalla Vergine e messa in atto in questa Valle di benedizione.
Ebbero anche i Fondatori quest’altro intendimento: circondare il Trono di Colei, che la Chiesa invoca Madre intemerata e Madre di Misericordia, di una schiera di fanciulle innocenti e infelici, come in un serto vivente di rose e di gigli, le quali sotto il manto della vergine di Pompei trovassero quella protezione e quella salvezza  che a loro nega il mondo.
Essi vollero pure che le schiere d’innocenti ed abbandonate fanciulle qui raccolte e difese da ogni pericolo e da ogni bisogno, formassero la Corte eletta della Regina delle Vittorie; e mattina e sera la onorassero ed invocassero col dolcissimo saluto dell’Angelo, intrecciando ai suoi piedi corone di mistiche rose, e pregando per i loro benefattori.
L’apertura dell’Opera ad una nuova emergenza sociale: le figlie dei divorziati
Le Opere annesse al Santuario di Pompei sono una conferma della validità ed attualità del carisma del suo Beato Fondatore.
Il messaggio di Bartolo Longo non è disincarnato dalla storia né avulso dalle miserie della città terrena, ma raggiunge l’umanità nel suo dolore per asciugarne le lacrime e caricarsi delle sue pene. Un cristianesimo che non entrasse nel vissuto quotidiano dell’uomo per condividerne le sofferenze rimarrebbe senza incidenza e sarebbe condannato alla sterilità.
Gli scritti del Beato sono una sorgente di luce e ci aiutano a scoprire la carità che divampa nel suo cuore: “O fratelli e sorelle! Per cinquant’anni e più… io non mi sono mai stancato di pregare per ogni dolore, per ogni affanno, per ogni calamità.
Era la preghiera di un povero peccatore, è vero, ma era pure un desiderio sincero, una brama ardente dell’altrui consolazione… confidando nell’onnipotenza di Dio e nell’intercessione della sua Madre divina” (Dal Testamento spirituale).
Ma cogliamolo nel suo primo ripensamento dopo gli errori giovanili: “ Per riparare al mal fatto in quel periodo di pregiudizi e di lotte anticlericali… sentivo una brama, che era un’angoscia, uno spasimo, di agitarmi, di lavorare, soprattutto di scrivere, per promuovere il Regno di Dio”.
E per scrivere bene tornò a scuola.  Confortato dal consiglio dell’abate Vito Fornari, e da lui introdotto, si rivolse alle menti più elette che illuminarono Napoli nella seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, il Card. Alfonso Capecelatro, il Card. Giuseppe Prisco, il Prof. Leopoldo Rodinò.
Dieci anni di apprendistato dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza. Era però ben lungi dal prevedere che tutto questo sarebbe stato base per creare a  Pompei un monumento di amore alla Regina dell’amore.
Ma a destargli nell’animo l’imperativo del “caritas Christi urget nos”  furono i santi del tempo, il Padre Ribera, redentorista, il Padre Radente, domenicano, il Padre Melecrinis, gesuita e in modo particolare, il Padre Ludovico da Casoria, il “San Francesco redivivo” che riempiva  di fuoco la città di Napoli, Bartolo Longo accompagnato dal marchese Imperiali lo vide per la prima volta nella cappella delle fanciulle more al Tondo di Capodimonte e restò folgorato dal suo sguardo, dalla sua figura ascetica, dal suo tratto squisito e decise da quel momento di averlo come maestro e guida per i suoi progetti di apostolato a Pompei.
Dopo la sua morte scriverà “… quest’uomo straordinario, questo povero che ha beneficato più di qualunque ricco… quest’uomo di Dio che ritraeva nella sua mente Francesco d’Assisi, e nel suo cuore Vincenzo de’ Paoli, appartiene alla storia di Valle di Pompei, poiché egli è stato il nostro Maestro nella carità quale è richiesta dai tempi nuovi, cioè dalla beneficenza educatrice”.
Padre Ludovico non vide le Opere di Pompei, morì due anni prima della fondazione dell’Orfanotrofio, ma guidò i primi passi di Bartolo Longo nella valle di Maria, e dal cielo continuò ad assisterlo e a ricordargli: “La carità, oh! Quanto è bella la carità verso i fanciulli poveri”.
Il 7 maggio del 1987 segna cento anni da quando la prima orfanella, la veneziana Maria, venne a Pompei. Quanto cammino ha fatto da allora questa prima “creatura” di Bartolo Longo!
Le prime orfanelle conseguivano il diploma di scuola elementare (non era poco allora): poi si preparavano alla vita completando la loro formazione con un buon corredo di cognizioni e di virtù che dovevano fare di loro delle buone madri di famiglia.
Vennero in seguito la scuola media, la media superiore, e oggi, a quelle che lo desiderano, di accedere alla scuola statale per altri indirizzi di studio. Opportunamente conseguivano il diploma di stenodattilografia, di musica e non mancavano corsi di taglio, cucito e ricamo.
Gli Istituti pompeiani, secondo la mente del Fondatore, hanno sempre ospitato orfani della natura a della legge.
Negli ultimi anni, tuttavia, nuove emergenze sociali hanno “ imposto” l’apertura ad un’altra categoria di emarginati: i figli dei divorziati.
Il divorzio, infatti, ha creato una terza categoria di orfani, la più infelice e la meno reclamizzata.
Li chiamano “orfani bianchi” e sono le vittime dell’egoismo di chi mai avrebbe dovuto privare i propri figli del calore della famiglia. Alla morte ci si rassegna, al carcere di può dare una giustificazione, ma nessuna motivazione può giustificare l’abbandono dei figli.
“L’urto emotivo dei figli dei divorziati è molto più violento di quello che nel fisico procura la paralisi” (Kenneth Johnson).
Essi soffrono più di un orfano, si sentono messi da parte, dimenticati e traditi. Il loro equilibrio psichico può essere turbato per sempre.
Questa categoria di emarginati il Santuario di Pompei, interpretando il pensiero del Fondatore, ha accolto negli ultimi anni. Essi sono circa il 30° delle presenze  nei nostri Istituti (1987).
Ě stato certamente Bartolo Longo ad ispirare un gesto così lungimirante, perché lui dal cielo, presso il trono della regina delle Vittorie, continua a vegliare, amare, e proteggere le sue Istituzioni.
Lo aveva promesso solennemente agli associati, prima di morire: “Vada la vostra preghiera per le mie sofferenze, per i bisogni dell’anima mia; vadano le vostro nobili oblazioni per il popolo dei miei figliuoli, per quelli che ora vedo e benedico, per tutti quelli che verranno un giorno e che io amerò con più perfetto amore, quando si saranno chiusi questi occhi mortali” (Dal Testamento Spirituale.

       

