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1954 Orfanotrofio

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*1887 Orfanotrofio - Centro Educativo "Beata Vergine del Rosario" (Pompei - NA)
Suore Domenicane Centro Educativo Beata Vergine - Piazza Bartolo Longo, 1 - 80045 Pompei (NA) "Campania" tel. 081/8577404 - 401 - 402 - 405
e-mail: cobverginepompei@libero.it
L'Opera fu inaugurata il 7 maggio 1887, sorgeva accanto al Santuario, venne poi trasformata in un nuovo edificio inaugurato nel 1954.
Ora denominata "Centro Educativo B. Vergine del Rosario", è stata completamente rinnovata ed adeguata alle esigenze moderne.

*Fondazione del Centro Educativo "Beata Vergine del Rosario"

Dall’Agenda dell’Anno 1987 per il Centenario dell’Orfanotrofio Femminile 1887-1987
L’orfanotrofio femminile della Beata Vergine del Rosario. Storia dell’edificio
Nel novembre 1886 l’Avv. Bartolo Longo istituì due Asili infantili, per bambini e bambine pompeiani, e costruì accanto al Santuario due corridoi con sale vaste, aerate ed adatte allo scopo.
Su queste sale e su questi corridoi fu nel 1887 costruito un piano superiore destinato ad accogliere le prime orfanelle.
La prima sala, capace di 15 fanciulle, venne inaugurata il giorno della festa del Rosario, nell’Ottobre di quel medesimo anno 1887.
Crescendo intanto ogni giorno il numero delle ricoverate, si cominciò ad ampliare d’un piano dopo l’altro il vasto fabbricato.
E nel 1889 avendo il Barone Francesco Compagna, Senatore del Regno e Gentiluomo di S. M. la Regina, offerto per una grazia ricevuta, la generosa somma di lire 20.000 a beneficio delle orfanelle, pensammo di costruire una seconda camerata per altre 15 fanciulle orfane e derelitte.
Così nelle feste del maggio 1890 la nuova camerata venne solennemente inaugurata ammettendovisi non già 15, ma 20 bambine: e così, a serbare perenne la memoria del magnanimo Gentiluomo, fu questa nuova sala chiamata dal nome di un suo figliuolo defunto, “Sala Gerardo Compagna”.
Nel medesimo anno 1890 sul fronte meridionale dell’orfanotrofio venne costruito ed inaugurato l’Osservatorio Meteorologico Vulcanologico.
Nel 1891 le orfanelle crescevano sempre più di numero; e, non potendo più contenerle il fabbricato già fatto, né volendosi, per difetto di luogo, lasciar morire di fame tante altre
povere bambine orfanelle che domandavano ricovero, si determinò di occupare le sale degli Asili e le Scuole delle fanciulle pompeiane, già aperte nel 1886.
Così le orfanelle, cresciute di numero, occuparono tutte le sale, anche quelle già ordinate per gli Asili; e l’Avv. Longo fu costretto ad edificare nuove sale per le Scuole femminili e per Asili infantili.
Queste nuove Scuole femminili e nuovi Asili infantili vennero inaugurati il giorno memorabile del 29 Maggio dell’anno 1892, con la prima festa civile per i Figli dei Carcerati: e fu in quel giorno aperta eziando (anche) la grande cucina e il gran refettorio delle Orfanelle.
Non si era mancato poi di costruire sul lato  che guarda l’Occidente, una lunga sala per uso di Infermeria, indispensabile ad ogni comunità.
Sennonchè  fanciulle inferme allora non ve n’erano, e intanto continuavano a venire nuove domande per nuove ammissioni.
Avvenne perciò che anche questa sala d’infermeria fu tosto invasa da un buon numero di orfanelle che non si ebbe cuore di respingere.
Ma intanto l’infermeria è indispensabile in un grande Istituto: ed ecco costruita come per incanto una vasta e bellissima infermeria sul lato meridionale, e propriamente sul braccio unaugurato nel Maggio 1892 per uso di Scuole e di Asili Infantili.
La nuova costruzione per l’infermeria delle orfanelle venne inaugurata nell’ultima domenica di Maggio del 1893, in quel giorno della Festa Civile, in cui si inaugurò il provvisorio Ospizio Educativo Bartolo Longo per accogliere la prima schiera dei figli dei carcerati.
Finalmente nell’ultima Domenica di Maggio del 1884, giorno faustissimo in cui furono solennemente aperte ancora due nuove sale dell’Ospizio Educativo Bartolo Longo, e furono presentate ai numerosissimi intervenuti  40 Figli di Carcerati, si inaugurava un nuovo braccio dell’Orfanotrofio Femminile.
Così rapidamente venivasi ampliando, all’ombra dello splendido Santuario della Vergine , l’Edificio grandioso, ove acerbissimi dolori sono confortati e dove trovano sicuro, mercè la carità grande di questo nostro secolo, le fanciulle più misere e più sventurate.
Bartolo Longo racconta
L’orfanotrofio femminile della Beata Vergine del Rosario. Scopo dell’Istituzione
Nell’interno del monumentale Santuario della Vergine del Rosario in Valle di Pompei, e propriamente a sinistra di chi entra nel Tempio, sorge un’Orfanotrofio femminile, fondato dal Comm. Avv. Bartolo Longo e dalla Contessa Marianna De Fusco, sua consorte.
Esso toglie il titolo alla Vergine del Rosario di Pompei e raccoglie gratuitamente le bambine orfane di ambo i genitori, povere ed abbandonate, dall’età di quattro anni a sei anni, di ogni parte d’Italia e dell’Estero, le quali diseredate dal bacio materno e dalla materna cura e sorveglianza, vanno per le pubbliche vie, esposte ai pericoli e alle seduzioni del vizio.
La origine di esso rimonta al giorno indimenticabile dell’8 Maggio 1887, in cui la taumaturga Vergine del Rosario, incoronata, entrò trionfalmente nel suo tempio a prendere possesso della sua Casa di elezione; e venne così elevata sopra il Trono monumentale formato di bronzi, di oro e di marmi preziosi eretto a lei dall’amore ardente di migliaia e migliaia di figli suoi sparsi per il mondo.
In memoria di quel giorno, che segnò la data del risorgimento della Nuova Pompei, fu pensiero dei Fondatori innalzare accanto al monumento della Fede un monumento della Carità che rendesse testimonianza della carità cristiana del secolo XIX, ispirata dalla Vergine e messa in atto in questa Valle di benedizione.
Ebbero anche i Fondatori quest’altro intendimento: circondare il Trono di Colei, che la Chiesa invoca Madre intemerata e Madre di Misericordia, di una schiera di fanciulle innocenti e infelici, come in un serto vivente di rose e di gigli, le quali sotto il manto della vergine di Pompei trovassero quella protezione e quella salvezza  che a loro nega il mondo.
Essi vollero pure che le schiere d’innocenti ed abbandonate fanciulle qui raccolte e difese da ogni pericolo e da ogni bisogno, formassero la Corte eletta della Regina delle Vittorie; e mattina e sera la onorassero ed invocassero col dolcissimo saluto dell’Angelo, intrecciando ai suoi piedi corone di mistiche rose, e pregando per i loro benefattori.
L’apertura dell’Opera ad una nuova emergenza sociale: le figlie dei divorziati
Le Opere annesse al Santuario di Pompei sono una conferma della validità ed attualità del carisma del suo Beato Fondatore.
Il messaggio di Bartolo Longo non è disincarnato dalla storia né avulso dalle miserie della città terrena, ma raggiunge l’umanità nel suo dolore per asciugarne le lacrime e caricarsi delle sue pene. Un cristianesimo che non entrasse nel vissuto quotidiano dell’uomo per condividerne le sofferenze rimarrebbe senza incidenza e sarebbe condannato alla sterilità.
Gli scritti del Beato sono una sorgente di luce e ci aiutano a scoprire la carità che divampa nel suo cuore: “O fratelli e sorelle! Per cinquant’anni e più… io non mi sono mai stancato di pregare per ogni dolore, per ogni affanno, per ogni calamità.
Era la preghiera di un povero peccatore, è vero, ma era pure un desiderio sincero, una brama ardente dell’altrui consolazione… confidando nell’onnipotenza di Dio e nell’intercessione della sua Madre divina” (Dal Testamento spirituale).
