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Storia del Santuario dalle origini al 1879

Il Santuario > Storia del Santuario scritta da B.L.

*Capo I – L’Anno 1878 – Anno III° della costruzione del Tempio Pompeiano
Libro Settimo - Capo I - pag. 283
Derisioni, sarcasmi, minacce
Passate le feste di ottobre, conforme usavamo, sospendemmo tutti i lavori di costruzione, e con la Contessa tornammo a Napoli per riprendere il giro per le case dei signori e delle signore già associati l’anno innanzi, e per nuove famiglie che andavano in fama di pie e caritatevoli. Ma avemmo a provare, non senza acute punte di dolore, tutti i tristi effetti dei fatti svolti in quell’anno 1877, che ormai volgeva al suo termine.
Sotto un cielo coperto di nubi e assai sconfortante cominciò dunque per noi il 1878, l’anno terzo della costruzione del Tempio Pompeiano.
Al mattino ci dividevamo le vie di Napoli per andare in cerca di elemosine. La Contessa si avviava per alcune strade a visitare nuove case e nuove Signore della nobiltà; ed io, per altre vie, a rivedere vecchi associati e procurarne dei nuovi.
La fedelissima dama accompagnatrice della Contessa era la signorina Ernestina Freda, anima purissima, di elette virtù e di pietà insigne. Tra i primi nostri collaboratori ci è grato oggi segnare questo nome alla memoria e alla riconoscenza di tutti gli amici e divoti dell’Opera di Pompei.
Ernestina Freda, figlia di un alto magistrato, era aggregata come noi al Terz’Ordine di S. Domenico, ed era assai benemerita in Napoli per le opere pie che alimentava col suo zelo, specialmente tra il popolo del Vomero, nella chiesa domenicana di S. Maria della Libera.
E fu una vera provvidenza di Dio per la Contessa, una tale compagna scelta dalla Madonna in questo arduo apostolato. Di grande spirito, di animo forte e di costante volontà nel bene, la signorina Freda era di valido sostegno e di conforto alla Contessa, ad affrontare l’incontro di persone non ancora conosciute, in case non ancora schiuse alla nostra Opera Pompeiana. E con lei la Contessa divideva pure il rossore e l’amarezza di qualche dura ripulsa o di qualche poco garbato rifiuto.
Quante volte accadeva che, andando a picchiare l’uscio dei grandi e dei ricchi, si sentisse rispondere: - Il Signore è impedito, non può dare udienza. – La Signora sta ora in sessione. – La Signora ha dolor di capo, non può dare udienza. – Oggi la Signora non riceve alcuno!...
Sotto forma di simili garbati modi, così fatte reticenti risposte equivalevano ad un commiato bello e buono e non davano più animo al ritorno.
Dal canto mio, sapeva bene che parecchi mi avevano in conto di ciarliere, altri di fantastico, ed altri di strano e di esaltato. Ed altri, meno divoti, minacciarono finanche di farmi arrestare dalla Questura di Napoli, ai termini del Codice Penale, come girovago, ozioso e vagabondo, o come un attaccone speculatore.
Ma io che avevo fisso nell’orecchio il suono della voce del Vescovo di Nola che ripeteva alla Contessa: - chi vuol edificare una Chiesa ai tempi nostri, deve essere reputato pazzo, incolpato come ladro, e trascinato per le vie di Napoli come un malfattore – tirava dritto, confidando nella Provvidenza e nell’aiuto celeste della gran Madre di Dio.
Soprattutto alla mia mente la edificazione di un Tempio a Pompei, intrapresa con segni sì chiari del favore divino, era fin dalla prima ora apparsa come una fonte di salvezza, in cui l’anima mia avrebbe avuto da Dio la grazia di purificarsi; e tutto dominato da questo ideale, non mi abbattevano le difficoltà, le contrarietà e fin le minacce.
Ed oggi, oh come benedico Iddio di tanta sua misericordia fatta a me poverello!
Queste cose che ora dico di me, se vivessimo in tempi di fede universale, dovrebbero tenersi occulte per amore di umiltà: ma ho creduto bene esporle oggi che sventuratamente trionfa da una parte la sfrontata avversione alla Chiesa, dall’altra la pusillanimità nel fare il bene. Sì: tutti questi ricordi nell’ora medesima che sono per me un’occasione di benedire sempre il Signore, possono servire d’incoraggiamento e di conforto a molti buoni chiamati ad opere somiglianti.
Ma, ci affrettiamo a soggiungere, la divina Madre ci guardava dall’alto e non lasciava di proteggerci in maniera da non farci perdere di animo. Di fatto se da una parte eravamo più o meno urbanamente scacciati, da un’altra ci si aprivano le porte di persone ricche di censo e di fede, le quali ci facevano accoglienze come a persone mandate dalla Madonna; e ci rinfrancavano con maniere gentili e con larghe sovvenzioni.
Ed ecco che, dopo un anno oscuro e desolante, che fu il 1877, l’anno 1878 comincia a consolare4 il nostro spirito con raggi di superna luce, che sostengono e infiammano la nostra speranza e la nostra fede.

(Autore: Bartolo Longo)

*Capo II - Un raggio di conforto celeste.
Libro Settimo - pag. 286
Il Cav. Michele Laghezza

Entrava il febbraio di quell’anno 1878, e la piissima famiglia dei Signori Laghezza in Napoli, veniva visitata da un grave dolore. I lettori già la ricordano come una delle prime famiglie devote della Vergine di Pompei, assai zelante nel raccogliere offerte per la costruzione di questo Tempio.
Il vecchio e venerando capo di quella esemplare casa, il Cav. Michele Laghezza, nella sua grave età di ottantacinque anni, veniva violentemente attaccato da bronchite acuta.
Il fiero morbo in quell’inverno mieteva moltissime vittime nella popolosa città, non risparmiando né a gagliarda di gioventù, né a robustezza di complessione.
Sopraffatte le deboli forze del buon Cavaliere da incalzanti e alte febbri, perduta ogni speranza nelle forze naturali, la pia consorte e le affettuose figliuole, in profonda desolazione, si rivolgono all’unica speranza celeste, alla Vergine di Pompei con tutto lo slancio della loro devozione e della loro fede. Fanno voto di donare per la fabbrica della nuova Chiesa lire cento come offerta straordinaria, se avranno la completa guarigione dell’amato infermo.
Andammo a far visita alla tribolata famiglia nostra amica, in via Santa Teresa al Museo N. 75.
Come ci videro, furono sollecite a confidarci le loro ansie e le loro supreme speranze riposte nel patrocinio della nostra Regina, non che le loro promesse. Di presente ci diedero dei ceri da fare ardere innanzi all’Immagine in Pompei.
Esse erano assuefatte ai colpi meravigliosi del soprannaturale, perché in loro casa, come narrammo, abitava quella Signora Giovannina Muti, che nel giorno 8 giugno 1876, moribonda, ebbe l’apparizione della Vergine del Rosario di Pompei, - fu quella la prima apparizione – e fu guarita.
Giunto a Pompei, fu subito incominciare un triduo di preghiere col Rosario, per impetrare la grazia che tanto si sospirava. Ritorno quindi in Napoli, e defilato alla casa del Cav. Laghezza.
Ed ecco presentarsi ilare e festiva la sua buona consorte, Signora Carolina Aversa Spinelli. – La Madonna ci ha fatto la grazia! – esclama al primo vedermi – Mio marito sta bene! Ma per l’ardore delle febbri sofferte e la violenza del male superato, egli ha perduto la vigoria delle gambe.
Accorrono le figliuole: - Noi non daremo – soggiungono premurose – le lire cento alla fabbrica, se prima non avremo veduto un’altra volta camminare nostro padre per le camere come prima.
- Oh, sta a vedere (dissi in cuor mio) che queste buone donne vogliono dalla Vergine ringiovanito il vecchio!
Poi, chinando il capo in atto di ossequio, prometto disporre altre preghiere. E volo a Pompei.
Quivi raduno donne devote e contadini come più posso, e dico a quel Rettore del Rosario D. Gennaro Federico: - Le vostre preghiere sono state esaudite: il Cav. Laghezza è scampato da morte. Ma le sue figliuole vogliono dalla Madonna far ringiovanire il padre. Facciamo dunque un altro triduo, perché lo meritano.
E la nostra gloriosa Signora, che fin d’allora voleva mostrare quanto si compiacesse di chi a Lei faceva ricorso con la Corona del Rosario, e quanto gradisse il contributo dei suoi devoti all’edificazione della sua nuova Chiesa in Pompei, esaudì con materna e regale clemenza le preci di questi contadini e i desideri di questa esemplare famiglia.
Il vecchio Cavaliere fi visto, risanato, passeggiar novellamente per le sue camere; e la sua degna consorte per gratitudine, in luogo di cento lire, volle donare per la fabbrica, tra lacrime di commozione, lire duecento.
E sano e lieto, il venerando Cav. Laghezza attestava e predicava a tutti che lo visitavano, i prodigi e la misericordia della Vergine di Pompei.
(Autore: Bartolo Longo)

*Capo III - La prima Immagine della Vergine di Pompei in Napoli e nel mondo
Libro Settimo - pag. 288

Pertanto la Sig.na Freda, assai esperta nei movimenti religiosi, non che parecchi amici nostri e sacerdoti venerandi, ci facevano notare un vuoto, una lacuna da colmare nella nostra propaganda per la nascente Chiesa e per il culto della Madonna di Pompei.
Ci veniva fatto giustamente osservare: - Voi venite a Napoli per la raccolta delle offerte a distanza di un anno: ma, nella vostra assenza, chi si ricorderà più di voi e della vostra Chiesa, e della vostra Madonna? Se gli iscritti han bisogno di rivolgersi al Cielo per impetrare grazie urgenti, e vogliono fare un voto, una promessa, come si possono ricordare della Vergine di Pompei, se non hanno un segno, una memoria, un libro, o almeno un’immagine? Si rivolgeranno alla gran Madre di Dio onorata sotto altri titoli, le cui figure hanno già in casa, come alla Madonna di Lourdes, alla Madonna, alla Madonna di Loreto, di Montevergine, della Salette, e simili, ma non alla Madonna del Rosario di Pompei.
Anche alla nostra mente si faceva chiara questa necessità, di lasciare nelle famiglie dove andavamo un ricordo di questa nuova divozione, quand’altro non fosse, una figura popolare della nostra Vergine, giacchè alle feste di Ottobre pochi signori napoletani potevano venire allora a Pompei, essendo mese di villeggiatura. Né in quei tempi era stata stampata una preghiera particolare alla Vergine di Pompei, non c’era un giornale o un apposito Bollettino che parlasse delle grazie della Madonna di Pompei, né era pubblicato alcun libro, tranne quello dei Quindici Sabati, dato alla luce da un anno soltanto come ho sopra narrato, a spese e devozione della Marchesa Filiasi di Somma.
Fu dunque giudicato necessario lasciare4 nelle case, ove riscuotevamo le offerte, un segno sensibile della devozione alla nostra Madonna, in cui onore volevamo costruire qui una chiesa.
Tentammo, in sulle prime, di fare una fotografia della tela che avevamo a Pompei. Anzi, un signore napoletano, il Cav. Narici, beneficato dalla Vergine, volle provvedere, per sua devozione, a questo bisogno, e ne diede incarico al fotografo Russo. Ma la vecchia tela venerata in Pompei, non ancora ritoccata dell’insigne pittore Maldarelli, era tuttora bruttissima, screpolata, goffa, senza corona, e con la testa che toccava quasi la cornice, col mento in su e con gli occhi che parevano due palle; e la fotografia, tuttocchè ben fatta, ne mise in rilievo tutta la sconvenienza, e riuscì un mostro. Non era da esporsi punto alla pubblica venerazione.
Ci vedevamo spesso in quei giorni col libraio Festa in Napoli, e con cui mi consigliai sul da fare per avere una effigie qualsiasi della Madonna di Pompei. – Lasciate fare a me -  mi rispose: - mi metterò io in giro pei nostri fotografi. Qui a S. Biagio dei Librai, vi è Scafa, Altavilla, ed altri; e cercheremo di ottenere una immagine del Rosario, che vi potrà servire allo scopo.
E così diede la commissione a un litografo, dei più noti e popolari in Napoli, al Dolfino, per avere questa figura.
Il Dolfino non aveva mai veduto l’Immagine del Rosario venerata a Valle di Pompei, e fece a modo suo: disegnò una figura della Madonna, ritraendola nella sua fantasia e foggiandola con tutte le modeste risorse dell’arte sua.
E questa fu la prima Immagine della Vergine di Pompei, che innanzi tutto apparve in Napoli e poi subito nel mondo, distribuita da noi stessi a forestieri, a missionari, a nuovi devoti, nelle nostre peregrinazioni di accattoni per la Madonna. Ma era una effigie assai povera, disegnata in nero su carta bianca ordinaria, buona pel popolo rozzo e ignorante: la vergine senza corona, siccome era nell’originale, con una faccia volgare, coi capelli lunghi e inanellati, sopra un Trono che molti scambiavano per un tamburo!...
Tuttavia la Regina dei Cieli non guardava alla poca arte del litografo, ma alla molta devozione e al cuore fervente dei fedeli, e al decreto divino che in Pompei si dovesse erigere una Chiesa dedicata a Lei sotto il titolo del Rosario. Di fatto, anche venerata in quella non pregevole effigie, Ella si degnava largire le sue grazie e le sue benedizioni nelle famiglie che la mettevano in onore!
Cito un fatto. La nobile Baronessa Compagna, figlia della Principessa di Tricase e consorte del Barone Francesco Compagna, gentiluomo di Camera di Sua Maestà la regina Margherita, venerando una di quelle prime immagini che lasciammo in sua casa, ebbe grazia segnalatissima dalla Vergine di Pompei; tanto che a quella stessa volgare figura volle apporre una ricca cornice, collocandola in sua casa su di un altare di argento, fatto appositamente costruire, in ringraziamento alla celeste Madre. Né questa figura volle di poi cambiare con altre ben fatte e degne riproduzioni fotografiche ritraenti la Immagine della Madonna di Pompei abbellita e rifatta dal magistrale pennello del Maldarelli.
(Autore: Bartolo Longo)

*Capo IV - Il mese di Maggio - Spunta l'alba dei trionfi
Libro Settimo - pag. 291

Nel descrivere le feste di maggio del precedente anno 1877, facemmo notare al lettore un fatto al tutto nuovo e inesplicabile. Precisamente in quel giorno 8 Maggio, in cui cadeva il primo anniversario della posa della prima pietra della Chiesa di Pompei, cominciò a deviare l’onda di devoto entusiasmo dalla Madonna di Pompei, avviandosi invece tutta a una cappelletta delle campagne vicine di Boscoreale dedicata alla Madonna dei Flagelli.
Ma un fatto anche più strano avemmo poi a notare nel giorno anniversario – 8 Maggio -  di quest’anno 1878; e fu questo: - la prima contrarietà all’edificazione del Santuario di Pompei, nel suo periodo violento, non durò che un solo anno: cominciò l’8 Maggio 1877 e finì l’8 Maggio 1878.
Infatti, allora il medesimo Vescovo di Nola, monsignor Formisano, dopo molti disgusti avuti, per gravissime ragioni, estranee alla nostra storia, si vide costretto a chiudere quella chiesetta della Madonna dei Flagelli. E temendo che il suo decreto non fosse eseguito o che ne venissero più gravi disordini, domandò l’intervento delle Autorità civili; quindi, per mezzo del Prefetto di Napoli, del Sottoprefetto di Castellammare, del Procuratore del re e dei RR. Carabinieri, la chiesetta fu chiusa.
Ora possono i lettori intendere quella esclamazione in cui uscimmo nel narrare gli avvenimenti del passato anno: - Oh il mio caro e sempre venerato Vescovo Mons. Formisano! Non poteva egli mai prevedere quali amarezze per tale fatto avrebbe provato non più tardi di un anno da quel giorno!
Inesplicabile! ... da questo momento cominciò come l’alba di un giorno chiaro e sereno, che non tardò a portare i frutti ubertosi di più numerose grazie e nuovo slancio di fede e di devozione al Rosario di Maria. Onde l’anno 1878 può definirsi l’alba dei trionfi sulle prime contrarietà al nascente Tempio Pompeiano, che, intrapreso pel bisogno di poveri contadini, sarebbe poi diventato Santuario Pontificio e mondiale.
Da quell’ora l’amatissimo Vescovo Monsignor Formisano ritorna a volgere tutto l’animo suo all’incipiente Tempio di Pompei. Scrive una Notificazione, che fu la prima Lettera Pastorale per la nuova Chiesa Pompeiana: in essa ci difende contro quelli che ci accusavano d’inventare miracoli per far danari, eccita con la sua autorevole parola i fedeli a concorrere alla nascente Chiesa, che egli dichiara Opera di Dio, e manifesta la piena sua fiducia nei fondatori di essa.
Con quella Pastorale Mons. Formisano si dichiarò pubblicamente nostro difensore e nostro mallevadore presso tutti.
Anzi, ammirando l’intervento della SS. Vergine del Rosario, che appariva evidente dalla connessione di nuove grazie e di nuovi prodigi concessi a quei fedeli che a Lei ricorrevano con promessa di concorrere in qualsiasi offerta alla costruzione della nuova Chiesa, egli stesso, il pio Vescovo, si rende collettore per la edificazione del nostro tempio.
A distanza di tanti anni ci pare ancora di vederlo quel santo Prelato qui a Valle di Pompei, dove veniva così spesso per inanimarci di persona e con la sua efficace parola a proseguire quella che egli proclamava Opera di Dio. Ci pare ancora di sentire l’eco della sua voce, l’accento, l’accento pacato e dolce delle sue parole.
Dall’aspetto venerando che incuteva rispetto, sorridente, come padre in mezzo al suo popolo, attorniato da gran numero di gente semplice, di contadini di questa Valle, egli, con forma piena e popolare, faceva la propaganda per l’Opera della Madonna di Pompei.
Ci sono impresse nella memoria le seguenti parole scritte alla buona, ma piene di sapienza, della sua Lettera Pastorale – Notificazione al Clero e al popolo della Diocesi di Nola.
"Ma sono poi veri questi miracoli? – domandano alcuni – Sono poi vere le tante grazie che fa questa Madonna del Rosario di Pompei?
"Figlioli miei amatissimi, io so questo di certo: che la gente, che dice di aver avuto le grazie da questa Immagine del Rosario, manda del denaro, e non poco, in suo onore per la costruzione della Chiesa.
E non si può credere che vi sia gente così sciocca che paga per attestare ciò che non è vero. Tanto più che non è una o due o tre persone, ma sono innumerevoli, e da ogni parte d’Italia, e sono persone di ogni ceto, di ogni condizione, poveri, ricchi, ed uomini di nobiltà e di sapere. Ed a me stesso sono venute persone rispettabili ed autorevoli attestando di aver avuto grazie dalla Vergine di Pompei, e mi hanno consegnato grosse somme.
"Che cosa dobbiamo dunque concludere? Questo: che la Madonna veramente fa grazie e miracoli a chi la invoca Vergine del Rosario e col Rosario la onora; che la Madonna vuole quivi, a Valle di Pompei, essere venerata con particolare devozione; e fa grazie e miracoli specialmente a chi concorre alla costruzione di questa nuova Chiesa a Lei consacrata. Ecco la conclusione vera e logica".
E questo suo argomento – esposto in forma facile – era accessibile alle menti di tutti, e signori e ricchi e popolani e contadini, e veniva accolto con pieno assenso, come una verità indiscutibile, che non poteva e non doveva ammettere un’ombra di dubbio.
Il buon Vescovo di Nola fece stampare migliaia di copie della sua Lettera pastorale.
Di essa ci serviamo noi in Napoli, nel nostro giro, distribuendola alle famiglie signorili e cattoliche, come un’autorevole salvaguardia del nostro decoro e come solenne confermazione della santità dalla nostra intrapresa per l’edificazione di un Tempio a Pompei.
(Autore: Bartolo Longo)

*Capo V - La propaganda dei "Quindici Sabati" in Italia e all'Estero
Libro Settimo - pag. 295