(Raffaele Matrone)
*Centenario dell’Orfanotrofio Femminile
Alle radici della Speranza
Il Cardinale Opilio Rossi ricorda che la speranza cristiana esige l’impegno di tutti a favore dei poveri e degli emarginati
Nel Vangelo proclamato in questa celebrazione eucaristica in onore della Vergine Maria, abbiamo ascoltato con devozione l’inno del Magnificat, che è l’Inno del Magnificat, che è l’inno che canta la speranza di Maria.
L’umile fanciulla di Nazareth, promessa sposa ad un povero operaio, sperava la venuta del Salvatore annunciato dai profeti, come la speravano molti in Israele. Gabriele, il messaggero celeste le annunciò il compimento della sua speranza, ma in un modo impensato. Essa sarà la donna prescelta da Dio: "da te nascerà il Salvatore sperato. Nulla è impossibile a Dio". La risposta di Maria fu di abbandono totale e senza riserva alla parola di Dio, parola di speranza per lei e per il mondo: così il destino suo e di tutta l’umanità veniva segnato per sempre dalla venuta del Salvatore nel suo senso verginale.
Nel Magnificat, Maria esprime la sua gioiosa gratitudine per il privilegio della maternità divina; canta la misericordia di Dio verso coloro che lo temono, proclama l’amore di Dio per gli umili. Maria esalta anche la fedeltà di Dio alle sue promesse di salvezza. Ed anche la Chiesa, ed anche noi, che siamo Chiesa, celebriamo le grandezze e meraviglie che Dio ha operato in Maria, lodiamo l’azione di Dio, padre dei poveri e dei derelitti. Nel Magnificat, Maria riconosce poi la sua pochezza ed umiltà; tutto attribuisce alla gratuità della grazia di Dio, che ha fatto in lei grandi cose. È sorretta dalla speranza nel sentirsi e sapersi salvata; non si compiace in se stessa, ma unicamente nella misericordia e nella potenza di Dio: tutto ha ricevuto come puro dono. "L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata". Se tutte le generazioni la chiameranno beata, è unicamente perché Dio, nel suo amore, ha posto i suoi occhi sulla umiltà, sulla piccolezza della sua ancella. Forte richiamo per noi: l’uomo per salvarsi non può far affidamento sulle sue proprie forze e gloriarsene; non ha nulla di suo, ma deve unicamente sperare dalla grazia del Signore. Questo è ciò che vale, soprattutto se si pensa che le cose di questo mondo sono effimere, passano. Veramente, alla gratuità assoluta della salvezza, dobbiamo corrispondere con un’attitudine di speranza e di riconoscenza del dono amoroso e gratuito di Dio che salva.
Nel Magnificat, in questo inno che canta la gioia e il giubilo della speranza di Maria, risalta anche la situazione di stridente contrasto tra i potenti del mondo e del denaro e i poveri e gli ultimi della società; e questa discriminazione è contro la volontà di Dio, la giustizia del suo regno, l’annuncio di salvezza e di speranza per tutti. Questo è il significato delle parole del Magnificat:
"Ha dispiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi". Maria è segno di speranza per la Chiesa e per l’uomo contemporaneo; in preda della paura. Nella Enciclica di Giovanni Paolo II "Redemptor hominis" c’è un paragrafo intitolato: "Di che cosa ha paura l’uomo contemporaneo?". E vi si legge: "L’uomo di oggi sembra di essere minacciato da ciò che produce. I frutti della multiforme attività dell’uomo si rivolgono contro l’uomo stesso. L’uomo pertanto vive sempre più nella paura. Egli teme che i suoi prodotti possano diventare mezzi e strumenti di una inimmaginabile autodistruzione" (n° 15). Maria è segno di speranza perché "piena di grazia". Maria, segno di speranza vuol dire: segno che orienta verso il futuro, verso il Dio che verrà, verso Colui che ha detto: "Non abbiate paura, io ho vinto il mondo". Maria ci indica il cammino della vera speranza cristiana, impegnandoci al tempo stesso per il regno di Dio e la giustizia nel mondo.
Chiesa siamo tutti noi che formiamo il popolo di Dio. Ciascuno di noi, tutti i credenti, siamo tenuti a costruire ogni giorno la Chiesa come segno di speranza per il mondo. Un mondo segnato dal peccato, dal peccato che è il sommo male e la causa di ogni altro male, anche delle guerre, degli odi, delle ingiustizie, del sottosviluppo. E se, nonostante la redenzione del Nostro Signore, questi mali rimangono, è solo perché l’uomo non vuole lasciare il peccato, abusando della libertà di cui Dio gli fa dono.
Si perpetua così anche la situazione di stridente contrasto fra ricchezza e miseria. Da una parte ingenti beni accumulati e dall’altra popoli sprovvisti dei mezzi necessari per condurre una vita degna dell’uomo e indispensabili per sopravvivere.
Al tempo stesso però il mondo prende sempre più coscienza della fratellanza universale e della urgenza di cambi nelle istituzioni onde superare le discriminazioni oppressive i instaurare la compartecipazione umana.
Nell’attuale concreta situazione del mondo, la Chiesa deve compiere la sua missione di salvezza e di speranza per tutti, con le opere e con l’annuncio del vangelo per l’avvento del regno di Dio e la giustizia nel mondo.
Chiesa siamo tutti noi che formiamo al popolo di Dio. Ciascuno di noi, tutti i credenti, siamo tenuti a costruire ogni giorno la Chiesa come segno di speranza per il mondo. Un mondo segnato dal peccato che è il sommo male e la causa di ogni altro male, anche nelle guerre, degli idoli, delle ingiustizie, del sottosviluppo. E se, nonostante la redenzione del Nostro Signore, questi mali rimangono, e solo perché l’uomo non vuole lasciare il peccato, abusando della libertà di cui Dio gli fa dono.
Si perpetua così anche la situazione di stridente contrasto fra ricchezza e miseria. Da una parte ingenti beni accumulati e dall’altra popoli sprovvisti dei mezzi necessari per condurre una vita degna dell’uomo e indispensabili per sopravvivere.
Al tempo stesso però il mondo prende sempre più coscienza della fratellanza universale e della urgenza di cambi nelle istituzioni onde superare le discriminazioni oppressive e instaurare la compartecipazione umana.
Nell’attuale concreta situazione del mondo, la Chiesa deve compiere la sua missione di salvezza e di speranza per tutti, con le opere e con l’annuncio del vangelo per l’avvento del regno di Dio. Ma, la proclamazione della speranza cristiana senza le opere rimarrebbe sterile.
Questa speranza esige oggi dalla Chiesa e da ciascuno di noi un atteggiamento fraterno e l’impegno a favore dei poveri, degli emarginati, dei diseredati e abbandonati dalla società. Se non sentiamo questo assillo, vuol dire che non abbiamo compreso la verità semplice e radicale del messaggio cristiano o che non conosciamo per esperienza la reale situazione di quelli che soffrono. Sì, la speranza cristiana appare vera quando vi è l’impegno per i fratelli, vissuto con amore e per la giustizia: cioè nel dare compimento al precetto del vangelo: l’amore al prossimo.
Oggi, il messaggio di speranza di Maria e della Chiesa ci trova riuniti nella Basilica di Nostra Signora del Rosario di Pompei, per celebrare solennemente il centenario della fondazione dell’Orfanotrofio femminile, opera del Beato Bartolo Longo.
Fanciulle povere ed abbandonate, e più tardi figli di divorziati, hanno trovato ospitalità nella casa sorta all’ombra del santuario, sotto la protezione della Madonna; casa, frutto della fede e dell’amore di un fervente figlio della Chiesa.
Fanciulle prive di affetto e calore materno, abbandonate a se stesse, esposte ai pericoli della seduzione del vizio, hanno ricevuto e ricevono accoglienza amorosa dalla Chiesa ed in particolare dalle buone religiose dell’Istituto fondato dallo stesso Beato Bartolo Longo. Così, la città di Pompei si è aperta a sentimenti di fede e di amore al prossimo, sapendo che fede e carità sono il fondamento della vita cristiana.
Il Beato Bartolo Longo ha così mostrato quanto importante e feconda di opere può essere la santità dei laici per il mondo contemporaneo.
Nella omelia della sua Beatificazione, il 26 ottobre 1980, il Papa Giovanni Paolo II ha definito Bartolo Longo "un laico che ha vissuto totalmente l’impegno ecclesiale".
Il Beato Bartolo Longo possiamo considerarlo il primo testimone della nuova Pompei e qui egli è passato con il fuoco della carità, con la corona del rosario, seminando speranza e consolazione. Devoto e imitatore di Maria, ha aderito a lei, la Vergine orante, pellegrino nella fede, compassionevole e in tutto solidale con Gesù nell’opera della salvezza.
Parlare di Bartolo Longo, come laico impegnato nella società, campione della fede e della carità, e di forte stimolo per i fedeli che oggi si preparano al prossimo Sinodo dei vescovi, che ha per tema: "Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo a venti anni dal Concilio Vaticano II", che si celebrerà dal 1° al 30 ottobre di quest’anno (1987).
Una vocazione e missione laicale così pienamente realizzata nella fede e nella carità come quella di Bartolo Longo, è una testimonianza capace di muovere e trascinare tante anime. Deve essere un appello ed incitamento alla coscienza cristiana di tanti battezzati specialmente laici, a penetrare di fede, di amore, di speranza, di giustizia, di fraternità e di pace le realtà temporali: il mondo dell’economia, della politica, della famiglia e della scuola, della università e della vita professionale.
Raccogliere fanciulle abbandonate e trasformarle in modelli di rettitudine morale e di vita cristiana, è la risposta della fede, dell’amore e della giustizia – fondamento della società. È la risposta di un figlio della Chiesa, esempio per i laici che oggi desiderano vivere intensamente la chiamata di Dio alla santità e all’impegno a favore dei necessitati e dei più poveri.
In Maria, Madre della speranza, troviamo la forza e l’incentivo per percorrere ed avanzare in questo cammino di santità.
(† Card. Opilio Rossi)
*Le Divise delle Orfanelle
 
Sembrerebbe anacronistico parlare di divisa in un tempo in cui essa viene rifiutata perché “massificante”.
 
Però l’uniforme è un necessario distintivo per i membri di un determinato gruppo e può esercitare il suo fascino: più spesso negli “spettatori” che nei “portatori”. Le istituzioni pompeiane non fanno eccezioni a questa abitudine sociale ed hanno sempre avuto una loro divisa.
 
Ne vedete illustrate tre che rappresentano, grosso modo, l’evoluzione del vestito dell’Orfanotrofio nei Cento anni di vita.
 
La prima è degli inizi e reca linee evidenti di abito religioso, forse ispirato alla foggia delle Suore del tempo.
 
La mantelletta, di sicuro aiuto nel periodo invernale, e la Corona del Rosario, ricordo costante all’Orfano e al visitatore della Casa ospitante. La seconda è più “giovanile” ma sempre ambientata in un preciso periodo storico, ormai chiuso, che va dalla prima guerra mondiale agli anni 60. Alcuni piccoli dettagli distinguevano la divisa delle Orfane da quella delle Figlie dei carcerati. Motivi pedagogici ed esigenze didattiche hanno fatto superare anche questa distinzione nell’abito creando di tutte le alunne una sola famiglia.
 
Oggi non è così rigida nei colori e nei disegni e si adegua molto più velocemente ai gusti ed esigenze attuali.
 
La scuola di taglio e cucito è stata una costante necessità dell'Orfanotrofio femminile: imparare un mestiere ed essere autosufficienti per la confezione di biancheria e vestiti erano le motivazioni di fondo per tale attività.
*Fondazione dell'Orfanotrofio - 1987 - Centro Educativo "Beata Vergine del Rosario"
Dall’Agenda dell’Anno 1987 per il Centenario dell’Orfanotrofio Femminile 1887-1987
L’orfanotrofio femminile della Beata Vergine del Rosario. Storia dell’edificio
Nel novembre 1886 l’Avv. Bartolo Longo istituì due Asili infantili, per bambini e bambine pompeiani, e costruì accanto al Santuario due corridoi con sale vaste, aerate ed adatte allo scopo. Su queste sale e su questi corridoi fu nel 1887 costruito un piano superiore destinato ad accogliere le prime orfanelle.
La prima sala, capace di 15 fanciulle, venne inaugurata il giorno della festa del Rosario, nell’Ottobre di quel medesimo anno 1887.
Crescendo intanto ogni giorno il numero delle ricoverate, si cominciò ad ampliare d’un piano dopo l’altro il vasto fabbricato.
E nel 1889 avendo il Barone Francesco Compagna, Senatore del Regno e Gentiluomo di S. M. la Regina, offerto per una grazia ricevuta, la generosa somma di lire 20.000 a beneficio delle orfanelle, pensammo di costruire una seconda camerata per altre 15 fanciulle orfane e derelitte.
Così nelle feste del maggio 1890 la nuova camerata venne solennemente inaugurata ammettendovisi non già 15, ma 20 bambine: e così, a serbare perenne la memoria del magnanimo Gentiluomo, fu questa nuova sala chiamata dal nome di un suo figliuolo defunto, “Sala Gerardo Compagna”.
Nel medesimo anno 1890 sul fronte meridionale dell’orfanotrofio venne costruito ed inaugurato l’Osservatorio Meteorologico Vulcanologico.