Ma cogliamolo nel suo primo ripensamento dopo gli errori giovanili: “ Per riparare al mal fatto in quel periodo di pregiudizi e di lotte anticlericali… sentivo una brama, che era un’angoscia, uno spasimo, di agitarmi, di lavorare, soprattutto di scrivere, per promuovere il Regno di Dio”.
E per scrivere bene tornò a scuola.  Confortato dal consiglio dell’abate Vito Fornari, e da lui introdotto, si rivolse alle menti più elette che illuminarono Napoli nella seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, il Card. Alfonso Capecelatro, il Card. Giuseppe Prisco, il Prof. Leopoldo Rodinò.
Dieci anni di apprendistato dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza. Era però ben lungi dal prevedere che tutto questo sarebbe stato base per creare a  Pompei un monumento di amore alla Regina dell’amore.
Ma a destargli nell’animo l’imperativo del “caritas Christi urget nos”  furono i santi del tempo, il Padre Ribera, redentorista, il Padre Radente, domenicano, il Padre Melecrinis, gesuita e in modo particolare, il Padre Ludovico da Casoria, il “San Francesco redivivo” che riempiva  di fuoco la città di Napoli, Bartolo Longo accompagnato dal marchese Imperiali lo vide per la prima volta nella cappella delle fanciulle more al Tondo di Capodimonte e restò folgorato dal suo sguardo, dalla sua figura ascetica, dal suo tratto squisito e decise da quel momento di averlo come maestro e guida per i suoi progetti di apostolato a Pompei.
Dopo la sua morte scriverà “… quest’uomo straordinario, questo povero che ha beneficato più di qualunque ricco… quest’uomo di Dio che ritraeva nella sua mente Francesco d’Assisi, e nel suo cuore Vincenzo de’ Paoli, appartiene alla storia di Valle di Pompei, poiché egli è stato il nostro Maestro nella carità quale è richiesta dai tempi nuovi, cioè dalla beneficenza educatrice”.
Padre Ludovico non vide le Opere di Pompei, morì due anni prima della fondazione dell’Orfanotrofio, ma guidò i primi passi di Bartolo Longo nella valle di Maria, e dal cielo continuò ad assisterlo e a ricordargli: “La carità, oh! Quanto è bella la carità verso i fanciulli poveri”.
Il 7 maggio del 1987 segna cento anni da quando la prima orfanella, la veneziana Maria, venne a Pompei. Quanto cammino ha fatto da allora questa prima “creatura” di Bartolo Longo!
Le prime orfanelle conseguivano il diploma di scuola elementare (non era poco allora): poi si preparavano alla vita completando la loro formazione con un buon corredo di cognizioni e di virtù che dovevano fare di loro delle buone madri di famiglia.
Vennero in seguito la scuola media, la media superiore, e oggi, a quelle che lo desiderano, di accedere alla scuola statale per altri indirizzi di studio. Opportunamente conseguivano il diploma di stenodattilografia, di musica e non mancavano corsi di taglio, cucito e ricamo.
Gli Istituti pompeiani, secondo la mente del Fondatore, hanno sempre ospitato orfani della natura a della legge.
Negli ultimi anni, tuttavia, nuove emergenze sociali hanno “ imposto” l’apertura ad un’altra categoria di emarginati: i figli dei divorziati.
Il divorzio, infatti, ha creato una terza categoria di orfani, la più infelice e la meno reclamizzata.
Li chiamano “orfani bianchi” e sono le vittime dell’egoismo di chi mai avrebbe dovuto privare i propri figli del calore della famiglia. Alla morte ci si rassegna, al carcere di può dare una giustificazione, ma nessuna motivazione può giustificare l’abbandono dei figli.
“L’urto emotivo dei figli dei divorziati è molto più violento di quello che nel fisico procura la paralisi”(Kenneth Johnson).
Essi soffrono più di un orfano, si sentono messi da parte, dimenticati e traditi. Il loro equilibrio psichico può essere turbato per sempre.
Questa categoria di emarginati il Santuario di Pompei, interpretando il pensiero del Fondatore, ha accolto negli ultimi anni. Essi sono circa il 30° delle presenze  nei nostri Istituti (1987).
Ě stato certamente Bartolo Longo ad ispirare un gesto così lungimirante, perché lui dal cielo, presso il trono della regina delle Vittorie, continua a vegliare, amare, e proteggere le sue Istituzioni.
Lo aveva promesso solennemente agli associati, prima di morire: “Vada la vostra preghiera per le mie sofferenze, per i bisogni dell’anima mia; vadano le vostro nobili oblazioni per il popolo dei miei figliuoli, per quelli che ora vedo e benedico, per tutti quelli che verranno un giorno e che io amerò con più perfetto amore, quando si saranno chiusi questi occhi mortali” (Dal Testamento Spirituale.
(Raffaele Matrone)
Le Opere di beneficenza sono la prima attuazione della Pace universale
(Il commento di Bartolo Longo a quasi 15 anni dall’inaugurazione dell’Orfanotrofio femminile)
Oltre del Tempio Pompeiano, che nella sua origine, nella sua edificazione, nel suo dilatarsi, nei suoi effetti Educatrice, che gli fanno corona, come altrettanti raggi luminosi di uno splendidissimo centro, sono l’espressione di una concordia e di una Pace universale.
L’Orfanotrofio delle fanciulle povere ed abbandonate si appoggia materialmente e moralmente al mondiale Santuario della Vergine di Pompei da cui piglia il nome; ed accoglie orfanelle di ogni nazione.
Non guarda ove esse sieno nate, sia in Italia, sia in Francia, sia in Germania, ma le accoglie tutte purché bambine, orfane di ambo i genitori ed abbandonate.
L’Orfanotrofio della Vergine di Pompei deve la sua origine, il suo ampliarsi, il suo crescere, il suo perfezionarsi alla carità universale e alla fratellanza dei popoli, che con amore veramente fraterno, da tutti i luoghi del mondo hanno mandato qui il loro obolo.
Ma il più meraviglioso si è che questo Orfanotrofio, inaugurato l’8 Maggio 1887, in meno di 15 anni ha potuto, senza alcuna rendita e senza alcuna sovvenzione certa di Municipii, di Provincie,
e di Ministeri, salvare 360 orfanelle misere ed abbandonate di ogni Paese. Ed in che modo ha potuto accoglierne un sì gran numero?
Con l’offerta spontanea che ogni giorno queste creature si aspettano da persone che esse non conoscono, da città ignote loro persino di nome.
Senza di queste offerte giornaliere, spontanee, costanti, affluenti, come se una folla di Angeli ogni giorno scotesse i cuori degli uomini a spedirle qui, esse morrebbero di fame e di freddo.
E l’offerta spontanea, aspettata da queste povere innocenti creaturine, perviene quotidianamente in guisa da potere dare ad esse il pane tre volte al giorno, nonché il vestito e l’educazione.
E questo pane quotidiano, questo sostentamento e vestito non vengono solamente dall’Italia, non solamente dalle Nazioni d’Europa, ma persino dalle Americhe, dalle Indie, e perfino dalla Cina.
Questo fatto nuovo di una carità mondiale dura costante da 15 anni; e non vi è stato mai un giorno solo in cui le nostre Orfanelle siano rimaste digiune.
Inoltre questa Opera è nuova anche nel suo esplica mento, perché per essa tante infelici e miserabili creature diventano figlie di famiglie agiate e talvolta ricche; e ciò costituisce una caratteristica tutta speciale dell’Orfanotrofio pompeiano che spesso rende le misere orfanelle da diseredate ereditiere, e da rifiuto della società oggetto di tenerezza e di amore per tante famiglie che le adottano.
Onde è avvenuto che nel corso di pochi anni ben 196 di queste Orfanelle sono state adottate per figlie da agiate ed oneste persone.
Ora non direte che il sentimento della fratellanza, dell’amore, della concordia è istillato diffusamente negli animi per mezzo di quest’Opera pompeiana, e che per essa si sperimentano  i benefici effetti della pace?
Similmente tutte le altre Opere educatrici che abbiamo qui fondate per il novello popolo pompeiano, e la vita materiale e civile di tante famiglie di operai sono un prodotto e si sostengono per la carità del mondo che non guarda a Paesi, ma ha per origine un medesimo amore, un medesimo desiderio, la Carità, la Fratellanza, la Pace.