"La seconda edizione del nostro libro. La pia Pratica iniziata solennemente nella Chiesa dei Professori di Belle Arti a Napoli"
Ma non è solo la parola autorevole del Vescovo, che conforta e sostiene il nostro lavoro in questo anno, anche la SS. Vergine dal cielo apre il suo manto per farne discendere novelle grazie su coloro che la invocano e la onorano con la pia pratica dei Quindici Sabati del SS. Rosario.
E così in quest’anno, 1878 la devozione alla Madonna di Pompei acquista innumerevoli zelatori in altre città d’Italia e anche presso nazioni straniere per il santo esercizio dei Quindici Sabati.
Esso viene introdotto in Italia e all’Estero, e lo notammo, segnatamente per lo zelo di una delle Suore di Carità fondate dalla Venerabile Capitanio, di Suor Giuseppina Brambilla, Superiora
dell’Ospedale Maggiore di Milano, che, per mezzo dei Missionari di S. Calogero, nell’Africa, nell’Asia, e soprattutto nelle Indie, diffondeva il nostro libro e propagava insieme la devozione alla Vergine di Pompei.
E tanto crebbe quella devota pratica così accetta alla madonna, che, essendo del tutto esaurite le copie della prima edizione del nostro libro nel breve corso di sei mesi, dovemmo affrettarci in quell’anno medesimo (1878) a darne fuori la seconda edizione con l’aggiunta di nuovi capitoli sulla Storia del Rosario e sui primi miracoli della Vergine di Pompei. E vide la luce quella seconda edizione del 24 maggio, in quella giornata sempre memorabile nella Storia del Santuario di Pompei, che ricorda il primo annunzio dato pubblicamente della nostra Opera dall’illustre Gesuita P. Altavilla, dal pergamo della Chiesa Parrocchiale di San Domenico Soriano in Napoli. Abbiamo sott’occhi una copia di questa Seconda edizione dei Quindici Sabati, pubblicata dalla medesima Tipografia di Andrea e Salvatore Festa in Napoli – Maggio 1878.
A leggerne la Prefazione, oggi, dopo quarantatrè anni, oh quali scintille dell’antica fiamma si ridestano vive e dolci nell’animo nostro! È una Prefazione scritta non nella freddezza dello storico, ma in uno stile saturo di sacro entusiasmo riboccante di fervido sentimento di fede, e rispecchia fedelmente lo stato dell’animo mio in quei tempi.
Preso da uno slancio di ammirazione e di riconoscenza verso quella suora, vera apostola del Rosario, che da Milano faceva continue richieste del mio libro, in quella prefazione non mi potrei trattenere dal rivolgere alla città di Sant’Ambrogio un’apostrofe calorosa, che mi sorgeva dal fondo del cuore.
Tanto per l’integrità della Storia e la varietà della narrazione, non vogliamo privarne il lettore dal leggere i primi periodi: - Non sono ancora nove mesi da che vide la luce per la prima volta questa Operetta; e credevamo sinceramente, che, per tanti travolgimenti d’idee e di cose signoreggianti d’Italia, un novello libro di pietà, come il presente, fosse per occupare per lunghe stagioni un polveroso palchetto di scaffale.
"Ma qual fu la meraviglia nostra e dei librai, quando ci avvedemmo, che, decorsi appena sei mesi, di duemila esemplari non avevamo più uno da porgere alle continue domande che ci venivano da varie città del Piemonte e di Lombardia, e sopra tutto da Milano?
"O veramente nobile e grande città di Milano! Quante volte non avendo noi onde soddisfare alle tue richieste, abbiam teso le mani verso l’Immagine di Maria per abbracciare con ardenza di affetto tutti quei tuoi figlioli, che sì focosamente amano il Rosario do Lei! Dentro di t, è vero, s’annida l’idra Protestantica, che spande i suoi aliti venefici (insinuati nelle stampe empie e ipocrite) per le pure e cattoliche nostre contrade: ma è altresì verissimo, che nel tuo seno racchiudi siffatti amanti di Maria, che fan giusto contrappeso nelle bilance della divina giustizia.
"Ed ecco che per te, e per tutti coloro che son presi d’amore per questa dolcissima calamita dei cuori, ci accingiamo a questa novella edizione.
"A condur la quale ci confermeremo al tutto ai desideri ed alle osservazioni che han degnato rivolgerci amici prediletti e sacerdoti venerandi e gentildonne piissime, delle quali è gran copia, per divina misericordia, nel nostro bel paese".

Ancora, in quest’anno 1878 avemmo la consolazione in Napoli, dove da quasi un secolo più non si praticava nelle chiese il pio esercizio del “Quindici Sabati”, un artista illustre, quel medesimo che doveva dare grazia e beltà all’Immagine della Vergine di Pompei, il chiaro e pio pittore Commendator Federico Maldarelli, rapito alla bellezza di questa stupenda divozione mariana, la fece seguire a sue spese pubblicamente nella sua Congregazione degli Artisti nella Chiesa di S. Giovanni Battista a Costantinopoli.
È presso di noi tuttora un foglietto volante, ingiallito e sgualcito dall’edace morso del tempo, che è appunto l’Invito Sacro e pio Esercizio dei Quindici Sabati che in quella Chiesa sarebbe cominciato per la prima volta il Sabato 29 giugno 1878.

   

È un caro ricordo che ci gode l’animo di riprodurre qui per intero. Quell’Invito fu da me dettato, e manifesta il mio primo e costante proposito di propagare ovunque e comunque la devozione del Rosario per ragioni occulte che svelerò altrove, e di illustrare ed esaltare sempre l’Ordine di San Domenico, il Santo scelto da Maria ed istitutore e primo propagatore del suo Rosario.
Invito Sacro pei Quindici Sabati
(Giugno 1878)
“Il 29 di giugno 1878 nella Congregazione dei Professori di Belle Arti in S. Giovanniello a Costantinopoli, avranno per la prima volta cominciamento i Quindici Sabati del Santissimo Rosario, divozione efficacissima ad ottenere qualunque grazia.
Alle ore 9 del mattino di ciaschedun sabato, all’altare del Rosario si celebrerà la Messa Votiva del Rosario che è Privilegiata; e intanto dal popolo verranno dette dieci poste della Corona, lasciando ad ognuno il meditare il Mistero che in quel dì si commemora, e dire nelle proprie famiglie le ultime cinque poste a compimento della intera Corona.
La Messa per essere Privilegiata, e per far conseguire ai fedeli le Indulgenze Plenarie concesse da Pio IX (29 Dicembre 1853 e 3 Marzo 1857) e le innumerevoli Indulgenze Parziali, verrà celebrata per tutti i 15 Sabati da un P. Domenicano; il quale prima della Comunione ricorderà ai devoti il Mistero che si onora e qualche effetto per la Comunione.
Dopo la Messa si canteranno le Litanie della Beata Vergine, e quindi sarà impartita la Benedizione col Venerabile.
Hai tu bisogno di grandi grazie, o Cristiano? Non le hai ancora asseguite dopo tante preghiere? Ti trovi forse in condizioni di disperare? E bene, la costante esperienza di oltre a due secoli ti conforti ad eseguir la bella pratica di questi Quindici Sabati del SS. Rosario, precedenti la festività di Ottobre, pei quali la celeste Regina, l’Avvocata dei peccatori, non ha saputo mai negare nessuna grazia”.
Oggi, dopo quarantatrè anni, possiamo con compiacenza e con sicurezza affermare che da quella Chiesa e da quel mese di giugno 1878 incominciò in Napoli il risveglio dell’antico affetto che i buoni Napoletani avevano avuto un giorno a questo pio esercizio, che si praticava soltanto nelle principali antiche Chiese Domenicane, e che venne poi a diffondersi, per la divozione alla Madonna di Pompei, in numerose altre chiese, non appartenenti all’Ordine, di quella illustre metropoli
(Autore: Bartolo Longo)

*Capo VI - Raffaele Scala - Come per vie inaspettate perviene il primo Altare di marmo al nascente Tempio di Pompei

Libro Settimo - pag. 306

Un’antica e santa amicizia legava la Contessa de Fusco alla signorina Caterina Volpicelli, mente eletta, cuore ardente di amore divino, d’indole mitissima e dalla parola insinuante per dolcezza, notissima in Napoli come “l’apostola del Sacro Cuore”, ed oggi dalla Chiesa dichiarata Venerabile.

Nella sua Casa, al Largo Petrone alla salute, conveniva il fiore delle dame napoletane, donne specchiatissime per nobiltà e per spirito di fede, che erano divenute come la milizia del Divin Cuore, dedite a un comune apostolato di bene e ad opere di pietà, come santi spirituali esercizi, ritiri mensili, ore di adorazione al SS. Cuore di Gesù e al SS. Sacramento, e simili devote pratiche, a cui erano infiammate dall’esempio e dalla umile parola serafica della Venerabile Volpicelli, cui la Provvidenza serbava la gloria di essere fra poco la fondatrice delle Ancelle del Sacro Cuore.
La Volpicelli considerava la Contessa come la sua prima compagna nella vita e nelle opere di pietà e di zelo, fin da quando dimorava nella casa paterna, a Port’Alba N. 20; e però la onorava dell’ufficio di invitare le signore, di riceverle quando venivano a casa, di cantare nelle4 sacre funzioni, e di tutto che la Venerabile non poteva compiere da sé, perché non godeva di forte salute.
Ma in quella Casa la Contessa non soleva mai far propaganda dell’Opera di Pompei. Soltanto nell’uscirne e nell’accompagnarsi ora con questa ora con quella signora parlava loro della nascente Chiesa di Pompei, per procurar nuovi iscritti a quest’Opera anch’essa così bella e così importante, e la sua propaganda non era mai senza frutto. In questa maniera l’Opera pompeiana si diffondeva ed acquistava nuovi proseliti, nuovi benefattori, e nuovi zelatori e zelatrici.
Un giorno la Contessa si accompagnò con due nobili e pie signorine napoletane, le sorelle La Rocca, molto stimate dalla Marchesa Filiasi, e le fece tanto innamorare dell’Opera di Pompei che senza indugio promisero di associarvi.
- Domani – disse loro la Contessa – manderò a casa vostra l’Avv. Bartolo Longo che vi porterà i libretti di ascrizione, il libro dei Quindici Sabati, le Immagini della Vergine di Pompei.
Ebbe il pensiero di segnarsi il loro indirizzo, che dopo tanti anni mi viene in mente: Vico Freddo a Chiaia (ora via Carlo Poerio), n. 10.
Quando mi diede questa commissione la Contessa, - Oh! – esclamai – viene ora l’occasione di tornare per Chiaia! È giusto un anno che non vado più per quella via, dopo gli infruttuosi tentativi fatti col Rettore della Chiesa di S. Caterina.
Puntualmente, il giorno seguente, andai al palazzo N. 10 del Vico Freddo a Chiaia.
- Sono in casa le signorine La Rocca? – chiesi al portiere. E avuta risposta affermativa, mi metto a salire le scale.
Al primo piano la porta dell’abitazione non presenta veruna scritta.
- Andiamo più su – feci tra me. – A chiunque mi apre l’uscio farò domanda.
Giungo al secondo piano, ma non vedo ancora alcun nome alle porte d’ingresso… Mi accorgo d’aver mancato di chiedere al portiere a quale piano stessero ad abitare quelle due signorine.
- Come fare? – dissi fra me – Devo scendere giù dal portiere per farne richiesta? E poi rifare le scale? – Ma pensai invece – proviamo a tirar il campanello. Se non sono qui le signorine La Rocca. – ragionavo tra me – almeno saprò da chi mi apre, in quale quartierino esse si trovano. Certo devono saperlo, stanno nello stesso palazzo. Io farò le scuse, e saprò poi dove andare.
E tirai il campanello. Attesi pochi istanti.
Si apre l’uscio, si presenta una signorina:
- Abitano qui le signorine La Rocca? – domando io senza alcuna prevenzione.
Quella signorina mi guarda, fa un passo indietro, come colpita da forte stupore, dalla sorpresa, come fa chi da tanto tempo va in cerca di una persona e d’improvviso s’imbatte in essa. E invece di rispondere alla mia domanda, mi interroga con premura.
- Voi siete quel giovanotto che nel maggio dell’anno scorso a S. Caterina a Chiaia davate fuori la Chiesa quei manifesti, quei programmi per un Tempio a Pompei?
- Sì – rispondo io non meno meravigliato.
- Favorite, favorite di entrare, - prorompe con gioia la signorina. – Vado a chiamare la mamma, che vi aspetta da un anno, che vi deve dire una cosa.
Mi fa sedere in un salotto ben arredato, e corre a chiamare la mamma.
Io era come trasognato, non sapevo ancora di che si trattasse e in casa di chi fossi. Meditava: - poche volte mi è occorso di essere ricevuto con tanta festa, da che vado girando per le case a far l’accattone per la Madonna! ...
- Mamma, mamma – sento gridare quella giovanetta – è venuto quel signore di Pompei, quello che fa la Chiesa della Madonna a Pompei. Vieni, vieni.
Dopo pochi istanti, ecco una Signora dall’aspetto che rivelava subito una grande bontà, e insieme la modestia, la delicatezza d’una pietà profonda: vicina a lei era la figliuola giubilante.
- Oh! – esclamò la Signora – È un anno che desiderava vedervi! Non sapeva come fare per vedervi, per invitarvi a venire da me! – Io ho promesso un altare di marmo, il primo altare alla vostra Chiesa di Pompei. Fin dall’anno scorso, quando lessi in quel Programma che voi distribuivate fuori la Chiesa di S. Caterina, che volevate fare un Tempio per i contadini che no udivano la Messa, io fui rapita alla vostra idea bella per l’onore della Madonna del Rosario e per il bene di quelle anime. Tornata appena a casa, dissi a mio marito:
- Non solamente voglio concorrere a questa Chiesa di Pompei, ma voglio avere il merito di erigere il primo Altare.
Mio marito mi promise di sì, ed io l’ha pure ordinato al marmista, e sta convenuto anche il prezzo. Ma alle domande del marmista: - Quale dev’essere la dimensione di quest’altare? Dove deve essere trasportato e collocato? – io non ho potuto rispondere, e tutto sta sospeso per questo. Aspettava d’incontrarvi, di parlarvi… Ora che la Madonna vi ha mandato, finalmente, tutto sarà fatto, e al più presto! Per la festa del Rosario, nell’ottobre prossimo il mio altare sarà a Pompei. Oh come sono contenta!
Come rimanessi io stupito e commosso a questa notizia inaspettata e gioconda, si può, meglio che descrivere immaginare.
- È stato un caso più che fortuito, fortunato – osservai alla Signora – che mi fa trovare in casa vostra. Io andavo cercando le signorine La Rocca. Nulla sapeva né della vostra promessa dell’Altare, né del vostro nome. Ma lo sapeva la Madonna, e mi ha condotto qui con la sua mano invisibile. Con quanti segni evidenti, prodigiosi, la Regina del Rosario fa intendere che vuole l’Opera di Pompei, come opera sua!
Seppi allora che mi trovavo in casa della piissima Signora Raffaela Scala, consorte di quel rinomato negoziante di vini di lusso in Via Chiaia. Era precisamente quella Signora vestita a nero, di cui ho narrato innanzi, che nel maggio del passato anno 1877 sedeva accanto a me nella Chiesa di S. Caterina. E la figlia, che era venuta ad aprirmi era una di quelle signorine vestite di nero che si trovavano con la madre in quella Chiesa, e che, dopo la ripulsa di quel Rettore, mi guardavano attentamente e con occhio scrutatore affissavano la mia borsa nera, quasi per spiare che cosa potesse contenere, e quale opera buona volessi iniziare, che forse mi veniva ostacolata.
Quella buona signorina aveva nome Teresa Scala.
Per chi ha la luce della fede, nulla accade per caso in questo mondo: noi siamo circondati da materia come tanti ciechi che non scorgiamo le fila degli avvenimenti ordinati dalla mano della Provvidenza.
La Signora Raffaela Scala attenne fedelmente la parola. Nella festa del Rosario di Ottobre ebbe cura di far giungere a Pompei l’Altare promesso.
- O mia celebre Regina del Rosario, come avete voi premiato la fede e la carità di quella famiglia tanto a voi divota, che fin dalle origini di questo Tempio si mostrò sollecita di onorarvi nella terra di Pompei?
Passarono quarantadue anni.
Un mese fa, mentre mi apparecchiava a scrivere questo capitolo della Storia, mi venne annunziato che una signora, una delle prime devote della Madonna di Pompei, era venuta da Napoli a visitarmi con la famiglia nella mia casa, che, come tutti sanno, è posta di fronte al Santuario.
Io che tutti i giorni, insieme con la Contessa, ricevo indistintamente gli ascritti, i benefattori, i devoti della Vergine di Pompei, a cominciare dalle nove del mattino fino a due ore dopo il mezzodì, non chiesi il nome di quella famiglia.
Quando la signora mi disse: - Io sono Teresa Scala – non seppi trattenere un subito moto di gioia per il rapido risveglio di tanti cari ricordi dei primi anni del Santuario.
Era appunto la figlia di quella buona signora Raffaela Scala. Teresa che non solo non era più signorina, ma era maritata al signor Da Re, ed era divenuta madre e nonna. Difatti era accompagnata da due figlie, Maria Manfredi-Da Re, e Italia Avallopne-Da Re, che a loro volta mi presentavano i loro figlioletti.
Con il ricordo della santa bisavola, donatrice del primo Altare del Santuario, io mirava in quella famiglia tre generazioni!

                                                                                       

In questa numerosa discendenza e in questa rigogliosa figliolanza tutta degna erede della bisnonna, nel sentimento vivo di fede e di devozione alla Madonna, anche da parte dei consorti e dei figli, io con commozione notava la benedizione di Dio in quella santa famiglia, come la benedizione con gli antichi Patriarchi auguravano da Dio fino alla fino alla terza generazione!

(Autore: Bartolo Longo)

*Capo VII - Lady Erbert - La prima Signora straniera che viene a Valle di Pompei a salutare il luogo ove sarebbe eretta la Chiesa Pompeiana
Libro Settimo - pag. 306

In quel mese venni a Valle di Pompei per assistere alla costruzione del Tempio, che procedeva alacramente, e per rinfrancarmi nella salute alquanto andata giù.