Nel 1891 le orfanelle crescevano sempre più di numero; e, non potendo più contenerle il fabbricato già fatto, né volendosi, per difetto di luogo, lasciar morire di fame tante altre povere bambine orfanelle che domandavano ricovero, si determinò di occupare le sale degli Asili e le Scuole delle fanciulle pompeiane, già aperte nel 1886. Così le orfanelle, cresciute di numero, occuparono tutte le sale, anche quelle già ordinate per gli Asili; e l’Avv. Longo fu costretto ad edificare nuove sale per le Scuole femminili e per Asili infantili.
Queste nuove Scuole femminili e nuovi Asili infantili vennero inaugurati il giorno memorabile del 29 Maggio dell’anno 1892, con la prima festa civile per i Figli dei Carcerati: e fu in quel giorno aperta eziando (anche) la grande cucina e il gran refettorio delle Orfanelle.
Non si era mancato poi di costruire sul lato  che guarda l’Occidente, una lunga sala per uso di Infermeria, indispensabile ad ogni comunità.
Sennonchè  fanciulle inferme allora non ve n’erano, e intanto continuavano a venire nuove domande per nuove ammissioni.
Avvenne perciò che anche questa sala d’infermeria fu tosto invasa da un buon numero di orfanelle che non si ebbe cuore di respingere.
Ma intanto l’infermeria è indispensabile in un grande Istituto: ed ecco costruita come per incanto una vasta e bellissima infermeria sul lato meridionale, e propriamente sul braccio unaugurato nel Maggio 1892 per uso di Scuole e di Asili Infantili.
La nuova costruzione per l’infermeria delle orfanelle venne inaugurata nell’ultima domenica di Maggio del 1893, in quel giorno della Festa Civile, in cui si inaugurò il provvisorio Ospizio Educativo Bartolo Longo per accogliere la prima schiera dei figli dei carcerati.
Finalmente nell’ultima Domenica di Maggio del 1884, giorno faustissimo in cui furono solennemente aperte ancora due nuove sale dell’Ospizio Educativo Bartolo Longo, e furono presentate ai numerosissimi intervenuti  40 Figli di Carcerati, si inaugurava un nuovo braccio dell’Orfanotrofio Femminile.
Così rapidamente venivasi ampliando, all’ombra dello splendido Santuario della Vergine , l’Edificio grandioso, ove acerbissimi dolori sono confortati e dove trovano sicuro, mercè la carità grande di questo nostro secolo, le fanciulle più misere e più sventurate.
Queste nuove Scuole femminili e nuovi Asili infantili vennero inaugurati il giorno memorabile del 29 Maggio dell’anno 1892, con la prima festa civile per i Figli dei Carcerati: e fu in quel giorno aperta eziando (anche) la grande cucina e il gran refettorio delle Orfanelle.
Non si era mancato poi di costruire sul lato  che guarda l’Occidente, una lunga sala per uso di Infermeria, indispensabile ad ogni comunità.
Sennonchè  fanciulle inferme allora non ve n’erano, e intanto continuavano a venire nuove domande per nuove ammissioni.
Avvenne perciò che anche questa sala d’infermeria fu tosto invasa da un buon numero di orfanelle che non si ebbe cuore di respingere.
Ma intanto l’infermeria è indispensabile in un grande Istituto: ed ecco costruita come per incanto una vasta e bellissima infermeria sul lato meridionale, e propriamente sul braccio inaugurato nel Maggio 1892 per uso di Scuole e di Asili Infantili.
La nuova costruzione per l’infermeria delle orfanelle venne inaugurata nell’ultima domenica di Maggio del 1893, in quel giorno della Festa Civile, in cui si inaugurò il provvisorio Ospizio Educativo Bartolo Longo per accogliere la prima schiera dei figli dei carcerati.
Finalmente nell’ultima Domenica di Maggio del 1884, giorno faustissimo in cui furono solennemente aperte ancora due nuove sale dell’Ospizio Educativo Bartolo Longo, e furono presentate ai numerosissimi intervenuti  40 Figli di Carcerati, si inaugurava un nuovo braccio dell’Orfanotrofio Femminile.
Così rapidamente venivasi ampliando, all’ombra dello splendido Santuario della Vergine l’Edificio grandioso, ove acerbissimi dolori sono confortati e dove trovano sicuro, mercè la carità grande di questo nostro secolo, le fanciulle più misere e più sventurate.
*Il primo edificio
Nel novembre 1886, Bartolo Longo aveva istituito due Asili Infantili per bambini e bambine pompeiani ed aveva costruito accanto al Santuario due corridoi con vaste sale atte a tale uso. Su queste due sale e su questi due corridoi, nel novembre 1887 fece costruire un piano superiore destinato ad accogliere le prime orfanelle. La prima sala capace di accoglierne 15 venne inaugurata nell’ottobre del 1887. Nel 1889, l’Avvocato annunziò di aver comprato a caro prezzo un suolo confinante con l’Orfanotrofio per fabbricare nuove sale con cucina, lavanderia, forni, spanditoi, vaccheria, giardini d’infanzia ed altro.
Nello stesso anno, a beneficio di questa nuova istituzione, il barone Francesco Compagna di Corigliano Calabro, offrì per le orfanelle lire ventimila, ed il 5 maggio dell’anno successivo venne inaugurata la nuova sala denominata "Sala Compagna".
Nel 1891 per il numero sempre crescente delle orfanelle, le sale degli Asili e le Scuole delle fanciulle pompeiane (aperte nel 1886) furono occupate dalle orfanelle, e nuove Scuole femminili e nuovi Asili infantili furono in seguito costruiti ed inaugurati il 29 maggio 1892, giorno della prima festa civile dei figli dei carcerati; in quel giorno venne pure inaugurato un grande refettorio con annessa cucina per le orfanelle.
Bartolo Longo in questa sua febbrile attività non aveva tralasciato la cura della salute delle sue ricoverate, e fece costruire sul lato occidentale dell’Istituto una lunga sala per uso infermeria, cosa indispensabile ad ogni comunità. Senonché, allora, fanciulle inferme non ve ne erano, mentre continuavano a pervenire nuove domande di ammissione.
Avvenne pertanto che anche questa sala d’infermeria fu presto invasa da un buon numero di orfanelle, che il Beato non ebbe il cuore di respingere. L’infermeria, fu costruita sul lato meridionale, sul braccio inaugurato nel maggio 1892, in una vasta e grande sala.
Al fine di evitare le speculazioni che si andavano facendo sull’Orfanotrofio e sulle fanciulle, Bartolo Longo diramava frequenti avvisi ai fedeli, a diffidare da persone poco oneste, che si qualificavano collettori a nome del Santuario di Pompei per la raccolta di offerte a pro delle orfanelle e dell’Orfanotrofio.
Non tralasciò di chiedere alla Società Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo, che allora gestiva le Ferrovie, le concessioni di viaggio ferroviario per i suoi istituti, cosa che gli venne concessa.
La nuova Istituzione fu oggetto di visite da parte dei numerosi personaggi dell’epoca: reali, prelati della chiesa romana, capi di governo, ministri, parlamentari, studiosi. Tra le tante visite non può essere dimenticata quella che fece il 22 giugno 1887, il più grande missionario dell’Africa, il Cardinale Massaia.
*Il nuovo edificio
La continua richiesta di ammissioni non è venuta mai meno neanche dopo la morte del Fondatore (1926) e nei decenni che sono seguiti.
Nuove situazioni sociali: separazioni di coniugi, abbandono di minori, resero necessaria la costruzione di un nuovo edificio realizzata dal Prelato del tempo, Mons. Roberto Ronca.
La posa della prima pietra avvenne il 16 aprile 1951 e la costruzione fu ultimata solo nel 1954.
L’inaugurazione fu presieduta dal Cardinale Adeodato Piazza e il passaggio delle orfanelle dal vecchio al nuovo Istituto avvenne nel giorno della festa di Cristo Re, il 31 ottobre 1954. Bartolo Longo aveva certamente un innato senso organizzativo; ogni suo atto, ogni sua Opera, erano destinati a rimanere memorabili.
Volendo assicurare vita lunga all’Orfanotrofio diceva: "A che debbo affidare le mie orfanelle del Rosario di Pompei? Dovendo io morire, debbo lasciare chi mi succeda nell’opera di educazione delle orfanelle", e per questo motivo fondò una Congregazione di Suore con la Regola del Terzo Ordine di San Domenico.
Esse da allora hanno provveduto con grande abnegazione alla istruzione, educazione e cura del corpo e dell’anima delle orfanelle.
*La carità è amore
Non possiamo alla fine di questo primo secolo di vita e all’inizio del secondo, dimenticare gli innumerevoli benefattori che nel tempo hanno reso possibile, con le loro premure ed offerte, ad alcune migliaia di ragazze di poter aspirare ad una vita dignitosa.
Ad essi il grazie della Famiglia Pompeiana e quello particolare delle orfanelle.
Auguriamo infine, all’inizio di questo secondo secolo di vita, che la protezione della Vergine Santissima, unita a quella del Beato Fondatore possa far fruttificare ogni bene possibile non solo alle assistite ma anche a tutti quelli che collaborano a questa istituzione provvidenziale.
(Autore: Aniello Cicalese)
"Da il Rosario e la Nuova Pompei di gennaio – febbraio del 1987"
*Le Opere di beneficenza sono la prima attuazione della Pace universale
 
(Il commento di Bartolo Longo a quasi 15 anni dall’inaugurazione dell’Orfanotrofio femminile)
 
Oltre del Tempio Pompeiano, che nella sua origine, nella sua edificazione, nel suo dilatarsi, nei suoi effetti Educatrice, che gli fanno corona, come altrettanti raggi luminosi di uno splendidissimo centro, sono l’espressione di una concordia e di una Pace universale. L’Orfanotrofio delle fanciulle povere ed abbandonate si appoggia materialmente e moralmente al mondiale Santuario della Vergine di Pompei da cui piglia il nome; ed accoglie orfanelle di ogni nazione.
Non guarda ove esse sieno nate, sia in Italia, sia in Francia, sia in Germania, ma le accoglie tutte purché bambine, orfane di ambo i genitori ed abbandonate.
L’Orfanotrofio della Vergine di Pompei deve la sua origine, il suo ampliarsi, il suo crescere, il suo perfezionarsi alla carità universale e alla fratellanza dei popoli, che con amore veramente fraterno, da tutti i luoghi del mondo hanno mandato qui il loro obolo. Ma il più meraviglioso si è che questo Orfanotrofio, inaugurato l’8 Maggio 1887, in meno di 15 anni ha potuto, senza alcuna rendita e senza alcuna sovvenzione certa di Municipi, di Provincie, e di Ministeri, salvare 360 orfanelle misere ed abbandonate di ogni Paese. Ed in che modo ha potuto accoglierne un sì gran numero?
 
Con l’offerta spontanea che ogni giorno queste creature si aspettano da persone che esse non conoscono, da città ignote loro persino di nome.
Senza di queste offerte giornaliere, spontanee, costanti, affluenti, come se una folla di Angeli ogni giorno scotesse i cuori degli uomini a spedirle qui, esse morrebbero di fame e di freddo. E l’offerta spontanea, aspettata da queste povere innocenti creaturine, perviene quotidianamente in guisa da potere dare ad esse il pane tre volte al giorno, nonché il vestito e l’educazione. E questo pane quotidiano, questo sostentamento e vestito non vengono solamente dall’Italia, non solamente dalle Nazioni d’Europa, ma persino dalle Americhe, dalle Indie, e perfino dalla Cina. Questo fatto nuovo di una carità mondiale dura costante da 15 anni; e non vi è stato mai un giorno solo in cui le nostre Orfanelle siano rimaste digiune. Inoltre questa Opera è nuova anche nel suo esplica mento, perché per essa tante infelici e miserabili creature diventano figlie di famiglie agiate e talvolta ricche; e ciò costituisce una caratteristica tutta speciale dell’Orfanotrofio pompeiano che spesso rende le misere orfanelle da diseredate ereditiere, e da rifiuto della società oggetto di tenerezza e di amore per tante famiglie che le adottano.
Onde è avvenuto che nel corso di pochi anni ben 196 di queste Orfanelle sono state adottate per figlie da agiate ed oneste persone.
Ora non direte che il sentimento della fratellanza, dell’amore, della concordia è istillato diffusamente negli animi per mezzo di quest’Opera pompeiana, e che per essa si sperimentano  i benefici effetti della pace?
Similmente tutte le altre Opere educatrici che abbiamo qui fondate per il novello popolo pompeiano, e la vita materiale e civile di tante famiglie di operai sono un prodotto e si sostengono per la carità del mondo che non guarda a Paesi, ma ha per origine un medesimo amore, un medesimo desiderio, la Carità, la Fratellanza, la Pace.
*Nuovi locali per le ragazze accolte dal Santuario
 