*Le prime Orfanelle

Anno dopo anno, la catena delle Opere Pompeiane, strenuamente volute e sostenute dai coniugi Longo, contro tutte le avversioni e prevenzioni anticlericali di quei tempi, ha già cento anelli.
Il primo anello della istituzione dell’Orfanotrofio, porta la data dell’8 maggio 1887, ed il Beato Bartolo Longo scriveva: "… nel mese delle rose e dei fiori ebbe principio l’opera salvatrice di anime innocenti abbandonate, delle povere orfanelle, cioè d’ogni parte d’Italia, sorse l’Orfanotrofio della Vergine di Pompei".
(Arch. B. Longo, Bozze di stampa. Fasc. n° 33)
Con questa istituzione i coniugi Longo intendevano raccogliere attorno al trono della Madonna, una schiera di fanciulle innocenti ed infelici, affinché trovassero quella protezione che il mondo gli negava, in tal modo ben si addiceva a don Bartolo quanto sta scritto nel Salmo 9: "A te furono lasciati in retaggio i poveri; tu sarai il soccorritore degli orfanelli".
Nel programma delle feste del 1887, faceva presente che una città cominciava veramente ad esistere quando oltre la Chiesa, e tutte le opere necessarie alla vita civile, vi prospera la
beneficenza: "Una beneficenza che raccogliendo chi era privo di vitto e di dimora, fosse come il germe della salutare carità cristiana, Preghiera, Lavoro, Carità, ecco le tre forze vivificatrici della città; e poiché le due prime vibrano costanti nella rinata Pompei, era uopo che anche la terza facesse sentire i suoi dolcissimi effetti" (Calend. Sant. Di Pompei, 1896, p. 98).
Le origini dell’Orfanotrofio, risalgono come innanzi detto, al lontano 1887, giorno della Incoronazione della Vergine del SS. Rosario, ed in quel giorno venne accolta anche la prima orfanella, Maria, una veneziana.
Successivamente ne furono accolte altre quattro: Caterina da Napoli, Stella da Nola, Agnese da Boscoreale, Maria da Scafati.
Il giorno 2 ottobre 1887, giorno della recita della Supplica, le orfanelle erano già 15 e di esse cinque fecero la prima comunione.
Crebbero di Anno in anno e nel 1891 fu ricoverata una bambina di tre anni, Luca Palma, nata nelle carceri di Potenza il 26 marzo 1888 da ignoti genitori.
Sin dalla fondazione dell’Orfanotrofio, consigliata ai Fondatori anche dal Servo di Dio P. Giuseppe M. Leone, Redentorista, insieme alle orfanelle furono ricoverate anche le figlie di carcerati, infatti, alcune furono ammesse sin dal 1891; la prima fu Margherita Tedesco.
Bartolo Longo su Il Rosario e la Nuova Pompei portava a conoscenza dei benefattori tutto di questa nuova istituzione, che non aveva rendita alcuna e sovvenzioni né da Municipi, né da Province, né da Ministeri, ma solo la carità quotidiana e privata degli Associati.
Il sostegno materiale non venne mai meno sia da personalità religiose e laiche, sia da moltissimi ignoti benefattori, e non solo in denaro, ma tutto quello che era necessario al mantenimento dell’Opera. Anche numerosi medici e clinici illustri offrirono la loro opera; così anche farmacisti e droghieri non furono da meno. L’Avvocato commentava questa continua disponibilità come il "miracolo quotidiano della carità".
Le spese che si sostenevano per l’Orfanotrofio erano ingenti, e Bartolo Longo non mancava di annotare e registrare tutto con severa scrupolosità. Nel Calendario del 1894, pubblicazione iniziata nel 1889, Bartolo Longo scriveva: "… hanno il pasto tre volte al giorno!
E ciò che è più meraviglioso, nel corso di sette anni non vi fu mai un sol giorno, in cui ad esse fosse mancato non il pane, ma la minestra, anzi la colazione tanto necessaria nell’età infantile".

*Il primo edificio
Nel novembre 1886, Bartolo Longo aveva istituito due Asili Infantili per bambini e bambine pompeiani ed aveva costruito accanto al Santuario due corridoi con vaste sale atte a tale uso. Su queste due sale e su questi due corridoi, nel novembre 1887 fece costruire un piano superiore destinato ad accogliere le prime orfanelle. La prima sala capace di accoglierne 15 venne inaugurata nell’ottobre del 1887.
Nel 1889, l’Avvocato annunziò di aver comprato a caro prezzo un suolo confinante con l’Orfanotrofio per fabbricare nuove sale con cucina, lavanderia, forni, spanditoi, vaccheria, giardini d’infanzia ed altro.
Nello stesso anno, a beneficio di questa nuova istituzione, il barone Francesco Compagna di Corigliano Calabro, offrì per le orfanelle lire ventimila, ed il 5 maggio dell’anno successivo venne inaugurata la nuova sala denominata "Sala Compagna".
Nel 1891 per il numero sempre crescente delle orfanelle, le sale degli Asili e le Scuole delle fanciulle pompeiane (aperte nel 1886) furono occupate dalle orfanelle, e nuove Scuole femminili e nuovi Asili infantili furono in seguito costruiti ed inaugurati il 29 maggio 1892, giorno della prima festa civile dei figli dei carcerati; in quel giorno venne pure inaugurato un grande
refettorio con annessa cucina per le orfanelle.
Bartolo Longo in questa sua febbrile attività non aveva tralasciato la cura della salute delle sue ricoverate, e fece costruire sul lato occidentale dell’Istituto una lunga sala per uso infermeria, cosa indispensabile ad ogni comunità. Senonché, allora, fanciulle inferme non ve ne erano, mentre continuavano a pervenire nuove domande di ammissione.
Avvenne pertanto che anche questa sala d’infermeria fu presto invasa da un buon numero di orfanelle, che il Beato non ebbe il cuore di respingere. L’infermeria, fu costruita sul lato meridionale, sul braccio inaugurato nel maggio 1892, in una vasta e grande sala.
Al fine di evitare le speculazioni che si andavano facendo sull’Orfanotrofio e sulle fanciulle, Bartolo Longo diramava frequenti avvisi ai fedeli, a diffidare da persone poco oneste, che si qualificavano collettori a nome del Santuario di Pompei per la raccolta di offerte a pro delle orfanelle e dell’Orfanotrofio.
Non tralasciò di chiedere alla Società Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo, che allora gestiva le Ferrovie, le concessioni di viaggio ferroviario per i suoi istituti, cosa che gli venne concessa.
La nuova Istituzione fu oggetto di visite da parte dei numerosi personaggi dell’epoca: reali, prelati della chiesa romana, capi di governo, ministri, parlamentari, studiosi. Tra le tante visite non può essere dimenticata quella che fece il 22 giugno 1887, il più grande missionario dell’Africa, il Cardinale Massaia.

*Il nuovo edificio
La continua richiesta di ammissioni non è venuta mai meno neanche dopo la morte del Fondatore (1926) e nei decenni che sono seguiti.
Nuove situazioni sociali: separazioni di coniugi, abbandono di minori, resero necessaria la costruzione di un nuovo edificio realizzata dal Prelato del tempo, Mons. Roberto Ronca.
La posa della prima pietra avvenne il 16 aprile 1951 e la costruzione fu ultimata solo nel 1954.
L’inaugurazione fu presieduta dal Cardinale Adeodato Piazza e il passaggio delle orfanelle dal vecchio al nuovo Istituto avvenne nel giorno della festa di Cristo Re, il 31 ottobre 1954.
Bartolo Longo aveva certamente un innato senso organizzativo; ogni suo atto, ogni sua Opera, erano destinati a rimanere memorabili.
Volendo assicurare vita lunga all’Orfanotrofio diceva: "A che debbo affidare le mie orfanelle del Rosario di Pompei? Dovendo io morire, debbo lasciare chi mi succeda nell’opera di educazione delle orfanelle", e per questo motivo fondò una Congregazione di Suore con la Regola del Terzo Ordine di San Domenico.
Esse da allora hanno provveduto con grande abnegazione alla istruzione, educazione e cura del corpo e dell’anima delle orfanelle.