Uno di quei giorni, mentre che io stava nell’antica Masseria de Fusco, in una camera posta a mezzodì inondata da un oceano di sole pompeiano, e di là contemplava le montagne di Castellammare e di Agerola che più belle apparivano in quella gloria di luce, e il Monte Gauro celebre per l’apparizione di S. Michele Arcangelo a S. Catello, ecco viene una guida degli Scavi di Pompei, e mi annunzia la visita di una grande Signora Inglese.
Nientedimeno era la nobilissima e ricca Dama, convertita al Cattolicesimo, Lady Herbert, madre del notissimo uomo di Stato Lord Pembroke, protestante.
Costei, venuta a Napoli, non tralasciò, come costumano gli stranieri, di visitare gli Scavi della vecchia Pompei. E giunta all’Anfiteatro vide di fronte, in lontananza, una Croce nera di legno, ritta come a segnacolo, su alcune mura in costruzione.
Stupefatta a quello spettacolo per lei nuovo e inaspettato, si volse ad una guida degli Scavi e interrogò con aria di premura:
- Che? … Una Croce a Pompei!
- Sì, - rispose la guida – è una Chiesa che stanno costruendo certi signori di Napoli insieme con la Contessa De Fusco, Signora di questo luogo.
- Vorrei parlare loro, - fece con una subita risoluzione la nobile straniera.
- Voglio visitarli, - soggiunse con tono reciso. – Accompagnatemi.
La Contessa non era in quel giorno a Pompei.
E così mi si presentò questa gran Signora, dall’aspetto dignitoso e gentile. Immantinente, come mi vide, senz’altro proferì:
- Dopo tante volte che son venuta a visitare gli Scavi è la prima volta che vedo una Croce su di una fabbrica. Desidero conoscere che cosa intendete fare? Chi vi ha spinto a fare quest’Opera? A mettere il segno della redenzione in queste solitarie e deserte campagne?
Meravigliato anch’io dell’incontro con quella dama, certo non avvenuto per caso ma per ordine di Provvidenza divina, cominciai a narrarle tutti i fatti avvenuti: dell’abbandono di questi contadini nella piena ignoranza in fatto di Religione; dell’ispirazione del Vescovo di fabbricare una Chiesa per far loro recitare il Rosario ed istruirli nei rudimenti della fede; della Immagine della Vergine del Rosario che dimostrava con grazie celesti essere volontà di Dio che si fondasse qui una Chiesa in suo onore, e via di seguito.
All’udire il mio racconto quella nobile figlia di Albione, pur sotto quel contegno apparentemente freddo, impassibile, ebbe un leggero fremito, che tradì un intenso movimento di fervore e di entusiasmo per la Fede cui erasi di fresco convertita.
Mi disse parole di conforto, e mi promise di far conoscere in Inghilterra ed in America questa santa Opera, e il culto che qui si iniziava alla Vergine di Pompei, scrivendone sul diffuso giornale Inglese-Americano, il “Tablet”.
Così, prima ancora che la notizia di un Tempio Cattolico nella storica terra di Pompei pervenisse agli orecchi dei nostri fratelli di Italia, già, erasi divulgata tra i figli d’Inghilterra; poiché nell’anno stesso 1878 quella nobilissima dama Lady Herbert, dopo il suo ritorno in patria, conforme aveva promesso, con animo fedelmente inglese, spacciava la lieta nuova sul rinomato giornale il Tablet, diffusissimo, come è detto, non solo in Inghilterra ma anche nelle Americhe.
Ed ecco che, in breve tempo, con la diffusione della notizia della sorgente Chiesa del Rosario in Pompei, e delle grazie che largiva qui la Madonna, cominciarono le prime offerte dalle straniere nazioni; da Dublino (Irlanda), primieramente, e poi da Londra, e poi da Malta e poi dall’America.
Pubblicammo questo fatto, insieme con i nomi dei primi oblatori dell’Estero, nel nostro libro “I Quindici Sabati”, non avendo allora un apposito Periodico, e propriamente nella parte storica, che precedeva le Meditazioni sui quindici Misteri del Rosario.
“Una donna – facevamo osservare – fu cagione del letale scisma che regna tuttodì in Inghilterra; ed una donna veniva dal Cielo designata ad introdurre nella protestante nazione l’amore più vivo e la devozione più tenera alla benedetta Madre di Gesù sotto il nuovo titolo di Vergine di Pompei”.
“È storia. Il primo obolo che mi pervenisse per il Santuario di Pompei dalle straniere regioni di Europa fu quello della protestante Inghilterra. Lady Herbert la prima a spargere nella terra di Enrico VIII e di Elisabetta le Immagini della Vergine di Pompei e la Storia dei prodigi viventi di Colei, che i Protestanti rinnegano, e che noi Cattolici veneriamo ed amiamo quale Madre di Dio e Madre nostra”.
“… O gloriosa Terra dei Santi! Quando spunterà quel sole, in che le tue vetuste campagne, da tre secoli mute al Saluto di Maria, annunzieranno con le sonore ondulazioni i primi vespri del glorioso tuo ritorno alla fede Cattolica, che è la fede dei gloriosi padri tuoi? ...”.
(Autore: Bartolo Longo)

*Capo VIII - Sulla riva fiorita di Posillipo
Libro Settimo - pag. 310

Un’altra nobile e ricca Signora Inglese, ma protestante – molte speranze tentativi di conversione - amarezze
Dopo la visita che io ebbi da lady Herbert a Valle di Pompei, gongolante di gioia tornai a Napoli per raccontar la lieta avventura alla Contessa.
Avevamo, nel maggio di quell’anno, lasciato la nostra abitazione in Via Vergini, 19 ed eravamo andati ad abitare in Via Pignatelli, 94, in una casa di proprietà dei signori Cappella.
Già tutta questa pia e ricca famiglia era nel numero delle zelatrici della nuova Chiesa di Pompei: e rammento con grato animo i nomi delle Signorine Angiola, Caterina e Marianna Cappella.
Com’era suo costume, la Contessa non appena rivide la prima signorina Cappella, Angiolina, cominciò a raccontarle della visita di questa signora inglese a Valle di Pompei, e delle rigogliose speranze che dalle sue promesse e dal suo entusiasmo erano sorte nell’animo nostro per l’incremento della Opera Pompeiana.
­- Oh Contessa! – esclamò con aria di mistero la Signorina Angiolina, come per rivelarle un altro segreto con una più preziosa speranza – Ora Contessa! – esclamò con aria di mistero la Signorina Angiolina, come per rivelarle un altro segreto con una più preziosa speranza – Ora io conosco una grande Signora Inglese, Mistress Annely. Sta ad abitare nella Villa di nostra proprietà a Posillipo. Dev’essere molto ricca. Ha un figlio Colonnello nelle Indie. Ci paga a mese una lauta pigione. Sta lì per salute; ha un male misterioso, penso che soffra di nervi. È protestante, ma è molto generosa verso i poveri e le opere di beneficenza. Quando fa una limosina, non dà mai meno di cento lire. Da quella gran Signora vi posso condurre io.
- Oh, sì! – interruppe festiva e sorridente la Contessa – Andiamo subito…
- Eh! – osservò con gravità la signorina Cappella – Dobbiamo prima studiare il modo come avvicinarla, con molta cautela, perché è una fiera protestante. Dobbiamo bene accordarci come presentare la cosa, ma senza parlare – per carità! – né di Chiesa da fabbricare, né della Vergine, né della vergine, né del Rosario… Insomma potremo soltanto chiederle un sussidio per un’opera pia a favore di bambini, di contadini abbandonati nella miseria e nell’ignoranza, per scuole di fanciulli che sono attorno agli Scavi di Pompei, o che so altro. Mai parlare di Chiese, di Madonne e di Santi!
Voi sapete che i protestanti non ammettono queste cose. La Mistress potrebbe montar in furie. E non aver nulla voi, io perderei molte centinaia di lire al mese.
- Sì, sì, - fece la Contessa con fronte pensosa, - voi dite bene. Bisogna operare con cautela. Io so come sono fanatici i protestanti, massime poi una signora malata di nervi.
- Badate, Contessa, - aggiunse la signorina Cappella con tono più reciso – questa visita dobbiamo combinarla tra noi, senza far venire Don Bartolo. Io conosco quanto è imprudente certe volte l’Avvocato. Comincia subito a parlare della Madonna, della Chiesa di Pompei, comincia a dar figure, medaglie, la Novena, la Storia, e ci rompe le uova nel paniere. Non voglia Dio! La Signora si inquieterebbe con D. Bartolo; questi potrebbe – per troppo zelo – uscire in qualche parola pungente, e addio! La Mistress lascerebbe la Villa nostra; potrebbe pure scrivere a suo figlio Colonnello, e questi potrebbe anche sfidare a duello l’Avvocato! ... No, no, la via più sicura è questa: Don Bartolo non deve venire.
La Contessa, naturalmente, non tardò più di un’ora a rivelarmi il proposito circa la visita da fare a questa gran dama inglese protestante, con le prudenziali ragioni di non farsi accompagnare da me.
Io, invece, in un baleno, era già corso dietro a un ordine di idee al tutto diverse. Quel discorso fu un rapido e potente fermento fantastico per me, e rimasi pensoso come attonito, in un tumulto d’improvvise speranze, di ardite immaginazioni, di mille vaghe previsioni.
Era fresco il ricordo di Lady Herbert venuta a Valle di Pompei, e delle mille speranze per la promessa di diffusione dell’Opera nostra nei giornali inglesi.
Oltre a ciò mi si presentò vivo nel pensiero il fatto della ricca inglese, Lady Strachan, che aveva dato lire centomila al mio caro maestro, Prof. Leopoldo Rodinò, per far fondare in Napoli un Istituto per le povere fanciulle cieche, che io spesso visitava. (Tutt’ora è fiorente in Napoli questo benemerito Istituto, diretto dalle Suore d’Ivrea, scelte, fin dalla sua fondazione, dal medesimo Prof. Rodinò. Si chiama appunto: Istituto “Strachan-Rodinò per le povere cieche. Chi l’avrebbe potuto immaginare? Dopo cinquant’anni, le povere cieche dell’Istituto Strachan-Rodinò sono state le prime in Italia, a mandare un’offerta collettiva per la nuova Opera per le Figlie dei Carcerati!).
Ora – io pensavo – la Provvidenza mi fa imbattere in una terza signora inglese, in fama di caritatevole e generosa! Chi sa? … ma è protestante! – E che per ciò? ... Se la Madonna volesse convertirla? – È malata. – Tanto meglio! Se la Madonna per convertirla, volesse prima farle la grazia della salute? Oh! allora il Tempio di Pompei sarebbe fatto. Bene, pregheremo la Madonna che tocchi il cuore di quella nobile Mistress. Inviteremo la signora protestante di venire a vedere le meraviglie della Madonna nella nuova Pompei, com’era venuta qui l’altra nobile signora inglese Lady Herbert; la esorteremo a sperar la salute dalla prodigiosa Immagine. La Madonna la farà guarire, ed essa crederà e si convertirà. Ed il Tempio allora sarà fatto, perché la signora donerà tutti il sussidio della sua generosità. Scriverò in tutti i giornali la conversione di questa gran dama, il gran rito che si farà della sua abiura in Pompei, ed avrò ottenuto il mio intento, che tutto il mondo sappia che sulla terra di Pompei si eleva una Chiesa alla madre di Dio. Che bella occasione! Oh se la Madonna ci facesse questa grazia!
Quest’ultima esclamazione dovette scappar fuori dal mio meditare, dovette sfuggire dal mio interno, e forse, senza accorgermi, formularsi in parole.
- Che cosa? … Che cosa? … - Interruppe, corrugando la fronte, la signorina Cappella, che aveva già subodorato qualche mio divisamento. – E volgendosi alla Contessa:
- Signora Contessa, - pronunciò in tono decisivo – io non permetterò mai che l’Avvocato ci accompagni. Al meglio del discorso con la protestante, comincerà a nominare la Madonna, e noi non concluderemo nulla, perché, ripeto, Miss Anneky, protestante accanita quale è, non crede alla Madonna; e se l’Avvocato osasse far davanti a lei i suoi panegirici della potenza del Rosario, della protezione di Maria, di grazie e miracoli, noi correremo il rischio di essere cacciati, e mi farete perdere la migliore inquilina della Villa.
- Ma no, no, - feci io con tono dimesso e supplichevole – non temete. Io accompagnerò la Contessa, solo, come suo avvocato, suo segretario, come un cavaliere di compagnia.
- Ma non dovete parlare della Madonna.
- E allora che le diremo? Di che le parleremo?
- Le diremo che vogliamo fondare (ed e anche la verità) un Asilo in Valle di Pompei per i fanciulli poveri; e sapendo che Lady ha un generosissimo cuore per gli indigenti, abbiamo preso l’ardire, eccetera, eccetera.
- E della Madonna niente?
- Per ora neanche una parola! A ciò penseremo poi. Se ci accorgeremo al primo colloquio che è di buon fondo ed accessibile, vi sarà sempre tempo di ripeterle la visita, e farle discorsi della Madonna, di S. Domenico, del Rosario, di quello che vorrete. Anzi, se ad ogni costo volete venire, dovete promettere che alla presenza di Lady Anneky voi sarete muto.
A me parve prudente non insistere più, ed accettai il grave impegno… di tacere.
- Va bene – assicurai – Vi prometto che così farò, come voi volete. Parlerete voi, parlerà la Contessa; ed io, tranne qualche inchino di convenienza, qualche parola di ossequio, del resto farò il muto.
Avuta questa assicurazione da parte mia, la Sig.na Cappella prese accordo con la Contessa che sarebbe andata prima lei da sola per apparecchiare la signora inglese ed annunciare la visita della Contessa De Fusco; poi, in un dato giorno e in un’ora prefissa sarebbe andata la Contessa, accompagnata dalla Sig.na Freda e da me, a Posillipo, per far visita alla gloriosa figlia di Albione.
2 - Dal Padre Rossi (pag. 315)
Preghiera di amici e in vari monasteri di Napoli per la conversione di una signora protestante
La determinata visita alla signora inglese mi eccitò la fantasia, e la speranza di un prodigio della Madonna, che avrebbe guarito e convertito la ricca protestante, divenne per me un’idea suggestiva che non mi dava riposo.
- Oh se fosse convertita! … - andavo ripetendo fra me – sarebbe assicurata la Chiesa di Pompei! Giornali che avrebbero parlato di questa conversione; solenne abiura della signora protestante fatta cattolica; tutte le ricchezze della Mistress profuse a Pompei! …
Ma bisogna prima prender consiglio da persone illuminate da Dio.
Mi venne subito innanzi alla mente la figura del Padre Rossi, del grande predicatore, i cui discorsi, come dissi innanzi, io andava ad ascoltare con fervido entusiasmo e con religiosa attenzione in qualunque chiesa di Napoli egli predicasse, e a cui spesso apriva l’animo mio per ricevere conforto e consiglio.
Andai da lui, e gli narrai tutto, per sentire la sua parola come la parola di Dio.
Il P. Rossi, dopo avermi ascoltato con grande bontà, dopo aver ponderato sul fatto che gli esponeva e sulle mie ardimentose speranze:
- È molto difficile! – proferì – Convertire un protestante, anzi una protestante, è cosa difficile! Ci vuole un miracolo. C’è bisogno che quella sia illuminata, istruita, mossa potentemente dalla grazia di Dio!
Poi, per non fare andare giù tutto il mio zelo: - Bisogna pregare! – concluse con aria di speranza.
Rimasi un po’ freddo sul momento, ma poi con più acceso fervore:
- Sì, è vero – ripresi – ma la Madonna di Pompei fa tanti miracoli! È apparsa finanche una signora di mondo e società, per guarirla, alla Signora Giovannina Muti. Non può fare un simile miracolo? Preghiamo insieme, facciamo pregare tutti per questo scopo. Intanto io vado, e vediamo che cosa succede.
Mi accomiatai dal P. Rossi. Le sue parole:
- È difficile! Ci vuole un miracolo! Bisogna pregare! – invece di mettere gelo, mi misero fuoco nell’anima.
Quanti amici vedeva, quante anime pie incontrava, quanti devoti zelatori e zelatrici della Vergine di Pompei io avvicinava, tutti sollecitava a pregare per la conversione di una nobile protestante inglese.
Oltre a ciò mi misi in giro per i monasteri di Napoli, dove erano suore amiche nostre e ferventi devote e zelatrici dell’Opera nostra, per pregarle di supplicare la Madonna con tutte le loro Comunità, a fine d’impetrare la grazia di quella conversione.
Così feci nel monastero della Sapienza con Suor Maria Maddalena de Bisogno, domenicana; così nel monastero del Rosariello a Portamedina, con quella Suor Maria Concetta De Litala che mi aveva dato il quadro della Vergine del Rosario per esporlo in venerazione a Pompei, e quindi nel monastero dello Splendore conferii con quella santa religiosa francescana, Suor Maria Maddalena Barbuto.
Ed ecco che un coro di preghiere si levava dalla terra da tante anime buone per implorare la sospirata grazia, e le mie speranze sembravano rivestirsi dei più vaghi colori, nella trepida attesa di un celeste prodigio…
3 – Il giorno della gita a Posillipo – L’ora solenne dell’invocata conversione (pag. 317)
Conforme gli accordi presi, e seguendo puntualmente tutto un programma elaborato con i più minuti accorgimenti della umana prudenza, la signorina Cappella andò innanzi a Posillipo per apparecchiare l’animo della sua illustre inquilina a ricevere la visita di una nobildonna napoletana, la Contessa Marianna De Fusco, che dedicava la sua vita in opere umanitarie, e che voleva aprire in Pompei una scuola per i poveri fanciulli.
Nulla doveva dire dell’Avvocato Bartolo Longo, perché questi, dovendo fare il muto, sarebbe sembrato un semplice accompagnatore di dame e nulla più.
Dovevamo poi seguire noi sulla collina di Posillipo, dopo un paio d’ore, per trovare quella Villa e vedere la famosa signora inglese, oggetto comune di diverse e suggestive speranze.
Così fu fatto. Noleggiammo una carrozza a due cavalli, e vi montammo su, la Contessa, la signorina Freda ed io, e via di trotto alla volta di Posillipo.