A 110 anni esatti dal giorno in cui Bartolo Longo accolse la prima orfanella (8 Maggio 1887), gettando le basi per la sublime opera di carità che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo, si è svolta l’inaugurazione dei locali ristrutturati del "Centro Educativo Beata Vergine del Rosario".
In un clima festoso e solenne insieme, le ragazze e le bambine, guidate dalle "loro" Suore hanno accolto i numerosi ospiti.
In primo luogo il Cardinale Virgilio Noè, a Pompei per la Supplica, l’Arcivescovo-Prelato Mons. Francesco Saverio Toppi, la Madre Generale, Mons. Cuomo, Mons. Caggiano, il Sindaco di Pompei, i benefattori delle Opere pompeiane e tanti amici.
Nel suo discorso, il Cardinale ha richiamato l’importanza dello studio volto alla conoscenza della verità rivelata. Ha poi esortato le ragazze a farsi condurre mano nella mano da Gesù e ad avere Maria come compagna di vita, come Madre, come maestra per essere "luce del mondo e sale della terra", secondo il passo evangelico scelto per l’occasione. Ha quindi consigliato loro di avere sempre nelle camerette una immagine di Gesù Crocifisso ed una della Madonna.
Le ragazze, nella preghiera dei fedeli, hanno chiesto a Dio lo Spirito di Sapienza, la realizzazione completa della propria vocazione e la promozione del bene comune.
Allargando poi gli orizzonti a tutta l’umanità hanno pregato perché tutti i ragazzi del mondo possano godere di una educazione autentica ed integrale.
Mons. Acampora, Direttore Generale dei Centri Educativi Pompeiani, nel suo intervento, ha sottolineato la dimensione originaria del progetto educativo pompeiano, progetto ispirato al principio di "carità educativa" che si concretizza pienamente nel servizio alla persona considerata nella sua globalità, tenendo conto delle situazioni esistenziali in vista di un cammino di formazione e di maturazione integrale.
Ha, dunque, spiegato i criteri sottesi ai lavori di ristrutturazione che hanno seguito la Delibera Regionale n. 91/1 del ’92 che disciplina le strutture socio-educative di carattere residenziale.
"Il centro Educativo è, nella sua intima dimensione, non solo e non tanto un complesso edilizio ma una vera e propria comunità di persone!
Comunità di "pietre viventi" dove la libertà personale e le scelte dettate dalle proprie inclinazioni rappresentano le grandi sfide di un progetto educativo che vuole rinnovarsi. In questo senso va inteso anche il principio di non dividere i nuclei familiari, consentendo loro di vivere insieme".
Nel mettere in luce la silenziosa disponibilità e l’affetto materno delle Suore le ha ringraziate per come4 incarnano, nella loro vita, l’Ideale di Carità del Beato Bartolo Longo, augurando loro di continuare in questa opera così utile ed importante.
Dopo la benedizione dei locali impartita dal Cardinale, la voce argentina delle giovani ospiti si è levata in un canto di gioia che parlava di "uno stuolo di bianche colombe". Don Enzo Leopoldo, progettista e direttore dei lavori e l’Amministratore Mons. Pietro Caggiano, hanno condotto il Cardinale, il Vescovo, il Sindaco e gli altri ospiti a visitare il Centro Educativo che sarà suddiviso in quattro comunità autonome tra loro. Proprio per favorire un sempre più efficace clima di familiarità e dialogicità contro il concreto rischio di massificazione e spersonalizzazione.
Le ragazze delle scuole superiori avranno camere singole e sale per il soggiorno. Le bambine della scuola media saranno inserite in camere da quattro con sale da studio e da soggiorno.
I piccoli delle scuole materne saranno accolti in gruppi di 6 o 7. Là dove c’erano grandi camerate ci sono adesso bianchi corridoi ben illuminati dove si affacciano graziose camere4 semplice e funzionali. Il Cardinale osserva tutto ed, interessato, si informa dei particolari: tutto è stato curato nei dettagli, dalle porte tagliafuoco, all’arredamento interno, dagli impianti di riscaldamento e aerazione all’illuminazione. Completano i locali del Centro. Un’ampia cappella per le celebrazioni religiose, sale per incontri, un salone polifunzionale ed i servizi di ristorazione.
La gioia degli ospiti era tale che tutti hanno desiderato di tornare al più presto, quando il Centro Educativo B.V. del Rosario sarà in attività, per godere di quel clima sereno e gioioso che sicuramente vi si potrà trovare.
Un ringraziamento, infine, doveroso a quanti sono stati protagonisti dei lavori di ristrutturazione: l’ing. Aniello Falcone per il risanamento statico, gli ingegneri Guido Lanzillo e Biagio Estatico per la progettazione degli impianti di sicurezza ed elettrico.
Le ditte di Enzo Vitiello per i lavori di edilizia, di Bernardo Casciello per i lavori di falegnameria, della GEEP per gli impianti elettrici e di Pietro Torucci per i lavori di pitturazione.
 
(Autore: L.S.)
*Orfanotrofio, Orfanelle e Suore
 
“Sono venuta a Pompei per visitare la famosa cittadina con la sua arte, il suo Santuario, le Opere di beneficenza annesse.
 
Gli Istituti che ospitano gli alunni sono maestosi e belli, ma quello che c’è dentro è qualcosa che mi ha lasciato commossa e pensosa. Un allegro vociare mi ha attirato verso l’Orfanotrofio femminile: come in un mondo di sogno ho visto le piccole della Scuola dell’Infanzia, simili a fiori delicati, allegre, curate, pulite, serene, giocare con la loro Suora.
 
Poi un atrio immenso, luminoso e accanto la Cappella dove ho trovato tante Suore in preghiera. Sono le Suore fondate dal Beato Bartolo Longo che assistono, educano, istruiscono, formano le ospiti.
 
Candide nell’abito, angeliche nella voce e nell’atteggiamento mi hanno incantato!
 
Il grande edificio è caldo, allegro, vivo.
 
Ho incontrato alcune ragazze con le quali mi sono soffermata a parlare.
 
Sono tutte ragazze provate dal dolore, con un’angoscia immensa; ma sono serene e contente perché vivono con le loro Suore. Così si sono espresse: “Le Suore sono come le mamme: vivono con noi; ci educano, ci fanno crescere, ci curano, ci consolano, ci vogliono molto bene. Ci preparano per la società, per la famiglia, per il lavoro. Come avremmo fatto se non avessimo avuto la fortuna di incontrare queste anime generose, che dimenticano se stesse per noi?
 
Molte volte siamo irriconoscenti, nervose, infastidite dai loro buoni consigli, annoiate dalla vita monotona, ma esse, sempre buone, pazienti, gentili, fanno di tutto per renderci felici. Pregano, lavorano, soffrono senza umana ricompensa, liete di aiutare tutti quelli che soffrono o hanno bisogno di aiuto”.
 
Alcuni hanno un concetto sbagliato della “Suora” e azzardano giudizi sballati.
 
Solo conoscendole, osservandole mentre lavorano, pregano; mentre vivono le loro giornate nel silenzio, nell’umiltà, nel sacrificio, si può capire qual è la loro alta missione e che “cuore d’oro” esse hanno. Quelle che io ho avvicinato mi hanno fatto vivere, per un po’, in un mondo bello, buono, generoso. Molta parte dell’umanità dovrebbe essere riconoscente e grata a queste “Anime Consacrate”.
*News dal Centro Educativo "Beata Vergine del Rosario"
Ti rendo grazie, Signore... “Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore… A te voglio cantare davanti agli angeli… Rendo grazie al tuo nome per la tua fedeltà e la tua misericordia…” (cfr Sal 138). Con questi sentimenti di gratitudine al Signore, la comunità del Centro Educativo “Beata Vergine del Rosario” ha festeggiato il 60° compleanno di Sr Maria Isabella e Sr Maria Debora, il 70° compleanno di Sr Maria Celina Erricchiello mentre Sr Maria Melania ha voluto il silenzio per il suo 80° compleanno.
Purtroppo quel giorno non lo potrà mai più dimenticare, perché il Signore chiamava nella dimora eterna la nostra carissima Sr Maria Alfonsina…
Gioie e dolori fanno parte della nostra vita quotidiana, ma solo la forza della fede ci può aiutare a purificare lo sguardo e i sentimenti del cuore per donarci forza e coraggio nell’accettare la volontà di Dio.
(Autore: Isabella Speciale)
*L'Orfanotrofio e le Suore
 
“Sono venuta a Pompei per visitare la famosa cittadina con la sua arte, il suo Santuario, le Opere di beneficenza annesse.
Gli Istituti che ospitano gli alunni sono maestosi e belli, ma quello che c’è dentro è qualcosa che mi ha lasciato commossa e pensosa. Un allegro vociare mi ha attirato verso l’Orfanotrofio femminile: come in un mondo di sogno ho visto le piccole della Scuola dell’Infanzia, simili a fiori delicati, allegre, curate, pulite, serene, giocare con la loro Suora. Poi un atrio immenso, luminoso e accanto la Cappella dove ho trovato tante Suore in preghiera. Sono le Suore fondate dal Beato Bartolo Longo che assistono, educano, istruiscono, formano le ospiti. Candide nell’abito, angeliche nella voce e nell’atteggiamento mi hanno incantato! Il grande edificio è caldo, allegro, vivo. Ho incontrato alcune ragazze con le quali mi sono soffermata a parlare.
Sono tutte ragazze provate dal dolore, con un’angoscia immensa; ma sono serene e contente perché vivono con le loro Suore. Così si sono espresse: “Le Suore sono come le mamme: vivono con noi; ci educano, ci fanno crescere, ci curano, ci consolano, ci vogliono molto bene. Ci preparano per la società, per la famiglia, per il lavoro. Come avremmo fatto se non avessimo avuto la fortuna di incontrare queste anime generose, che dimenticano se stesse per noi? Molte volte siamo irriconoscenti, nervose, infastidite dai loro buoni consigli, annoiate dalla vita monotona, ma esse, sempre buone, pazienti, gentili, fanno di tutto per renderci felici. Pregano, lavorano, soffrono senza umana ricompensa, liete di aiutare tutti quelli che soffrono o hanno bisogno di aiuto”.
Alcuni hanno un concetto sbagliato della “Suora” e azzardano giudizi sballati.
Solo conoscendole, osservandole mentre lavorano, pregano; mentre vivono le loro giornate nel silenzio, nell’umiltà, nel sacrificio, si può capire qual è la loro alta missione e che “cuore d’oro” esse hanno.
Quelle che io ho avvicinato mi hanno fatto vivere, per un po’, in un mondo bello, buono, generoso. Molta parte dell’umanità dovrebbe essere riconoscente e grata a queste “Anime Consacrate”.






Sr. Maria
Adele Martone
Sr. Maria
Assunta Vitiello
Sr. Maria Carmelina De Stefano
Sr. Maria
Carolina Milione
Sr. Maria
Celina Errichiello






Sr. Maria
Celina Recce
Sr. Maria
Deborah Solimeno
Sr. Maria
Domenica
Sr. Maria
Elisabetta Todisco
Sr. Maria
Eufemia Rizzo
Sr. Maria
Fiorenza Massaro






Sr. Maria
Gisella Perera Ind
Sr. Maria
Iolanda Pecoraro
Sr. Maria
Isabella Speciale
Sr. Maria
Leonia Verducci
Sr. Maria
Liliana Matrone
Sr. Maria
Margherita Noto






Sr. Maria
Melania Siciliano
Sr. Maria
Michelina Monda
Sr. Maria
Neve Cuomo
Sr. Maria Nimfa
C. Birondo PH
Sr. Maria
Rosalia Giannotti
Sr. Maria
Terenzia Lepera






Sr. Maria Teresa
B.Magpayo PH
Sr. Maria
Teresita Altieri
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx






Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx

*Roma - Casa "Madonna di Pompei"  
(Suore Domenicane - Via dei Maffei, 50 - 00165 Roma "Lazio" - Tel. 06/66416745)

Fondazione della Casa di Roma

Casa "Madonna di Pompei" a Roma, aperta il 3 ottobre del 1961 come casa di studio per preparare le giovani suore e sacerdoti del Santuario di Pompei, impegnati in corsi di formazione e studi, oltre che per motivi di lavoro.
La Casa di Roma svolge l’importante ruolo di “Casa d’accoglienza” sia per i Superiori e i Sacerdoti della Prelatura di Pompei sia per le nostre Suore che, per motivi vari, si recano nella capitale per brevi soggiorni.
Chi si reca a Roma è sicuro di trovare un’ospitalità fatta di calore umano e di fraterna disponibilità per tutto quanto occorre.
Nessun segno di noia o di stanchezza, ma volti gioviali e sorridenti che ti danno carica per soggiorni piacevoli.
Vi esprimiamo, dunque, carissime sorelle romane, un grazie sentito ed affettuoso per il vostro delicato lavoro.