*La carità è amore
Non possiamo alla fine di questo primo secolo di vita e all’inizio del secondo, dimenticare gli innumerevoli benefattori che nel tempo hanno reso possibile, con le loro premure ed offerte, ad alcune migliaia di ragazze di poter aspirare ad una vita dignitosa.
Ad essi il grazie della Famiglia Pompeiana e quello particolare delle orfanelle.
Auguriamo infine, all’inizio di questo secondo secolo di vita, che la protezione della Vergine Santissima, unita a quella del Beato Fondatore possa far fruttificare ogni bene possibile non solo alle assistite ma anche a tutti quelli che collaborano a questa istituzione provvidenziale.
(Autore: Aniello Cicalese)
"Da il Rosario e la Nuova Pompei di gennaio – febbraio del 1987"

*Testimonianze - Le Orfanelle raccontano
Antonietta Della Valle - 1987
Sono Antonietta, da 48 anni faccio parte di questa grande famiglia del Santuario. All’età di 8 anni ero rimasta sola nella mia casetta: i miei genitori erano morti e il mio unico fratello già lontano da molti anni. Il sindaco di Castel  Morrone, si interessò al mio caso e decise di condurmi nell’Istituto di Pompei.
Ricordo ancora con grande emozione quel 28 maggio 1938: “La Mamma celeste” mi accoglieva nella sua Casa, che il Beato Bartolo Longo aveva fatto costruire per dare a noi orfani una famiglia.
Entrata in questa oasi mariana, ero felice di vivere fra tante “sorelline”, amavo molto la vita comunitaria. Ma dopo due mesi si manifestarono i primi sintomi di una malattia di nervi, per la quale ogni cura fu inutile. Devo alla bontà e alla comprensione delle mie Suore se riuscii con
grande sforzo a completare le scuole elementari. A 13 anni, per consentirmi maggiore libertà e cure più intense, mi trasferirono nell’infermeria esterna, la cosiddetta “Casina”.
Lontana dalle mie amiche, riassaporai le amarezze della solitudine, ma trovai tanta comprensione ed affetto da parte dei Prelati: Mons. Rossi, Mons. Celli, e soprattutto Mons. Di Pietro, in seguito anche da Mons. Signora, i quali ogni giorno venivano nel giardino per recitare il breviario e trattenersi con noi. Madre Cecilia Pignatelli, Superiora dell’Istituto, lasciava la scuola a mezzogiorno per venire a rendersi conto del nostro stato di salute. Ebbene, nonostante fossi circondata da tante premure, non ero felice. L’unico sollievo lo trovavo nella piccola Cappella dove frequentemente mi appartavo; era lì che trovavo forza e coraggio per andare avanti.
Il mio “esilio” nella Casina durò 10 anni.
Riammessa tra le mie amiche mi sentii rinata, mi accolsero fra loro come una sorella maggiore e l’affetto scambievole si cimentò a tal punto che ancora oggi, dopo tanti anni, ci scriviamo e scambiamo inviti che spesso riescono anche a realizzarsi. Così, nel tempo, la nostra amicizia nata nella casa della Madonna si allarga e si conferma sempre più.
Oggi sto vivendo un’esperienza nuova e molto bella nell’Ufficio Beneficenza. Collaboro con Mons. Raffaele Matrone che si interessa alla vita degli Istituti e alle ammissioni di tante bambine e bambini che, come me, hanno bisogno di una casa, di una famiglia. In questo lavoro spero di poter fare qualcosa per quanti nella vita sono stati segnati dalla sofferenza e dal dolore e soprattutto testimoniare il mio affetto e la mia riconoscenza a quanti mi sono stati vicini. (Antonietta Della Valle)
Sr. Maria Rosalia Giannotti - 1987
Nel 1952 sono stata accolta a Pompei, dalla lontana Calabria, perché orfana di mamma e papà.
Con la morte di papà, avvenuta quando avevo appena sei mesi, mia madre si impegnò con tutte le proprie forze ad accudire me e gli altri quattro piccoli indifesi fratelli. Il dolore della perdita di
papà e il lavoro più intenso furono successivamente la causa  della sua prematura dipartita da questa vita all’Altra. Rimanemmo con la nonna materna e il suo amore per la figlia che aveva perso si riversò su di noi che ne eravamo il ricordo più palpabile.
Intanto crescevo, ma non mi andava di restare continuamente chiusa in casa. Un giorno era la domenica delle Palme, sono scappata da casa percorrendo a piedi scalzi alcuni chilometri. Verso sera ho bussato ad una porta per chiedere rifugio e mi ha accolto una signora che non conoscevo. Le vie della provvidenza sono davvero infinite!
Questa signora, Maria Angela Salerno, era la Presidente dell’Azione Cattolica del luogo e proprio nel momento in cui bussavo alla sua porta stava leggendo il Periodico “Il Rosario e la Nuova Pompei”. Dopo avermi fatto rinfrescare mi riaccompagnò a casa dicendomi che mi avrebbe aiutata e avrebbe fatto del tutto per portarmi a Pompei.
Dopo aver preparato i documenti, il 28 ottobre 1952, la Madonna mi ha “aperto” le porte della sua casa. Finalmente ero al sicuro!
Dopo pochi mesi mi raggiungeva a Pompei Pina, una delle mie sorelle. A Pompei ho trovato veramente cuori aperti all’amore. Ho trovato le Suore che hanno cercato di rendermi meno triste la vita, mi hanno accudita, mi hanno fatto da mamma.
Ho trascorso anni felici e belli con le mie compagne e mia sorella, tra studio, gioco, lavoro e preghiera. A 16 anni ho cominciato a pensare alla mia vita futura; sentivo forte l’amore per i fratelli, particolarmente per i più bisognosi: Pensavo spesso: che cosa mi sarebbe potuto accadere se fossi rimasta nel mondo sola, senza una guida, un sostegno? Guardavo alle mie compagne più piccole, ammiravo le Suore che si prodigavano per noi, sentivo dentro di me una spinta a continuare l’opera di Bartolo Longo. Pensavo: avevo trovato a Pompei anime generose pronte ad aiutarmi, perché non imitarle? Sentivo pure forte il desiderio di mettere su famiglia, ma ho scelto di più, l’Unico Amore capace di soddisfare veramente l’animo umano. Le anime consacrate non sono destinate ad un amore settoriale come avviene nella vita matrimoniale, ma ad una fecondità spirituale sconfinata che abbraccia l’intera umanità.
Felice, ho abbracciato questo stato di vita: sono Suora dal 1965 e ho offerto il mio contributo sia negli Istituti di Pompei, sia in altri luoghi ove la Congregazione delle Suore fondate da Bartolo Longo ha nel tempo assunto altri impegni.
Ora mi trovo a Santa Maria Capua Vetere, insegno nella Scuola Primaria, faccio la catechesi agli adolescenti, guido la Liturgia, porto Gesù ai malati e lavoro con i giovani. (Sr. Maria Rosalia Giannotti)
Boccia Consiglia - 1987
Era il 27  aprile del 1976 quando morì mia madre, e insieme a lei anche le mie speranze: così sembrava all’inizio, e avevo solo 9 anni. Rimasta sola – ero la più grande – dovetti accudire mio padre e tre fratelli e anche se inesperta dovetti imparare a fare da mamma e ad assumermi la responsabilità della casa.
Furono giorni duri e nonostante tutti i miei sforzi per essere una buona donnina di casa, ero solo una bambina. Tutto intorno sembrava buio, quando d’improvviso sembrò che il sole volesse di nuovo splendere sulla nostra casa.
Venimmo a conoscenza dell’esistenza degli Istituti Pompeiani e mio padre decise di affidarci alle Suore di Pompei, fondate da Bartolo Longo. Così giunsi in mezzo ad altre bambine più o meno provate come me, da dolori e privazioni grandi. Ma c’erano tante brave Suore che colmarono con l’affetto il vuoto dei nostri cuori e mi aiutarono ad inserirmi in questo nuovo ambiente dove sono cresciuta e maturata.
Ho 19 anni e ne ho trascorsi 10 in questo Istituto a me tanto caro. Ora ho nel cuore tanti desideri e progetti che spero potrò realizzare grazie agli aiuti ricevuti.
Ho conseguito il Diploma di Scuola Magistrale e quello di dattilografia; attualmente mi preparo per il concorso di Scuola Materna ed occupo il mio tempo libero rendendomi utile all’Istituto ed aiutando le più piccole.
Sono veramente contenta e mi ritengo fortunata per essere cresciuta a Pompei in questo Istituto, in mezzo a tante Suore, che si sono prodigate e sacrificate per me e dalle quali ho imparato a vivere, capire, pregare, sperare e amare.
Gli Istituti fondati dal Beato Bartolo Longo sono ancora oggi segno vero di carità e di promozione umana verso tanti bambini bisognosi. Un doveroso grazie, quindi, al Beato Fondatore, alle Suore, e ai Benefattori che con il loro aiuto ci danno la possibilità di essere come tutti gli altri ragazzi, fiduciosi nel domani, sicuri e preparati per la vita.
Alla Regina del Rosario rivolgo la mia preghiera per tutti quelli che hanno contribuito a rendermi una persona felice. (Boccia Consiglia)