Dopo un’ora passata in vettura, finalmente il legno sboccò alla Via nuova di Posillipo, fatta costruire dal Vicerè di Napoli Gioacchino Murat, e che in delizioso serpeggiamento mena fino al Capo Posillipo. A buon diritto i visitatori d’oltre Alpe non rifiniscono d’ammirare quell’incantevole costiera, che fu detta forse Posillipo dal greco (cessant curae) perché si suppone che l’animo inebriato colà di tante bellezze naturali, abbia a dimenticare ogni affanno.
Dopo aver domandato di qua e di là dove fosse la famosa Villa, finalmente ci venne additata la via che menava a quella magnifica casa che aveva l’onore di ospitare la illustre straniera; e colà ci dirigemmo.
4 – La Villa “Baker” oggi “Grand Hotel Pension Villa Martinelli” (pag. 318)
La Villa di proprietà dei signori Cappella era un asilo di pace, veramente delizioso. Era sita in uno dei punti più incantevoli di tutta l’amenissima costiera di Posillipo, all’estremo lembo di terra che declina mollemente fino alla riva del mare sempre fiorita, che guarda a mezzogiorno il magnifico, immenso, svariatissimo panorama del Golfo di Napoli, sempre azzurro e smagliante sotto un cielo del più dolce colore d’oriental zaffiro che si possa mai immaginare.
Si vuole che questa fosse una delle ville di Lucullo, e si chiamava appunto Villa di Lucullo, quando fu acquistata da uno degli antenati della famiglia Cappella nel 1659.
A quel tempo era Doge di Venezia un Cappella. Un suo fratello secondogenito, non volle rimanere a Venezia sotto il suo dominio; si accompagnò con un medico ed un ingegnere, e si mise in giro per l’Italia cercando un posto adatto per lui. Capitò qui, dov’era questa Villa abbandonata e dirupa, ed ai suoi piedi a livello del mare vi era una cappella eremitica che rimontava al 300.
Il fratello del Doge di Venezia acquistò la Villa e la cappella. La vecchia e smantellata abitazione ridusse poi a splendida Villa principesca; la cadente e logora cappella fece restaurare ed abbellì di dipinti e di stucchi artistici e di altare di marmo. Vi fece trasportare da Venezia due statue di alabastro di circa un metro alte, l’Annunziata e l’Arcangelo Gabriele, che tuttora si vedono lì, a destra e a sinistra della cona. Arricchì la cappella anche di quadri a basso rilievo di marmo di classica scuola, rappresentanti un “S. Sebastiano”, la “Visitazione di Maria” e il “Calvario”. Il lettore non troverà inutili queste notizie, dopo aver letto tutto questo capitolo.
La Villa si chiama ora Grand Hòtel Pension ed è frequentata per villeggiatura di lusso, per stazioni climatiche da alti signori italiani e stranieri.
5 – Mistress Anneky (pag. 319)
In questa Villa era allora Mistress Anneky. Aveva preso in affitto un parterre elegantissimo, tutto fiorito, che dava sul mare, e riccamente fornito di tutti i ninnoli necessari a contentare i suoi molteplici, complicati e delicati bisogni reali e fittizi. Qui la nobile inglese cullavasi fra tutti gli agi, svegliandosi, movendosi e parlando sempre ad orario stabilito.
Scendemmo dalla carrozza ed entrammo nella Villa.
La Sig.na Cappella, come ho detto, già era lì. Alla cameriera che venne ad aprirci domandammo di lei, per essere presentati alla gran dama.
Ci viene subito incontro la Sig.na Cappella, e quindi fa cenno alla cameriera di portare alla Mistress l’avviso che la Contessa era giunta.
Intanto tutti e quattro siamo invitati a entrare nella sala di ricevimento.
La Sign.na Cappella prende posto sul canapè, facendosi sedere accanto la Contessa e la Sig.na Freda, e lasciando libero da un lato un gran seggiolone soffice, come seggio riservato alla nobile straniera.
Io, poveretto, tenendo sempre stretta in mano la storica borsa, delle provvisioni della madonna di Pompei, e rappresentando la parte di un intruso condannato ad essere muto in tanta nobiltà di conversare, prendo un posticino lontano dalle gentildonne sopra un seggiolino, da far vista di non turbare quell’altissima conversazione che sarebbe per succedere.
Scorsi dieci minuti, si odono tre colpi di tosse secca; poi il rumore di qualche cosa che lentamente si trascina, e da ultimo si vede aprire una porta ed apparire alta, aitante, fredda, solenne una donna dal crine biondo brizzolato di bianco. Tutti ci leviamo in piedi in atto di ossequio; ed essa si accosta adagio adagio e si affonda nel morbido seggiolone. Un minuto di silenzio.
Poi aprire la bocca e frammettendo alle parole fioche compassati sospiri, comincia senza pure guardare chicchessia:
- Ah! … ah! ... Chi essere la Signora Contessa de Fusco?
- Io – risponde questa, abbassando rispettosamente il capo. – Ed ho l’onore di presentarmi a Lei che sento essere così buona, così caritatevole.
- Ah! ... ah! ...
- Questa – continua la Contessa – è la signorina Ernestina Freda, mia compagna indivisibile, che tanto zelo pone in tante opere di beneficenza e di pietà. Questi poi è il signor Avvocato Bartolo Longo.
- Chi essere questo?
- È il signor Avvocato Bartolo Longo.
- Ah! Bene! Bene!
Io, sempre muto fo un inchino di rispetto.
- Ohà ah! Mi sento un male… un male… un male… - ricomincia l’inglese.
- Ce ne dispiace tanto! – rispondono le donne.
- Sì, un male! ... veramente un male! ... buon Dio… un male! ...
- Se è lecito, Madama, qual male soffre?
- Oh! un male … che viene e va.
- Speriamo che in Napoli vada via per sempre.
La stagione è mite, i medici eccellenti, i rimedi in abbondanza. Questi giardini soavi e ristoratori… il mare…
- Ah! Speriamo… è inutile, è inutile! Gran che!
Altri cinque minuti di silenzio. Indi la nevrotica dama manda fuori dai polmoni un respirone, e brontola ancora una volta di sentirsi male. Era vero? Era male fisico, o era infermità morale? Non lo disse mai. Noi udivamo riverenti, e con il volto atteggiato a mestizia ne compativamo le arcane e misteriose sofferenze.
Era passata una buona mezz’ora e non si sentiva ancora al quia della visita.
Cominciai ad ammiccare le tre visitatrici… quasi a dire – Che facciamo noi? Quando si parlerà di Pompei?
Queste intendono, e la Contessa risoluta anch’essa di spicciarsi, - Signora, - proferì – è stata mai Lei a vedere Pompei? Là sono tanti poveri contadini e fanciulli abbandonati per le campagne senza istruzione, senza religione, né civiltà. E noi abbiamo cominciato a fare una scuola, un asilo, una chiesa dove raccoglierli ad imparare i doveri di buon cristiano e di buon cittadino. È una grande carità verso i nostri prossimi.
- Ah! … sì, la carità – interruppe Lady senza mai guardare alcuno – la carità. Gran cosa! … San Paolo dice: “La carità salva tutti”. E anche Cristo lo dice nel Vangelo.
- Ma in Pompei soprattutto bisogna veramente che venga in soccorso la carità dei cristiani. Perché Lei non viene un giorno a vedere le rovine dell’antica Pompei? Gli Inglesi sono tanto amatori di queste antichità! E così potrà dare uno sguardo alle incipienti opere di civiltà della Nuova Pompei. Da poco vi è venuta una gran dama inglese, Lady Herbert, la madre di Lord Pembroke, ed è rimasta così entusiasta che ha promesso, scrittrice com’è, di far conoscere queste nuove opere sul giornale inglese-americano il “Tablet”.
- Ah! … rispose quella sofferente signora – Pompei non venire; mi fa male vedere i morti.
- No, Signora, morti non se ne vedono – si affretta a soggiungere la Contessa. – Lei potrebbe venire difilato al mio casino in Valle di Pompei; ivi riposerà, e a suo bell’agio Le mostrerò i contadini, i fanciulli e tanta gente semplice e povera.
- Oh! mi fa tanto male viaggiare! …
- Può venire in vettura, se vuole, anche da Napoli a Pompei… Monta qui in questa villa, e smonterà alla mia casa in Pompei.
Un altro momento di silenzio.
- Allora le togliamo il fastidio – fa la Contessa, e si accinge a levarsi dal canapè per andare.
- Ma! – interruppe la gran dama, - voglio dare; sì, darò anch’io un aiuto. – E si dicendo Mistress si volge alla sua cameriera che era sempre diritta di guardia all’uscio, e dà un comando in inglese che io comprendo bene spiegarsi così: - “Prendete quel danaro nell’involto che è sul mio tavolino”.
Passano ancora alcuni istanti di silenzio glaciale, ed ecco ricomparire la cameriera.
Da noi non si batteva palpebra… Miss Anneky riceve dalla cameriera il piccolo inviluppo e vuol darlo nelle mani della Contessa. Questa lo porge a me che ero il cassiere. Lo piglio, lo apro, guardo, credo di sognare… Oh! non è un sogno, è una realtà! Sono sette soldi di bronzo! …
Sorpreso perché ingannato, vedo crollare d’un colpo tutto quel grandioso mio castello fatto in aria: tutto precipitato nel vuoto, in un istante! …
Tutto, dunque, è svanito! – dissi tra me e me dolorosamente – Conversione! … sanazione … abiura… Tutto è svanito! …
Fu per poco che non restituissi quei sette soldi. Ma ricordandomi che chi va accattando la carità per Cristo, deve soffrire umiliazioni e contentarsi di quello che gli altri vogliono dare, richiamai tutta la virtù dell’animo, mi levai in piedi dal seggiolino dove era confinato e masticai un grazie rispettosissimo.
Mi viene però subito un pensiero: - giacchè tutto è finito, tentiamo di darle almeno la figura della Madonna. Se mai accetta l’Immagine, si può ancora sperare un raggio improvviso di fede per la sua conversione, come era successo per altri, in casa della Signora Muti nel 1876… E prima della Immagine della Madonna reputai opportuno farle un presente del libro “I Quindici Sabati” con la Novena e la Storia dei prodigi della Vergine di Pompei, che aveva di recente pubblicati.
Di fatto, come uomo risoluto, mi fo innanzi alla lady sdraiata nel suo seggiolone.
La Signorina Cappella al vedermi muovere ebbe ad allibire, la Contessa arrossì tutta in volto, presagendo una tempesta; solo la Signorina Freda rimase impavida.
Assumendo io un tono di gentilezza e traendo dalla borsa il detto libro: - Signora, - pronunziai il più dolcemente che potei, inchinandomi – gradisca questo piccolo ricordo della nostra visita.
La dama inglese lo toglie e fa un leggero inchino di cortesia, senza pure guardarmi. Poi: - Parla forse delle scuole questo libro? Domandò.
- No, rispondo prontamente – ma parla dei prodigi che opera a Pompei la Madre di Dio per costruirsi un tempio.
L’inglese si oscura in volto, e per non leggerne il frontespizio, lo mette capovolto sul tavolino.
Credetti di aver guadagnato terreno, e in cuor mio feci questo ragionamento: - Se costei arriva a leggere la Storia, certo le verrà il desiderio di riacquistare la salute: invocherà la Madonna di Pompei; la Madonna la guarirà, ed essa si convertirà. Ecco il momento di darle anche la figura della Madonna.
Se la protestante accetta l’Immagine, la conversione è certa. La Vergine di Pompei non starà inerte presso una protestante.
Detto fatto: traggo dalla borsa una Immagine della Madonna e gentilmente gliela porgo:
- Si compiaccia accettare anche questa piccola memoria. È l’effigie miracolosa della Madre di Dio, che opera prodigi a Valle di Pompei.
Miss Anneky, ancor più abbuiata in viso, la guarda; sta un momento in forse, le pare scortesia rifiutare, e accetta anche l’Immagine sibilando: - Grazie! – E subito interruppe: - Ah! Sento un male!... un male!...
Decisi: - ora che mi trovo, voglio pure parlare della Madonna. Questa signora di qui a poco chi sa in quale plaga delle Indie sarà dileguata, e forse non udrà mai più il nome della madre celeste. E poi, chi sa se dopo le mie parole costei, ripensandovi sopra, non si convertirà prima di morire? Oltre a ciò, nel giorno dell’universale Giudizio posso io esser chiamato da Maria cane muto, perché non ho avuto il coraggio di pur nominarla innanzi a una protestante, a una donna inglese?
Quindi, incalzando, e non curante delle occhiate di terrore della Contessa e della Signorina Cappella: - Signora, Lei dice che è ammalata e non trova rimedi umani ai suoi mali; ora si raccomandi a questa clementissima Madre, e ne otterrà salute, statene certa. Prometta alla Madonna …
Non lasciò finire. Al suono di queste parole la protestante, come scossa da una corrente elettrica, afferra la santa Immagine con ambe le mani, e scagliandola a terra con sommo disprezzo,
- Io? … - urla, verde di rabbia – io … raccomandarmi a questa donna? Io pregare questa donna? …
Sentii il sangue affluire alla testa. Era la prima volta in vita mia che avessi visto simile oltraggio fatto alla Immagine della madre di Dio. Inesperto allora a simili lot6te religiose, non seppi contenermi. Scattai come una molla, e piantando la faccia alla dama furibonda due pupille di fuoco:
- Signora, voi avete citato S. Paolo ed il Vangelo: e non si apprende dal Vangelo che Maria è la Madre di Gesù e che Gesù è Dio? E voi, Signora, osate…? Sì, a Maria, alla Madre di Dio dovete raccomandarvi voi, se volete la salute e la luce di Dio.
- Mai, mai a Maria mai, io! – gradava da forsennata.
- Solo Cristo, solo Gesù Cristo!
Sì, ma Gesù cristo concede grazie se non per Maria, intendete? Voi stessa mi citate il Vangelo. Bene, nelle nozze di Cana non fu Maria, che impetrò da Gesù il primo miracolo?
- No, no! Solo Cristo, solo il sangue di Cristo!
- Ma da Maria fu raccolto il sangue di Cristo ai piedi della Croce. Fu Maria data per Madre da Gesù spirante a tutto il genere umano; è quindi Maria la tesoriera di tutti i favori celesti! È Maria dopo Gesù, la nostra speranza; è Maria la regina delle misericordie; è Maria l’avvocata dei peccatori presso l’offeso suo Figlio; è Maria, è Maria.
- Oh Dio! Mi sento male!
La protestante tremava: si accasciò nel seggiolone come sfinita, con la spuma alla bocca, in preda ad una convulsione …
Tutto acceso in volto infilai la porta, e giù a precipizio fuori. Le donne, come sgomentate, appresso a me, brontolando non so quali parole.
Quando fui all’aperto, mi volsi indietro, ancora inorridito, a ruminare quella casa dove l’Immagine della Vergine di Pompei era stata oltraggiata …
6 – Arcane vie del Signore! (pag. 327)
E la Madonna che faceva in Cielo per l’offesa ricevuta in questa Villa? O miseri mortali ciechi che noi siamo! Dio tutto vede, tutto misura, e talvolta anche su questa terra premia, come castiga gli uomini conforme le loro azioni.
La SS, Vergine di Pompei nulla si tiene di quanto si opera o si offre per suo amore. Non passeranno molti giorni da questo fatto, ed Ella opererà un miracolo appunto su questa medesima collina di Posillipo, poco lungi da questa Villa …
Un doppio prodigio io aveva tanto desiderato per questa signora straniera, cioè la sua salute e la sua conversione, per cui aveva tanto pregato e tanto aveva fatto pregare; ma la Madonna non aveva voluto concederlo alla infelice protestante.
Ora dopo pochi giorni, Ella opererà uno dei suoi più splendidi prodigi, anzi precisamente un duplice prodigio, una guarigione e una conversione: la guarigione istantanea e perfetta di un figlio infermo, spacciato da tutti i medici; e la conversione del padre, colpito in pieno dalla luce soprannaturale.
Il fatto straordinario verrà narrato nel capitolo seguente.
Intanto vogliamo notare un’altra cosa mirabile: dopo ventiquattr’anni da questo giorno, la medesima villa, dove l’Immagine della Vergine del Rosario ebbe disprezzo da una protestante, avrebbe avuto nel suo seno incantato uno dei più belli e più ricchi tra i piccoli Santuari dedicati alla madonna di Pompei!
Quando finì la sua santa vita la signorina Angiola Cappella, la villa Baker passò in eredità a un suo nipote, il sig. Matteo Martinelli, devotissimo della nostra celeste Regina, giovane di elette doti morali, che aveva grande affezione a me, come l’ha tuttora, che io gli ricambiava e gli ricambio con eguale cuore. Frequentava egli in quei tempi la mia casa e il Santuario della Nuova Pompei.
In una notte della Sacra Veglia, in questo Santuario, Matteo Martinelli ebbe un’ispirazione. Senza saper nulla di quanto era avvenuto nella sua Villa fra me e quella donna straniera, (cosa che io aveva sempre taciuta), confidò a me la sua ispirazione.
- “Voglio fare dell’antica villa di Lucullo a Posillipo un piccolo santuario della Madonna di Pompei!”.
E così fece. Fin da quell’anno, 1902, il signor Martinelli, nella chiesina di quella villa di sua proprietà, poneva in grande culto la vergine di Pompei. Vi stabilì la pia pratica delle Quindici Domeniche in apparecchio alla solennità del Rosario di ottobre. Nel giorno poi della festa, ogni anno, invitava Vescovi, Prelati e Sacerdoti a celebrare colà la santa Messa; distribuiva duecento pani ai poveri; dava il pranzo a quindici poveri in onore dei Quindici Misteri del Rosario; ed egli stesso, i suoi parenti, gli amici, i Vescovi, i Prelati e sacerdoti presenti servivano questo pranzo ai poveri.
Anzi, nel maggio del 1922, il detto nostro amico, nell’incantevole antica villa di Lucullo, volle dare maggior solennità alla divozione della Vergine di Pompei, ponendo in venerazione in quella graziosa e ricca cappellina, un nuovo quadro della Madonna, dipinta in rame da un rinomato artista napoletano.
Così in quel luogo, dove fu vilipesa da una donna la soave effigie della nostra cara Madre divina, sorge, di fronte all’azzurreggiante mare del golfo di Napoli, un piccolo, ma bello e ricco artistico Santuario dedicato appunto alla madonna di Pompei!
E la santa zia del signor Martinelli, la piissima signorina Angiola Cappella, che ebbe il merito della buona volontà di far beneficare la nascente Opera Pompeiana dalla fiera protestante inquilina della sua villa, oh come godrà dal Cielo ora che la medesima villa è trasformata in un devoto Santuario in onore della venerata Vergine di Pompei! …
(Autore: Bartolo Longo)