Regione - Lazio
Il Latium, territorio originariamente abitato dai Latini, con l'ampliarsi delle conquiste romane, incluse anche i paesi degli Ernici, degli Equi, degli Aurunci e dei Volsci, così che i suoi confini vennero estesi fino ai Marsi, ai Sanniti e alla Campania.
Questo nuovo e più ampio territorio prese il nome di  Latium novum in contrasto con il Latium vetus, che indicava il Lazio nella sua primitiva estensione. Nell'ordinamento amministrativo dell'Italia, ad opera di  Augusto, il Lazio, costituì insieme con la Campania la I regione, divenendo di fatto estensione di Roma.
Questa regione tornò ad avere una storia autonoma solo dopo la guerra gotica (535-553) e la conquista bizantina, poiché il "ducato romano" divenne dominio
dell'imperatore d'Oriente.
Ma presto, a causa delle lunghe guerre combattute contro i Longobardi, il territorio venne lasciato privo di difese, e venne conquistato dal vescovo di Roma, che possedeva già nella regione ampi possedimenti.
La Chiesa fu quindi fu in grado di rafforzare il suo potere politico territoriale, grazie anche alla consegna di Sutri da parte del re longobardo Liutprando a papa Gregorio II (728) e di Bomarzo, Amelia e Orte a  papa Zaccaria (742). Parallelamente però il rafforzarsi dell'aristocrazia laica ed ecclesiastica, che aveva la sua base in questa regione, diede vita ad una pluralità di poteri in costante concorrenza tra loro, portando i vari signori ed il vescovo di Roma a contendersi continuamente porzioni di territorio laziale, sino alla metà del XVI sec.
Molti papi, come Innocenzo III (1198-1216), tentarono, inoltre, di rafforzare il loro potere territoriale, cercando di affermare la propria autorità sulle province della Tuscia, Campagna e Marittima attraverso funzionari della Chiesa (rettori), al fine di abbattere la potenza dei Colonna.
Durante il periodo avignonese (1309-1376), però, la lontananza del papa da Roma favorì il potere dei signori feudali, ai quali si opposero le vivaci resistenze dei Comuni minori e, soprattutto di Roma, che con Cola di Rienzo provarono a proporsi come antagonisti del potere ecclesiastico.
Ma la restaurazione dell'autorità pontificia, tra il 1353 ed il 1367, portò ad un totale recupero del Lazio e del resto degli Stati Pontifici, provvedendo anche al riordinamento sia amministrativo che legislativo delle terre riconquistate.
Dalla metà del XVI sec., con la vittoria definitiva del potere pontificio, la storia del Lazio
perdette la sua autonomia, confondendosi con quella degli Stati Pontifici, nel quale formava le province del Patrimonio di San Pietro (con un governatore a Viterbo) e di Marittima e Campagna (con un governatore a Frosinone).
Dopo le parentesi della Repubblica Romana del 1798-1799 e dell'annessione della regione alla Francia, da parte di Napoleone I, in qualità di dipartimento di Roma (1808-1814), il Lazio tornò nuovamente a far parte degli Stati Pontifici, con un nuovo ordinamento amministrativo, che divideva il territorio nella "comarca di Roma" (distretti di Roma, Tivoli e Subiaco) e nelle delegazioni di Velletri, Viterbo, Civitavecchia e Frosinone.
La regione fu riunita al regno d'Italia nel 1870 quando, dopo l'abbandono di Roma da parte delle truppe francesi, il generale Cadorna entrò in territorio pontificio (12 settembre), occupando Roma il 20 settembre.

*Parrelle 1957

Scuola dell'Infanzia "San Domenico e Santa Caterina"
Suore Domenicane - Via Nolana, 448 - 80045 Pompei (NA) "Campania"

(In località Tre Ponti: 23.03.1957)
*Fondazione della Casa di Parrelle
Da oltre 50 anni le Suore nella Comunità di Parrelle
Per il Parroco della frazione di Parrelle è un dono grande avere come collaboratrici nell’attività pastorale le Suore “Figlie del S. Rosario di Pompei”.
La loro azione educatrice o di servizio alla Chiesa, tocca giornalmente il sacrificio nascosto, forse non sempre valutato dalle persone per le quali lo compiono; esse camminano gioiose e instancabili per essere ogni giorno testimoni della bontà e dell’amore di Cristo e propagatrici del S. Rosario.  
Lo afferma chi con esse collaborano, con viva soddisfazione, dopo cinquanta anni di attività da esse svolta nella Parrocchia di S. Maria Assunta.
Andarono nella Parrocchia il 15 dicembre 1956 per disposizione dell’Amministratore Apostolico del tempo Mons. Giovanni Foschini.  
Il mandato era di prestare il loro aiuto al Parroco nella catechesi, nella istruzione dei bambini dell’asilo, nella direzione dell’Associazione Femminile di Azione Cattolica e del servizio liturgico.
Nell’arco di cinquant’ anni la loro presenza è stata assai fattiva e preziosa.
Le prime comunioni dei bambini sono state accuratamente preparate; hanno saputo entusiasmare ed interessare tutti, ma soprattutto hanno cercato di infondere nell’animo di tutti la luce di Dio che dà valore alla vita.
La prima Superiora “Fondatrice” di questa attività è stata Sr. Maria Dorotea, il cui ricordo rimane sempre più vivo e desiderabile. La superiora attualmente in carica, tanto geniale nel suo lavoro, è Madre Agnese.
Da ricordare con tanta stima e venerazione Sr. M. Ippolita, Sr. M. Clelia, Sr. M. Gemma, Sr. M. Gioconda, Sr. M. Annunziata: tutte hanno lasciato una scia luminosa di bene pastorale.
*Responsabile della Comunità di Parrelle
Madre Sally Acosta (Filippina)
Comunità di Parrelle
Attualmente le Suore appartenenti alla comunità sono:
Suor Maria Lidia  (Filippina) e Suor Maria Vittoria Rahayaan (Indonesiana)

*Sacro Cuore - 1922  

*Una nuova opera a Valle di Pompei di carità e di salvezza sociale per le figlie dei carcerati
"Fratelli e sorelle sparsi per l’Orbe, da questa Valle di Pompei che la potenza di Maria aveva già fatto salutare come la Valle dei prodigi e che la misericordia di Lei aveva fatto acclamare come la Valle della carità, sono ormai trentanni, io levai a voi un grido, che fu come, l’erompere di una forte passione da gran tempo compressa nell’animo mio. Un grido che vi chiamava a un’Opera e a una battaglia, a un’Opera di bene e a una battaglia di fede. Un grido che era l’eco del pianto d’innumerevoli madri, e della disperata angoscia di padri infelicissimi.
Un grido che doveva dare alla libertà, negata dalla scienza positiva, una nuova apologia, alla carità cristiana un nuovo ardimento, alla fede un nuovo trionfo, all’innocenza Dio stesso: il "Voto del cuore" per un’Opera di rigenerazione e di salvezza per i più miseri, i più reietti di tutti i fanciulli, i Figli dei Carcerati.
Non era soltanto il voto del nostro cuore, il voto di questo peccatore convertito dalla divina grazia, ma era il voto del Cuore di Gesù di questo cuore che è venuto a salvare tutto ciò che era perito, che dirige le sue fiamme e le sue tenerezze là dove maggiori sono le miserie. Non era soltanto il desiderio mio, la brama che mi cruciava l’anima, che mi avvampava in un fuoco di carità per gli Orfani della Legge, ma era pure il desiderio di Maria, di Lei che è la Madre di tutti, ed in modo speciale è la Madre di coloro che non hanno madre, non hanno asilo, non hanno madre, non hanno asilo, non hanno pane, che domani potrebbero non avere Dio; di Lei che è l’Addolorata ritta non solo sotto la Croce del Calvario, ma sotto tutte le Croci dell’umanità, di Lei che predilige soprattutto l’innocenza che soffre, l’innocenza reietta.
A quel grido, il Cuore vostro, fratelli, si commosse, la generosità degli oblatori non ebbero più limiti, e l’Opera sorse; sorse non nella forma consueta, modesta, d’un Orfanotrofio, d’un Ospizio, ma nella maestà d’un monumento. Su quel monumento, ad affermazione dei nuovi trionfi della nostra fede antica, della perenne potenza sociale del Cristianesimo sempre pullulante in nuove Opere di bene, scrivemmo in cifre di bronzo una sola parola: "Charitas! – La carità!".
Ha vinto la Carità, ha vinto l’Amore; si è trionfato del pregiudizio sociale e del pregiudizio scientifico.
Mercé le nostre esperienze il "delinquente nato" è divenuto una favola della scienza, un mito ormai di tempi remoti. Si è provata, l’educabilità, in linea generale, di tutti i fanciulli, anche della prole di padri colpevoli, purché questa educazione sia fatta in speciali ambienti e con speciali metodi. Gli Orfani della Legge, divenuti i figli nostri, sono rientrati con onore alla vita, a far parte nell’esercito della patria, nell’esercito del lavoro, nell’esercito della fede, ascendendo talvolta perfino alla dignità suprema del sacerdozio.
Fratelli e benefattori sparsi per l’Orbe, istituendo l’Ospizio pei Figli dei Carcerati, noi lasciavamo non tanto per l’Opera incompleta.
Gli Orfani della Legge erano accolti a Pompei, trovavano un pane, un asilo, un padre, ma le loro sorelle? … I Figli dei Carcerati erano salvi, ma le Figlie? No, no; Dio non vuole Opere incomplete…
Possiamo noi, può la carità di Gesù Cristo abbandonare non solo nell’indigenza, ma nel fango queste creaturine, che negli stenti della loro carne e nelle impressioni della loro anima portano la miseria e la vergogna di colpe non loro?
Nessun paragone fra gli Orfanelli e le Figlie dei Carcerati. – Sono due grandi miserie, ma oh, quanto diverse! Le une, le Orfane della natura, suscitano la compassione dei parenti, degli amici, dei concittadini; le altre, cioè le Orfane della Legge, per quella esagerata solidarietà umana che accomuna i padri coi figli, destano invece un senso di ripugnanza. Per le prime tutte le tenerezze, per le seconde tutti i disgusti…
Poveri fiori! Non una mano li raccoglie, ma molti piedi li calpestano. Poveri fiori! Desideravano una luce di bene, un calore di vita, e furono invece isteriliti, furono arsi nel loro primo rigoglio da una fiamma impura, la fiamma di un esempio rovinoso dei propri genitori.
E non solo la miseria delle Figlie dei Carcerati vince quella delle Orfanelle della natura, ma supera quella medesima dei loro compagni di sventura, dei loro fanciullini, i Figli dei Carcerati.
Per esse vi può essere non solo l’abbandono, ma l’insidia, la satanica insidia degli sfruttatori di tutte le indigenze, specie poi delle indigenze infantili. Le poverine possono trovare il soccorso, ma il soccorso di uomini che fanno pagare il tozzo di pane con la peggiore forma di schiavitù, con la schiavitù del peccato.
Le Orfanelle sono un’innocenza abbandonata, i Figli dei Carcerati sono un’innocenza reietta, ma le Figlie dei carcerati sono un’innocenza in pericolo.
Queste fanciulle derelitte, affamate senza una nozione di fede, senza sentimento di Dio, spesso diventano preda di uomini che ne fanno le schiave della loro ingordigia, lo strumento della pubblica corruttela.
Se alla donna indigente manca il pane del Cielo e il pane della Carità, non le resta che il pane dell’ignominia.
Fratelli, chi sottrae all'abbandono e al vizio un Figlio di Carcerato salva un’anima sola; ma chi soccorre una Figlia di carcerato, salva tutto un numero di anime che insieme con lei potrebbero essere travolte nei vortici del vizio. Ve lo diciamo con le lacrime agli occhi: questa è "Opera di suprema gloria di Dio" ed è insieme Opera di sapiente prevenzione di delitti e di efficace moralità sociale.
Fratelli ascoltate l’ultimo Voto del Cuore del vecchio amico vostro… Ho ottant’anni, Dio mi ha serbato sino a quest’età per vedere il compimento dell’Opera vostra per cantare il Ninc dimittis sulla prima pietra della nuova Istituzione.
Quest’Opera è per me il bagliore del tramonto, ma sarà per molte anime l’alba radiosa della rinascita. Come striscia di luce del tramonto, Dio mi ha serbato l’Opera – la maggiore fra tutte – di salvezza per le anime: a ottant’anni, sul limitare della tomba, non si pensa che alle anime e a Dio, non si guardano che le anime e il Cielo! Fratelli, la grande crociata è aperta! Fatevi tutti soldati di questa nuova battaglia, apostoli di questa nuova idea! Il nostro motto è questo: - "alla salvezza dell’innocenza in pericolo!" Qui in questa Valle di Pompei, dove ha i suoi prodigi la fede, ma ha pure i suoi prodigi l’amore, ponete questa terza e più bella corona di Carità sulla fronte radiosa di Maria!".
(Avv. Bartolo Longo – da: Il Rosario e la Nuova Pompei, 1921, pp. 193-196)
*L’ultimo voto del mio cuore
Il 19 marzo 1922 fu accolta la prima figlia di madre carcerata ed il 15 ottobre dello stesso anno, Mons. Augusto Silj benediceva la posa della prima pietra della nuova Opera definita da Bartolo Longo "l'ultimo voto del mio cuore".