Sr. Maria Ersilia Tambasco - 1987
All’età di 5 anni, in soli tre giorni, persi entrambi i miei genitori. Fui costretta ad andare presso uno zio che si prese cura di me. Alla sua decisione di volermi portare a Pompei seguì una mia reazione non estremamente positiva ma lui, quasi con accento profetico, mi disse: “Andrai a Pompei e diventerai Suora”.
Ora sono 45 anni da che ho vestito l’abito delle Suore Domenicane di Pompei. Mi sentii chiamata alla Vita Consacrata già in giovanissima età e rifiutai pertanto tutte le buone occasioni per andar via dall’Istituto. La Madre Direttrice, dopo le scuole elementari, volendo valorizzare le mie capacità, mi diede l’incarico di assistente per una sezione di bambine più piccole. Dopo sono stata insegnante nella Scuola Materna, mansione che non ho mai lasciato e che ancora esercito con i più piccoli all’Istituto Sacro Cuore.
Chi meglio di me può comprendere e dare affetto a questi bimbi innocenti che come me e peggio di me hanno fatto la triste esperienza del dolore? Un grazie di tutto cuore vada alla Madonna, al Beato Bartolo Longo, a tutti i Superiori e Benefattori che mi hanno aiutato e sostenuto in questi non pochi anni. (Sr. Maria Ersilia Tambasco)
Luisa Garofalo – 1987
All’età di un anno persi papà. Mia madre rimase sola con sei figli da crescere. Non era certo una cosa facile perché il lavoro non le permetteva di stare con noi.
Dopo alcuni anni, mia madre, consigliata dal Parroco del paese, decise di portarmi a P
ompei in uno degli Istituti fondati dal Beato Bartolo Longo. Ricordo con velata tristezza il giorno che mia madre mi accompagnò, ma quando restai in compagnia di tutte le bambine della mia età il mio cuore si illuminò.
Tutte erano ansiose di conoscermi e fare amicizia con me. Fui contenta perché qui trovai un clima familiare, anche se qualche volta litigavamo, cosa comprensibile tra bambine della stessa età. Così tra giochi e scuola crebbi. Gli anni passavano e mi trovai tra i banchi della Scuola Media.
All’ultimo anno, come tutte le mie amiche, dovetti prendere una decisione sul tipo di scuola che avrei dovuto frequentare successivamente.
Sentivo che le lingue mi affascinavano e il mio desiderio di frequentare il Liceo linguistico cresceva sempre più con il passare del tempo. Ne discussi con la Superiora.
Ella ne parlò con i rispettivi Superiori i quali acconsentivano alla mia proposta solo nel caso in cui fossi stata promossa brillantemente.
A scuola ero in gamba e conseguii la terza media con ottimi voti. La cosa era andata e non potete immaginare la mia gioia  quando mi fu detto un sì ufficialmente. Mi iscrissi quindi al Liceo linguistico, sembrava quasi un sogno ma ben presto mi accorsi della necessità di dover studiare con impegno.
Ora frequento il secondo anno e spero un giorno di poter indossare la divisa da hostess e fare il mio primo volo.
Mi ritengo fortunata perché nessuna delle mie amiche fin’ora aveva potuto frequentare una scuola esterna.
Sento quindi il dovere di ringraziare per tutto ciò la Vergine SS. E il Beato Bartolo Longo che mi hanno dato la forza, giorno dopo giorno, e guidata per la giusta via.
Desidero anche ringraziare il Vescovo, Mons. Domenico Vacchiano, Mons. Raffaele Matrone e Mons. Baldassarre Cuomo, le Suore e tutti i Benefattori che attraverso il loro aiuto mi hanno permesso di realizzare il mio piccolo ma grande desiderio. (Luisa Garofalo)
Gina Verdossi – 1987
Sono nata a San Paulo del Brasile il 2 novembre 1959. Sono la prima di quattro figli: Franca, Enzo e Adele, nati da genitori di origine italiana. A San Paulo eravamo soli ed emarginati, la gente del luogo ci teneva a distanza. Ma la nostra famiglia era unita da un grande bene. La felicità è durata poco, finchè un giorno è venuto a mancarci l’adorabile presenza di nostro padre. Sì, lo adoravo tanto! Da quel triste 15 settembre 1965, è cresciuto dentro di me ed insieme a me un vuoto incolmabile. Dopo soli due mesi, con i miei fratelli e mia madre, distrutta dal dolore e dalla sofferenza, siamo stati rimpatriati ed affidati alle cure di alcuni zii a Cava dei Tirreni.
Eravamo bisognosi di tutto, e dopo un anno l’unica decisione saggia da parte dei parenti è stata quella di portarci a Pompei negli Istituti assistenziali. Ciò avvenne il 27.9.1966. Il momento del distacco da mia madre è stato per me come quello del distacco da mio padre. Troppe esperienze dure per una bambina di soli sette anni!
Ho frequentato la scuola elementare all’Istituto Sacro Cuore. Le Suore che mi accudivano mi sono state di grande esempio, inculcandomi sani principi morali, ma soprattutto il grande senso della preghiera, la quale mi è sempre di conforto. Nel mese di settembre del 1971 mi sono trasferita all’Orfanotrofio femminile, dove sono rimasta per altri nove anni. Qui, il senso del dovere e lo studio approfondito hanno fatto maturare dentro di me un grande senso di responsabilità e ancor di più quello della preghiera, l’unica mia vera amica e compagna nei piccoli momenti di crisi, tipici di ogni fanciulla.
Le Suore mi sono state tutte amiche ed io ho colto da ciascuna di esse la parte migliore. Oggi posso dire di essere in grado di vivere la mia vita in modo giusto e corretto, nonostante le mille avversità.
Ho conseguito il Diploma di Scuola Magistrale e grazie ai consigli delle Suore e di coloro che mi sono stati vicino ho partecipato ad un concorso statale e con l’aiuto di Dio l’ho superato.
Mi è costato molto allontanarmi dalla Casa della Madonna, ma era anche giusto.
Oggi insegno nella Scuola Materna Statale di Pompei, in Via Nolana, ho un’indipendenza economica, amo i bambini perché mi danno grandi soddisfazioni, ma nono riesco a dimenticare quegli anni felici vissuti con le Suore e con tante altre ragazze. Tutte avevano un passato triste, sofferto; ma nessuna amava parlarne, si pensava solo al futuro, si facevano grandi progetti, si sperava in un avvenire sereno e tranquillo, fiduciosi nella Provvidenza divina. Tutto questo per me si è realizzato.
Ringrazio innanzi tutto la Madonna e poi il nostro caro papà, il Beato Bartolo Longo, la cui immagine mi ritorna sempre cara.
A tutti coloro che mi hanno aiutato a superare le difficoltà della vita, un grazie sincero ed una quotidiana preghiera. (Gina Verdossi)
Rosetta Speciale – 1987
Sono Rosetta, mi trovo qui in questo Istituto dal novembre del 1954 e ricordo come fosse ora il viaggio in treno dal mio paese, Sassano in provincia di Salerno, e l’entrata in questo Istituto con la mia sorella più grande, perché morta mamma il nostro papà non poteva mantenere tre figli, a solo 27 anni.
La Madonna mi voleva qui nella sua Casa e permise che io nascessi la notte del 31 ottobre, quando le orfane passarono dal vecchio al nuovo Orfanotrofio.
Ancora mi trovo qui, ho il Diploma di Licenza media, di dattilografia e di ricamo, che per me è
molto importante e sono orgogliosa di aver imparato l’arte del ricamo che mi è utile in molti momenti.
Svolgo il mio lavoro nella Segreteria Generale del Santuario, un lavoro che mi dà modo di conoscere e capire tutti i problemi attuali, tramite le migliaia di lettere che i benefattori scrivono. Posso ben testimoniare che ancora oggi noi orfani viviamo esclusivamente con le sole offerte dei cari benefattori e io ne conosco parecchi (sia pure a distanza); ho imparato i loro nomi e la loro calligrafia e li sento appartenenti alla stessa Famiglia.
I miei Superiori non mi fanno mancare niente; i sacerdoti del Santuario sono per me più che amici dei fratelli. E che dire delle Suore Domenicane, Figlie del Rosario che continuano con amore quest’Opera meravigliosa? Sono per noi come tante mamme e ognuna di noi cerca in molte di loro una sorella maggiore o magari una vera amica. Le cose più belle io le ho scritte nel cuore, sono stata privilegiata in tanti modi; ho perfino la mia bicicletta che mi è di grande aiuto non solo per fare delle passeggiate ma anche per espletare piccoli servizi a chi ne ha bisogno: è un regalo dei miei Superiori.
Perché sono rimasta qui? Mi chiederete. Non so dirvelo! Andare via e lasciare tutto non ne ho il coraggio e poi qui ci sono ancora altre orfane più grandi di me, come Angelina, così dolce e premurosa, Carolina la “nonna”, Caterina, attenta a tutti i miei problemi come una “mamma”, Natalizia, la mia Natalona, la compagna di ogni momento che mi vuole veramente bene e Antonietta, la mia “gemella”.