*Capo IX - Sulla collina fiorita di Posillipo e altro
Libro Settimo - pag. 329

Sulla collina di Posillipo – La sera dei 18 d’agosto 1878 – Nella famiglia del sig. Giuseppe Schettino – Edoardo Raffaele – La corona di brillanti della Vergine di Pompei – Quattro smeraldi da due Ebrei.
Venne da noi riferito nel 1° volume della Storia del Santuario come la prima grazia concessa in Napoli dalla Vergine di Pompei fu alla famiglia della pia signorina Anna Maria Lucarelli, nel febbraio del 1876, ad una delle sue nipotine cui faceva da madre, e propriamente alla piccola che aveva nome Clorinda.
Due anni appresso l’altra nipote, Laura andò sposa al signor Giuseppe Schettino, di Napoli.
La sera di domenica, 18 agosto di quel medesimo anno 1878, eravamo in Napoli. Si godeva un plenilunio sereno, incantevole. Una calca, una ressa di Napoletani e di forestieri occupavano tutte le carrozze, tutti i biroccini e tutti i tramvais, per correre a respirare, in così soffocante stagione, le fresche aure della verdeggiante collina di Posillipo.
La Contessa ed io divisammo di andare anche noi a Posillipo, non per desiderio di aria fresca, ma per trovar nuovi associati alla nascente Chiesa di Pompei.
Avevamo saputo che al Palazzo così detto “della Società”, poco in su del famoso Scoglio di Frisio, villeggiava il Sig. Giuseppe Schettino c0on la sposa e famiglia.
Eravamo certi di trovare in casa degli sposi molte persone; ed io portai meco la storica borsa piena di medaglie, di corone, di immaginette della Vergine del Rosario, e dei libri I Quindici Sabati, e la recente Lettera pastorale del Vescovo di Nola.
Quella sera, senza nostra saputa, nella casa Schettino si faceva una festa di famiglia.
Fummo ricevuti con grande cordialità, e introdotti in una vasta sala, dov’era convenuta molta gente eletta, parenti ed amici degli sposi, ma quasi tutti a noi ignoti.
A prima giunta mi si oscurò il cuore.
- Come uscire a parlare della Madonna di Pompei – pensai – fra tanta gente che non conosco?
Quand’ecco scorgo nel fondo della sala la signorina Mariannina Lucarelli con la nipote Clorinda, che ci vengono incontro a salutarci con amichevole sorriso.
- Oh! – ripresi subito rinfrancato: - ecco chi mi introdurrà a parlar della Madonna stasera! Donna Marianna Lucarelli, artista, pittrice, letterata, fervida devota della Vergine di Pompei: ecco che la Madonna ha trovato qui la sua apostola, che mi darà aiuto a parlare di Lei.
Si trovava lì anche un gentiluomo elegantemente vestito, a me sconosciuto, un signore dalla media statura, dai biondi baffi in volto rossigno, e manieroso assai ed affabile nei modi. Questi ad un tratto si appressa al nostro crocchio ove era Clorinda, e celiando andavale ripetendo, con un certo tono di galanteria:
- Oh come è fatta grossa e bella Clorinda! Veramente ha forma di bella giovane.
E mentre che la fanciulla, pudica e sdegnosetta, rivolgeva altrove il viso divenuto color di fiamma, io che aspettava il momento per cominciare a parlare della Vergine di Pompei, senza preamboli osservai sorridente a quel signore:
- Voi dite, Clorinda è fatta bella? Questo appunto attesta un evidente miracolo della Madonna di Pompei.
- Miracolo! – interruppe quegli con un sorriso d’incredulità. – E quale?
- Clorinda, che voi vedete – affermai – era epilettica, ed ora è sana per prodigio.
- Clorinda epilettica?! … (ripigliò l’altro con aria tra stupita ed incredula). Poi pensando che io dicessi così per celia, compose le labbra ad un sorriso d’ironia, e soggiunse:
- Oh questo non può essere! Ella è così florida!
Mi avvidi che quel signore non era facile a prestar fede ai miracoli; ma mi parve un animo aperto alla generosità e alla bontà. E però, per convincerlo, giudicai non potere essere più adatta se non la zia medesima di Clorinda: e, senz’altro, la invitai ad esporre a quel signore tutto l’accaduto.
La gentilissima donna Mariannina non si fece pregare la seconda volta, perché era usata dovunque andasse, per devota riconoscenza, di far palese la grazia ricevuta dalla Vergine di Pompei a favore della diletta nipote. E senza indugio cominciò a narrare tutta per ordine la storia degli affanni passati, e all’origine del terribile morbo, e delle cadute mortali e sanguinose della nipote, e dei suoi palpiti continui, e delle agitazioni della famiglia, e dello stato miserevole in cui restava la fanciulla dopo il parossismo, sino all’ultima volta – il 2 febbraio del 1876 – in cui la trovarono col capo nella secchia, vogliosa di bere.
Quel signore pareva trasecolato. Ma quando si giunse a citare i nomi dei valenti medici che l’avevano spacciata per epilettica, tra i quali il chiarissimo professor Cardarelli, il suo volto in prima si fece scuro, poi impallidì; ed ora guardava Clorinda, ed ora la narratrice, quasi titubante ancora a prestar credito a quel che udiva e a quel che vedeva con gli occhi suoi.
Seppi allora che quel signore si chiamava Rosario Raffaele, ed aveva il figliolo, Edoardo, da lungo tempo infermo, e senza speranza di vederlo guarito. Seppi pure che, quantunque non concedesse fede ai miracoli, pure con animo sincero soleva dire ai suoi amici: - Vorrei vedere un miracolo per essere convinto, ed io crederei.
Quando l’affettuosa zia narrò il modo semplice onde la nipote aveva ottenuto il miracolo dalla Madonna, con lo scriverne cioè il nome al libro delle offerte per la nuova Chiesa di Pompei, e con il consegnare alla collettrice Contessa De Fusco l’annuale offerta di benefattrice, lire sei, come caparra di quel che avrebbe fatto se avesse ottenuto la grazia; quel signore, sensibilmente, commosso, più non seppe contenersi, e, compreso da una fede nuova, semplice e sincera:
- Che cosa ho a fare io – domandò – per avere anch’io un simile prodigio? Insegnatemi voi il modo onde avere un miracolo, acciocchè salvi il mio Edoardo! … Anch’io voglio dare la mia offerta di lire sei anticipate per tutto l’anno, come caparra di quel che prometto se avrò la grazia … A chi debbo dirigermi?
- Qui è il cassiere – entrò in mezzo a parlare il signor Schettino, additando me.
E l’altro, - Ecco – prosegue risolutamente, volgendosi a me: - questa è la mia elemosina di lire sei per la nuova Chiesa: da questo momento v’iscrivo mio figlio … Che altro ho io da eseguire per ottenere il miracolo?
Compresi allora allora che quel signore non aveva né pratica né cultura di Fede, perché mostrava credere che col dare un’offerta si potesse ottenere un miracolo. Mi accorsi tuttavia che conservava l’abito della Fede, quantunque non la praticasse. Insomma, si mostrava docile al movimento della divina grazia, non era di quei superbi che chiudono il cuore e la mente alla voce di Dio. E però dolcemente gli risposi: - Non si chiede altro se non di aver fede. Promettete alla SS. Vergine di andare a ringraziarla nel dì della sua festa in Pompei il 13 ottobre prossimo, di pubblicare la grazia e di offrir un soldo al mese per la sua Chiesa, come testimonianza che da Lei avete ricevuto tal celeste favore.
- Sta bene: se avrò questo miracolo, so bene io quel che mi aspetta di fare.
- Ma vi è ancora un’altra cosa da praticare – ripresi subito: - E quale?
Oltre la fede bisogna la preghiera. Il fanciullo, o almeno la famiglia deve in questo tempo recitare il Rosario alla SS. Vergine. Con il Rosario si ottiene tutto: è promessa di Maria fatta va S. Domenico. E questa Chiesa di Pompei sorge con il titolo del Rosario. E la SS. Vergine opera dei prodigi, per rinnovare l’affetto dei cristiani al Rosario di S. Domenico, in molti raffreddato.
Per buona ventura quella sera il sig. Raffaele aveva condotto seco il figliuolo infermo. E lo fa subito chiamare per presentarmelo.
Povero Edoardo! A undici anni e mezzo com’era sparuto! Il volto dal colore di cera, il petto e le spalle leggermente incurvate, le braccia e i polsi delicatissimi, tutto significava al primo aspetto la consunzione! ... Da undici mesi una fiera ed ostinata dissenteria sanguigna lo cruciava più volte il giorno. E da un anno più non digeriva. I professori Cardarelli, Amabile, Olivieri, Morisani, Biondi, Frusci, Somma e quanti vi erano principi nella scienza medica in Napoli, tutti erano stati consultati. Quanti trovati ha l’arte salutare, tutti erano stati sperimentati: Igiene rigorosa, aria campestre, sistema allopatico, metodo omeopatico … tutto inutilmente! L’esperto chirurgo professore Olivieri opinava si fossero nei visceri delle fungosità. L’altro egregio chirurgo prof. Frusci, ritenendo essere nell’intestino retto delle granulazioni, aveva adoperato, oltre a molti astringersi, anche le iniezioni del nitrato di argento. Niun vantaggio! Di giorno, di notte, non vi era più argine al sangue, non più riposo al languente infermo, non più speranza o conforto alcuno ai desolati genitori.
Di già il prof. Olivieri aveva dato la decisa e ferale sentenza: - Non vi lusingate – aveva egli replicato al padre di Edoardo – una sola operazione resta a sperimentare: aprirgli il retto, e con la pietra infernale causticare le piaghe dell’intestino.
Orribile solo a pensarlo! I giorni passavano, e con essi lentamente estinguevasi la vita dell’amato fanciullo.
Soltanto due occhi neri, soffusi di un mesto languore, ma adorni del lume di un’attraente innocenza, riflettevano, come specchio, la bellezza di un’anima battezzata.
Come fu presso di me il piccolo infermo, - Edoardo! – gli domandò – vuoi tu guarire? Il ragazzo spalanca gli occhi neri e belli, guardandomi meravigliato.
- Ti do questa immagine della Vergine del Rosario che si venera a Valle di Pompei; ponila sul tuo petto. Essa ti sanerà. La bacerai il mattino e la bacerai la sera, salutandola con l’Ave Maria, e soggiungerai ogni volta: - Madonna mia, se tu mi farai star bene, io ti verrò a ringraziare nel giorno della tua festa di ottobre in Pompei. – Lo farai?
- Sì, lo farò – rispose malinconicamente Edoardo, affissando in me i suoi grandi occhi ed ascoltandomi con tutto l’animo.
- Ancora, - ripresi subito – reciterai cinque poste di Rosario ogni giorno.
- Io non so dire il Rosario.
- Ora te lo insegno io.
E tratta dalla mia borsa una Corona, lo venni in breve ammaestrando, con grande attenzione e desiderio del fanciullo.
- Ma io non ho la Corona; ne vorrei una bella; me la dareste voi? – chiede con infantile semplicità Edoardo.
- Eccola, una bella e benedetta dai Padri Domenicani. – E gliela porgo.
- Vorrei pure un crocifissetto da pormelo al collo; io non ho nulla addosso.
- te lo porterò domani. Prometti di dire ogni giorno il Rosario alla Madonna?
- Sì; anzi lo dirò di mattina, affinchè la sera non mi venga il sonno.
Ed un sorriso bello, innocente, sfiorò le labbra smorte del fanciullo. Leggero color di rosa gli tinse per un istante le pallide guance; e preso da grande giubilo egli esclamò volgendosi alle sorelle: - Io ho una bella corona! E dirò sempre il Rosario! E andrò a Pompei a ringraziare la Madonna in ottobre! …
1 – La mano della Celeste Regina (pag. 336)
Passò quella notte. Il giorno seguente Edoardo baciò la venerata Immagine, la salutò con l’Angelico Saluto, e le ripetè la confidente promessa:
- Madonna mia, se tu mi farai star bene, io ti verrò a ringraziare a Pompei nel giorno della festa di ottobre!
Tenerissimo tratto della protezione di Maria! Edoardo era repentinamente mutato! Egli era perfettamente sano! Le ulceri, le piaghe, i funghi dell’intestino erano spariti come per incanto! ...
Le medicine e gli apparecchi, che in un grosso pacco gli erano stati apprestati da suo padre sin dal giorno innanzi, non erano pure stati svolti.
Nessun rimedio si era adoperato in quel giorno. L’unico espediente era stata la fede nella Vergine del Rosario di Pompei.
Il padre del miracolato fanciullo non sapeva ancora aggiustar fede a ciò che vedevano i suoi occhi e toccavano le sue mani, alla improvvisa riacquistata salute del diletto Edoardo. Era come fuori di sé: sentiva una prepotente brama di predicare a tutti quel prodigio avveratosi nel logoro organismo del figlio, risorto come a vita novella per virtù evidentemente soprannaturale.
Quel mattino stesso da Portici, ove trovavasi con la famiglia a villeggiare, si recò in Napoli, al gran Caffè d’Europa, in piazza S. Ferdinando, il primo caffè della capitale del Regno delle due Sicilie, in cui erano soliti convenire i nobili della città e i giovani che menavano vita elegante. Lì era sicuro di rivedere gli amici e conoscenti della sera innanzi, a cui rivelare il gran fatto; e si mise ad aspettarli.
Non tardò molto ed ecco farglisi attorno un crocchio di giovani, tra cui Giuseppe Schettino e Francesco Farnararo, fratello della Contessa De Fusco.
- Sapete voi? – esclama con accento entusiasta Rosario Raffaele – mio figlio Edoardo, in un momento è risorto a nuova vita, dopo aver fatto una breve preghiera alla Vergine di Pompei, conforme gl’insegnò quel … quel prete spogliato che venne ieri sera al Casino, e che distribuiva figure della Madonna.
- Che prete spogliato! – interruppe Schettino – quegli è un Avvocato, tanto intimo di Francesco Farnararo.
- No, no; - ribattè Rosario – io dico di quel prete spogliato che diede una figurina a mio figlio e una corona, e gl’inculcò di pregare la Madonna per guarire, ieri sera lì, in casa tua.
- Precisamente – risposero a coro Farnararo e Schettino: - quegli è l’Avvocato Bartolo Longo. Povero Raffaele! Gli sembrava assai strano che un avvocato potesse farsela con Santi, Madonne e Rosari.
- Ma quello che sia, sia – continuò, - voi sapete che è successo?
Mio figlio Edoardo ha pregato quella Madonna, l’ha invocata con non so quali parole che gl’insegnò quell’Avvocato, ha baciato l’Immagine con devozione, ed è guarito! … Guarito, capite! … in un istante! … Non ha più nulla! … Questo è un fatto che se non si chiama miracolo, io non so come chiamarlo! Io vorrei ora vederlo quell’Avvocato.
- Glielo farò subito sapere io questo fatto a Bartolo Longo – promise Francesco Farnararo – ed egli si porterà certamente da voi, in casa vostra, per vedere il fanciullo guarito che testimonia un miracolo della sua Madonna.
E non tardò Francesco a recarsi da noi per narrarci l’accaduto. Si può immaginare quali fossero i nostri gridi di gioia per questo nuovo prodigio che la SS. Vergine del Rosario operava in Napoli, quasi a dimostrare che gradiva le nostre fatiche per erigerle un Tempio a Pompei! …
Tre giorni dopo ci recammo in casa del signor Rosario Raffaele per vedere il graziato fanciullo, e facemmo allora conoscenza con tutti della sua buona famiglia, con la madre e le signorine sorelle, ricolme di gioia per l’avvenuto portento della guarigione del loro Edoardo. Il padre fece promessa di condurre il fanciullo nella festa prossima dell’ottobre a valle di Pompei per ringraziar la Madonna e donarle un diadema d’argento.
Il 13 ottobre di quell’anno 1878 celebrammo la festa del Rosario, fra le mura della nascente Chiesa. L’Immagine taumaturga, non ancora ritoccata dal Maldarelli, nuda e disadorna e poco attraente stava allora nell’angusta cadente chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, demolita poi per ragione di sicurezza pubblica; ed era stata collocata temporaneamente sul piccolo altare di S. Francesco d’Assisi.
Venne, come promise, il Sig. Raffaele con il risanato Edoardo, e mi portò il diadema d’argento con un cuoricino anche d’argento. Fu il primo dono che ebbe la Madonna per adornare la sua tela.
Accompagnai il padre e il ragazzo nella cadente chiesuola per far loro recitare innanzi alla prodigiosa Effigie della SS. Vergine una preghiera di ringraziamento.
Quella corona piana di argento donata dal signor Rosario Raffaele mi diede occasione, nel giorno dell’Assunta del seguente anno 1879, di fare una festa intima d’incoronazione della Madonna.
E la Vergine mostrò di gradire questa piccola corona, testimone di un suo prodigio, e umile dono di filiale affetto.
Di fatto, dopo tre anni, (nel 1881) avvenne in quella chiesuola un furto. Di notte, ladri ignoti (e ve n’erano parecchi allora in queste campagne), scassinarono la fragile porta e rubarono tutto quel poco che ci era di prezioso, cioè la pisside, gettando a terra le particole consacrate, e i piccoli ex voto di argento che erano sospesi all’altare di S. Francesco e alla statua dell’Addolorata, e poi misero i piedi lordi di fango sulla mensa dell’altare con la sacrilega mira di strappare dall’Immagine della Vergine del Rosario quei due oggetti preziosi che l’adornavano.
Ma la Madonna difese quei primi doni ricevuti. Alla parte superiore della cornice del quadro, era adattato un ferro, lungo il quale, mediante anelletti scorrevoli, si stendeva un velo di seta per coprire l’Immagine. Il mattino seguente trovammo il ferro contorto, il velo strappato, - segno evidente della violenza che quei furfanti avevano usata – ma la corona intatta e il cuoricino al suo posto! …
Che cosa videro o sentirono i ladri, per essere distolti dall’empio attentato, nel momento che avevano stesa la sacrilega mano sul quadro della vergine? Perché quei malandrini non presero la corona dalla fronte della Madonna e il cuoricino dal suo petto? …
Il nascente popolo pompeiano gridò al miracolo, e la Madonna mostrò evidentemente di aver caro quel primo diadema di amore riconoscente!
2 – Quali furono gli effetti della grazia al fanciullo Edoardo? (pag. 341)
Due mirabili effetti – e furono duraturi – rifulsero dalla prodigiosa guarigione del fanciullo Edoardo Raffaele. Quella grazia, che operò il cuore clemente della regina del Rosario, fu come un vivissimo raggio divino, che fece brillare la Fede nel padre del fanciullo, e divampare vieppiù la carità di Giuseppe Schettino e di tutta la sua famiglia.
Rosario Raffaele, come innanzi abbiamo fatto notare al lettore, era uno di quei tanti così detti indifferenti in materia di Religione. Non già che non avesse addirittura la fede in Dio e nella Religione cristiana e cattolica, ma era di quelli che non praticano la fede, onde la dissuetudine dalle pratiche del culto e dalla frequenza dei Sacramenti li fa peggio che increduli, fa illanguidire in loro quel lume celeste della Fede infuso col santo Battesimo, e li fa vivere del tutto immersi negli affari e negl’interessi materiali senza un pensiero per la morte e per la salvezza dell’anima.
Abbiamo pure accennato alla grossolana idea che si era fatta della Religione, per cui bramava vedere un miracolo per credere in Dio! Ma ripetiamo qui ch’egli era di buona indole, e di animo generoso. E la Madonna volle conquistare a sé e conquidere questo bel cuore, con un raggio della sua onnipotente misericordia, operando la insperata guarigione di un essere a lui tanto caro, del figliuolo Edoardo!
Dopo questo prodigio, Rosario divenne l’intrepido predicatore di Maria e delle Opere Pompeiane. Come fuori di sé per la gioia, non lasciava di raccontare dovunque trovavasi, fino tra amici più increduli e beffardi, di aver veduto un miracolo in pieno secolo decimonono, di aver acquistato come per incanto il suo diletto Edoardo, e di credere indubbiamente ai prodigi della vergine del Rosario di Pompei!
3 – Giuseppe Schettino (pag. 342)
Il nostro amico Schettino poi aveva avuto un’altra prova luminosa, evidente, della potentissima intercessione della Madonna di Pompei. La constatava egli medesimo, coi suoi occhi! Vedeva Edoardo, guarito completamente dopo che in una casa, la sera innanzi, noi l’avevamo esortato a pregare la vergine di Pompei! Chi può dire il rinnovato fervore di pietà che infiammò l’animo buono del nostro Peppino?
A distanza di oltre quarant’anni, oggi che egli ci ha preceduti nel regno dell’Eternità, oh come ricordiamo con tenerezza quel dolcissimo amico nostro di quei giorni lontani!
Giovane elegante, di forme complesse, viso serio d’un simpatico bruno, di poche parole, Giuseppe Schettino aveva un cuore di oro. Gustava le opere d’arte, e deliziavasi di conversare con i migliori artisti, pittori e scultori di Napoli.
Dopo questo fatto straordinario, avvenuto quasi in casa sua, rimase così devoto alla Vergine di Pompei e a me affezionato, che qualunque carità o opera buona io gli proponessi, egli subito accettava, lieto di offrirmi largo contributo.
Una volta, nel parlargli di un’Opera nuova da fondare a Valle di Pompei, ricordo che esclamò, con un paragone naturale a uomini di commercio:
- Mi sembri una macchina! … che gira sempre e caccia fuori e produce sempre! …
Spesso con sorriso amichevole domandava egli a me se c’era da fare qualche opera buona, qualche bella carità! …
4 – La Corona di brillanti della vergine di Pompei (pag. 343)
Nove anni dopo la grazia di Edoardo, (nel 1887), volemmo incoronare solennemente l’immagine della nostra Madonna con un prezioso diadema formato tutto di brillanti. E a chi meglio potevamo affidare i brillanti raccolti, se non al carissimo amico Peppino Schettino, sia per l’intemerata coscienza, e sia per la sua singolare competenza in siffatti lavori?
Mi valgo oggi di quest’occasione per rammentare un fatto che fa onore al generoso estinto.
Mancava alla base del diadema un filo di pietre preziose che non avevano ancora, e volle egli regalarci questo filo, formato tutto di rose d’Olanda (piccoli brillanti purissimi).
E così tutta contesta di brillanti quella magnifica corona, tanto ammirata, con la Contessa fu prima da noi portata in Roma a Papa Leone XIII per farla benedire, e poi l’8 maggio del 1887, venne deposta solennemente sull’augusta fronte della Regina del Rosario di Valle di Pompei dall’E.mo Cardinale Monaco La Valletta. Delegato dell’immortale Pontefice. Era avvenuto poco prima un altro fatto bellissimo che torna anche a lode del compianto amico.
Meravigliava tutti il coraggio con cui Peppino parlava ovunque della Madonna di Pompei: egli soleva presentarmi ai suoi amici e conoscenti come l’araldo dei suoi miracoli.
5 – Gli smeraldi di due Ebrei (pag. 344)
Una sera, mentre si preparava la predetta corona di brillanti sotto i suoi occhi e la sua direzione, andai a lui per sapere che altro ci bisognasse. Egli era a pranzo con la famiglia e con forestieri. Nell’intimità fraterna che intercedeva fra noi, mi fece subito entrare nella sala. C’erano tra gli altri alla mensa, due signori francesi e le sorelle di Edoardo Raffaele, testè venute da Parigi.
Peppino, prendendomi affettuosamente la mano, mi sussurrò all’orecchio:
- Ora ti presento a questi due forestieri, che sono Ebrei, forti commercianti di pietre preziose. Io portava sotto il braccio un bel ritratto della Madonna di Pompei, chiuso in elegante cornice di velluto, da donare a lui e a Laura sua consorte. Quando intesi “Ebrei” dissi fra me: - Addio! Ho perduto la serata! E chi ha il coraggio di parlar della Madonna, e molto meno di chiedere un brillante a due Ebrei? E rimasi con l’involto chiuso per non turbare il pranzo a questi stranieri. Ma il nostro amico, con un coraggio veramente apostolico, che gli veniva dall’evidenza del miracolo avvenuto quasi nel senso della sua famiglia, senza ombra di titubanza o di esitazione, con naturalezza, disse in francese a quei signori: - Vi presento l’Avv. Bartolo Longo, che sta costruendo una Chiesa presso gli Scavi di Pompei, in onore della vergine del Rosario …
- In onore di una vostra connazionale – interruppi io per scemare una possibile impressione ostile – di quella gran Donna che noi Cristiani chiamiamo Maria e voi Ebrei chiamata Miriam. Eccola. E aprii subito l’involto che racchiudeva il bel ritratto della vergine Pompeiana in miniatura eseguita dal fotografo Pesce. E presentiamo loro l’Immagine.
Credei di aver in questo modo smorzato una cattiva impressione, deviando la mente alla vista del ritratto. Ma il mio amico Peppino, senza darsi briga di questi miei meschini trovati, con la sua imperturbata franchezza, continuò,
- Si costruisce questa Chiesa per tanti miracoli e grazie che si ottengono mediante questa divozione. E sapete voi chi è vivo per un miracolo della Vergine di Pompei? Edoardo Raffaele.
- Edoardo!? Possibile? … - esclamarono stupefatti quei due Signori.
Che cosa era accaduto? Per un tratto misterioso di Divina Provvidenza, inscrutabile ai nostri occhi mortali, Rosario e suo figlio Edoardo vivevano già da qualche anno a Parigi, con la famiglia, dopo il matrimonio della figliuola Enrichetta col sig. Henry Gilet. Essi erano intimi di questi signori Ebrei, che si chiamavano l’uno Henry Kaminker, l’altro Jacques Sloag.
E Peppino raccontò tutto il fatto accaduto in casa sua la sera del 18 agosto 1878.
Quei signori, come sbalorditi, ora guardavano Peppino ora le sorelle di Edoardo.
Non potevano neppure lontanamente sospettare una burla, perché conoscevano bene Edoardo, e neppure, come Ebrei, potevano credere a miracoli per intercessione di Maria.
Uno di quelli, acceso in volto, so volse alla sorella di Edoardo che era al suo fianco, e con galanteria tutta francese: - E voi pure credete a questo miracolo di Edoardo? – Sì, sì – risposero a coro le due sorelle. – Siamo noi testimoni. E così raccontarono il resto del fatto prodigioso avvenuto il giorno seguente a Portici, dove stavano a villeggiare. Il nostro Peppino, con maggior coraggio, insistè: - Questo signore, Avv. Bartolo Longo, va in giro in cerca di brillanti per compire una corona da porre con rito solenne al Capo della Immagine Pompeiana.
Volete anche voi offrire qualche pietra per finire il prezioso diadema?
Quei due israeliti non dissero parola, ma misero mano in saccoccia, ne trassero un portafogli e da esso cavarono fuori quattro finissimi smeraldi, e li porsero a Peppino.
E Peppino li fece subito incastonare nel diadema, e alla fine di quel mese di aprile 1878 ci recammo a Roma a mostrar la corona al Papa Leone XIII, e facemmo a Lui osservare anche le quattro pietre preziose offerte da due figli dell’antica Israele.
E così oggi sulla corona preziosa della Vergine di Pompei, rifulgono quattro smeraldi donati da due Ebrei!
Dopo questi fatti non fa punto meraviglia che tutta la casa Schettino, e, dopo la sua morte, la vedova consorte tuttora vivente, e i loro figliuoli con le loro rispettive famiglie siano stati sempre tra i primi devoti della Vergine di Pompei e tra i principali benefattori di queste Opere di Carità.
Di già i tre suoi figliuoli, Carlo, Mario e Alfredo, volle Peppino che io tenessi a cresima. E l’ultima lettera, di data recentissima, che mi scrive uno dei tre miei figliocci, Alfredo, termina con queste tenere e belle parole, che a me sembrano degna chiusura del presente racconto di fatti straordinari e divini, onde s’ingemma la primitiva storia del Santuario di Pompei.
“Mamma ricorda con immensa tenerezza quegli anni, e tutti noi seguiamo con molto interesse e commozione quanto andate pubblicando nel Periodico che è la storia della nostra infanzia, quando le nostre anime si andavano plasmando nella fede della Vergine di Pompei, divenuta il baluardo dei nostri sentimenti”.
Napoli, 17 giugno 1923
  Il vostro figlioccio
ALFREDO SCHETTINO