   

Il 17 dicembre del 1926, Mons. Carlo Cremonesi inaugurò l'Istituto "Sacro Cuore". Successivamente, il Patriarca Prelato Rossi fece costruire l'attuale edificio, che fu inaugurato il 3 ottobre del 1942 e che oggi prende il nome di "Centro Educativo Sacro Cuore".
*Sacro Cuore - 1922
L’ultimo voto del mio cuore
Pompei. Il 19 marzo 1922 fu accolta la prima figlia di madre carcerata ed il 15 ottobre dello stesso anno, Mons. Augusto Silj benediceva la posa della prima pietra della nuova Opera definita da Bartolo Longo "l'ultimo voto del mio cuore". Il 17 dicembre del 1926, Mons. Carlo Cremonesi inaugurò l'Istituto "Sacro Cuore".
Successivamente, il Patriarca Prelato Rossi fece costruire l'attuale edificio, che fu inaugurato il 3 ottobre del 1942 e che oggi prende il nome di "Centro Educativo Sacro Cuore".
Una nuova opera a Valle di Pompei di carità e di salvezza sociale per le figlie dei carcerati
Una nuova opera a Valle di Pompei di carità e di salvezza sociale per le figlie dei carcerati
“Fratelli e sorelle sparsi per l’Orbe, da questa Valle di Pompei che la potenza di Maria aveva già fatto salutare come la Valle dei prodigi e che la misericordia di Lei aveva fatto acclamare come la Valle della carità, sono ormai trent’anni, io levai a voi un grido, che fu come, l’erompere di una forte passione da gran tempo compressa nell’animo mio. Un grido che vi chiamava a un’Opera e a una battaglia, a un’Opera di bene e a una battaglia di fede. Un grido che era l’eco del pianto d’innumerevoli madri, e della disperata angoscia di padri infelicissimi. Un grido che doveva dare alla libertà, negata dalla scienza positiva, una nuova apologia, alla carità cristiana un nuovo ardimento, alla fede un nuovo trionfo, all’innocenza Dio stesso: il “Voto del cuore” per un’Opera di rigenerazione e di salvezza pei più miseri, i più reietti di tutti i fanciulli, i Figli dei Carcerati.
Non era soltanto il voto del nostro cuore, il voto di questo peccatore convertito dalla divina grazia, ma era il voto del Cuore di Gesù di questo cuore che è venuto a salvare tutto ciò che era perito, che dirige le sue fiamme e le sue tenerezze là dove maggiori sono le miserie. Non era soltanto il desiderio mio, la brama che mi cruciava l’anima, che mi avvampava in un fuoco di carità per gli Orfani della Legge, ma era pure il desiderio di Maria, di Lei che è la Madre di tutti, ed in modo speciale è la Madre di coloro che non hanno madre, non hanno asilo, non hanno madre, non hanno asilo, non hanno pane, che domani potrebbero non avere Dio; di Lei che è l’Addolorata ritta non solo sotto la Croce del Calvario, ma sotto tutte le Croci dell’umanità, di Lei che predilige soprattutto l’innocenza che soffre, l’innocenza reietta.
A quel grido, il Cuore vostro, fratelli, si commosse, la generosità degli oblatori non ebbero più limiti, e l’Opera sorse; sorse non nella forma consueta, modesta, d’un Orfanotrofio, d’un Ospizio, ma nella maestà d’un monumento. Su quel monumento, ad affermazione dei nuovi trionfi della nostra fede antica, della perenne potenza sociale del Cristianesimo sempre pullulante in nuove Opere di bene, scrivemmo in cifre di bronzo una sola parola: “Charitas! – La carità!”.
Ha vinto la Carità, ha vinto l’Amore; si è trionfato del pregiudizio sociale e del pregiudizio scientifico.
Mercé le nostre esperienze il “delinquente nato” è divenuto una favola della scienza, un mito ormai di tempi remoti. Si è provata, l’educabilità, in linea generale, di tutti i fanciulli, anche della prole di padri colpevoli, purché questa educazione sia fatta in speciali ambienti e con speciali metodi. Gli Orfani della Legge, divenuti i figli nostri, sono rientrati con onore alla vita, a far parte nell’esercito della patria, nell’esercito del lavoro, nell’esercito della fede, ascendendo talvolta perfino alla dignità suprema del sacerdozio.
Fratelli e benefattori sparsi per l’Orbe, istituendo l’Ospizio pei Figli dei Carcerati, noi lasciavamo non tanto per l’Opera incompleta.
Gli Orfani della Legge erano accolti a Pompei, trovavano un pane, un asilo, un padre, ma le loro sorelle? …
I Figli dei Carcerati erano salvi, ma le Figlie? No, no; Dio non vuole Opere incomplete…
Possiamo noi, può la carità di Gesù Cristo abbandonare non solo nell’indigenza, ma nel fango queste creaturine, che negli stenti della loro carne e nelle impressioni della loro anima portano la miseria e la vergogna di colpe non loro?
Nessun paragone fra gli Orfanelli e le Figlie dei Carcerati. – Sono due grandi miserie, ma oh, quanto diverse! Le une, le Orfane della natura, suscitano la compassione dei parenti, degli amici, dei concittadini; le altre, cioè le Orfane della Legge, per quella esagerata solidarietà umana che accomuna i padri coi figli, destano invece un senso di ripugnanza. Per le prime tutte le tenerezze, per le seconde tutti i disgusti…
Poveri fiori! Non una mano li raccoglie, ma molti piedi li calpestano. Poveri fiori! Desideravano una luce di bene, un calore di vita, e furono invece isteriliti, furono arsi nel loro primo rigoglio da una fiamma impura, la fiamma di un esempio rovinoso dei propri genitori.
E non solo la miseria delle Figlie dei Carcerati vince quella delle Orfanelle della natura, ma supera quella medesima dei loro compagni di sventura, dei loro fanciullini, i Figli dei Carcerati.
Per esse vi può essere non solo l’abbandono, ma l’insidia, la satanica insidia degli sfruttatori di tutte le indigenze, specie poi delle indigenze infantili. Le poverine possono trovare il soccorso, ma il soccorso di uomini che fanno pagare il tozzo di pane con la peggiore forma di schiavitù, con la schiavitù del peccato.
Le Orfanelle sono un’innocenza abbandonata, i Figli dei Carcerati sono un’innocenza reietta, ma le Figlie dei carcerati sono un’innocenza in pericolo.
Queste fanciulle derelitte, affamate senza una nozione di fede, senza sentimento di Dio, spesso diventano preda di uomini che ne fanno le schiave della loro ingordigia, lo strumento della pubblica corruttela.
Se alla donna indigente manca il pane del Cielo e il pane della Carità, non le resta che il pane dell’ignominia.
Fratelli, chi sottrae all’abbandono e al vizio un Figlio di Carcerato salva un’anima sola; ma chi soccorre una Figlia di carcerato, salva tutto un numero di anime che insieme con lei potrebbero essere travolte nei vortici del vizio.
Ve lo diciamo con le lagrime agli occhi: questa è “Opera di suprema gloria di Dio” ed è insieme Opera di sapiente prevenzione di delitti e di efficace moralità sociale.
Fratelli ascoltate l’ultimo Voto del Cuore del vecchio amico vostro… Ho ottant’anni, Dio mi ha serbato sino a quest’età per vedere il compimento dell’Opera vostra per cantare il Ninc dimittis sulla prima pietra della nuova Istituzione.
Quest’Opera è per me il bagliore del tramonto, ma sarà per molte anime l’alba radiosa della rinascita. Come striscia di luce del tramonto, Dio mi ha serbato l’Opera – la maggiore fra tutte – di salvezza per le anime: a ottant’anni, sul limitare della tomba, non si pensa che alle anime e a Dio, non si guardano che le anime e il Cielo!
Fratelli, la grande crociata è aperta! Fatevi tutti soldati di questa nuova battaglia, apostoli di questa nuova idea! Il nostro motto è questo: - “alla salvezza dell’innocenza in pericolo!” Qui in questa Valle di Pompei, dove ha i suoi prodigi la fede, ma ha pure i suoi prodigi l’amore, ponete questa terza e più bella corona di Carità sulla fronte radiosa di Maria!”.