*Le Divise  delle Orfanelle

Sembrerebbe  anacronistico parlare di divisa in un tempo in cui essa viene rifiutata perché “massificante”.
Però l’uniforme è un necessario distintivo per i membri di un determinato gruppo e può esercitare il suo fascino: più spesso negli “spettatori” che nei “portatori”.
Le istituzioni pompeiane non fanno eccezioni a questa abitudine sociale ed hanno sempre avuto una loro divisa.
Ne vedete illustrate tre che rappresentano, grosso modo, l’evoluzione del vestito dell’Orfanotrofio nei Cento anni di vita.
La prima è degli inizi e reca linee evidenti di abito religioso, forse ispirato alla foggia delle Suore del tempo.
La mantelletta, di sicuro aiuto nel periodo invernale, e la Corona del Rosario, ricordo costante all’Orfano e al visitatore della Casa ospitante.
La seconda è più “giovanile” ma sempre ambientata in un preciso periodo storico, ormai chiuso, che va dalla prima guerra mondiale agli anni 60.

Alcuni piccoli dettagli distinguevano la divisa delle Orfane da quella delle Figlie dei carcerati.
Motivi pedagogici ed esigenze didattiche hanno fatto superare anche questa distinzione nell’abito creando di tutte le alunne una sola famiglia.
Oggi non è coì rigida nei colori e nei disegni e si adegua molto più velocemente ai gusti ed esigenze attuali.
La scuola di taglio e cucito è stata una costante necessità dell'Orfanotrofio femminile: imparare un mestiere ed essere autosufficienti per la confezione di biancheria e vestiti erano le motivazioni di fondo per tale attività.

*Responsabile della Comunità del Centro Educativo "Beata Vergine del Rosario"

Madre Alessandra Adornato (Italiana)
Comunità del Centro Educativo "Beata Vergine del Rosario"
Attualmente le Suore appartenenti alla comunità sono:








Sr. Maria
Adele Martone
Sr. Maria
Assunta Vitiello
Sr. Maria Carmelina De Stefano
Sr. Maria
Carolina Milione
Sr. Maria
Celina Errichiello






Sr. Maria
Celina Recce
Sr. Maria
Deborah Solimeno
Sr. Maria
Domenica
Sr. Maria
Elisabetta Todisco
Sr. Maria
Eufemia Rizzo
Sr. Maria
Fiorenza Massaro






Sr. Maria
Gisella Perera Ind
Sr. Maria
Iolanda Pecoraro
Sr. Maria
Isabella Speciale
Sr. Maria
Leonia Verducci
Sr. Maria
Liliana Matrone
Sr. Maria
Margherita Noto






Sr. Maria
Melania Siciliano
Sr. Maria
Michelina Monda
Sr. Maria
Neve Cuomo
Sr. Maria Nimfa
C. Birondo PH
Sr. Maria
Rosalia Giannotti
Sr. Maria
Terenzia Lepera






Sr. Maria Teresa
B.Magpayo PH
Sr. Maria
Teresita Altieri
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx






Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx
Sr. Maria
xxx

*Il "Centro Beata Vergine del Rosario" e le Suore
“Sono venuta a Pompei per visitare la famosa cittadina con la sua arte, il suo Santuario, le Opere di beneficenza annesse.
Gli Istituti che ospitano gli alunni sono maestosi e belli, ma quello che c’è dentro è qualcosa che mi ha lasciato commossa e pensosa. Un allegro vociare mi ha attirato verso l’Orfanotrofio femminile: come in un mondo di sogno ho visto le piccole della Scuola dell’Infanzia, simili a fiori delicati, allegre, curate, pulite, serene, giocare con la loro Suora.
Poi un atrio immenso, luminoso e accanto la Cappella dove ho trovato tante Suore in preghiera. Sono le Suore fondate dal Beato Bartolo Longo che assistono, educano, istruiscono, formano le ospiti.
Candide nell’abito, angeliche nella voce e nell’atteggiamento mi hanno incantato!
Il grande edificio è caldo, allegro, vivo.
Ho incontrato alcune ragazze con le quali mi sono soffermata a parlare.
Sono tutte ragazze provate dal dolore, con un’angoscia immensa; ma sono serene e contente perché vivono con le loro Suore. Così si sono espresse: “Le Suore sono come le mamme: vivono
con noi; ci educano, ci fanno crescere, ci curano, ci consolano, ci vogliono molto bene. Ci preparano per la società, per la famiglia, per il lavoro. Come avremmo fatto se non avessimo avuto la fortuna di incontrare queste anime generose, che dimenticano se stesse per noi?
Molte volte siamo irriconoscenti, nervose, infastidite dai loro buoni consigli, annoiate dalla vita monotona, ma esse, sempre buone, pazienti, gentili, fanno di tutto per renderci felici. Pregano, lavorano, soffrono senza umana ricompensa, liete di aiutare tutti quelli che soffrono o hanno bisogno di aiuto”.
Alcuni hanno un concetto sbagliato della “Suora” e azzardano giudizi sballati.
Solo conoscendole, osservandole mentre lavorano, pregano; mentre vivono le loro giornate nel silenzio, nell’umiltà, nel sacrificio, si può capire qual è la loro alta missione e che “cuore d’oro” esse hanno.
Quelle che io ho avvicinato mi hanno fatto vivere, per un po’, in un mondo bello, buono, generoso. Molta parte dell’umanità dovrebbe essere riconoscente e grata a queste “Anime Consacrate”.