(Autore: Bartolo Longo)

*Capo X - Come venne introdotta la devozione alla  Vergine di Pompei a Lecce
Libro Settimo - pag. 348

Come venne introdotta la devozione alla Vergine di Pompei in Carovigno, Ostumi, Manduria e altre città della provincia di Lecce
Nel settembre di ogni anno io ero usato andare a rinfrancare le forze nel mio paese nativo “Latiano”, provincia di Lecce. Quell’anno, veduta la felice riuscita delle mie peregrinazioni e della propaganda fatta nelle Puglie due anni innanzi, massime in Francavilla Fontana e in Mesagne, divisai di continuare questo mio apostolico giro per altri centri popolosi
I giorni della mia villeggiatura erano pochi, le ore contate; quindi, studiavo il modo come suscitare da una sola mia visita in una città un incendio di divozione che divampasse in altri paesi.
L’esperienza della vita mi aveva insegnato che ad ottenere questo effetto, non vi era mezzo migliore se non scegliere un monastero femminile come centro d’irradiazione di propaganda, giacchè le monache hanno molteplici relazioni con le proprie famiglie, con i Confessori e con le famiglie di costoro, e con altre Case Religiose sia del proprio Ordine, sia di altri Istituti. Siffatta prova ebbe poi splendidi risultati soprattutto in Roma, in Genova e in altre grandi città, come vedremo in appresso.
Andava, dunque, pensando a un monastero femminile, dove avessi potuto accendere la favilla della nuova divozione alla vergine di Pompei, da svilupparsi in gran fiamma.
In quei giorni si trovava a Latiano mia sorella Rosa, di santa memoria, e mi parlava con trasporto delle Monache di S. Benedetto in Ostuni, che erano state sue educatrici, e che essa andava a rivedere ogni anno.
Mi contava ancora la grande stima che il nostro genitore aveva di quel Monastero; ed io ancora ricordava che in piccola età aveva accompagnato più volte mio padre alla visita delle Monache di S. Benedetto.
E però avrei dovuto essere sicuro che una mia visita fatta dopo tanti anni, sarebbe riuscita assai gradita, come di un Avvocato, fratello di una loro discepola e figlio di un antico loro amico e benefattore, che per giunta si presentava ad essere come un propagatore della divozione del Rosario; ed avrebbero certamente prestato fede a ciò che io potevo dire di straordinari prodigi operati dalla vergine di Pompei, senza tenermi per un ciarlatano. È vero che in quella nobile e antica città di Ostuni noverava amici particolari della mia gioventù, come il Marchese Mario Zaccaria, e la famiglia di Colomba Martinelli Zaccaria, la famiglia Trinchera, quella di Ayroldi, Carissimo, Tanzarella ed altre; ma non c’era molto tempo da visitare tante case in un giorno solo, dacchè da Latiano a Ostuni non essendovi ferrovia, bisognava viaggiare in vettura per lungo tratto che passa fra i due paesi.
Stabilì perciò di andare diritto al Monastero di san Benedetto come a centro della mia propaganda.
E un bel mattino di quel settembre 1878, riempita la solita mia borsa di immagini, oggetti divoti e libri della Madonna di Pompei, in una vettura a due cavalli, partii da Latiano accompagnato dal mio fedele amico anzi vero mio angelo custode, prof. Vincenzo Pepe.
1 – In Carovigno (pag. 350)
Il primo paese che s’incontrava per questo viaggio in vettura era Carovigno, la patria del piissimo Padre Maresca, barnabita, il grande propagatore della divozione del Cuor di Gesù in Italia, mio intimo amico, che a quel tempo si trovava a Roma.
- Fermiamo un momento qui -  dissi al professore Pepe – perché ci ho parenti coi quali sono legato da vincoli di grande affetto.
I loro nomi dopo quarantacinque anni risuonano ancora carissimi al mio cuore: - Diomede Del Prete – Irene Del Prete, padre e figlia allora giovanissima, discendenti da una mia zia Irene Longo, di Latiano, sorella del mio genitore.
Non arriviamo a ritrarre la festa che ci fecero quelle anime buone, aperte, sincere insieme con altri abitatori di quella graziosa cittadina, bella, aprica e rigogliosa. Mi ricordai del verso del Tasso: La terra – simili a sé gli abitator produce.
I cittadini di Carovigno andavano così alteri della bellezza del loro paese, che lo chiamavano enfaticamente Napolicchio (piccolo Napoli); ed io fui astretto, (malgrado le gomitate dell’amico mio per darmi fretta) a camminare a piedi per osservare e ammirare le naturali bellezze della cittadina, fino a una collinetta, dove si respirava aria sanissima, e donde si spianava all’occhio un esteso panorama, che faceva ricordare la collina di Posillipo di Napoli; solo che, invece del mare a piedi, si stendeva a perdita d’occhio, una pianura ricca di oliveti e di vigneti carichi di uve già mature, lussureggianti di vegetazione e di vita.
Naturalmente a Carovigno costituii come primaria Zelatrice la Sig.na Irene Del Prete, che da quel giorno divenne una delle più costanti e delle primarie Zelatrici di tutta Italia, e vive tutt’ora. Così vuotai una parte della mia storica borsa delle divozioni.
2 – In Ostuni (pag. 351)
Come potemmo a stento svincolarci dalle affettuose premure di amici e di congiunti, ci rimettemmo in vettura per seguire il viaggio sino a Ostuni direttamente al Monastero di S. Benedetto.
Il nostro arrivo mise le suore in festivo movimento. Subito mandarono a chiamare il loro amministratore, per farci i convenevoli, per tenerci compagnia alla visita di qualche famiglia, e anche al desinare d’occasione.
Le monache scesero tutte in parlatorio, ove si trovavano anche altre persone, ed io senza perdere tempo mi misi a narrare delle origini del Santuario di Pompei, dei primi miracoli fatti dalla madonna, e di tutta la meravigliosa storia che già si delineava come opera di Dio in onore di sua Madre sulla terra, un dì pagana e insino ad oggi abbandonata plaga, nel Campo Pompeiano.
Fra quelle religiose c’erano di quelle vecchissime, che avevano educato mia sorella, e si ricordavano di mio padre. La grata impressione e l’entusiasmo che ebbi la ventura di suscitare in quel Monastero per la Vergine di Pompei superarono le mie aspettazioni, onde in breve tempo, senza io fossi andato per le singole famiglie a chiedere offerte e iscrizioni, ne fu piena la città e commossa per la lieta novella. Da quel giorno non è mai scemata in Ostuni la devozione alla Vergine del Rosario; in quasi tutte le famiglie si recita la Corona, si praticano i Quindici Sabati nelle Chiese e si recita la Supplica nelle due solennità. Si sono ottenute colà da molti devoti grazie segnalate dalla nostra Madonna, e vi sono numerosi ascritti e benefattori per queste Opere di beneficenza Pompeiana.
Quella sera facemmo ritorno a Latiano con grande letizia di spirito, lodando il Signore della bella giornata trascorsa tutta in lode della Vergine gloriosa nostra Protettrice; e narrammo ai nostri congiunti ed amici le affettuose e indimenticabili accoglienze ricevute tanto in Carovigno quanto in Ostuni.
- Che giornata trionfale! … - osservai al mio amico: - tutto ci è stato propizio, nessuna contrarietà o amarezza.
- Non dubitare – rispose il mio mèntore – per le amarezze vi è sempre tempo. Ricordati dell’ammaestramento che ci dà il Da Kempis: “nei giorni di dolore confortati, perché verranno finalmente le ore di letizia; ma quando sei nella letizia, sta sull’avviso, che son prossimi i giorni di dolore”.
3 – I grandi apparecchi di Manduria (pag. 352)
Altro giorno mi levai da letto, risoluto di correre per altre città, ed arrecare la lieta novella dei miracoli della vergine di Pompei e dilatare l’incendio della nuova divozione.
Alla mia mente si presentò il nome di Manduria, città ricca di famiglie nobili, cospicue per censo e di gran cuore, e dove erano antichi miei amici. Ma ignoravo che vi fosse qualche Casa di Monache, dove soffermarmi, prendere un breve riposo, e farne un centro di propaganda.
Tutto il giorno ruminai su questo divisamento. A sera ne parlai al compianto mio fratello Alceste.
Vi era presente sua moglie Anna Fuortes, che all’udire il nome di Manduria saltò su a parlare: - A Manduria? C’è mia zia A*** A*** una delle più ricche signore del paese, generosa, larga di ospitalità, che accoglie in sua casa tutti i parenti e gli amici che vanno a Manduria. Essa sola potrebbe fare il tempio di Pompei.
- Ma, oltre di zia A*** - continuò mio fratello con la sua consueta imperturbabile calma – hai dimenticato che noi a Manduria abbiamo amici nobili e ricchi signori come i fratelli Schiavoni, Tommasino e Girolamo? E il loro cugino Giovanni, a te tanto devoto? Se pure non ci fosse zia A*** costoro farebbero una festa a vederti, e farebbero a gara chi potesse ospitarti.
- Oh sì – risposi io meditabondo – ricordo anche altri amici: Achille Pasanisi, mio affezionatissimo, che ogni volta che viene a Napoli, non lascia di visitarmi anche a Pompei.
- Ma … non vi è bisogno di alcuno – insisteva mia cognata: - zia A*** vale per tutti. Bastò questo per determinarmi a fare il viaggio di Manduria. Mi confortava un altro pensiero. In quel tempo era a Manduria un dotto e santo passionista, P. Francesco Saverio De Santi, che, per via provvidenziale, stava ivi costruendo un Ritiro per Passionisti. Nome venerato nella famiglia di S. Paolo della croce, il P. Francesco Saverio era stato compagno del Beato Gabriele Dell’Addolorata, e morì a Roma Generale dell’Ordine.
Questo venerando Passionista aveva scelto per confessore, allorchè mi allontanava da Napoli per andare nelle Puglie.
Sin da quel tempo io era sofferente ai visceri, e non poteva far uso di cibi comuni; quindi, per prudenza, soleva portare con me qualche pollo, soprattutto quando dovevo andare in passi ove non era certo di trovar carne per un po’ di brodo o per arrosto. E pregai mia cognata di fornirmi di questa piccola provvisione.
- Oh! no, no! – ripetè essa meravigliata. – Lì c’è la zia A***; ti farà apparecchiare un lauto pranzo! … Te lo assicuro io.
Ubbidii … Il mattino seguente, insieme col mio fedele Prof. Pepe, montai in vettura, e via per Manduria, non portando altro che una sacchetta con la mia mutanda e una borsa di divozione della Madonna assai più gonfia del solito, perché in quella città, come è detto, oltre la ricchissima zia, dovevo vedere amici di antica data e famiglie nuove, ed era più che certo di raccogliervi una ricca messe.
4 – In Oria (pag. 354)
La via da Latiano per Manduria è dal lato opposto a quella per Ostuni, cioè a mezzogiorno, e la prima città che s’incontra è Oria, sede vescovile della Diocesi, vetusta, storica città, che ai miei tempi conservava ancora una delle sue porte, le torri e parte delle mura antiche rimontanti al Medio Evo all’epoca di Federico Barbarossa.
In Oria non era bisogno sostar molto per farvi propaganda: l’Opera di Pompei ivi era già conosciuta fin dai primordi, perché ogni volta che andava a villeggiare a Latiano, ai quali svelava l’animo mio e narrava i primi prodigi dell’Opera nascente.
Le mie parole cadevano sul più propizio terreno, essendo quella piccola e patriarcale terra un luogo benedetto da Dio, abbondante di persone ricche di fede e di zelo.
Quanti parenti e quanti amici! Ma ora tutti, salvo qualche piccola eccezione, dormono nel breve cimitero, mentre è vivo nella mia mente il ricordo della loro soave e rara bontà di vita cui si associa la speranza di vederli tutti lassù.
In Oria erano i miei amati e venerati zii Francesco De Angelis e sua moglie Raffaela Longo, sorella di mio padre, Anime a Dio dilette, perché arricchite in terra delle sue benevolenze e dei doni singolari che sul dare ai santi, cioè – tribolazioni senza nome e senza numero: - esilio, prigionia, desolazioni per mutamenti politici, abbandono di amici, persecuzioni, distrette ed altro ben di Dio che il mondo falsamente chiama mali, ma che sono alla luce della fede, veri beni, radici di tesori ineffabili che assicurano la felicità e la gloria terrena.
Un esempio da imitarsi, massime in questi tempi; Raffaela Longo madre di numerosa prole, tra le varie e sode divozioni, aveva caratteristica quella a Gesù in Sacramento. Nel colmo dell’estate, nelle terribili ore canicolari, quando nei piccoli centri del Mezzogiorno d’Italia s’impone la sosta da qualsiasi lavoro e un po’ di necessario riposo, in quelle ore bruciate e silenziose ella – la moglie dell’esiliato, - usciva di casa senza compagnia e si recava al Duomo. E lì sola, nel silenzio di quella vasta Cattedrale, quasi lampada vivente, restava lungo tempo inginocchiata innanzi al Ciborio, a pregare intensamente il solitario Prigioniero d’amore per tutti, ma in modo particolare per il lontano consorte esiliato.
Un’altra famiglia io frequentava, che mi pareva esemplare, anzi unica a quei tempi, perché tutti i componenti di essa, uomini e donne, sacerdoti e secolari, non solo possedevano una fede viva, semplice e piena di pietà e di zelo, ma tendevano tutti ad acquistare l’eroismo della perfezione cristiana. E nomino con riverente affetto il maggiore dei fratelli, l’Arcidiacono D. Francesco Errico, e il fratello Don Giuseppe, professore di lettere a quel Seminario e illustre oratore sacro, e gli altri due, egregi giovani Emmanuele e Barsanofio, studenti di medicina in Napoli, associati alle mie opere di Carità, dapprima per le povere vecchie di S. Giuseppe, Istituto fondato dal P. Carlo Rossi, Gesuita leccese, e poi alla nuova Opera del Tempio di Pompei.
Oh quanta esuberanza di affetti, oh quanto conforto ad abbellire lo spirito con le virtù dei Santi traevo ogni volta dal loro conversare! Tutti questi miei amici godono la visione beatifica di Dio. E come obliare gli altri antichi amici signori Salerno-Mele, e il maestro di tutti, il santo e dotto canonico Don Vincenzo de Angelis? … e Palma Matarelli? …
5 – La Vergine di Pompei al Casino Martini (pag. 357)
Tra le mie visite in Oria a famiglia nobili e doviziose, debbo annoverare pure quelle fatte ai signori Martini Carissimo, di quel Martini che a sue spese vi fondò un Ospedale, assegnando una rendita per farlo assistere dalle Figlie della Carità.
Mi è dolce infine rievocare i sei giovani figli dell’altra famiglia Martini, del fu Giulio: Nicola, Vincenzo, Pasquale, Giuseppe, Mariannina e Giacinto, il cui nome ha il potere di destare ancora soavi affetti al mio cuore: giovane di bello aspetto, candido, umile, modesto, era un vero giglio del Cielo trapiantato tra le spine di questo misero esilio.
Essi avevano un casino al confine del tenimento di Oria, in contrada San Felice, ed io aveva il mio casino al limite del tenimento di Latiano, in contrada Catene, poco lontano dal loro. Quindi le facili e scambievoli visite fra noi. Io andavo a loro sempre insieme col comune amico Prof. Vincenzo Pepe, ed ogni volta che ci vedevamo non si parlava d’altro che della Madonna di Pompei, dei Santi viventi ch’io conosceva in Napoli, e delle anime dilette a Dio che vivevano in Oria. Che dolci e care rimembranze!
Ma non passerà un anno da questo settembre del 1878, che in quel casino, a San Felice, invece della mia umile persona, la visita sarà fatta loro dall’augusta Regina del Cielo, dalla Vergine di Pompei che apparirà a Mariannina per strapparla dalle fauci della morte. Ond’essi quella camera – ov’era la morente – tramutarono in cappella in onore della vergine di Pompei. Anche tutta questa privilegiata famiglia ha già tramutato la terra col cielo, tranne Marianna che dopo quarantacinque anni vive ancora, per attestare a tutti la grazia prodigiosa ottenuta dalla potenza di Maria. Prima di chiudere questo capitoletto, vado ripetendo fra me: - Quante e quante persone, dilette a Dio e agli uomini, si sceglieva la vergine di Pompei fin da quei tempi, così ostili al solo udire il nome di miracolo! Quante anime privilegiate, ricche di celesti carismi e quasi traboccanti di una soave pace, di una inenarrabile e cristiana tranquillità di spirito, che si riversava e s’insinuava nel cuore anche di chi aveva la semplice fortuna di favellar con loro!
Il profumo, infatti, che io sentiva nascere dal fondo di quelle coscienze davvero timorate di Dio e d’una vita pura e perfetta non è svanito per me. Come il ricordo di Oria mi si affaccia alla mente, sento questa santa fragranza, questo “buon odore di Gesù Cristo” conforme direbbe l’Apostolo, e ne assaporo un reale conforto e sento di più l’attrazione e la dolcezza della evangelica perfezione.
6 – L’arrivo in Manduria (pag. 358)
Entrammo a Manduria con l’aria di un conquistatore che pregusta il trionfo: il cocchiere anch’egli contento di toccare la meta del suo viaggio, schioccava allegro la frusta e guidava a trotto serrato i cavalli … Andammo difilato all’abitazione della ricca zia. La signora siccome aveva predetto mia cognata, era in casa. Scendemmo. Ordinai al cocchiere di andare con la vettura alla pubblica rimessa a far riposare i cavalli, aspettando i miei ordini per il ritorno a Latiano, che prevedeva tardi, verso sera.
Fummo introdotti in un salotto. Mi valsi di quell’aspettare per trarre dalla mia borsa i più belli oggetti divoti da donare alla zia: medaglioni, corone, Immagini della Vergine di Pompei, libri e simili. Poco stante apparve la signora che io vedevo per la prima volta. Fatta la nostra conoscenza, si cominciò a parlar de’ parenti suoi e miei che le porgevano ossequi e saluti per mio mezzo; e poi entrammo in altri discorsi.
A me premeva intanto venire al concreto del mio scopo, e non tardai a manifestarle il perché era venuto a Manduria, per diffondere cioè la divozione alla vergine del Rosario, in cui onore costruiva un Tempio a Pompei, e per associare a quest’Opera i più ferventi e generosi cattolici di quella città. Ciò dicendo le presentai oggetti e libri che aveva scelti per lei.
La signora tutto ascoltava e tutto prendeva, ma con una certa freddezza, come di cosa che non la toccasse sul vivo. Mostrava maggior piacere di aver notizie dei parenti.
Mi parve tempo di venire alla perorazione, e per farla commuovere, passai a narrarle col mio naturale entusiasmo tutto ciò che di straordinario era avvenuto in Pompei, insistendo sui miracoli della Madonna, e sul concorso dei divoti di ogni condizione sociale e di ogni regione anche lontana.
Però mi accorsi che più io mi riscaldava, e più la signora rimaneva fredda, imperturbata.