(Avv. Bartolo Longo – da: Il Rosario e la Nuova Pompei, 1921, pp. 193-196)

*L'Istituto per i figli dei Carcerati

Larga risonanza viene al Santuario di Pompei dal fatto che all’ombra di esso fiorisce un Istituto per i figli dei Carcerati nelle due sezioni, maschile e femminile.
Fu il gesuita calabrese (valente avvocato fattosi sacerdote) Padre Giorgio dei Baroni Melecrinis a persuadere Bartolo Longo a lanciarsi in quest’opera nuovissima.
Il Santo Rosario nei suoi quadri, specialmente quelli della vita dolorosa di Gesù, costituisce la meditazione più efficace per un detenuto, la spinta alla comprensione e alla compassione cristiana per noi. Egli viene a sentire accanto a sé, al suo dolore profondo, quasi la presenza sensibile di Gesù, mentre la carezza della divina Madre, in quella ripetizione delle “Ave, Maria!” lo solleva dal cupo abbandono.
La luce vince le tenebre del cuore e si ricomincia a pensare e a guardare alla vita con fiduciosa speranza e cuore di fanciullo. Bartolo Longo, persuaso che “soltanto la Religione, la quale solleva l’uomo al di sopra della polvere terrena, può dare al carcerato la forza di soffrire, di rassegnarsi, di sperare …” visitò le carceri e i “bagni penali” più rigorosi con “paterna premura”; spediva ai detenuti il periodico “Il Rosario e la Nuova Pompei” e altra stampa come il giornale “Valle di Pompei”, immagini, ricordini della Vergine, s’interessava delle loro famiglie. Di fede e di amore cristiano ha bisogno ogni uomo; ma di più il carcerato.
Suscitarla nel suo cuore per rendergli meno aspre quelle ore che lente e uggiose egli passa nella cella carceraria o nell’ambiente recluso, divenne febbre di amore e di apostolato nel cuore di Bartolo Longo. Lo lusingava l’idea che il recluso o l’ergastolano in fondo ai più aspri combattimenti dell’anima, a cui si affaccia la disperazione e l’odio contro la società se sentisse una voce amica, leale, che venga da oltre la sbarra, guarderebbe con occhio più benigno gli uomini e quella società stessa che lo allontana. Cercò allora di mettersi in corrispondenza con essi. La carità avvicina il ricco e il povero, il sano e l’ammalato, il recluso e il libero nel Nome santo di Dio, che è Padre di tutti e tutti Egli vuole riscaldati dal sole dell’Amore.
La Carità, che è legge negli Istituti Pompeiani – Cittadella della Carità è Pompeiraggiunge nelle carceri i fratelli in pena. La lettura di libri sani, che non isteriliscono lo spirito con il gelido scetticismo, e quella dei prodigi della Vergine del S. Rosario, furono come le periodiche visite iniziate da Bartolo Longo e continuate oggi dalla Direzione delle sue Opere. La Madonne ne era contenta, perché si levavano voci di benedizione al Nome di Dio e si recitava la sua Corona e la Novena composta da Bartolo Longo, si praticava perfino nelle carceri dai carcerati i quindici sabati.
Dove prima c’era organizzata la bestemmia, ora si innalzava l’inno della confidenza piena alla Vergine Santissima, invocata e acclamata consolatrix afflictorum, refugium peccato rum, Regina amabilissima del Santissimo Rosario, consolatrice e madre dei carcerati.
E, nemmeno a farlo apposta, il primo omicida che sentì il beneficio della Vergine di Pompei fu un calabrese di nome … Rosario. Si costituì convinto da Bartolo Longo, dietro promessa che avrebbe assistito il piccolo di 4 anni. Altro detenuto che diventa ardente propagandista delle glorie del S. Rosario fu un tale Alfonso, anch’egli calabrese.
La visita che Bartolo Longo gli fece si chiuse con un abbraccio e con il pianto vicendevole. Egli pianse fra le mie braccia, e ci separammo come due fratelli …”.
In breve tempo nei 120 bagni penali ed Istituti di pena esistenti in Italia (1891), le pubblicazioni pompeiane diventano come l’unico atteso conforto dei carcerati. “Non vi fu più un detenuto che non cercasse un libro, un opuscolo, un fascicolo almeno che non venisse dal porto di tutti i tribolati, da Valle di Pompei”.
Il “Visitare i carcerati” come comanda la Chiesa porta benedizione alle Opere del Santuario, in quanto si mantiene aperto un colloquio con questi fratelli.
Essi ci tengono a far giungere fino al trono della Vergine i loro palpiti ed aneliti: sono voci di riconoscenza, di implorazione, di pentimento, di fermi propositi; sono anche offerte, (altro che obolo della vedova!) inviate pudicamente e con tanto calore e beneficio degli … orfani della legge. Un segno sensibile per quel che la Madonna opera a favore dei loro figli e di loro stessi. E così la visita ai carcerati è legge negli Istituti di Pompei. La Madonna e il suo Rosario operano, indiscutibilmente, i prodigi più impensati, e questi sono determinati anche da un fatto: ogni anno, con i dovuti permessi delle autorità competenti, i detenuti ricevono la visita dei loro figli ricoverati a Pompei. Una visita che dura anche 3 giorni.
Mangiano insieme, insieme passeggiano e fanno corona agli altri detenuti, essendo un sollievo anche per costoro abbracciare e baciare queste creature.
Vi si recano questi piccoli messaggeri della Madonna con il loro distintivo: la Corona del S. Rosario. La portano al collo le bambine e fa spicco il nero ebano di essa sul bianco del grembiule. A questa corona si deve il ritorno alla fede, alla bontà, alla pace serena dei genitori e dei compagni di pena, come l’accostarsi ai Sacramenti insieme ai figli nella cappella del carcere e la promessa giurata di recitare ogni giorno ilo S. Rosario.
C’è ancora uno scambio di perdono, e la famiglia, dispersa dall’odio e dal rancore, si ricostruisce almeno nell'affetto.
C’è una enormità di lettere di questi padri e mamme che, benedicendo alla visita ricevuta, la dicono una vera rivelazione di amore, felici di aver trovato un punto nuovo per guardare la terra; questa dolce terra che, pur irta di spine e di tribolazioni, tutti amiamo e calchiamo, e sentiamo rigenerata da un vento bellissimo che è vento di redenzione.
Visitare i carcerati vuol dire, far sentire che su di essi splende, con la sua gioiosa presenza, Iddio. L’umanità è la grande famiglia del Signore: la terra la sua casa, nella quale ognuno di noi ha diritto alla gioia.
Vale la pena vivere gli anni di vita per questa parola: “Il figlio dell’uomo è divenuto il figlio di Dio!” Il figlio ha una Madre e questa non si concede riposo per riportare a Dio tutti i redenti dal Sangue preziosissimo del Figlio, come sottolineò il Santo Padre Giovanni XXIII nella visita ai carcerati di Regina Coeli.
Per riuscirvi: come Gesù istituì le Opere di misericordia, la Madre a sua volta istituì la catena dell’amore; il Rosario.
I prodigi del Rosario nelle carceri sarebbe l’argomento più interessante per un romanzo, meglio per un film. E avremo, tutti, tanto da imparare.             

                                         

Oggi nelle carceri i cuori esultano allo svolo di un nome e alla visione di un’immagine; la commozione diventa sinfonia in ogni ora del giorno: Ave Maria, piena di grazia, prega per noi, esuli figli di Eva, peccatori, sì, ma figli tuoi, o Madre di Misericordia!
*Le Suore - Fiori della Carità
Singolare corona al Santuario formano gli Istituti Pompeiani. Sono i fiori della carità cresciuti alla luce della fede e della devozione a Maria e offrono una prova convincente della vitalità di Pompei. Fondati da Bartolo Longo hanno avuto uno sviluppo straordinario e sono la manifestazione della inesauribile fecondità della Chiesa e della sua ansia di elevare la condizione della vita umana a livelli sempre più alti.
Lo sanno tutti che dalla carità degli oranti a Pompei vivono le orfane della natura e della legge, gli abbandonato, i poveri, i bisognosi e per provvedere a tutti costoro si conta unicamente sulla Provvidenza.
 
A Pompei, infatti, la preghiera si tramuta in carità.
Finché i genitori o i parenti non le richiedono, le orfane rimangono a spese della carità: si istruiscono, si preparano ad affrontare la vita, si dedicano con interesse ai lavori femminili e quando trovano un impiego o vanno spose lasciano l’Istituto e, lontane, il ricordo gioioso d’essere cresciute nella casa della Madonna, le anima nella loro vita.
Ma chi dedica le assidue cure ai piccoli bisognosi e alle ragazze? Chi dà ad essi calore, conforto, aiuto, incoraggiamento, amore? Ci sono le Suore "Figlie del Rosario", volute qui a Pompei da Bartolo Longo, che incessantemente e instancabili sostituiscono in parte le mamme e seguono attimo per attimo la vita delle assistite. Infatti, quando Bartolo Longo fondò l’Orfanotrofio pensò che per tale istituzione si richiedevano donne attente, cuori generosi, sostituti di mamme, Suore ben preparate alla loro delicata missione tra i fanciulli emarginati.
Si mise in giro per l’Italia per conoscere i migliori Istituti; studiò gli statuti e lo spirito di molte famiglie religiose e, per assicurare cure materne alle sue orfanelle, fondò una Congregazione di Suore "con statuti speciali, opportuni ai loro ministeri di carità, secondo i bisogni di questo luogo, di questo Santuario, di questo popolo" (B. Longo al Card. Mazzella).
 
Ottenne che tre valenti Suore Domenicane venissero ad indirizzare nei primi passi della vita religiosa il gruppo di giovani maestre e di orfanelle che sbocciavano nella luce della Madonna. Gli Istituti Pompeiani non dovevano essere la solita opera di beneficenza cristiana a favore di un’innocenza incolpevole mediante il pane della carità, ma essi dovevano avere una grande missione: "Queste fanciulle deboli dispongono di una suprema forza, la forza dell’orazione. Il mondo dà ad esse la carità, esse in compenso danno al mondo la preghiera". (G. Auletta)
 
Bartolo Longo affidava perciò questi "fiori" alle Suore, fondate da Lui, perché come angeli custodi vegliassero con amore sulle vite di queste creature provate dal dolore e le aiutassero nel cammino e nella formazione di ogni giorno.
Sono tante le Suore che svolgono amorevolmente la loro opera a favore dei fanciulli e fanciulle dei nostri Istituti Pompeiani. Esse pregano molto e guardano le Opere con gli occhi e con il cuore di Bartolo Longo: si commuovono alla vista di tanti ragazzi bisognosi e si sforzano di trasformare, come il Fondatore, tutto e tutti in un’immensa famiglia dove ci si sente sicuri, protetti, amati.
 