*News dal Centro Educativo "Beata Vergine del Rosario"
Ti rendo grazie, Signore...
“Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore… A te voglio cantare davanti agli angeli… Rendo grazie al tuo nome per la tua fedeltà e la tua misericordia…” (cfr Sal 138).
Con questi sentimenti di gratitudine al Signore, la comunità del Centro Educativo “Beata Vergine del Rosario” ha festeggiato il 60° compleanno di Sr Maria Isabella e
Sr Maria Debora, il 70° compleanno di Sr Maria Celina Erricchiello mentre Sr Maria Melania ha voluto il silenzio per il suo 80° compleanno.
Purtroppo quel giorno non lo potrà mai più dimenticare, perché il Signore chiamava nella dimora eterna la nostra carissima Sr Maria Alfonsina…
Gioie e dolori fanno parte della nostra vita quotidiana, ma solo la forza della fede ci può aiutare a purificare lo sguardo e i sentimenti del cuore per donarci forza e coraggio nell’accettare la volontà di Dio.
(Autore: Isabella Speciale)

*Nuovi locali per le ragazze accolte dal Santuario

A 110 anni esatti dal giorno in cui Bartolo Longo accolse la prima orfanella (8 Maggio 1887), gettando le basi per la sublime opera di carità che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo, si è svolta l’inaugurazione dei locali ristrutturati del "Centro Educativo Beata Vergine del Rosario".
In un clima festoso e solenne insieme, le ragazze e le bambine, guidate dalle "loro" Suore hanno accolto i numerosi ospiti.
In primo luogo il Cardinale Virgilio Noè, a Pompei per la Supplica, l’Arcivescovo-Prelato Mons. Francesco Saverio Toppi, la Madre Generale, Mons. Cuomo, Mons. Caggiano, il Sindaco di Pompei, i
benefattori delle Opere pompeiane e tanti amici.
Nel suo discorso, il Cardinale ha richiamato l’importanza dello studio volto alla conoscenza della verità rivelata. Ha poi esortato le ragazze a farsi condurre mano nella mano da Gesù e ad avere Maria come compagna di vita, come Madre, come maestra per essere "luce del mondo e sale della terra", secondo il passo evangelico scelto per l’occasione. Ha quindi consigliato loro di avere sempre nelle camerette una immagine di Gesù Crocifisso ed una della Madonna.
Le ragazze, nella preghiera dei fedeli, hanno chiesto a Dio lo Spirito di Sapienza, la realizzazione completa della propria vocazione e la promozione del bene comune.
Allargando poi gli orizzonti a tutta l’umanità hanno pregato perché tutti i ragazzi del mondo possano godere di una educazione autentica ed integrale.
Mons. Acampora, Direttore Generale dei Centri Educativi Pompeiani, nel suo intervento, ha sottolineato la dimensione originaria del progetto educativo pompeiano, progetto ispirato al
principio di "carità educativa" che si concretizza pienamente nel servizio alla persona considerata nella sua globalità, tenendo conto delle situazioni esistenziali in vista di un cammino di formazione e di maturazione integrale.
Ha, dunque, spiegato i criteri sottesi ai lavori di ristrutturazione che hanno seguito la Delibera Regionale n. 91/1 del ’92 che disciplina le strutture socio-educative di carattere residenziale.
"…Il centro Educativo è, nella sua intima dimensione, non solo e non tanto un complesso edilizio ma una vera e propria comunità di persone!
Comunità di "pietre viventi" dove la libertà personale e le scelte dettate dalle proprie inclinazioni rappresentano le grandi sfide di un progetto educativo che vuole rinnovarsi. In questo senso va inteso anche il principio di non dividere i nuclei familiari, consentendo loro di vivere insieme".
Nel mettere in luce la silenziosa disponibilità e l’affetto materno delle Suore le ha ringraziate per come4 incarnano, nella loro vita, l’Ideale di Carità del Beato Bartolo Longo, augurando loro di continuare in questa opera così utile ed importante.
Dopo la benedizione dei locali impartita dal Cardinale, la voce argentina delle giovani ospiti si è levata in un canto di gioia che parlava di "uno stuolo di bianche colombe".
Don Enzo Leopoldo, progettista e direttore dei lavori e l’Amministratore Mons. Pietro Caggiano,
hanno condotto il Cardinale, il Vescovo, il Sindaco e gli altri ospiti a visitare il Centro Educativo che sarà suddiviso in quattro comunità autonome tra loro. Proprio per favorire un sempre più efficace clima di familiarità e dialogicità contro il concreto rischio di massificazione e spersonalizzazione.
Le ragazze delle scuole superiori avranno camere singole e sale per il soggiorno.
Le bambine della scuola media saranno inserite in camere da quattro con sale da studio e da soggiorno.
I piccoli delle scuole materne saranno accolti in gruppi di 6 o 7.
Là dove c’erano grandi camerate ci sono adesso bianchi corridoi ben illuminati dove si affacciano graziose camere4 semplice e funzionali.
Il Cardinale osserva tutto ed, interessato, si informa dei particolari: tutto è stato curato nei dettagli, dalle porte tagliafuoco, all’arredamento interno, dagli impianti di riscaldamento e aerazione all’illuminazione.
Completano i locali del Centro. Un’ampia cappella per le celebrazioni religiose, sale per incontri, un salone polifunzionale ed i servizi di ristorazione.
La gioia degli ospiti era tale che tutti hanno desiderato di tornare al più presto, quando il Centro Educativo B.V. del Rosario sarà in attività, per godere di quel clima sereno e gioioso che sicuramente vi si potrà trovare.
Un ringraziamento, infine, doveroso a quanti sono stati protagonisti dei lavori di ristrutturazione: l’ing. Aniello Falcone per il risanamento statico, gli ingegneri Guido Lanzillo e Biagio Estatico per la progettazione degli impianti di sicurezza ed elettrico.
Le ditte di Enzo Vitiello per i lavori di edilizia, di Bernardo Casciello per i lavori di falegnameria, della GEEP per gli impianti elettrici e di Pietro Torucci per i lavori di pitturazione.

(Autore: L.S.)