- Questa è una signora ricca, ma seria – pensava: - forse sarà suo costume non far molte cerimonie, ma invece compie grandi atti di carità e di beneficenza … Mia cognata non poteva ingannarsi, né ingannarmi.
E seguitava con gran calore a discorrere dell’abbandono di quei contadini, della loro superstiziosa ignoranza e di quante meraviglie aveva già operate la Madonna di Pompei.
La signora taceva, e non accennava ad alcuna offerta di farci rimanere in casa sua pure per un’ora, per un necessari riposo dopo un viaggio fatto in vettura sotto i raggi di un sole cocente.
Se non che il tempo passava, ed io che aveva divisato di far tante altre visite a Manduria in quelle poche ore disponibili, cominciai a preoccuparmi di quel soverchio tardare, e non sapeva lo stesso trovarne la ragione.
Procurai di vincerla cavallerescamente continuando a togliere altri oggetti dalla mia borsa e offrirli a lei.
Ma quella prendeva tutto senza un cenno di riconoscenza e di affettuoso gradimento.
Il Professore Pepe, senza parlare, di quando in quando traeva dalla sua saccoccia l’orologio, e guardava fisso le lancette, quasi facendo una meditazione sull’ora, e mi ammiccava, come a dirmi: - A che perdiamo più tempo?
L’ora difatti era tarda; mancavano trenta minuti a mezzodì. Avevamo perduto molto tempo, eravamo stanchi, come impacciati, nella speranza sempre più fievola che fossimo invitati a un ristoro qualunque, per essere poi pronti a ripigliare il nostro giro.
Niente, niente; neppure una chicchera di caffè, che nelle province meridionali si consumava allora di offrire a qualunque ospite fosse pure estraneo …
Mi balenò un sospetto: la signora mi avrà preso per un avventuriero, per un avvocato imbroglione, che cerca carpire danaro spacciando miracoli, e sta in guardia per non cadere in trappola. Mia cognata, ingenuamente, non aveva pensato neanche a darmi un biglietto, scritto di proprio pugno, di presentazione a questa zia che non mi aveva fin allora mai veduto! A me tutto ciò non pareva vero, dopo le assicurazioni di mia cognata: dopo aver tanto offerto, non ricever nulla per la Madonna! Neppure un soldo per la costruzione della Chiesa! Come spiegare questo enigma? Io lo sciolsi subito pensando fra me che la signora si atteneva forse alla massima, comunemente allora seguita, che rubare al ladro non è peccato … Avendo forse sospettato ch’io fossi un ladro, riteneva giusto togliermi quelle divozioni che nelle mie mani costituivano i ferri del mestiere …
Bisognava venire al termine. Ricorsi ad un ultimo espediente avvocatesco per costringere la signora a pronunciarsi, e risolutamente domandai:
- Vi è qualche albergo in Manduria per riposare qualche ora?
- No – rispose quella impassibile – Manduria è città di passaggio, non di permanenza.
- Ma vi è almeno qualche trattoria per prendervi un po’ di ristoro?
- No, qui non sono trattorie; non v’è uso mangiare fuori casa propria. Ci sono solo grandi stalle, grandi rimesse per i viaggiatori che vengono da Lecce e vanno a Taranto, e viceversa, o per carrettieri che volessero riposar coi loro cavalli.
Capii chiaramente allora che la zia A***, contrariamente a quanto aveva giurato mia cognata, non voleva fastidi in casa, e molto meno da due sconosciuti, di cui voleva sbarazzarsi; e mi disponeva ad andarmene. Feci segno al Prof. Pepe di levarsi e prendere la valigia. Volli pertanto informarmi se fossero in Manduria quei miei amici che aveva rammentati mio fratello.
- I fratelli Schiavoni – domandai – sono in città? Dove abitano?
- No: Alcuni sono a villeggiare, ed altri sono militari.
- E Michele Pasanisi? Il primo amico dell’infanzia?
- E nella Svizzera.
- E Achille Pasanisi, a me tanto affezionato? - Ha moglie e famiglia, e trovasi a Foggia.
- E quegli altri: Filotico, Gigli e il Professor Francesco Prudenzano, il Poeta della Madonna? …
- Sono in Napoli.
- Addio! – feci tra me – abbiamo perduto il viaggio e la giornata. Non ci resta che la stalla, a riposarci coi cavalli.
- Signora, - feci io inchinandomi – le togliamo ilo fastidio e ce ne andiamo. Volete qualcosa da mia cognata Annina, vostra nipote?
- No, grazie! Statevi bene!
Ripresi la mia borsa in buona parte vuota; il mio amico tolse la sacchetta; e uscimmo da quella casa né gloriosi, né trionfanti, ma neppure con rancore o indignazione.
Vetture da nolo non ve n’erano, la mia l’aveva già mandata; ci convenne camminare a piedi con la borsa in mano, per le vie fatte, per l’ora, deserte, tra quel monotono biancore delle case e delle strade calcinate che sotto i raggi meridiani arrecava un enorme fastidio alla vista.
- Era giusto -  osservai al mio amico – che dopo i trionfi di Osturi e di Carovigno assaporassimo le amarezze di Manduria.
E il mio fedele angelo custode, sempre pronto a trarre consolazioni dalle scritture, mi citò quel bel passo del Da Kempis: - “Quando la consolazione ti sarà tolta non ti perder subito d’animo; ma attendi con umiltà e con pazienza che Iddio nuovamente ti visiti; può ben Egli ridonarti consolazione maggiore”.
- È vero – ripresi. – L’ultimo fatto dell’umiliazione occorsomi con la signora Protestante Inglese in Napoli, sulla Riva fiorita di Posillipo, e poi l’avvenimento portentoso, a breve distanza, sulla medesima Collina di Posillipo, mi avrebbero dovuto istruire dei modi che Dio suol tenere nelle opere sue; che cioè dove siamo umiliati per amor suo, là Egli manifesterà i tratti singolari della sua potenza. Vedremo, dunque, che cosa farà in Manduria la madonna.
7 – Nella locanda di Manduria (pag. 363)
- Dove sdigiuneremo? – mi chiese il Professor Pepe nel suo laconico linguaggio.
- Non vi rimane che la stalla e la rimessa, mio caro Vincenzo, - risposi con un sorriso di rassegnazione.
- Non resterebbero che i soli Padri Passionisti; ma a quest’ora non conviene turbarli, e cercar loro da mangiare; sono lontani, e poi avranno già desinato…
Andiamo, dunque, alla stalla.
Facemmo chiamare il padrone, e venne invece la moglie; e domandai se avesse per me un po’ di brodo o di carne lessa, perché il mio amico si contentava di cibi comuni.
No – fece con aria di doloroso stupore la buona donna: - a Manduria non si vende carne, specialmente oggi che è Mercoledì! E poi… il brodo!
Compresi ciò che voleva dire: il brodo è per i malati, ma i malati non viaggiano in vettura con questo sole, ma stanno a casa.
- Ho capito – dissi all’amico: - il Signore vuol farmi stare in castigo, a digiuno, come si usa con un ragazzo testardo e capriccioso.
- Ma sentiamo – riprese il Prof. Pepe, rivolto all’ostessa e con il tono abituale del maestro che vuole scrutare l’animo d’un discepolo renitente: - tu puoi cucinarmi due maccheroni?
- Oh, questo sì – disse la buona donna, felice di poterci rendere qualche servigio.
- hai un letto? – chiesi a mia volta – per farmi riposare qualche ora, prima di rimettermi in viaggio? - Oh, sì! – rispose con cordiale semplicità: - per questo vi cedo la mia camera.
Vi trovammo un gran letto, ma senza spalliere, con una coperta di cotone celeste, che copriva un enorme pagliericcio.
Il Professor dichiarò: - Da parte mia mi contento do poggiar la testa a un angolo del letto, ma seduto: datemi presto da mangiare.
Io, frattanto, chiamai il cocchiere:
- Fra due ore allestite di nuovo la vettura, che è a vent’ore (cioè alle tre) dovremo ripartire per Latiano.
Il cocchiere fu diligente: prima che suonasse il Vespro, la vettura era pronta, e di tutta corsa ci avviammo pel ritorno.
8 – Il Monastero di San Benedetto in Manduria (pag. 365)
Passando per una via deserta scorsi un gran fabbricato.
- Questo è il Monastero delle Benedettine di Manduria – mi additò il Prof. Pepe. – Qui c’è una giovane conversa di Latiano che conosco io.
All’udire la parola Monastero, - Ferma! Ferma! – gridai al cocchiere. – E il cocchiere fermò. E voltomi all’amico con voce di amorevole rimprovero,
- Come? – gli dissi – Tu sapevi che in Manduria v’era un convento di monache, e non mi dicevi nulla?
- Non ci avevo pensato – rispose egli con la sua naturale sincerità e franchezza.
Subito scendemmo. Il portone era chiuso: silenzio sepolcrale per quella via.
Picchiammo forte. In quel punto le campane di San Benedetto sonavano i Vespri… Il suono dei sacri bronzi mi parve come voce celeste che mi raddolcisse il cuore.
Venne una suora ad aprire: L’amico Vincenzo domandò subito della conversa di Latiano. Quel giorno essa aveva l’ufficio di portinaia. La facemmo chiamare.
Quando apparve alla grata la suora di Latiano, il Prof. Pepe la chiamò a nome, ed ella con festa gridò: - Oh, Don Vincenzo! Don Vincenzo! Chi vi ha mandato qui?
- Ecco – interruppe Pepe – vi presento il nostro concittadino, l’Avv. Bartolo Longo, che sta a Napoli e che ha cominciato a fabbricare una Chiesa alla Madonna del Rosario a Pompei!
- Oh! Io conosco Don Bartolino – rispose la suora – e conosceva anche suo padre. Perché siete venuti qui?
- Siamo venuti a Manduria appunto per far sapere ai nostri amici questa Opera di Don Bartolo a Pompei, e per far propaganda per quella Chiesa del Rosario, dove la Madonna ha già mostrato con miracoli che vuole a sé dedicato un Tempio, in quella terra abbandonata e una volta pagana. Ma non abbiamo trovato nessuno degli amici nostri antichi. Ora lasceremo a voi tutte le divozioni della Vergine di Pompei, per distribuirle alla Comunità, ai vostri conoscenti, e a chiunque viene in Portineria.
- Aspettate un momento – fece la conversa. – Vado subito a chiamare la Madre Badessa; quella è di Lecce e forse conosce pure Don Bartolo.
E corse via, senza darci tempo a trarre le divozioni dalla borsa.
Dopo qualche minuto, ecco scendere una suora che appariva giovane, Donna Geltrude Lusitani: elle faceva funzione di Badessa in sostituzione di sua zia Donna Carmela Lusitani, inferma.
Al sentir ripetere questo nome: - Lusitani, - rammentai subito il mio amato maestro di pianoforte, in Lecce, Ermenegildo Lusitani; e appresi che esso era zio di Suor Geltrude.
La suora fece suonar la campana, e scendere tutta la Comunità. Aperto il parlatorio, le religiose fecero ruota nella sala, e noi fummo presto in presenza di tutta quella Comunità benedettina.
Non vi volle nessun invito per cominciar la mia predica, e su due piedi presi a parlare di quanto d’inaspettato e di prodigioso era avvenuto di già a Pompei per l’intercessione della SS. Vergine del Rosario. Mi ascoltavano tutte religiosamente e con stupore sempre crescente. Quando udirono il tratto prodigioso della misericordia di Maria nella persona del fanciullo Edoardo Raffaele a Napoli, col fargli semplicemente stringere al petto l’Immagine della Madonna di Pompei, così le più anziane come le più giovani le vidi con gli occhi velati di lacrime.
Scorgendo l’effetto felice che la Santissima Vergine aveva voluto trarre dalla mia narrazione, consegnai alla nipote della Badessa tutta la provvisione di divozioni raccolta nella mia borsa, costituendola capo Zelatrice non solo di Manduria, ma di tutte le città natali delle religiose me dei paesi ove contassero parenti o conoscenti.
E tra la commozione generale uscii da quel Monastero che la Regina del Cielo già s’era da sé scelto come centro del nostro apostolato senza nostra alcuna previsione, anzi senza alcuna speranza.
Donna Geltrude Lusitani divenne da quel giorno la più fervente propagatrice della divozione alla Madonna di Pompei, non solo in Manduria, ma anche nelle città vicine, di “Torre Santa Susanna”, di “Sava di Erchie”, e soprattutto di “Lecce”, sua patria, capoluogo della provincia. Questo apostolico zelo ella esercitò fino all’età quasi di ottantasei anni, quando cioè piacque al Signore di chiamarla al Cielo, nel giorno sacro al Cuore di Gesù, nel 1915.
S’immagini quanto bene abbia potuto operare una religiosa, accesa di santa e inestinguibile tenerezza verso la Madre di Dio, per lo spazio di tanti anni e in mezzo a persone credenti e già ben disposte ad onorar la Madonna.
Oggi di tutte quelle suore che furono presenti alla nostra visita nel settembre del 1878, ne sopravvive una, vecchissima, la quale ricorda ancora quel giorno, ed è come la testimonianza vivente di quanto abbiamo narrato. Essa è la veneranda Donna Rosina Spagnolo Benedettina.
9 – La Madonna di Pompei in Lecce (pag. 368)
Mi è corso sotto la penna il nome di Lecce. Quivi non fu bisogno ch’io mi recassi personalmente per iniziare la divozione alla Vergine del SS. Rosario e per narrare quelle prime meraviglie che già si compivano. A me fu sufficiente inviar di lontano i primi foglietti e le prime pubblicazioni ad amici, a congiunti, a conoscenti e perfino ad avvocati ed operai. Furono anch’essi delle scintille, ma all’opera nostra di propaganda concorse la buona suora Geltrude, che da Manduria seppe gettar una santa e potente favilla in guisa che in breve tempo la divozione alla Madonna di Pompei dilagò per tutta quella gentile e colta terra. Non è possibile, in poche parole esporre lo sviluppo sempre crescente e sempre mirabile che colà si verificò. Occorrerebbe scrivere una piccola storia a parte della divozione alla Madonna di Pompei nella città di Lecce.
La parte più bella ed interessante sarebbe certamente quella delle frequenti apparizioni della Madonna per confortare col suo sorriso anime affannate e già pronte a partire da questo mondo – avvenimenti, questi in parte accennati nel nostro Periodico o nel libro dei Quindici Sabati, ma di tutti se ne parlerà in appresso.
Basti dire che non andò guari, e la devozione alla Madonna di Pompei si accese non solo nelle famiglie, ma nelle Chiese e nelle Comunità religiose. Tutte le devote pratiche che si compiono a Pompei in onore della Vergine del Rosario: I Quindici Sabati, la Supplica nella 1ª domenica d’ottobre e nell’8 maggio, sono ancora colà precedute da corsi solenni di noverani, anzi spesso di mesi interi di predicazione e da altre fervide manifestazioni di pietà che mostrano quanto sia radicato in quei cuori la divozione alla regina del SS. Rosario.
Oggi è oltremodo commovente pensare che la divozione alla Madonna di Pompei colà è fervida ed entusiastica anche in mezzo alle fiorentissime organizzazioni giovanili, che si debbono allo zelo illuminato di quel piissimo e dotto Vescovo che, ne’ lunghi anni del suo governo pastorale, ha saputo destare, o richiamare in vita tante nobili e sante istituzioni.
Insomma, la graziosa, signorile e religiosa città di Lecce si può considerare non solo come capoluogo dell’importantissima provincia pugliese, ma in modo speciale come il capoluogo della divozione alla Vergine di Pompei, a nessuna città d’Italia seconda tanto per il suo fervore di pietà filiale verso la Madonna, quanto pel modo generoso con cui i Leccesi vollero mostrare questa pietà verso le opere benefiche di Valle di Pompei, e più per le notissime e segnalate grazie che la regina del Santissimo Rosario si degnò di concedere a loro.
10 – Segni di predilezione della Madonna di Pompei verso Manduria (pag. 370)
Quella giornata, adunque, che alla vista umana sembrava andata così a male in Manduria, per amoroso disegno della nostra Regina si chiudeva con un improvviso fervore di entusiasmo per il suo Santuario a Pompei, fervore che produsse poi meravigliosi frutti.
Da quel giorno la divozione verso la Regina del SS. Rosario ebbe un indicibile crescendo. Su quella terra prediletta piovve l’abbondanza delle misericordie e dei celesti sorrisi di Maria.
Insigne fra tutti fu il favore, anzi il vero miracolo concesso dalla Vergine benedetta all’umile e giovane sua devota, Angela Massafra, pochi anni dopo quella nostra visita colà. Quel miracolo non solo fu segno della potenza dell’intercessione della Regina del Cielo, perché d’un tratto ridonava il fiore della salute a un essere esausto, piagato e già a un fili dalla tomba, ma era accompagnato da una forma celestialmente poetica per proclamare la bellezza e l’efficacia della devozione dei Quindici Sabati. La Madonna, come fu narrato a suo tempo nel Periodico e come si può leggere ancora nel nostro libro dei Quindici Sabati, nella sua apparizione a quella fortunata creatura si degnava di deporre sul letto di lei un candido vaso di alabastro pieno di fiori, somiglianti a fulgidi gigli, e di questi ne lasciava cadere su quel letto medesimo quindici che recavano le due sante parole: Quindici Sabati.
L’avvenimento così straordinario non fu attestato soltanto da un intero popolo, ma da un valente medico, il dottor Tommaso Massari, che curava l’inferma, e soprattutto dal rispettabile Parroco di quella città, sacerdote D. Leonardo Tarentini confessore di lei, a cui aveva egli apprestato il S. Viatico e l’Estrema Unzione.
8Ambedue questi importanti attestati si leggono letteralmente riportati nel Periodico il Rosario e la Nuova Pompei, al Quaderno di Settembre, Anno VI, 1889).
Benedizione di Dio fu anche il civile e sociale sviluppo di quella terra: oggi Manduria è tra le più belle e progredite città del leccese, ricca di accresciuta popolazione e di benefiche e sante istituzioni.
Mentre scrivo queste pagine quarantacinque anni dopo la mia visita a Manduria, mi torna di soave conforto il leggere nel numero degli Associati al Periodico e dei Benefattori delle nostre Opere i nomi dei discendenti di quegli amici dei quali era andato in cerca quel giorno, e specialmente dei Signori Schiavoni, Schiavoni Tafuri, dei Signori Arnò, dei Pasanisi, delle famiglie Selvaggi, Filotico, Gigli, Camerario e Tarentini e tanti altri.
Quanto alla parte mia, la divina Maestra mi scolpì maggiormente nell’animo quel suo grande ammaestramento: - l’Opera di Pompei doveva compiersi non per mezzo di miei amici, o parenti o conoscenti; anzi, molti di questi sarebbero stati neghittosi e negligenti, e sono morti difatti senza venire neppure una volta a visitar il Santuario e queste Opere; ma sì invece per mezzo di persone di ogni grado sociale e di persone la più parte a me sconosciute, affinché a tutti fosse evidente il disegno di Dio, che l’Opera di Pompei è Opera tutta sua e di cui nessuno si può gloriare!
(Autore: Bartolo Longo)

*Capo XI - La festa di ottobre del 1878 nel recinto del sorgente Santuario
Libro Settimo - pag. 372