(Autore: Ermelinda Cuomo - da: Il Rosario e la Nuova Pompei - Maggio 1982)
*Salvare un innocente in pericolo è un atto di giustizia!
“L’ora di Dio è sonata, nessuno manchi all’appello”! Questo invito con cui il Beato Fondatore di Pompei conclude il brano che abbiamo riportato è un grido di dolore la cui attualità è sotto gli occhi di tutti, vista la drammatica condizione in cui versano tanti ragazzi e ragazze del mondo intero.
Nel nostro itinerario di lettura questa volta incontriamo altre pagine, nelle quali il Beato Bartolo Longo parla di “voci di implorazioni e di raggi di carità”, nel particolare momento in cui si rivolge al mondo per realizzare l’ultimo voto del suo cuore, l’Ospizio per le Figlie dei carcerati. Quel voto, cioè, che lo stesso pontefice Benedetto XV, negli ultimi giorni della sua vita, aveva fatto suo con un “Breve”, intessuto “con indimenticabili parole di commozione e di tenerezza”.
Per richiamare l’attenzione del mondo Bartolo Longo chiariva i motivi che dovevano sostenere quel contributo affermando che salvare un’innocenza in pericolo voleva dire compiere un atto di giustizia, superando ogni barriera e disponendo l’animo a condividere un destino avverso e le proprie forze morali e materiali a sostenere quelle esigenze che nascono dalle disgrazie.
Diciamo che potremmo parlare in termini attuali di quella solidarietà auspicabile quando soprattutto i più piccoli, gli innocenti sono in pericolo.
Alla voce dell’innocenza in pericolo Bartolo Longo associa quella, non meno dolorosa ed umana dei colpevoli, mentre recitano il loro “mea culpa”, cadendo nella più profonda disperazione, pensando ai loro figli soli in mezzo alle traversie del mondo.
Per Bartolo Longo la carità deve dimenticare le colpe per interessi di questo dolore, per immaginare gli incubi della disperazione, sostituendo ad essi la speranza che nasce dalla solidarietà: “la riabilitazione dei colpevoli scaturisce, infatti, dalla dolcezza della speranza”.
(L.L.)
Da questa Valle di Pompei ogni grido di fede si diffonde dovunque nel Mondo, ha echi d’universalità. Dal profondo della nostra anima levammo a voi, o fratelli, la nostra voce invocando pane e soccorso per l’infanzia più abbandonata e più in pericolo, per le misere Figlie dei Carcerati. E voi avete sentito, o fratelli, che quella voce raccoglieva le disperate invocazioni di mille madri, i gemiti e i singhiozzi di mille bimbe, e il cuore vostro si è commosso e si è aperto a magnifici slanci di generosità cristiana.
Oggi è già un fuoco che si è acceso e divampa; domani sarà un incendio; oggi sono le prime schiere di benefattori, le avanguardie della carità; domani sarà tutta una milizia dell’amore che si leverà in difesa di queste fanciulle, di queste innocenti! Le quali non lottano solo ahimè! Troppo presto con la fame, ma lottano precocemente con l’insidia del vizio; non domandano solo il pezzo di pane, ma più ancora, di fronte al male che vuole asservirle e travolgerle, domandano l’aiuto e la protezione della vostra fede e del cuore vostro.
(…) La miseria, che noi v’invitiamo a soccorrere, è una miseria ben grande, specie nei piccoli paesi del Mezzogiorno, dove è così vivo il sentimento di famiglia, dove anzi la famiglia è il più geloso, il più tenace di tutti i sentimenti, tutti fuggono queste creaturine che stanno in pace con Dio, ma non con la Società; che hanno candida la coscienza, ma non sempre la fede di nascita. Queste innocenze pare che abbiano sulla fronte l’ombra di un delitto. Agli sguardi dei concittadini non sono delle creaturine ingenue, delle creaturine povere, ma sono semplicemente la figlia del rapinatore, la figlia dell’omicida, la figlia del condannato. Quello che è una sventura diventa invece una colpa. Quello che dovrebbe muovere alla compassione, muove invece alla ripugnanza.
(…) Povere creaturine, che male hanno fatto? Qual è la loro colpa? È una colpa forse non avere avuto genitori che le educassero con la loro virtù ancor prima che con la parola? È colpa non aver potuto imparare che cosa sia la bontà nel sorriso dolce di una madre, che cosa debba essere l’onestà nel lavoro forte e dignitoso del proprio genitore? È una colpa l’essersi incontrato nella fame invece che nell’agiatezza, aver avuto troppo presto lo spettacolo del vizio, invece che quello dell’amore? No, no: queste creaturine sono delle innocenti, e se le condannassimo all’abbandono e alla fame, i colpevoli saremmo noi.
(…) La carità è un’opera di giustizia sociale. Chi non benefica non attua in sé l’ideale del giusto, secondo il valore evangelico di questa grande parola.
Avete voluto essere giusti nel condannare i padri; siate egualmente giusti nel salvare le figlie. Noi non vi domandiamo per esse soltanto il pane della Carità; le figlie dei Carcerati, sono un’innocenza in pericolo. Bene, noi vi domandiamo per l’innocenza in pericolo il pane della giustizia.
(Da Bartolo Longo: L’ultimo voto del mio cuore –Valle di Pompei – Scuola Tipografica per i figli dei Carcerati, 1925 – pp. 54-59)
(A cura di Luigi Leone)

*Seminario

Le Suore Domenicane al Seminario

Il Seminario "B. Longo", un'opera voluta dal Prelato Mons. Aurelio Signora (12.12.1965),che ha ospitato l'Istituto "Assunta Ponzo" con i maschietti più piccoli delle classi elementari fin dal 1973.
Pensando a questo Istituto la mente si riposa, il cuore sussulta di gioia. Perché? Qui si educavano e si formavano i Sacerdoti del Santuario.
Essi ne assicuravano il culto, la perennità.
Essi erano le lampade sempre accese, come gli Orfani, dinanzi alla immagine miracolosa della Madonna.
Le Messe che celebravano, le preghiere che facevano avevano un punto di incontro: il Rosario Benedetto di Maria trionfi nei cuori, nelle famiglie, nel mondo intero, recando conforto e pace e bene a tutti.
Questo auguravano ogni giorno i cari Seminaristi ed i sacerdoti del Santuario che vivevano al Seminario.

*Strangolagalli (Caserta)

Fondazione dell'Istituto "Strangolagalli - Caserta"

Diocesi di Caiazzo, frazione di Castel di Sasso. Primi arrivi il 23 luglio 1936. Vi era un asilo infantile, laboratorio femminile, catechismo, azione cattolica etc.
La chiusura della casa fu ratificata nella relazione del V Capitolo Generale (1959).
Agosto 1941. Era il periodo bellico; a piccoli gruppi, per motivi di sicurezza le ragazze raggiungevano la casa di villeggiatura e vi restavano per i mesi di luglio e agosto.

*Tre Ponti (Pompei - NA)

Scuola Materna "San Domenico" in località Tre Ponti (23.03.1957)
Le Suore Domenicane a Tre Ponti
“A Tre Ponti, periferia Nord di Pompei, per più di quarantanni c’è stata una presenza importante: le Suore “Figlie del S. Rosario di Pompei”.

Una presenza discreta, silenziosa, laboriosa; di quel lavoro che non fa rumore, che non fa e non cerca echi, ma che va in profondità come quello del contadino che, silenziosamente dissoda e semina la terra, perché nella profondità di essa germogli il seme.
Un lavoro costante e rifinito, delicato e prezioso, come quello della ricamatrice che, con molti fili di colori diversi e tanta pazienza, tira fuori fiori e disegni che fanno incantare.

Il lavoro delle Suore a Tre Ponti è stato di accoglienza amorosa di tanti bimbi che per generazioni si sono succeduti nei minuscoli banchi della Scuola Materna “Santa Caterina da Siena”, ai quali hanno insegnato ad amare la vita, a rispettare le cose, ad amare Dio Padre buono, a seguire Gesù, a guardare alla Madonna come la Mamma amorosa.
La loro azione educatrice è diventata trasmissione di Dottrina chiara e sicura, sempre aggiornata alle indicazioni della Chiesa.
Le Suore erano diventate le consigliere discrete e sagge di tante mamme e di tante giovani, hanno lenito dolori umani, hanno dato coraggio nei momenti difficili.
La Suora è stata presenza di una Fede vissuta gioiosamente e serenamente, vero segno di una vita libera dalle pastoie della materia, e, tante volte,, è diventata canto vero, canto sereno e ricreativo, fatto di note sonore, di passi di danza per i piccoli.
Tante feste si sono susseguite durante questi quarantanni a Tre Ponti e, tutti, punteggiati da iniziative ricreative: teatro, recitals ecc.
La suora ha cambiato più volte nome, ma è rimasta sempre la stessa: una presenza che è stata testimonianza  di fede e promozione umana.
E che altro c’è da fare di meglio nella vita?

*Villa Filangieri/La Tenda - Torre Annunziata (NA)

"Villa del SS. Rosario di Pompei", già Villa Filangieri, a Torre Annunziata (NA). Richiesta del 18 marzo 1934.
Casa per l'assistenza climatica delle orfane, Il 25 marzo si costituiva la Casa.
Dal 1983, nella Villa Filangieri, il Santuario accoglie "La Tenda", una comunità per il recupero dei tossicodipendenti. Fu sede anche di esercizi spirituali.
Il 24 marzo 1984, nel pomeriggio, Villa Filangieri ha aperto i cancelli per accogliere uno scelto gruppo di Visitatori. Per la prima volta – così come prevede il programma educativo – parenti, amici, autorità si sono intrattenuti con i giovani ospiti del Centro.
Un lavoro lungo e meticoloso, ma fatto con la gioia di presentare una bella casa, aveva impegnato i 20 giovani nella pulizia del parco, nella decorazione dei saloni e viali, nella pitturazione di alcuni locali.
In un simpatico incontro canoro-musicale, arricchito da vivaci "sketchs", i giovani "si sono presentati" agli ospiti.
Dai loro volti "rifatti" si leggevano i segni evidenti di una serenità riconquistata. E gli ospiti, a modo loro, hanno espresso la "sollecitudine" della società per la tossicodipendenza. I rappresentanti della Caritas americana e tedesca hanno portato la conferma con un cospicuo contributo per iniziare i necessari lavori di ristrutturazione degli ambienti, onde poter ospitare nel prossimo futuro circa 60 persone.
I vari rappresentanti dello Stato hanno garantito il proprio appoggio: la regione Campania ha successivamente approvato la convenzione per un contributo alle spese di diaria,
S. Ecc.za il Prelato ha ringraziato il Signore e gli uomini di buona volontà per aver reso possibile tale Opera, che si aggiunge a quelle già note a Pompei.
È consolante notare come l’opinione pubblica sia stata adeguatamente informata dalla stampa locale (TG Cooper, Nuova stagione, Il Gazzettino Vesuviano, Il Mattino). Recentemente anche il Televisore di stato ha svolto un servizio sulla Comunità di Villa Filangieri nel bel noto programma "Droga: che fare?".
È necessario che l’opinione pubblica faccia proprio il problema della tossicodipendenza e cerchi in uno sforzo organico di inventare progetti e mezzi, atti a sconfiggere il male dilagante. È proprio il caso di parlare di "crociata".
Dice D. Mario Picchi del Centro Italiano di Solidarietà: "Direi che oggi alla nostra professione di fede va aggiunta concretamente la nostra professione di carità. Dire che oggi non è più tempo di elemosina, perché è offensivo fare l’elemosina, mi sembra che sia un modo elegante (ma non so se lo è per il Signore!) per non far niente. Se vogliamo fare qualcosa, ce n’è per tutti e in tutti i modi".

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