*Centenario dell’Orfanotrofio Femminile
Alle radici della Speranza
Il Cardinale Opilio Rossi ricorda che la speranza cristiana esige l’impegno di tutti a favore dei poveri e degli emarginati
Nel Vangelo proclamato in questa celebrazione eucaristica in onore della Vergine Maria, abbiamo ascoltato con devozione l’inno del Magnificat, che è l’Inno del Magnificat, che è l’inno che canta la speranza di Maria.
L’umile fanciulla di Nazareth, promessa sposa ad un povero operaio, sperava la venuta del Salvatore annunciato dai profeti, come la speravano molti in Israele. Gabriele, il messaggero celeste le annunciò il compimento della sua speranza, ma in un modo impensato. Essa sarà la donna prescelta da Dio: "da te nascerà il Salvatore sperato. Nulla è impossibile a Dio".
La risposta di Maria fu di abbandono totale e senza riserva alla parola di Dio, parola di speranza per lei e per il mondo: così il destino suo e di tutta l’umanità veniva segnato per sempre dalla venuta del Salvatore nel suo senso verginale.
Nel Magnificat, Maria esprime la sua gioiosa gratitudine per il privilegio della maternità divina; canta la misericordia di Dio verso coloro che lo temono, proclama l’amore di Dio per gli umili. Maria esalta anche la fedeltà di Dio alle sue promesse di salvezza. Ed anche la Chiesa, ed anche noi, che siamo Chiesa, celebriamo le grandezze e meraviglie che Dio ha operato in Maria, lodiamo l’azione di Dio, padre dei poveri e dei derelitti. Nel Magnificat, Maria riconosce poi la sua pochezza ed umiltà; tutto attribuisce alla gratuità della grazia di Dio, che ha fatto in lei grandi cose. È sorretta dalla speranza nel sentirsi e sapersi salvata; non si compiace in se stessa, ma unicamente nella misericordia e nella potenza di Dio: tutto ha ricevuto come puro dono. "L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata".
Se tutte le generazioni la chiameranno beata, è unicamente perché Dio, nel suo amore, ha posto i suoi occhi sulla umiltà, sulla piccolezza della sua ancella. Forte richiamo per noi: l’uomo per salvarsi non può far affidamento sulle sue proprie forze e gloriarsene; non ha nulla di suo, ma deve unicamente sperare dalla grazia del Signore. Questo è ciò che vale, soprattutto se si pensa che le cose di questo mondo sono effimere, passano. Veramente, alla gratuità assoluta della salvezza, dobbiamo corrispondere con un’attitudine di speranza e di riconoscenza del dono amoroso e gratuito di Dio che salva.
Nel Magnificat, in questo inno che canta la gioia e il giubilo della speranza di Maria, risalta anche la situazione di stridente contrasto tra i potenti del mondo e del denaro e i poveri e gli ultimi della società; e questa discriminazione è contro la volontà di Dio, la giustizia del suo regno, l’annuncio di salvezza e di speranza per tutti. Questo è il significato delle parole del Magnificat:
"Ha dispiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi".
Maria è segno di speranza per la Chiesa e per l’uomo contemporaneo; in preda della paura. Nella Enciclica di Giovanni Paolo II "Redemptor hominis" c’è un paragrafo intitolato: "Di che cosa ha paura l’uomo contemporaneo?". E vi si legge: "L’uomo di oggi sembra di essere minacciato da ciò che produce. I frutti della multiforme attività dell’uomo si rivolgono contro l’uomo stesso. L’uomo pertanto vive sempre più nella paura. Egli teme che i suoi prodotti possano diventare mezzi e strumenti di una inimmaginabile autodistruzione" (n° 15).
Maria è segno di speranza perché "piena di grazia". Maria, segno di speranza vuol dire: segno che orienta verso il futuro, verso il Dio che verrà, verso Colui che ha detto: "Non abbiate paura, io ho vinto il mondo". Maria ci indica il cammino della vera speranza cristiana, impegnandoci al tempo stesso per il regno di Dio e la giustizia nel mondo.
Chiesa siamo tutti noi che formiamo il popolo di Dio. Ciascuno di noi, tutti i credenti, siamo tenuti a costruire ogni giorno la Chiesa come segno di speranza per il mondo. Un mondo segnato dal peccato, dal peccato che è il sommo male e la causa di ogni altro male, anche delle guerre, degli odi, delle ingiustizie, del sottosviluppo. E se, nonostante la redenzione del Nostro Signore, questi mali rimangono, è solo perché l’uomo non vuole lasciare il peccato, abusando della libertà di cui Dio gli fa dono.
Si perpetua così anche la situazione di stridente contrasto fra ricchezza e miseria. Da una parte ingenti beni accumulati e dall’altra popoli sprovvisti dei mezzi necessari per condurre una vita degna dell’uomo e indispensabili per sopravvivere.
Al tempo stesso però il mondo prende sempre più coscienza della fratellanza universale e della urgenza di cambi nelle istituzioni onde superare le discriminazioni oppressive i instaurare la compartecipazione umana.
Nell’attuale concreta situazione del mondo, la Chiesa deve compiere la sua missione di salvezza e di speranza per tutti, con le opere e con l’annuncio del vangelo per l’avvento del regno di Dio e la giustizia nel mondo.
Chiesa siamo tutti noi che formiamo al popolo di Dio. Ciascuno di noi, tutti i credenti, siamo tenuti a costruire ogni giorno la Chiesa come segno di speranza per il mondo. Un mondo segnato
dal peccato che è il sommo male e la causa di ogni altro male, anche nelle guerre, degli idoli, delle ingiustizie, del sottosviluppo. E se, nonostante la redenzione del Nostro Signore, questi mali rimangono, e solo perché l’uomo non vuole lasciare il peccato, abusando della libertà di cui Dio gli fa dono.
Si perpetua così anche la situazione di stridente contrasto fra ricchezza e miseria. Da una parte ingenti beni accumulati e dall’altra popoli sprovvisti dei mezzi necessari per condurre una vita degna dell’uomo e indispensabili per sopravvivere.
Al tempo stesso però il mondo prende sempre più coscienza della fratellanza universale e della urgenza di cambi nelle istituzioni onde superare le discriminazioni oppressive e instaurare la compartecipazione umana.
Nell’attuale concreta situazione del mondo, la Chiesa deve compiere la sua missione di salvezza e di speranza per tutti, con le opere e con l’annuncio del vangelo per l’avvento del regno di Dio. Ma, la proclamazione della speranza cristiana senza le opere rimarrebbe sterile.
Questa speranza esige oggi dalla Chiesa e da ciascuno di noi un atteggiamento fraterno e l’impegno a favore dei poveri, degli emarginati, dei diseredati e abbandonati dalla società. Se non sentiamo questo assillo, vuol dire che non abbiamo compreso la verità semplice e radicale del messaggio cristiano o che non conosciamo per esperienza la reale situazione di quelli che soffrono. Sì, la speranza cristiana appare vera quando vi è l’impegno per i fratelli, vissuto con amore e per la giustizia: cioè nel dare compimento al precetto del vangelo: l’amore al prossimo.
Oggi, il messaggio di speranza di Maria e della Chiesa ci trova riuniti nella Basilica di Nostra Signora del Rosario di Pompei, per celebrare solennemente il centenario della fondazione dell’Orfanotrofio femminile, opera del Beato Bartolo Longo.
Fanciulle povere ed abbandonate, e più tardi figli di divorziati, hanno trovato ospitalità nella casa sorta all’ombra del santuario, sotto la protezione della Madonna; casa, frutto della fede e dell’amore di un fervente figlio della Chiesa.
Fanciulle prive di affetto e calore materno, abbandonate a se stesse, esposte ai pericoli della seduzione del vizio, hanno ricevuto e ricevono accoglienza amorosa dalla Chiesa ed in particolare dalle buone religiose dell’Istituto fondato dallo stesso Beato Bartolo Longo. Così, la città di Pompei si è aperta a sentimenti di fede e di amore al prossimo, sapendo che fede e carità sono il fondamento della vita cristiana.
Il Beato Bartolo Longo ha così mostrato quanto importante e feconda di opere può essere la santità dei laici per il mondo contemporaneo.
Nella omelia della sua Beatificazione, il 26 ottobre 1980, il Papa Giovanni Paolo II ha definito Bartolo Longo "un laico che ha vissuto totalmente l’impegno ecclesiale".
Il Beato Bartolo Longo possiamo considerarlo il primo testimone della nuova Pompei e qui egli è passato con il fuoco della carità, con la corona del rosario, seminando speranza e consolazione.
Devoto e imitatore di Maria, ha aderito a lei, la Vergine orante, pellegrino nella fede, compassionevole e in tutto solidale con Gesù nell’opera della salvezza.
Parlare di Bartolo Longo, come laico impegnato nella società, campione della fede e della carità, e di forte stimolo per i fedeli che oggi si preparano al prossimo Sinodo dei vescovi, che ha per tema: "Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo a venti anni dal Concilio Vaticano II", che si celebrerà dal 1° al 30 ottobre di quest’anno (1987).
Una vocazione e missione laicale così pienamente realizzata nella fede e nella carità come quella di Bartolo Longo, è una testimonianza capace di muovere e trascinare tante anime. Dev’essere un appello ed incitamento alla coscienza cristiana di tanti battezzati specialmente laici, a penetrare di fede, di amore, di speranza, di giustizia, di fraternità e di pace le realtà temporali: il mondo dell’economia, della politica, della famiglia e della scuola, della università e della vita professionale.
Raccogliere fanciulle abbandonate e trasformarle in modelli di rettitudine morale e di vita cristiana, è la risposta della fede, dell’amore e della giustizia – fondamento della società. È la risposta di un figlio della Chiesa, esempio per i laici che oggi desiderano vivere intensamente la chiamata di Dio alla santità e all’impegno a favore dei necessitati e dei più poveri.
In Maria, Madre della speranza, troviamo la forza e l’incentivo per percorrere ed avanzare in questo cammino di santità
(† Card. Opilio Rossi)

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