La festa annuale della Vergine del Rosario l’avevamo già annunziata. Venne stabilita pel giorno di domenica 13 ottobre, nel recinto delle mura grezze che si ergevano per formare il Tempio di Pompei.
Due soli anni erano passati dal giorno memorabile 8 maggio 1876, e di fronte all’antico Anfiteatro di Pompei, lungo la via Nazionale delle Calabrie a vista delle rovine della famosa città pagana ammiravasi bella di mistica bellezza, l’Opera della Fede e della pietà cattolica, il Tempio di Maria, elevato quasi per incanto fino al cornicione maggiore!
Per questa fabbrica avevamo già speso lire trentamila, a quel tempo cifra favolosa, raccolte la più parte con l’ascrizione di un soldo al mese, dai divoti della Vergine del Rosario d’ogni classe, d’ogni condizione e d’ogni paese dell’Italia nostra.
Si vedeva bella e rigogliosa un’Opera che avrebbe richiesto le fatiche e le spese di otto anni almeno!
Crebbe da ciò la fiducia in noi di cominciare a costruire, nel prossimo venturo anno 1879, la parte superiore del Tempio, che doveva sostenere la maestosa volta del Santuario.
L’egregio professore di matematiche nell’Università di Napoli, Cav. Antonio Cua, oggi da noi e da quanti lo amarono vivamente rimpianto, aveva fatto dono di un leggiadro disegno del novello Tempio, e per insigne pietà a sue spese recavasi sovente a Pompei, per dirigerne la costruzione; talchè nelle note di spese di quegli anni non si vede mai nell’Esito una cifra pel pagamento di viaggi o d’indennità per l’illustre architetto.
Il disegno era per un Tempio bello e spazioso, per duemila persone, con sette altari, con Cupola e Campanile, ed abitazione contigua per sacerdoti che Dio avrebbe mandati.
Di quanti allora erano viventi nessuno avrebbe sperato di aver dal Signore tanti anni di vita, da veder tutto attuato l’ardito disegno del buon Professore Cua!
Bontà di Dio! Oggi tutto il prezioso disegno lo vediamo compito sotto i nostri occhi: il Tempio, gli altari, la meravigliosa cupola, l’artistica facciata, la Canonica pei Sacerdoti; e finanche il maestoso e svelto Campanile, con la sua colossale statua del Cuor di Gesù, tra pochi mesi sarà un fatto compiuto, e farà udire il rintocco di otto gigantesche campane, la cui eco molteplice, tenera e solenne si spanderà per le immensurabili adiacenti campagne e dei paesi convicini.
Nel recinto, adunque, di quelle ruvide mura, nel centro della futura Cupola, a cielo scoperto, si vedeva un improvvisato altare, con ricco addobbo di serici drappi. Era quella la “Terza Festa del Rosario” che si celebrava in questo luogo.
Sopra un altare di legno ponevamo un grazioso e artistico tosello, sotto cui era esposto il Quadro prodigioso della Madonna.
Veniva a bella posta da Napoli un devotissimo sacerdote, di famiglia nobile, rigoroso rubricista, il rev.do D. Federico Caprioli di santa memoria, che metteva tutte le sue cure a far riuscire in ordine perfetto le sacre solenni funzioni, anche in mezzo alle pietre, alla calce e all’aperta campagna.
Era una cosa pittoresca! Su quell’altare e intorno intorno si vedevano gli ex voto, calici, lampade di argento, pissidi, fiori ed arredi, come singoli attestati di grazie ricevute da questa clementissima Madre.
Quale splendore di fede! Qual novità di festa, cui soltanto la religione cattolica può far godere agli uomini sulla terra! Vedevi centinaia di famiglie della più alta aristocrazia napoletana partirsi digiune da Napoli per cibarsi della S. Eucaristia in una Chiesa scoperta, ancora in costruzione! E ciò senza verun accordo preventivo, ma solo per impulso di amore spontaneo e grato alla celeste Regina.
Una lunga fila di carrozze, che occupavano la via Nazionale per oltre un miglio, trasportavano signori e signore d’ogni età, non giubilanti, come accade nelle feste profane, ma col viso compunto, divoto ed esprimente la fede viva che infiammava i loro spiriti: quella fede che, nonostante gli urti e le tempeste, le seduzioni e l’empietà del secolo, non è venuta meno nel petto dei veraci figliuoli, d’Italia, la quale è essenzialmente cattolica, perché figlia della Chiesa di Roma che è stata e sarà la trionfatrice del mondo.
Innumerevoli persone vi pervenivano da varii paesi, e molte per attestare le grazie impetrate mercè i voti fatti e le offerte a questo Tempio. E furon viste delle più restie, o almeno guardinghe dall’ammettere miracoli, restare stupefatte all’evidenza di un nuovo miracolo che s’imponeva gigante ai loro occhi e sui loro spiriti.
Quel giorno 13 ottobre dell’anno 1878, alle ore 11 del mattino, dinanzi a quell’altare provvisorio Sua E. Mons. Formisano, Vescovo di Nola, intonava la corona del Rosario; e seguiva l’apposita orazione panegirica, per la quale avevamo invitato uno dei primi oratori di Napoli, il chiarissimo P. M. Fr. Costantino Rossini, Provinciale dell’Ordine dei Predicatori.
Ma quello che moveva al pianto di tenerezza quei poveri contadini, resi stupiti da sì inusato concorso, e lo stesso Vescovo di Nola, , fu il vedere tanta eletta parte di gente composta a pietà e devozione indescrivibile, avvicinarsi alla sacra Mensa nel divino Sacrificio, che si offriva in quel recinto di un tempio che aveva per cupola l’azzurro del cielo, e migliaia di nobili cuori pendere intenti all’ispirato discorso, che recitò con tutti i pregi di vero oratore, il sullodato Provinciale dell’Ordine Domenicano.
Pochi oratori veramente ebbero in loro vita un uditorio cosiffatto. Dal Palazzo reale di Capodimonte a Monte di Dio, dagli estremi di Margellina a Castel Capuano, Napoli, la cattolica Napoli aveva mandato fiori di nobiltà, e di cattolicesimo all’umile Valle di Pompei per corteggiare il trono della celeste Regina; la quale si degnava qui fare novella mostra di sua potenza col tramutare un intero ordine di cose e di storia. Per lei la terra dei pagani cominciava a divenire produttrice di ferventi cristiani.
Sul seggio degli idoli e dei demoni si assideva trionfatrice e benigna la stessa Regina delle Vittorie e la terra insozzata di sangue per olocausti profani e gentileschi, si cambiava in Altare del Divino Agnello in olocausto di infinito amore. Che più? Insino allora il nome di Pompei ridestava soltanto idee tetre e funeste di ruine e di paganesimo, e solo un vago amore delle cose antiche poteva richiamarvi gente spesso senza credenza e senza amore. Ma da oggi innanzi il nome di Pompei risonerà al cuore dei teneri figli di Maria come vibrazione di un’armonia celeste, perché ricorda i novelli trionfi della SS. Vergine, la quale qui ha piantato il trono delle sue misericordie, per largire le sue grazie agli afflitti figliuoli di Eva che a lei ricorrano con fiducia.
Ancora, i sacri riti in ogni luogo si adempiono nelle Chiese coperte e adorne: qui si celebravano a mura scoperte e nude, abbellite soltanto dalla cara Immagine di Maria, mentre che ardenti sospiri di mille cuori cattolici, nel recitare il celeste Rosario, elevavansi, presentati dagli Angeli santi, al trono di Dio.
Infine, in tutte le feste è il popolo che forma la massa: qui, nella povera terra di Pompei, era la più eletta parte dell’ingegno, dell’arte e della nobiltà.
1. Il caloroso appello dell’ottobre 1878 per finire il Tempio di Pompei
Quant’è bello ricordare qui ciò che scrissi in quel tempo, quarantacinque anni addietro, dopo ave narrato questa solenne e singolarissima Festa del Rosario del 1878…!                                    
Trovo aver pubblicato un fiammante appello ai divoti della Madonna per spingere il loro cuore a coronare l’opera intrapresa, ad affrettare il compimento del Santuario di Maria. Questo appello forma anche esso parte della storia che siamo narrando. Eccolo: “Per le quali meraviglie avventurato dee reputarsi chi concorre col suo obolo alla edificazione di questo, che è già un Santuario prima di essere un tempio, e sul quale sono grandi disegni di Dio.
“Or l’opera, che è mezzo il corso, vuolsi menare a termine. Vi mancano pel compimento la cupola, gli altari, il pavimento e tutti i pezzi d’opera.
“E vi sarà un uomo solo o donna, che dica esser cristiano, e indurì pertanto il suo cuore a negare un soldo per compiere la Casa della Madonna, della Madre di Dio, della Madre nostra? ... Oggi che i protestanti baldanzosi per le nostre città e per le vie, insultano apertamente la nostra Fede, vilipendono la Santissima Vergine, ed aprono scuole gratuite dell’errore e del vizio?
“Ancora, che Tempio è mai questo? Non di semplice ornamento cattolico, ma di estremo bisogno per questo luogo, ove Dio non è adorato dai suoi cristiani per mancamento del suo Santuario; e dove i fedeli sono costretti a languir digiuni del pane della vita, che è la parola Dio! Quante comunioni perdute! Quante conversioni impedite! Quanti Sacrifizi non celebrati! Quanti suffragi tolti alle anime penanti!
“In ultimo l’opera santa di Pompei non è solo un atto di fede e di amore cristiano, ma è eziandio la espressione vera del Cattolicesimo, il quale non è Italiano, né Europeo, ma è universale. E qui non solo abbiamo in animo di elevare un Tempio, ma ancora di aprire un Asilo d’infanzia ed una Scuola cattolica.
“In tal modo si conseguirà un doppio intendimento.
Cioè:
* di contrapporre una riparazione nazionale agli oltraggi che i protestanti e gl’increduli fan pubblicamente alla nostra religione ed alla Vergine Madre di Dio in questa Italia, che è sede del Papato, ossia fonte di verace civiltà;
* di sottrarre all’ignoranza ed all’abbruttimento migliaia di nostri fratelli, quali sono i poveri ed abbandonati contadini che vivono dispersi per la Valle nel campo pompeiano.
“E qual somma richiedesi dal fedele per conta impresa?
“L’ascrizione per un soldo mensile.
“Oh quanto sarà accetto al Cuore di Maria questo soldo! È la prima volta, da che è il Mondo, che in Pompei sorge un Santuario, che la Regina delle Vittorie ha voluto s’intitolasse al suo Rosario.
“Certamente per significarci che vuole oggi salvar le anime con quello stesso Rosario che affidò a San Domenico, e ch’Ella stessa mostrava di recitare con Bernardetta alla grotta di Lourdes. E per provare quanto gradisca questa nuova Chiesa, concede ogni dì delle grazie a chi vi concorre con offerte pur tenuissime.
“Il viaggiatore, che spese parecchie ore per la solitaria e ruinata Pompei, volgerà i passi verso l’antico Anfiteatro. Vedrà poco lungi dalle deserte vestigia di un teatro pagano sorge silenziosa ma sublime e trionfale la Croce del Cristo-Dio, apportatrice mai sempre di vita e di civiltà ai popoli.
“Quivi lo stanco passeggiere e l’affannato contadino riposeranno un tratto all’ombra dell’altare dedicato alla Vergine Madre; essa col suo Figliuolo Bambino sulle braccia e col Rosario nella destra addita loro il conforto ad ogni dolore, la speranza ad ogni male. Qui sul far della sera mille voci unite di un popolo nascente e fedele saluteranno l’Immacolata del Rosario, la Regina delle Vittorie, l’Aiuto dei Cristiani, che rammenta la distruzione dell’eresia, e gli ultimi straordinari avvenimenti di Lourdes, di Soriano di Calabria e di Flo0cco di Nola”.
- E la Regina del Cielo diede segno che gradiva una tal festa?
- Sì e fu alla vigilia della festa, il 12 ottobre, perché operava una grazia prodigiosa, la terza grazia di quel medesimo anno, in persona di un muratore, che attendeva appunto ai lavori di fabbrica pel nascente Santuario. La grazia fu già narrata in una delle primitive edizioni della Storia del Santuario. Ora accade di riprodurla integralmente, come fu allora scritta.
2. Un peccato in Pompei e un tratto della misericordia della Vergine
(Alla vigilia della festa di ottobre del 1878) (pag. 379)
“Si apparecchiava la Festa di ottobre nella nascente Chiesa. Tutto prediceva un solenne trionfo della fede e della divozione al Rosario. In quel giorno avevamo fermato col Vescovo di Nola quanto avrebbe a farsi a gloria di Dio nel nuovo Tempio e nella prossima festa e nei disegni avvenire.  Ma in quello stesso giorno ed a quella medesima ora, suscitando delle contese tra i lavoranti il padre della discordia, il diavolo, un capo muratore della Chiesa, mastro Andrea C…, nell’ira, com’è usanza di cosiffatti, bestemmiò preti e Chiesa.
Quel giorno volgeva al tramonto, e gli operai ponevano in assetto i ferri, i mangani, le funi per tornarsi a casa loro. Restava a collocarsi l’ultima pietra angolare per compiere il cornicione esterno della facciata all’altezza di dieci metri, e mastro Andrea C…, l’infelice della bestemmia, si accingeva all’ultima mano.
Noi col Rev. D. Gennaro Federico e con la Contessa De Fusco eravamo sulla piazzetta della Chiesa a mirare quasi estatici il felice avanzamento dell’edifizio ed il compimento del cornicione per la prossima festa dell’indomani. Quando il botto si scatena dalla cima una massa, cade sul ponte di legno dove quel muratore poggiava i piedi, e perdendo questi l’equilibrio, rovesciasi indietro e precipita da quell’altezza seguito dal rovinio della fabbrica. Ancora quel ricordo mi fa raccapricciare. Lo vedemmo per aria fare un tombolo come fa un cencio che cade.
Giù vi era un pozzo, ed ai lati pietre vulcaniche aguzze e taglienti! ...
I nostri occhio pel terrore si chiusero un istante. Un acuto grido di donna chiamò al soccorso; la Contessa esterrefatta, non reggendo a quella vista spaventevole correva gridando a piè dell’Altare di Maria, e con le persone accorse impetrava con preci e con lagrime la vita a quel povero padre di numerosa prole, in quella che noi ci eravamo slanciati a sollevare da terra la spoglia immobile del caduto.
Il capo di lui era sconciamente guasto e difformato; sangue scaturiva dalla bocca, spezzati ambi i polsi, cadevano penzoloni le mani, e le ginocchia ed il corpo in mortale abbandono.
Il buon sacerdote Federico, sollevandolo a metà tra le sue braccia, forte lo chiamò a nome più volte. E Mastro Andrea – gridava – stringimi la mano pel segnale di contrizione, chè io ti assolvo nel nome di Dio.
Ma quegli non dava segni di vita.
Gli posò la mano sul cuore, e il cuore, e il cuore era inerte.
Se non che, poco dopo un lieve battito lo fe’ avvertito che ancor vi era vita, e senza altro attendere pronunziò un articolo di morte.
Non rimaneva che l’ultima àncora di speranza, la salvezza dei disperati, la nostra benedetta Madre. E noi in questo mezzo corremmo a prenderne la prodigiosa Immagine. Ed oh, potenza della Regina del Rosario!
Immantinente, come vien collocata sul cuore del fratturato, questi, come tornato da morte a vita, trae un sospiro e pronunzia per prima parola quel nome di dolcezza:
- Madonna mia! …
E la Madonna gli volle usar misericordia. Dopo ventiquattro giorni mastro Andrea ritornò al lavoro del Nuovo Tempio di Pompei. E commosso e pentito si confessò, e la sua numerosa famiglia si recò scalza in pellegrinaggio all’Altare di Maria per assistere alla Messa cantata di ringraziamento, e depose un voto”. (Autore: Bartolo Longo)

*Capo XII - Al chiudersi dell'anno 1878
Libro Settimo - pag. 381

1 - L'esaltazione al Pontificato di Leone XIII

Nell'esporre gli avvenimenti del 1878, terzo anno della costruzione del Tempio Pompeiano, facemmo notare che esso fu un'alba chiara di trionfo per l'Opera santa di Pompei.

I fatti narrati finora e quelli che narreremo ce ne danno piena ragione.

Il 7 febbraiuo di questo medesimo anno moriva il santo Pontefice Pio IX, e già la Provvidenza aveva apparecchiato un degno successore alla suprema Cattedra di S. Pietro nella persona dell'immortale e glorioso Pontefice Leone XIII.

Fu questi il Pontefice che doveva ristorare e farvi tornar al primiero splendore in tutto il mondo il Santo Rosario donato dalla Regina del Cielo a San Domenico: e doveva ancora rendere di pubblico culto la divozione alla Vergine del Rosario di Pompei, istituita da un semplice laico, col riconoscerla prodigiosa e con arricchire di indulgenze le pie pratiche in onore di lei, come la Visita dell’Immagine in qualunque parte del mondo fosse esposta, la Novena per impetrare le grazie, la Novena di ringraziamento, la Supplica nell’ora di mezzodì delle due annue feste ed altre simiglianti.

Finalmente fu questi il Papa che doveva spiegare la più alta ed amorosa protezione sui due coniugi Fondatori del Santuario, e sul Tempio Pompeiano fino a dichiararlo Basilica Pontificia, sotto l’immediato Dominio di Pietro, in perpetuo.
Per esaltare e magnificare la Corona di Maria in tutti i popoli della terra, Egli dettò in quindici anni consecutivi quattordici Lettere Encicliche, un Decreto ed un Rescritto. Per affermare poi e propagare ovunque il culto della vergine di Pompei, spedì a noi trentasei suoi Brevi e decreti concernenti la novella Basilica, le sacre cerimonie che in essa si compiono e i sacerdoti che quivi celebrano. Per assicurare infine l’umile persona dei due Fondatori secolari dagli assalti e dalle persecuzioni dei loro avversari, Egli, il Capo di tutta la Cristianità, con alcuni di questi Brevi solennemente se ne dichiarava Protettore.
Questi Brevi e Decreti hanno un valore inenarrabile, perché quanto alla nuova basilica, essi largiscono un vero tesoro di facoltà singolari, di speciali permessi, di facilitazioni d’ogni sorta, affinchè ogni manifestazione di culto e ogni divozione si potesse agevolmente compiere per spirituale vantaggio dei fedeli e dei pellegrini, col poter in modo particolare assistere alla Messa anche nelle ore più avanzate. Nè era escluso da queste supreme e pontificie concessioni un riguardo speciale anche ai sacerdoti, i quali, salvo qualche raro giorno, possono celebrare sempre la messa Votiva della Madonna del Rosario non solo all’Altare Maggiore, ma anche a tutti gli altari laterali.
Un altro valore incalcolabile ne veniva alle preghiere e alle divozioni proprie del Santuario Pompeiano, le quali sono state il vero veicolo delle anime per arrivare al cuore di Maria e insieme hanno formato il mezzo di cui la Provvidenza ha voluto servirsi per diffondere la divozione alla Madonna di Pompei.
Era giusto che da principio sorgessero precauzioni, se non differenze, per queste preghiere nuove. Quindi la concessione di larghissime Indulgenze, come quelle per la Novena, per i Quindici Sabati e per la Supplica, erano la più solenne approvazione di esse e il suggello che non ammetteva più né timori né discussioni.
Esporremo a tempo tutti gli atti di protezione e di regale benemerenza di sì grande Pontefice verso il nuovo Tempio o verso le persone di cui Dio si è servito per la sua gloria e per la gloria della Vergine nel campo dell’antica Pompei.
Per siffatte ragioni l’immortale Pontefice Leone XIII sarà sempre ricordato nella Storia della Chiesa universale per i secoli col titolo glorioso di novello Pontefice del Rosario dopo San Pio V, nella nostra Storia con il nome del più grande Protettore del Santuario di Pompei e dei suoi umili Fondatori.
2 - L’approvazione dell’Arcivescovo di Napoli Mons. Guglielmo Sanfelice alla nascente Chiesa di Pompei (pag. 384)
Dopo le feste dell’Ottobre, com’era nostra consuetudine, ritornammo a Napoli insieme con la Contessa per rinnovare le ascrizioni nelle famiglie dei signori napoletani, per raccoglierne delle nuove, e ricominciare il giro per le chiese della città nelle festività più solenni o nei giorni di grande concorso di popolo.

                       

Se non che,


Continua da pag, 381

(Autore: Bartolo Longo)


*Capo XIII - Il Prof. Vincenzo Pepe
Libro Settimo - pag. 389

xxx

Continua da pag, 389


(Autore: Bartolo Longo)


*Capo XIV - Uno dei nostri primi collaboratori del Periodico
Libro Settimo - pag. 418

xxx

Continua da pag, 418


(Autore: Bartolo Longo)


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